giovedì 28 febbraio 2013

Racconti di Akakor (parte quarta)

Il Credo della tribù eletta dagli Dei, si differenzia fondamentalmente dalla falsa fede dei barbari bianchi. Essi adorano la proprietà, la ricchezza ed il potere come un Dio e pensano che nessun sacrificio sia troppo grande pur di avere più del proprio vicino; invece i nostri Dei ci hanno insegnato come vivere e come morire.

C'insegnarono che il corpo nasce e perisce, trasformato giorno dopo giorno dall'alimentazione e, per questa ragione, non può rappresentare la nostra vera vita. I nostri sensi dipendono dal nostro corpo, e sono portati da lui come la fiamma di una candela: quando la candela si spegne anche i sensi si spengono, perciò anche loro non possono rappresentare la vita Reale. Il nostro corpo, quanto i nostri sensi, sono soggetti al tempo, nel tempo mutano e solo la Morte è il mutamento definitivo, in quanto essa distrugge ciò di cui possiamo fare a meno.

Il vero Io, l'Essenza, è al di fuori del tempo. E' immortale. Dopo la morte del corpo ritorna da dove era venuto: come il fuoco usa la candela per rendersi visibile, così l'Io usa il corpo per rendere visibile la sua vita. Dopo la morte, il vero Io, ritorna al principio del tempo, all'origine del mondo, nel grembo dell'Assoluto, nell'Eternità.

L'uomo fa parte di un immenso e misterioso disegno cosmico che si svolge nei cieli, diretto da una legge eterna; i nostri Primi Maestri conoscevano questa legge e ci insegnarono i segreti della seconda vita, che la morte del corpo è insignificante e che solo l'immortalità dell'Io è importante, libero dalla materia e dal tempo.

Alla metà dell'undicesimo millennio, intorno al 600 d.C., per il vostro calendario, l'impero degli Ugha Moungulala superò il suo zenit. Le tribù selvagge espugnavano le fortezze di frontiera, vi erano rivolte nelle tribù alleate, l'avvento sempre più incalzante dei barbari bianchi, e gli Incas, antichi fratelli oramai divenuti dei nemici idolatri, giunsero fino alle mura di Akakor; ma ecco che, ancora una volta, quando più lo necessitavamo, una notizia giunse a noi: strani valorosi guerrieri stavano risalendo impetuosamente il Grande Fiume, con le loro mogli e figli, alla ricerca dei loro Dei. Fu cosi' che giunsero a noi i Goti.

Essi erano i discendenti di Samon, che atterrò migliaia d'anni prima sulle rive del Nilo, ed anche loro erano, quindi, nostri fratelli, figli dei principi del Cielo. Il loro capo, Cacciatore Selvaggio, era saggio e coraggioso: quando tutto sembrava finito per loro dopo millenni della loro storia a causa di un massiccio attacco di uno straordinario popolo, i Vichinghi, egli li salvò, stringendo all'ultimo un' alleanza che, tuttavia, li costrinse a partire; così navigarono per trenta lune all'affannosa ricerca delle loro origini; esplorarono tutti gli angoli del pianeta, finchè ci trovarono nel 570 d.C.

I Goti erano oltre mille, soldati esperti, ed abilissimi agricoltori e tessitori. Ci insegnarono l'utilizzo del Ferro, metallo a noi, che lavoravamo solo oro argento e bronzo,sconosciuto. Grazie alle corazze così ottenute, sgominammo gli avversari, e grazie all'uso intensivo di nuove sementi e tecniche di coltivazione, il nostro impero rifiorì.

La pace durò quasi mille anni dal 570 d.C., dove solo noi e i discendenti di Viracocha il figlio ribelle degenerato, gli Incas, avevamo diviso il territorio, ed in pace ed armonia governavamo, anche se solo da noi vigevano le leggi lasciateci dai Principi Celesti.

Nel 1531 d.C. giunsero notizie di un popolo con la barba che navigava su grandi battelli, alti, bianchi, forti e poderosi come Dei; pensammo ad un loro ritorno ed organizzammo fuochi festosi, la gioia si diffuse ovunque, gli Dei erano tornati! Fu un crudele inganno, i barbari bianchi come ancora oggi li chiamiamo, distrussero l'impero degli Incas, uccisero uomini donne e bambini a milioni, eressero templi con la croce.

I giorni terribili cominciarono, quando il Sole e la Luna si scucirono, diventando rossi come sangue.

Cinque anni dopo il loro arrivo l'impero Inca era in rovina, pochi sopravvissero, alcuni furono fatti schiavi, ed altri scapparono nella foresta trovando rifugio da noi, fra le nostre mura; ma un giorno gli Spagnoli, così venivano chiamati i barbari, seppero di noi popolo eletto e vennero a cercarci. Il Principe Umo ed i più vecchi del consiglio decisero la ritirata, per quanto molti furono di parere contrario. Le città di frontiera vennero distrutte, ed anche Machu Pichu, la città sacra di Lhasa, venne abbandonata; file di portatori trasportarono per i ripidi passaggi delle montagne, gioielli, offerte, oggetti preziosi e tutte le provviste ad Akakor, tutte le entrate alla città vennero accuratamente nascoste e bloccate da pietre enormi.

Molti bianchi tentarono di avvicinarsi ad Akakor ma tantissimi di loro morirono a causa delle frecce avvelenate delle tribù alleate e per le malattie contratte nella Foresta. Solo un gruppo raggiunse i dintorni della capitale; sul monte Akai, a tre ore di distanza a piedi da Akakor, si svolse una memorabile battaglia, che si protrasse per molto tempo. Un giorno, infine, un' imboscata al nemico li costrinse alla resa, molto di loro perirono, ma alcuni vennero incatenati e condotti in città, dove venivano guardati con un misto di orrore, reverenza e disprezzo. Il Sommo Sacerdote parlò loro domandando il motivo di così tanto sangue e violenza, ma il cuore dei barbari bianchi era troppo duro per comprendere, ed impiegarono molto tempo prima di capire la loro sorte: lavorare incatenati nelle miniere d'oro e di argento, fino alla fine dei loro giorni.

http://interferenzealiene.blogspot.it/2011/09/la-cronaca-di-akakor-parte-iv-di.html

mercoledì 27 febbraio 2013

Lo Gnosticismo di Carl Gustav Jung

“I morti erano di ritorno da Gerusalemme, dove non avevano trovato ciò che cercavano… Ciò che il Dio sole dice è vita. Ciò che il demonio dice è morte. Ma Abraxas pronuncia la parola santificata e maledetta che è vita e morte insieme.” (C.G.Jung – Septem Sermones ad Mortuos – 1916)
 
Dopo la traumatica rottura con Sigmund Freud nel 1912, Carl Gustav Jung venne emarginato e aspramente criticato dall’ambiente psicanalitico: era solo un mistico; termine che, secondo il riduzionismo positivistico tipico del freudismo, valeva come sinonimo di ciarlatano.
 
Il senso di isolamento e di abbandono – così ci racconta egli stesso nella sua autobiografia Ricordi, sogni, riflessioni – provocò nello psichiatra svizzero un lungo periodo di incertezza interiore e di disorientamento, stato assai favorevole all’emersione di frammenti e figure dell’inconscio e alla loro numinosa manifestazione diretta. “Si scatenò un flusso incessante di fantasie, e feci del mio meglio per non perdere la testa…Ero inerme di fronte a un mondo estraneo dove tutto appariva difficile e incomprensibile…Le tempeste si susseguivano, e che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta. Per altri hanno rappresentato la rovina: così per Nietzsche, Hoelderlin, e molti altri…Nel reggere a questi assalti dell’inconscio ero sostenuto dal saldo convincimento di obbedire a una volontà superiore…(1)”.
 
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, confermò al fondatore della Psicologia Analitica l’intuizione che le proprie inquietanti derive psichiche non erano casuali ed isolate ma rispecchiavano l’angoscia collettiva di un mondo che stava sprofondando nell’abisso.
 
In quel momento di estrema crisi l’immaginario gnostico, nato e sviluppatosi in un altro momento di drastici sconvolgimenti annuncianti il crollo del Mondo Antico nei primi secoli dopo Cristo, riaffiorava in tutta la sua lussureggiante ricchezza sommergendo lo psichiatra e segnandolo indelebilmente per il resto della sua vita e della sua attività creativa.
 
La figura di Abraxas, il Dio/diavolo degli gnostici, venne evocata con sorprendente frequenza non solo nei sogni e nelle pagine di Jung, ma in quelle, di poco posteriori, del quasi conterraneo Hermann Hesse nel romanzo Demian (scritto nel 1917 e pubblicato nel 1919): “Demian aveva detto allora che possediamo bensì un Dio da noi venerato, ma egli rappresenta soltanto una metà del mondo arbitrariamente staccata (il mondo “chiaro”, ufficiale, lecito). Si deve però poter venerare il mondo intero e perciò o si deve avere un Dio che è anche diavolo o bisogna introdurre accanto al servizio divino anche un servizio diabolico. Ed ecco ora Abraxas, il Dio che era Dio e diavolo insieme (2)”.
 
Questo concetti, espressi dall’autore de Il Lupo della steppa, sono molto vicini a quelli che Jung andrà elaborando negli anni seguenti, con il procedere parallelo dei suoi studi sullo gnosticismo e sull’alchimia, tanto vicini da farci sospettare che il Demian del romanzo non fosse per Hesse altri che un alter-ego letterario di Jung stesso: si ricordi che lo psichiatra portò fino alla morte un anello con un castone alessandrino raffigurante Abraxas e che lo scrittore venne per qualche anno in analisi da lui “ma non riuscì ad andare in fondo (3)”.
 
Quel flusso di immagini e fantasie così significative fu scrupolosamente registrato da Jung in un “Libro rosso”, scritto a mano a caratteri gotici e finemente illustrato dall’autore stesso. In questi sogni ad occhi aperti, vere e proprie allucinazioni o esperienze medianiche, apparivano con ricorrente frequenza varie figure dalla personalità autonoma (4) (uno spiritista non esiterebbe a definirli “spiriti guida” o “angeli custodi”): una curiosa triade composta da un vecchio, Elia, una fanciulla cieca, Salomè, ed un serpente; e, successivo sviluppo di Elia, un altro vecchio alato e cornuto, Filemone.
 
Della triade Jung scrisse: “In queste peregrinazioni oniriche spesso ci si imbatte in un vecchio accompagnato da una giovinetta, ed esempi di coppie simili si trovano anche in molti racconti mitici. Così, secondo la tradizione gnostica, Simon Mago andava in giro con una fanciulla, che egli aveva preso in un bordello, di nome Elena, e che era considerata come la reincarnazione di Elena di Troia. Klingsor e Kundry, Lao-Tse e la giovane danzatrice, sono altri esempi del genere… Nei miti il serpente è spesso la controfigura dell’eroe… Nella mia fantasia, perciò, la presenza del serpente era una chiara allusione al mito dell’eroe. Salomè è una rappresentazione dell’ ‘anima’. E’ cieca perché non vede il significato delle cose. Elia è personificazione del vecchio saggio profeta e rappresenta l’elemento conoscitivo, Salomè quello erotico. Si potrebbe dire che i due personaggi siano personificazione del Logos e dell’Eros, ma una tale definizione sarebbe troppo intellettualistica (5)”.
 
E’ però Filemone la figura di maggior rilevanza: è un pagano, uno gnostico egizio-ellenistico, ha corna taurine, porta un mazzo con quattro chiavi, ha le ali di un martin pescatore (Jung trovò un martin pescatore morto nel suo giardino, proprio nei giorni seguenti all’apparizione di Filemone, uccello questo – precisa l’analista - piuttosto raro nei dintorni di Zurigo) e manifesta una vita indiscutibilmente propria: “Filemone rappresentava una forza che non ero io”.
 
Nelle mie fantasie conversavo con lui e mi diceva cose che io coscientemente non avevo pensato, e osservai chiaramente che era lui a parlare, non io…Da un punto di vista psicologico Filemone rappresentava un’intelligenza superiore…A volte mi sembrava reale proprio come se fosse una persona viva…era per me ciò che gli indiani chiamano un ‘guru’ (6)”. In seguito, allo spirito alato Filemone si affiancherà il demone terrestre e metallico che Jung chiamerà Ka, riprendendo il termine con cui gli antichi egizi definivano il “doppio”, una delle parti non mortali dell’anima umana: “Con il tempo riuscii ad integrare le due figure, e a tal fine mi fu di aiuto lo studio dell’alchimia (7)”.
 
Nel 1916, finalmente, questa magmatica atmosfera psichica giunge al culmine: dando quasi voce diretta ad Abraxas, Jung identificandosi in Basilide - uno gnostico alessandrino dell’inizio del II sec. d.C. – produce, praticamente in stato di trance, un testo di scrittura automatica, i Septem Sermones ad Mortuos. La stesura del libretto è anticipata da una fenomenologia che potremmo tranquillamente definire “paranormale”: i cinque figli dell’analista ancora piccoli, vedono figure fantomatiche aggirarsi per le stanze e disturbare i loro sonni, il campanello di casa suona più volte senza che ci sia nessuno alla porta. “Tutta la casa era come abitata da una folla di gente, come se fosse stipata di spiriti. Si affollavano fin sotto la porta e si aveva la sensazione di poter respirare a fatica (8).”
 
Anche Jung comincia a spaventarsi ed ode i morti gridare in coro: “Ritorniamo da Gerusalemme, dove non abbiamo trovato quel che cercavamo”. Con questa frase inizia il testo che lo psichiatra, scrivendo febbrilmente, termina in tre sole sere: appena presa in mano la penna la folla è sparita, l’invasione è cessata. Jung riconosce immediatamente il numen di un archetipo, una costellazione inconscia che si manifesta in visione: come terra dei morti, terra degli antenati, voce “dell’Inesplicabile, dell’Irrisolto, dell’Irredento”. In chiusura all’enigmatico documento l’analista aggiunse un incomprensibile anagramma di cui non volle mai svelare la chiave: “NAHTRIHECCUNDE GAHINNEVERAHTUNIN ZEHGESSURKLACH ZUNNUS (9)”.
 
I Sermoni sono la prima manifestazione di quella complessa concezione junghiana, non tanto psicologica quanto teologica, che volge al riconoscimento, all’integrazione e al bilanciamento fra il polo positivo e quello negativo. In chiave gnostica è il disvelamento di Abraxas; in chiave analitica è la presa di coscienza dell’Ombra, il ‘lato oscuro’ della nostra totalità psichica; più tardi, in chiave cristiana, sarà l’accoglimento di Lucifero come quarta figura della Trinità.
 
“Abraxas è il Dio duro a conoscere. Il suo potere è il più grande perché l’uomo non lo vede. Del sole egli vede il summum bonum, del demonio l’infimum malum; ma di Abraxas la VITA, indefinita sotto tutti gli aspetti, che è la madre del bene e del male….Duplice è il potere di Abraxas. Ma voi non lo vedete, perché ai vostri occhi gli opposti in conflitto di questo potere si annullano…Ogni cosa che chiedete supplicando al Dio sole genera un atto del demonio. Ogni cosa che create col Dio sole dà al demonio il potere di agire. Questo è il terribile Abraxas. (dal Sermone III) (10)” .
 
Queste prime profonde intuizioni o, perché no, rivelazioni, derivate dalla tradizione dello gnosticismo ellenistico, condussero in seguito Jung all’approfondimento della letteratura ermetica ed alchemica e, attraverso questa, alla rischiosa interpretazione, che scatenò polemiche senza fine, del principale dogma cristiano.
 
Il sottofondo intellettuale di queste tesi provocatorie resta strettamente legato alla sensibilità tipica dello gnosticismo, sensibilità ben messa in evidenza in questo passo di Hans Jonas: “Invece di adottare il sistema di valori del mito tradizionale, cerca di sperimentare una ‘conoscenza’ più profonda rovesciando le parti trovate nell’originale di buono e cattivo, sublime e vile, benedetto e maledetto. Non tenta di dimostrare consenso, ma, sovvertendo in modo clamoroso, tenta di scuotere il significato degli elementi della tradizione più saldamente stabiliti e di preferenza maggiormente venerati. Non può passare inosservato il tono ribelle di questo tipo di allegoria, ed essa perciò esprime la posizione rivoluzionaria che lo gnosticismo occupa nella tarda cultura classica) (11)”.
 
E’ soprattutto nel Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità (1942/1948) e in Risposta a Giobbe (1952) che Jung affronta in termini cristiani il problema del rapporto fra polo positivo e negativo, ombra e luce, bene e male: il dualismo ed il superamento del dualismo. Dice in sostanza Jung: la premessa logica per ogni giudizio di totalità è il quaternario; perché un tale giudizio sia pronunciabile, esso deve avere un quadruplice aspetto.
 
Per designare l’orizzonte, quattro punti cardinali; in natura, quattro elementi; quattro colori; quattro qualità primitive; quattro caste in India; quattro vie di sviluppo spirituale nel buddhismo; quattro aspetti significativi dell’orientamento psichico, ecc. La completezza è il cerchio, il mandala, e la sua minima divisione naturale è la quaternità (12). Tale quaternità ha spesso una struttura 3+1, essendo uno dei termini in una posizione d’eccezione o di natura diversa dagli altri (ad esempio i quattro evangelisti sono rappresentati da tre animali e da un angelo).
 
Quando il quarto termine si aggiunge agli altri tre, si genera l’‘Uno’, la totalità. Nella psicologia analitica il “quarto” è la funzione rimossa, inconscia, l’Ombra, la cui integrazione alla coscienza è uno dei compiti del processo d’individuazione. Nella teologia cristiana – sostiene Jung – “la triade non è uno schema di ordinamento naturale, ma artificiale…sarebbe omesso un quarto necessario…Questo dov’è dunque rimasto ? Alla domanda risponde la concezione cristiana che il male sia una privatio boni. Questa formula classica priva il male dell’esistenza assoluta e ne fa un’ombra, che ha soltanto un’esistenza relativa dipendente dalla luce.
 
Invece il bene si attribuisce positività e sostanza (13)”. Non si può invece parlare di ‘bene’ senza ‘male’, né di ‘chiaro’ senza ‘scuro’ o di ‘sopra’ senza ‘sotto’: la sostanza dell’uno è la sostanza dell’altro come la negazione dell’uno è negazione dell’altro. Infatti un’altra affermazione cristiana attribuisce al male personalità e sostanza: è il diavolo o Lucifero, creato ma autonomo ed eterno.
 
Questa istanza influentissima resta indeterminata in rapporto alla Trinità: in quanto avversario di Cristo, però, “dovrebbe assumere una posizione antitetica equivalente ed essere parimenti un ‘figlio di Dio’. Ciò potrebbe condurre direttamente a certe vedute gnostiche, secondo le quali il diavolo come Satanael (il suffisso –el significa ‘Dio’, dunque ‘Satana-Dio’) era il primo figlio di Dio, Cristo il secondo.
 
Un’altra conseguenza logica sarebbe l’abolizione della formula trinitaria e la sua sostituzione con una quaternità (14)”. Anche il simbolo centrale cristiano, la croce, è inequivocabilmente una quaternità: “In un contrasto affettivo, cioè in un conflitto, tesi e antitesi non possono essere viste insieme…L’indicibile conflitto, posto dalla dualità, si risolve in un quarto principio, che ristabilisce l’unità del primo nel suo pieno svolgimento”. Cristo, secondo l’opinione gnostica, respingendo l’ombra del peccato originale non sarebbe commisto col tenebroso mondo umano legato alla natura e alla materia, causa della condizione ibrida dell’uomo, soggetto al “Signore di questo mondo”, e apparterrebbe alla sfera platonica dell’idea pura. L’uomo sarebbe il ponte teso sull’abisso fra “questo mondo”, regno dell’oscurità e il regno luminoso celeste.
 
Dai neopitagorici al Faust di Goethe sempre qualcuno cercò il quarto perduto, avendo come scopo “la redenzione del serpens quadricornutus, dell’anima mundi irretita nella materia, del Lucifero caduto. Ciò che per essi giaceva nascosto nella materia era il lumen luminum, la sapientia Dei e la sua opera era un ‘dono dello Spirito Santo’. La nostra formula della quaternità dà ragione alla loro pretesa, poiché lo Spirito Santo, come sintesi di colui che fu originariamente Uno e poi scisso, fluisce da una sorgente luminosa e da una oscura. ‘Poiché all’accordo della sapienza partecipano le forze di destra e di sinistra” si dice negli Atti di San Giovanni (15)’”.
 
Da Dio Padre, primus motor, non-riflesso secondo la sua natura totale, nasce il Figlio – “la primissima cosa che Cristo deve fare è separarsi dalla sua ombra e chiamarla “diavolo” (già gli gnostici di Ireneo lo sapevano !) (16). Cristo dunque non è un simbolo completo. Cristo e Anticristo sono fratelli, entrambi ‘figli di Dio’, sintetizzati nel simbolo dei pesci, due pesci identici ma orientati in direzioni opposte, l’una verticale, l’altra orizzontale: la sintesi e l’integrazione degli opposti, la complexio oppositorum, è lo Spirito Santo, il Paraclito, il Consolatore, procedente dal Padre e dal Figlio - non soltanto inteso, secondo certe concezioni gnostiche, come controparte femminile del divino, Sophia-Shekhinà, ma soprattutto come riscatto della materia e dell’uomo deificati nello Spirito:

“L’invio del Paraclito riveste anche un altro aspetto. Questo spirito della verità e della conoscenza è lo Spirito Santo da cui Cristo è stato generato. Esso è lo Spirito della procreazione fisica e spirituale che, da ora in avanti, dovrebbe stabilire la sua dimora nelle creature umane. Siccome egli rappresenta la terza persona della divinità, ciò equivale al fatto che Dio venga generato nell’uomo-creatura…questi si trova così innalzato, in un certo senso, allo stato di figlio di Dio e di Uomo-Dio (17)”. Questo compimento segnerà il passaggio dall’eone cristiano a quello dello Spirito Santo secondo l’evangelum aeternum di Gioacchino Da Fiore (18).

Analoghe commistioni azzardate fra metafisica e psicologia in Jung sono state ferocemente attaccate non soltanto dagli psicologi e psicanalisti “laici” o “materialisti” come i freudiani, né dai membri delle Chiese protestanti o di quella cattolica che le giudicavano blasfeme, gnostiche o addirittura sataniche, ma anche dagli esoteristi e dai pensatori tradizionalisti come René Guénon o Julius Evola.
 
Quest’ultimo, sotto lo pseudonimo di Ea, demolisce nel saggio L’esoterismo, l’inconscio, la psicanalisi (19) , tutta la costruzione analitica junghiana giudicandola addirittura inferiore alla psicanalisi di Freud che, almeno, confinata entro la sua sfera empirica, naturalistica e pansessualista, arrecherebbe meno danni: “a differenza di Freud, lo Jung miticizza, concepisce la libido anche come mana, come la forza fascinosa che secondo i selvaggi compenetra certi oggetti…pretende di dare in termini di vita e di vera coscienza dogmi, figure divine e simboli delle religioni…si improvvisa come una specie di esoterismo psicologistico (ci si perdoni l’espressione) perfino nei riguardi delle tradizioni iniziatiche nel suo mettere dovunque in luce ‘archetipi’, simboli e fasi del ‘processo di individuazione’ ”.
 
Per Evola, sostanzialmente, il processo analitico junghiano non porterebbe ad una integrazione o “individuazione”, ma ad una vera e propria regressione: “lo scopo vero della via iniziatica è la realizzazione come supercoscienza di ciò che si è chiamata la subcoscienza cosmico-metafisica. Per venire a tanto…invece di aprirsi all’inconscio atavico-collettivo, bisogna sciogliersi da esso, neutralizzarlo, perché proprio esso è il ‘guardiano della soglia’, la forza che preclude la visione, ostacola il risveglio e la partecipazione a quel mondo superiore, cui va ricondotta la vera nozione di archetipo. (20) ”.
 
Molte delle obiezioni evoliane sono giuste e legittime, anche se resta il dubbio che, data l’oscurità di certi passi di Jung e la profonda differenza di approccio e di terminologia impiegata, possa trattarsi soprattutto di un fraintendimento. L’integrazione “gnostica” dell’inconscio non implica – ci pare - la soluzione della coscienza nell’indeterminato ma, al contrario, l’allargamento di questa e la determinazione in essa della sfera preclusa: obiettivo non dissimile da quello cercato dai saggi di ogni epoca, in un’ottica di superamento del dualismo metafisico che anche Evola sembra riproporre.
 
Tale almeno è la lettura più obbiettiva e meno preconcetta che si può ricavare dallo studio dei testi junghiani e di quelli dei suoi commentatori più attenti. Ad esempio questo passo sembra testimoniarlo: “L’immagine archetipica che da questa contrapposizione, attraverso un comune punto di mezzo, porta ad un congiungimento dei due sistemi psichici parziali – la coscienza e l’inconscio – è il Sé. Questo termine indica l’ultima stazione sulla via dell’individuazione…trovato e integrato questo punto intermedio l’uomo può dirsi completo. Soltanto allora infatti egli ha risolto il problema del rapporto con queste due realtà che ci sono imposte, l’interiore e l’esteriore; compito straordinariamente difficile sia dal punto di vista etico che da quello conoscitivo, che pochi eletti e dotati riescono a risolvere (21)”.
 
E forse proprio questo punto, intermedio e indefinibile, per gli eletti che lo raggiungono - gli pneumatici della gnosi - non è l’approdo finale, ma semplicemente l’inizio del viaggio.

(1) Carl Gustav Jung , Ricordi, sogni, riflessioni, Milano, Rizzoli 1978, pag. 219.
(2) Hermann Hesse, Demian, Milano, Mondadori 1972, pag. 151.
(3) Carl Gustav Jung, Jung parla: Interviste e incontri, a cura di W. McGuire e R.F.C. Hull, Milano, Adelphi 1999, pag.498.
(4) Fenomeni del genere, tutt’altro che rari, vengono descritti, più spesso in età infantile o adolescenziale, anche al di fuori di qualunque casistica di tipo schizoide o “medianico”. Un interessante esempio è il resoconto autobiografico di un grande scrittore tedesco, Ernst Juenger, nel suo romanzo Ludi Africani, Milano, Sugar Editore 1970, pagg. 24-31. Jung aveva elaborato un metodo di introspezione che chiamava “immaginazione attiva”, consistente “nell’ossevazione del fluire delle immagini interiori: si concentra l’attenzione su…una immagine di sogno o su una impressione visiva spontanea e si osserva quali trasformazioni l’immagine subisce…In tali condizioni si producono serie lunghe e spesso drammatiche di fantasie, anche visioni, dialoghi interni, ecc.” (da Jung-Kerényi, Prolegomeni alla mitologia come scienza, Torino, Boringhieri, 1948, pag. 232-233). In caso di schizofrenie latenti – aggiunge Jung – il metodo può essere molto pericoloso. Il pensatore tradizionalista Julius Evola, citando un testo taoista, stigmatizza questo metodo come nefasto perché conduce verso “la regione dei demoni”. Cfr. Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia quale scienza dell’Io, vol. III, Genova, I Dioscuri 1987, pag. 427 nota.
(5) Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit. pag. 224.
(6) Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit. pag. 226
(7) Jung, Ricordi, sogni, riflessioni, cit. pag. 228.
(8) Jung, Ricordi, sogni, riflessioni cit. pag. 234.
(9) Jung, Ricordi, sogni, riflessioni cit. pag. 463.
(10) Jung, Septem Sermones ad Mortuos, in Ricordi, sogni, riflessioni, cit. pag. 456-457.
(11) Hans Jonas, Lo gnosticismo, Torino, Società Editrice Internazionale 1991, pag. 107.
(12) Carl Gustav Jung, La simbolica dello spirito, Torino, Boringhieri 1959, pagg. 245 e seg.
(13) Carl Gustav Jung, Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, in Jung, Opere, Vol. 11, Psicologia e religione, Torino, Boringhieri 1979, pag.165.
(14) Jung, cit. pag.167
(15) Jung, cit. pag. 174
(16) Carl Gustav Jung, Sul problema del simbolo di Cristo, in Psicologia e religione, cit. pag. 483.
(17) Carl Gustav Jung, Risposta a Giobbe, in Psicologia e religione, cit. pag. 412.
(18) Fra le concezioni analoghe a quella junghiana possiamo ricordare per esempio il problematico passo di Léon Bloy in Dai giudei la salvezza, Milano, Edizioni Paoline 1962, pag. 131. “I cristiani saranno prodighi verso il Paraclito di ciò che è al dilà dell’odio. Egli è talmente il Nemico, è talmente l’identico a quel LUCIFERO che fu chiamato Principe delle tenebre che è quasi impossibile separarli…Chi può comprendere, comprenda.” Anche in anni recenti i riferimenti più o meno espliciti a Jung hanno prodotto frutti insoliti: il gruppo satanista The Process, attivo fra il 1965 e il 1975 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti , aveva elaborato una complessa teologia basata su una quaternità composta da Geova, Lucifero, Cristo e Satana concepiti come rispettivi opposti e complementari. Cfr. William Sims Bainbridge, Setta satanica: un culto psicoterapeutico deviante, Milano, Sugarco 1992.
(19) In Gruppo di Ur, Introduzione alla Magia quale scienza dell’Io, cit. pagg. 418 e seg.
(20) Gruppo di Ur, cit. pag. 435.
(21) Jolande Jacobi, La psicologia di C.G.Jung, Torino, Boringhieri 1971, pag. 158.
 

martedì 26 febbraio 2013

Racconti di Akakor (parte terza)

Nel 10481 a.C., secondo il calendario dei barbari bianchi, gli Dei abbandonarono la Terra. Essi chiesero ad Ina, il loro confidente, di mantenere vivo il ricordo, e di trasmettere per sempre i loro principi nel nome della loro fratellanza. Ora il sacro dovere era accompagnare il popolo eletto, gli Ugha Mongulala, nelle dimore sotterranee, affinchè siano al sicuro dalla catastrofe che stava per venire. L'impero, che si estendeva in quasi tutto il sud america comprendeva 362 milioni di persone, e, fra loro, 2 milioni erano della tribù eletta, scelta dai nostri Padri provenienti dal Cielo. Tredici anni dopo, come annunciato, la catastrofe arrivò e fu immane: non vi erano più stelle, sole e luna,caos e buio ovunque, dal cielo colava resina, e nel crepuscolo gli uomini si uccidevano fra loro per procacciarsi il cibo.

Chi la provocò? Esisteva un altra razza: erano simili agli uomini, con la pelle rossiccia, lunghi capelli, cinque dita alle mani ed ai piedi, ma sulle loro spalle crescevano teste di serpenti, tigri, falchi ed altri animali, disponevano anche loro di una scienza avanzatissima pari agli Dei, e governavano su un immenso impero. Usarono armi potenti come il Sole, nella loro guerra, ma la tribù eletta si salvò grazie ad Akakor inferiore. La faccia dell'intero continente venne deformata dai terremoti che mieterono milioni di vittime, ed anche il clima e le stagioni cambiarono radicalmente da quei giorni.

Tutto ciò che vi era in superficie venne spazzato via, ed anche molte città sotterranee subirono gravi danni; i sopravvissuti vissero come bestie per migliaia d'anni, finchè nel 6351 a.C., le tribù degenerate si allearono, per sconfiggerci ed uccidere il principe Uma, il nostro reggente, e vi riuscirono così i gran sacerdoti, che divennero corrotti, non trasmisero più l'antica sapienza, ma si sentirono onnipotenti e trascinarono ai più crudeli sacrifici, e all'idolatria il popolo. Fu terribile, solo pochi di noi, riuscirono a chiudersi dentro alcune città sotterranee per trovarvici rifugio e resistere ancora per migliaia d'anni, mentre in superficie la degenerazione era al suo apice.

Gli Dei dall'alto assistettero a questa sciagure, ma un giorno il loro sconforto crebbe a tal punto che decisero di punire l'uomo: inviarono una enorme stella con una lunga coda rossa coprente tutto il cielo, più luminosa di mille soli, per distruggere tutta la creazione, uomini piante ed animali. Piovve per tredici lune e ogni cosa affogò, tranne i sopravvissuti delle tribù elette, al riparo in basso nei loro rifugi. Solo Madus, un uomo coraggioso, osò risalire in superficie per osservare l'orrore; non v'era più nulla di vivo a perdita d'occhio, tranne della vegetazione e pochissimi animali. Egli in preda alla tristezza e all'ira strappò quei pochi alberi rimasti integri, e vi formò una zattera su cui accolse una coppia di animali per ogni specie che incontrò. L'acqua crebbe per tredici lune, non vi erano più montagne oramai, sommerse dalle furie delle acque, ma improvvisamente, le nubi si squarciarono comparve il Sole e con lui, i Primi Maestri, che come avevano preconizzato “Quando la disperazione giungerà al culmine Noi torneremo”! Madus liberò gli uccelli e gli animali e rientrando ad Akakor annunciò la fine dell'Era del Sangue.

Nel 3166 a.C., gli Dei attesi con tanto desiderio, quindi, tornarono; rimasero tre lune ma due di loro si fermarono con noi,i loro nomi erano Lhasa e Samon che volò ad Est dove fondò il suo impero. Lhasa con i sopravvissuti ricostruì l'antico splendore, si fecero nuovi confini, case e fortezze, si consolidò l'alleanza con un popolo a noi confinante gli Incas, ed infine si costruì una città santa Machu Picchu: fu un impresa titanica e quattro generazioni bastarono a malapena per completarla, ma al termine Lhasa vi si trasferì e regnò per trecento anni creando uno stato possente come solo un Dio potrebbe fare; Egli poteva anche cambiare il suo aspetto a comando e tutti vi si inchinavano.

Lhasa volò molte volte da Samon a Est, con uno strano veicolo che passava sulle acque e sulle montagne; Samon aveva edificato il suo regno all'imbocco di un grande fiume che viene ora chiamato Nilo, e Lhasa per permettere degli scambi tra le due terre costruì Ofir , dove il Rio delle Amazzoni si congiunge al mare, e la città divenne in breve ricchissima, grazie al nostro oro ed argento, scambiato con preziosi papiri, pietre verdi meravigliose e legni e tessuti pregiati, di cui erano colme le imbarcazioni del popolo di Sarmon; per ben mille anni durò il suo splendore, poi venne conquistata ed incendiata, ma noi ad Akakor abbiamo conservato alcuni di quei beni, ed anche due straordinarie macchine volanti metalliche.

Un giorno per noi nefasto, trecento anni dopo il suo arrivo, Lhasa prese la sua macchina volante, ed il principe, dopo aver dettato i suoi ultimi voleri agli anziani, partì verso le stelle. Ma noi ad Akakor, e circa 500 anime ancora presenti ad Akahim, situata nel sottosuolo fra Brasile e Venezuela, e collegata ancora con noi con una galleria sotterranea, sappiamo che torneranno ad aiutare noi, i loro fratelli: perché così è scritto nella Cronaca, e cosi sarà.

lunedì 25 febbraio 2013

I misteriosi suoni dell'Oceano

Si dice che l'uomo conosca meglio la superficie della Luna, che la profondità degli oceani. Effettivamente, gli abissi oceanici sono l'ultima grande frontiera dell'esplorazione umana. I mari del nostro pianeta sono in gran parte inesplorati, soprattutto per le condizioni ambientali proibitive che bisogna affrontare nelle profondità degli abissi.


Forse è proprio per questo motivo che gli oceani riservano ancora numerose sorprese agli esploratori e sono luoghi dove è possibile ancora registrare fenomeni inspiegabili. Tra questi, bisogna segnalare numerosi e insoliti suoni provenienti del fondo degli oceani. Gli scienziati di tutto il mondo sono alle prese con un fenomeno che è ancora avvolto nel mistero e che stenta a trovare una spiegazione scientifica. Che cosa genera questi insoliti rumori? Grossi animali degli abissi non ancora individuati? Le correnti oceaniche? O forse, qualcos'altro?

Ecco la lista dei suoni non ancora spiegati dalla scienza:

Bloop
Nell'estate del 1997, il NOAA, con l'ausilio di un idrofono equatoriale, registrò più volte un suono misterioso proveniente dagli abissi dell'Oceano Pacifico. Il suono aumentava rapidamente in frequenza per circa un minuto, ed era di ampiezza sufficiente per essere ascoltato dai sensori ad una distanza di oltre 5.000 chilometri. L'origine del suono - battezzato "The Bloop" - è, come ammette il NOAA - di origine sconosciuta. La fonte è da collocarsi a 50°S, 100° W.

Si è pensato che il suono fosse una vocalizzazione di un qualche organismo vivente degli abissi, ma i ricercatori affermano che nemmeno la balena blu è tanto grande da poter generare un suono così intenso. In realtà, nessuna creatura conosciuta sulla Terra è in grado di generare questo suono. "Le onde sonore sono quasi come impronte vocali", spiega Christopher Fox dell'U.S. National Oceanic and Atmospheric Administration's Acoustic Monitoring Project a Portland, Oregon. "Osservando alcune caratteristiche del suono, siamo in grado di riconoscere a quale animale appartenga, o se è un suono generato dal motore di una barca". Ma il Bloop, secondo gli scienziati, rimane il mistero.

Julia
Il suono è stato registrato il 1° marzo 1999, dall'idrofono equatoriale del Pacifico. La fonte del suono è sconosciuta, ma è possibile collocare le coordinate della fonte approssimativamente a 15°S, 98°W. La durata del suono è di circa 15 secondi.

Treno
Questo suono è stato registrato il 5 marzo 1997. Anche in questo caso, la fonte del suono è sconosciuta.

Slow Down
Questo suono è stato registrato 19 mag 1997. Il suono scende lentamente in frequenza nel giro di 7 minuti ed era di ampiezza sufficiente per essere ascoltato da tre idrofoni distanti tra loro 2.000 km. L'origine è da collocarsi approssimativamente a 15°S, 115°W. La fonte del suono è sconosciuta.

Fischio
Questo suono è stato registrato da un idrofono autonomo collocato a 8°N, 110°W, il 7 luglio 1997 e non è stato rilevato da nessun altro idrofono. La banda di energia è tra 1 e 6 Hz.

Upsweep
Questo suono è stato registrato la prima volta nel mese di agosto, 1991. Si compone di una serie di suoni della durata di parecchi secondi ciascuno. Il livello della sorgente fu abbastanza alto, tanto da poter essere ascoltato in tutto il Pacifico. Cosa singolare, si tratta di un suono stagionale, con dei picchi in primavera e in autunno. La sorgente si trova a 54°S, 140°W, nei pressi di alcune strutture vulcaniche, che, si ipotizza, potrebbero essere all'origine dei suoni.

http://ilnavigatorecurioso.myblog.it/archive/2012/09/10/gli-inspiegabili-suoni-dal-fondo-dell-oceano.html

Il Vertice di tutte le "Piramidi"

Introduciamo la figura di Peter Hans Kolvenbach, il cosiddetto "Papa Nero" dell'Ordine dei Gesuiti nel cui nome (Peter=Pietro) e nell'etichetta (Papa Nero=Caput Nigri) ritroviamo elementi citati nelle famose profezie di Malachia e Nostradamus collegate alla fine dei tempi.

L’ex vescovo del Guatemala Gerard Bouffard ha affermato che il Vaticano è “il vero controllore spirituale” degli Illuminati e del Nuovo Ordine Mondiale, mentre i Gesuiti, tramite il Papa Nero, il padre generale Peter Hans Kolvenbach, controllano effettivamente la gerarchia vaticana e la Chiesa Cattolica Romana.


Della “Compagnia di Gesù” o “Ordine dei gesuiti” si sa e si parla pochissimo. Eppure ha una storia ignobile di quasi cinque secoli. Imperatori e regnanti, governanti e personaggi “eccellenti” dei Paesi egemoni sono stati formati dai gesuiti e ne sostengono il potere, sulla base di una ideologia totalitaria e dogmatica indiscussa. Evangelizzatori e mercanti della “salvezza eterna”; protagonisti degli intrighi politici mondiali assieme alle famiglie reali e alle famiglie che gestiscono il patrimonio vaticano, i gesuiti hanno un potere enorme. 

Il vescovo Bouffard, che ha lasciato la Chiesa ed ora è un “Cristiano Rinato” che vive in Canada, ha raggiunto la sua conclusione dopo aver lavorato sei anni in Vaticano, con l’incarico di trasmettere la corrispondenza giornaliera riservata tra il Papa ed i dirigenti dell’Ordine dei Gesuiti. Monsignor Peter Hans Kolvenbach, il Papa Nero, controlla tutte le più importanti decisioni prese dal Papa e questi a sua volta controlla gli Illuminati, ha dichiarato il vescovo Bouffard, nel corso della trasmissione radiofonica di Greg Szymanski, The Investigative Journal, all’indirizzo www.gcnlive.com, dove le registrazioni di queste dichiarazioni possono essere ascoltate nella loro interezza. Il Papa prende ordini da Kolvenbach; i Gesuiti sono tra i leader del Nuovo Ordine Mondiale, con il compito di infiltrarsi in altre religioni ed tra le leader di vari governi, per di realizzare un unico governo mondiale ed una religione mondiale unica, basata sul Satanismo e “Lucifero”.

Una testimonianza che conferma quella di altri ricercatori, come Bill Hughes, autore degli sconvolgenti libri The Enemy Unmasked e The Secret Terrorists, o come l’altro ricercatore sull’Ordine dei Gesuiti Eric Jon Phelps, autore di Vatican Assassins. Oltre a dipingere un cupo ritratto del Papa Nero in Roma, il vescovo Bouffard rivela che il potere malefico dei Gesuiti si estende da un capo all’altro del mondo, inclusa una solida infiltrazione del governo Usa, del Consiglio delle Relazioni Estere e delle maggiori organizzazioni religiose. Il vescovo Buffard proclama che i Gesuiti agiscono come perfetti camaleonti, assumendo l’identità di Protestanti, Mormoni, Battisti e Giudei, con l’intenzione di causare il tracollo degli Usa così come di portare la nazione sotto una religione mondiale unica, fondata in Gerusalemme e sotto il controllo del loro leader, “Lucifero”. Nel corso della storia l’Ordine dei Gesuiti è stato collegato a guerra e genocidio, venendo formalmente bandito da molte nazioni, comprese Francia ed Inghilterra. Molti ricercatori proclamano che i Gesuiti sono i concreti controllori spirituali del Nuovo Ordine Mondiale. Comunque, con più di 28 grandi università che vanno da costa a costa, l’Ordine ha costituito una forte base di appoggio politico e finanziario, compreso il controllo segreto del Council on Foreign Relations (CFR) ed il controllo di molte banche, come la “Bank of America” ed il “Federal Reserve Banking System”.

Un’altra testimonianza dello stesso segno sui gesuiti viene offerta dall’articolo, molto documentato, di Riccardo Tiziano Tuis “La multinazionale dell’anticristo” su “Punto Zero” di “Nexus New Times” n. 99 di settembre 2012. L’autore ricostruisce tutta la storia scellerata dei gesuiti. Parla della loro pratica di “evangelizzazione” come strumento per commercializzare la salvezza eterna. Dice che i gesuiti rappresentano la “Intellighenzia” della Chiesa di Roma. Esplorano scrupolosamente ogni ramo del sapere, dalla astrologia alla divinazione, fino ad arrivare all’ermetismo e alla magia. Le loro scuole sono diffuse ovunque nel mondo, Italia compresa. Lungo è l’elenco dei Capi di Stato e dei governanti, passati e recenti, che hanno studiato e subito l’influsso dei gesuiti. La Santa sede è stata la principale promotrice del Trattato di Roma, prima, e della Unione europea delle banche poi; dei trattati UE e delle vicende che hanno infine portato Mario Monti – membro della Trilateral, del gruppo Bilderberg e alunno dei gesuiti – alla guida del governo italiano. I gesuiti furono molto ammirati da Hitler e da Himler, mentre il presidente USA Abramo Lincoln rivolse accuse pesantissime ai gesuiti. Poco prima di morire disse che stava combattendo non solo contro i sudisti, ma “in misura maggiore contro il Papa di Roma, i suoi perfidi gesuiti e i loro schiavi ciechi ed assetati di sangue”.

Il braccio armato dei gesuiti è formato dai “Cavalieri di Malta” e dai “Cavalieri di San Colombo” presenti nelle “intelligence” USA ed europee. Il Corpo Militare dell’esercito della “associazione dei Cavalieri italiani del Sovrano militare dell’Ordine di Malta” è un corpo militare volontario ausiliario dell’Esercito italiano diviso in tre reparti. Poiché i loro comandanti sono tutti Cavalieri dell’ordine di Malta, dovremmo chiederci: costoro a chi hanno prestato giuramento, all’Italia o al sovrano ordine militare di Malta. Un quesito importante ora che è nata la “Eurogendfor”, il primo Corpo militare della UE a carattere sovra-nazionale, svincolato da regole e leggi nazionali. Esso può anche reprimere proteste popolari, senza commettere reato (come abuso di potere, violenza, ecc.) e senza noie giudiziarie.

Tiziano Tuis ricorda anche che le principali banche del mondo furono create tra il 1760 e il 1860, periodo che vide i gesuiti impiegare le enormi ricchezze della Chiesa cattolica nei mercati mondiali. Già nel 1790 i gesuiti assumono il controllo del vaticano con la multinazionale che l’autore definisce dello “Anticristo”: una potentissima multinazionale “più aggressiva e sanguinaria” di qualsiasi altra che, avvalendosi della “evangelizzazione”, costituisce una rete bancaria tentacolare che ha “ingurgitato multinazionali e governi” arrivando fino ai giorni nostri. L’autore asserisce che la “Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica” è molto più potente dello IOR (Istituto delle Opere Religiose), che pure ha prodotto scandali finanziari (Sindona), il crac del banco ambrosiano, il riciclaggio dei narcodollari, ecc. Tuis ricostruisce poi la storia delle banche mondiali in tre fasi: quella aperta dei protestanti inglesi che sostengono l’impero britannico (prima fase); quella delle banche fondate in Olanda e Svizzere nel 1767 (seconda fase); quella delle banche create negli USA, Germania, Svizzera e Regno Unito. Banche sempre coinvolte a supporto delle guerre imperiali. Ad esempio La City Bank (New York, 1812), oggi Citibank, ha sostenuto i nordisti nella guerra di secessione statunitense; gli USA nella seconda guerra mondiale, gestendo traslazioni segrete tra USA e Germania nazista.

Alcuni sostengono che i maggiori investimenti della Chiesa cattolica siano nella Federal Reserve USA (controllata così da 100 anni). Ancora, dietro la più grande rapina dei nostri giorni – il Signoraggio, con il quale le banche centrali stampano moneta e se ne appropriano, prestandolo agli Stati che si indebitano – si ipotizza che vi siano la Chiesa cattolica e i gesuiti. Il presidente Kennedy si oppose al “signoraggio bancario” puntando alla sovranità monetaria dello Stato e alla “moneta del popolo”. Fu ucciso a Dallas e la “moneta del popolo” fu subito distrutta. Ovviamente le Agenzie mediatiche e tutti i mass-media che contano, sono controllate dal potere sovra-nazionale e nazionale della rete bancaria. Ciò spiega la grande impostura quotidiana che subiamo quotidianamente in Europa e in Italia.

Non sono in grado di verificare il grado di verità delle affermazioni e delle testimonianze qui sintetizzate. Mi sembrano ben documentate e credibili, alla luce dei fatti storici e della realtà che viviamo oggi, sempre più manipolata, censurata e stravolta dai grandi mezzi di “informazione” che sosteniamo con tempo e danaro. Chi è interessato a capire ed a verificare può farlo di persona, riferendosi alle fonti citate o ad altre di suo gradimento. In Italia il potere del Vaticano e dei gesuiti è più forte che altrove, per cui non è possibile chiudere occhi ed orecchie, come se le questioni descritte non condizionassero pesantemente la vita delle nostre famiglie e dell’intero Paese.


domenica 24 febbraio 2013

Arcangeli e Anunnaki

Nel corso del lavoro portato avanti dal nostro Progetto di lavoro abbiamo approfondito le figure dei Player riconducibili alle fazioni politiche degli Anunnaki sorte successivamente all’idea di Enki di creare quella nuova creatura  frutto di ibridazione tra una specie autoctona, l’Homo Erectus, e gli Anunnaki stessi.
 
Fu così, grazie a un’opera di ingegneria genetica avanzata che comparì sulla scena del pianeta l’Homo Sapiens, avente come scopo quello di servire gli “dei” così come sostenuto tra gli altri nelle teorie del ricercatore italiano Biagio Russo e nei precedenti lavori di Atlanticus: “Manipolazioni genetiche all’alba del genere umano” presentato a Milano il 30/09/2012 e l’articolo “Il Seme degli Dei” entrambi scaricabili gratuitamente dal sito.
 
Tornando agli Anunnaki e al loro esperimento fin da subito si distinsero due specifiche fazioni con visioni totalmente antitetiche nei confronti della nuova creatura.
 
Da un lato i seguaci di Enlil che vedevano l’uomo come semplice strumento di lavoro in rispetto dello scopo per il quale era stato creato e che al tempo stesso temevano l’acquisizione da parte di questo di determinate conoscenze. Basti solo pensare alla reazione degli Elohim quando il “serpente” permise ad Adamo ed Eva di cogliere quel frutto.
 
Dall’altro i seguaci di Enki, desiderosi di fornire all’umanità quegli strumenti utili per evolversi socialmente, tecnologicamente e spiritualmente; strumenti allegoricamente rappresentati dal biblico frutto della conoscenza e dal cabalistico frutto dell’albero della Vita.
 
 
Certi commentatori osservano come l'Albero della Vita sia un adattamento ebraico di simboli già presenti presso diversi popoli antichi: in effetti, ritroviamo in Egitto il sicomoro sacro come pure il Djed, che giocano un ruolo importante nell’esoterismo egizio. Altri Alberi della Vita esistevano ad esempio nella tradizione mesopotamica di Elam con potenti risonanze cosmogoniche. Sotto nomi diversi una stessa percezione si è installata in differenti culture: l’Albero della Vita si chiama l'Aśvattha in India, l'Albero Bo o la ficus religiosa dei Buddhisti, il Frassino, Yggdrasil dei popoli nordici, l’Asherah originale degli Assiri, il Java-Aleim (Jahva Alhim declinato in ebraico nel seguito) della tradizione cabalistica caldea.
 
Nella cabala lo schema dell’Albero della Vita è composto, tra le altre cose, da dieci Sephirot, ovvero i dieci “strumenti” di Dio i cui nomi sono descritti nello schema riportato sopra, ognuna delle quali era dominata da uno degli Arcangeli.
 
La tradizione iconografica cristiana così come anche certe correnti spirituali new age ci hanno abituato a immaginare gli angeli come esseri spirituali, incorporei, che interagiscono benevolmente proteggendoci, ispirandoci e aiutandoci nelle scelte di tutti i giorni. Niente di più sbagliato se invece andiamo a osservare l’etimologia e l’origine della parola “angelo” e alla descrizione che si fa di essi nella Bibbia stessa.
 
Il termine "angelo" ha origine dal latino angelus, a sua volta derivato dal greco ánghelos, attestato nel dialetto miceneo nel XIV/XII secolo a.C. come akero, con il significato di inviato, messaggero; e, come messaggero degli Dei, il termine "angelo" appare per la prima volta nelle credenze religiose della Civiltà classica anche se fin dalla cultura religiosa dell'area mesopotamica sono state elaborate credenze sugli angeli, qui indicati con il termine “sukkal” (o sukol), che ritroveremo nei successivi monoteismi. Anche nelle culture mesopotamiche infatti il ruolo dell'angelo è quello di messaggero-inviato del dio: il sukkal di Marduk è, ad esempio, Nabu, quello di Anu è Papsukkal mentre quello di Inanna è Mummu.
 
Ed è proprio come inviati, messaggeri degli Elohim, che gli angeli annunciano ad Abramo che avrà un figlio così come sono due angeli, due Malakim, ad arrivare a Sodoma per consegnare a Lot il messaggio dell’imminente distruzione della città. Ma in questi come in molti altri casi citati nella Bibbia, gli angeli non si manifestano come entità spirituali, ma come veri e propri esseri in carne ed ossa dotati di fisicità e di quelle stesse passioni proprie degli uomini.
 
Non voglio con ciò negare la possibilità dell’esistenza di entità spirituali benevole abitanti un livello metafisico a noi non direttamente percepibile; semplicemente voglio affermare che gli angeli, i malakim descritti nella Bibbia non hanno nulla a che vedere con questo ‘mondo astrale’ considerato che di sovente vengono rappresentati nell’atto di mangiare, di bere e comunque di interagire a livello fisico con il mondo materiale in cui si muovono. 
 
Concentriamoci ora sulla figura dell’Arcangelo, ovvero il livello gerarchicamente superiore all’angelo; Arcangelo che, come abbiamo citato prima, sovrintende la propria Sephirot. Gli Arcangeli più famosi sono l’Arcangelo Gabriele, l’Arcangelo Raffaele e a loro ulteriormente superiore, l’Arcangelo Michele; accanto ad essi si affiancano diversi Arcangeli minori: Raziel, Uriel, Amitiel, Samael, Camael… raggruppati in modo diverso a seconda delle diverse tradizioni, tutti comunque accomunati dalla sillaba finale “El” che li ricollega alla schiera degli Elohim.
 
I tre Arcangeli maggiori, si noti Michele (nel mezzo) che nell’iconografia classica caccia Lucifero dalla schiera celeste
 
Già, i nostri Elohim della Bibbia, ovvero quegli “Antichi dei” di un tempo dimenticato, creatori di un Uomo a loro immagine e somiglianza, e divisi ‘politicamente’ tra due fazioni, gli Enkiliti e gli Enliliti facenti parte del pantheon di divinità sumere capeggiato da Anu e dai suoi due figli Enki ed Enlil e da altre divinità le quali governavano, centinaia di migliaia di anni fa, sul popolo degli Anunnaki.
 
E come esercitavano il loro potere? Proprio attraverso le gerarchie angeliche, equivalenti ai nostri  ministri e funzionari pubblici in carica presso le istituzioni Anunnake al servizio dell’Elohim, oggi diremmo, ‘al governo’.
 
Sulla base della traslitterazione dei nomi originali degli Arcangeli e delle descrizioni che vengono loro attribuite dalla tradizione giudaico-cristiana (ma anche alcune citazioni coraniche) abbiamo così: Ra-Pha-El (Raffaele) un ipotetico funzionario del ministero di un ipotetico ministero della salute ante-litteram, Mi-Ka-El (Michele), apparentemente un importante funzionario militare, e Kha-Vir-El (Gabriele) forse dedito alle istituzioni collegate al mondo delle informazioni, delle comunicazioni, oggi diremmo dei media, considerato nel mondo contemporaneo, e non per caso, l’angelo protettore delle comunicazioni (radio, cinema, televisione), dei postini, degli ambasciatori, dei giornalai, dei corrieri, dei radioamatori, delle unità dell'Esercito Italiano appartenenti all'Arma delle Trasmissioni e, in generale, di chiunque "porta notizie" (cit.da Wikipedia).
 
In qualità di funzionari essi non avevano compiti politici o di governo e per questo non vengono mai annoverati nel pantheon degli Elohim. Il loro ruolo era quello di semplici esecutori del volere “divino” dei loro superiori, gli “antichi dei” Elohim governatori di un tempo dimenticato dalla nostra storia. Ora Enki o un suo fedele, ora Enlil o uno dei suoi seguaci, almeno fino alla lotta intestina al mondo Anunnako tra i due fratelli e allo scisma che ne derivò durante il quale il testo biblico narra della cacciata da parte dell’Arcangelo Michele di Lucifero e della schiera dei suoi fedelissimi che da quel momento verranno definiti “Angeli Caduti” o “Vigilanti” nel libro di Enoch.
 
I Vigilanti, erano come i Malakim, gli Angeli, messageri divini al servizio di Dio, ma "caduti in disgrazia", ovvero scacciati dal ministro della guerra Enlilita Mi-ka-El, che si aggiravano sulla terra in carne ed ossa. L'antica letteratura giudaica attribuisce ai Vigilanti specifici tratti somatici: molto alti, di pelle bianca, capelli bianchi lanosi, carnagione arrossata, occhi penetranti e volti di serpente; i testi mesopotamici ed altri racconti mediorientali sembrano confermare arricchendo le citazioni con "razze di giganti" e confermando che le divinità, antenate della civiltà, erano anch'essi di statura "gigante".
 
Dal libro di Enoch si racconta che i Vigilanti ribelli rivelarono all'uomo i segreti proibiti del cielo. Azazel "insegnò agli uomini a fare spade, coltelli, scudi e corazze e fece conoscere all'uomo l'arte di lavorare i metalli". Altri Vigilanti sono accusati di aver addestrato i mortali in campi scientifici, quali l'astronomia e la geografia, l'arte di abbellire il corpo, addirittura di "abortire".
 
Penemu, infine, istruì l'uomo sull'uso di "inchiostro e carta". Caratteri estremi e qualità sorprendenti, dunque, che, forse nulla hanno a che fare con la competenza di un "messaggero celeste" ma che sembrano riguardare più l'azione di una razza molto progredita che trasmette parte dei suoi segreti ad una cultura meno evoluta.
 
I resti umani trovati in Iraq, nelle tombe egizie, nei templi Maya, hanno mostrato che individui di alta statura e dotati di lunghe teste rappresentavano l'aristocrazia, la classe dominante delle primitive culture. Autori come Eric von Daniken e Zecharia Sitchin teorizzano che i Vigilanti avessero un'origine extraterrestre.
 

Raffigurazione di un Vigilante ricostruita da Billie Walker John sulla base delle descrizioni del libro di Enoch
 
Ma la vita per i messaggeri degli dei non fu semplice, dopo lo scisma degli Anunnaki, avvenuto centinaia di migliaia di anni fa essi dovettero assistere e servire a un nuovo momento epocale nella storia dell’umanità. Il Diluvio Universale, la distruzione della civiltà di Atlantide promossa dagli Enkiliti e la successiva “Rinascita” di cui abbiamo parlato più volte nel nostro blog, durante la quale furono assegnati ad alcuni Elohim i territori in cui, in virtù del patto sancito da Enlil, si sarebbe dovuta organizzare la ripartenza della società umana azzerata dalla repentina fine della glaciazione di Wurm e dai conseguenti sconvolgimenti globali ricordati come Diluvio Universale.
 
C’è chi ottenne l’Egitto, chi l’Europa continentale, chi le regioni della valle dell’Indo e chi il mesoamerica con le rispettive popolazioni. Ma ci fu chi non ricevette nulla… e decise di prenderselo, per sempre.
 
Quell’Elohim si chiamava Yahweh! E come descritto nell’articolo “La Sconfitta della Rinascita” esso selezionò un gruppo di persone della famiglia di Abramo e scelse per loro una regione intermedia tra l’Egitto e le valli dei fiumi Tigri ed Eufrate, da dove muovere battaglia per la conquista dell’intero pianeta attraverso il “suo” popolo prescelto con il quale assoggettare tutte le terre e tutti i popoli della Terra in segno di disprezzo verso coloro che gli negarono un ruolo pari a quello degli altri Elohim.
 
Possiamo allora definire Yahweh come l’esponente più importante dell’ala più oltranzista degli Enliliti. E con ciò ci ricolleghiamo alle tre figure più volte ricordate nelle ricerche e nelle teorie prodotte dal Progetto Atlanticus:

- Player A: Enliliti, timorosi della possibilità dello sviluppo dell’Uomo, orientati alla ‘beata ignoranza’

- Player B: Enkiliti, fiduciosi e benevolenti nei confronti dell’umanità

- Player C: Enliliti oltranzisti, o metaforicamente definiti Rettiliani, dediti al dominio

Fu a questo punto che gli stessi Arcangeli decisero di iniziare a giocare un ruolo determinante nel tentativo di riportare un po’ di ordine non più come meri esecutori di ordini. Se in un primo momento essi si limitarono a svolgere i compiti assegnati loro dall’Elohim di turno riscontriamo a un certo punto della storia una sorta di ribellione degli Arcangeli enliliti Mi-Ka-El e Kha-Vir-El verso il loro nuovo sovrano ‘terrestre’ Yahweh. Il primo ritornò ad appoggiare la causa del Player A, ovvero degli Enliliti, mentre il secondo, Gabriele, apparentemente sposò la causa del Player B. Fu infatti quest’ultimo a comunicare la nascita di uno dei più grandi esponenti del Player B: Gesù Cristo.
 
La battaglia tra i tre Player continua e come gli Elohim stanno ancora giocando la loro partita così anche gli Arcangeli stanno svolgendo il loro eterno compito di messaggeri/funzionari degli Elohim.

http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=14529

Critica alla mancanza di reperti

Ogni qualvolta si cita Atlantide o qualsiasi civiltà perduta antidiluviana la critica che viene più frequentemente mossa è quella relativa alla mancanza di reperti ipertecnologici o prove concrete della sua esistenza, come se le rovine sommerse di Yonaguni e Bimini o i siti megalitici sparsi qua e là per il globo come Gobekli Tepe o Puma Punku non fossero già sufficienti a testimoniare la presenza di società progredite nel nostro passato.

Vogliamo dimostrare ora come la pretesa di ritrovare i resti di una società tecnologicamente avanzata vissuta più di diecimila anni fa sia totalmente infondata, non perchè questa non sia esistita, ma perchè nulla, eccetto la pietra con la quale sono state costruite, appunto le Piramidi o i siti megalitici, resiste per così tanto tempo.

Il ciclo di documentari "La Terra dopo l'Uomo" descrive bene questo fenomeno.




Se per un qualsiasi motivo la popolazione umana dovesse ridursi a zero, per esempio a causa di un cataclisma di proporzioni globali o per effetto di una guerra nucleare mondiale niente di ciò che conosciamo resterebbe in piedi sfidando i millenni come invece hanno fatto le Piramidi di Giza.


Ecco cosa è in grado di fare la natura in 50 anni... figuriamoci in 500 o 5000 anni...

Ciò che segue è invece un elenco sommario che misura la biodegradabilità di alcuni materiali. Ovvero riporta in quanti anni un materiale si decompone in natura. a parte il vetro, dopo 1000 anni non c'è più nulla, metallo e alluminio compresi. Ciò solo per effetto dei batteri, senza considerare l'azione degli agenti atmosferici.

- Scatoletta di metallo: 50 anni
- Lattina di alluminio: da 20 a 100 anni
- Mozziconi e sigarette: da 3 mesi a 1 anno
- Accendino di plastica: 100 anni
- Bottiglia di vetro: 4000 anni
- Contenitore di polistirolo: 1000 anni
- Card plastificata o telefonica: 1000 anni
- Sacchetto di plastica: da 100 a 1000 anni
- Resti di frutta e verdura: da 3 mesi a 6 mesi
- Pannolini usa e getta: 450 anni
- Piatti, bicchieri e accessori di plastica: da 100 a 1000 anni
- Bottiglie di plastica: da 100 a 1000 anni
- Fermalattine: 450 anni
- Giornali e quotidiani: da 3 a 6 mesi

Il seguente articolo riporta invece la durata limitata del cemento armato per effetto della carbonatazione; si osservi l'evocativo sottotitolo:

"Un tempo si costruiva per l’eternità, adesso ci si accontenta di 50 anni.”

http://www.ingegneriaedintorni.com/2011/01/il-degrado-del-cemento-armato-la.html

Ciò dimostra che col tempo anche i materiali che oggi riteniamo essere i più resistenti come il cemento armato a lungo andare si digregherebbero, arruginendosi e le intemperie ne farebbero polvere... tutto crollerebbe e la natura si riprenderebbe tutto in neanche mille anni.

Basti pensare alle rovine maya ricoperte dalla selva dello yucatan, sopravvissute fino a noi perchè in pietra... che fine avrebbero fatto le stesse se costruite in mattoni, argilla, o peggio vetro, ferro, cemento?

Gli unici manufatti che rimangono sono quelli in pietra... infatti è tutto ciò che ci è rimasto oggi. Ma della nostra civiltà e delle grandi città, cosa rimarrebbe in piedi fra mille anni? Pensate a New York per esempio.

Fra mille anni non rimarrebbe in piedi nulla delle grandi megalopoli moderne.

Inoltre cosa dire di tutto ciò che è finito sott'acqua o distrutto dalla violenza del Diluvio (se Diluvio o Tsunami fu): per esempio Yonaguni?

E cosa dire di ciò che può essere finito sotto km di coltre di ghiaccio nel continente antartico?

Non pretendiamo pertanto di trovare i resti di un veicolo o di uno strumento tecnologico, o di un grattacielo del tempo di Atlantide, poichè nemmeno i nostri potrebbero resistere per così tanto tempo... eppure nella storia siamo esistiti!!!

sabato 23 febbraio 2013

Jung e l'Alchimia

Qualcuno, pensando a quelle astruse formule presenti nei testi di alchimia, storcerà il naso sentendo parlare di cultura, ma noi speriamo costituisca valida garanzia il fatto che Carl Gustav Jung abbia dedicato più di 1/6 (un sesto) della sua opera proprio allo studio dell'Alchimia. Che fra i tantissimi testi alchemici ve ne siano parecchi pregni di ciarlataneria, è un dato assodato. Ma che si debba fare d'ogni erba un fascio, non ci pare saggio. Il vero alchimista è una persona ricca di spiritualità. Egli è portatore di una fortissima tensione verso il "Divino", ed è talmente impegnato nella conoscenza di se stesso, da dedicare l'intera propria vita alla ricerca del Vero.

Perché ha usato quel particolare linguaggio? Per paura dei roghi, ma anche perché alcune esperienze frutto della sua ricerca e del suo "operare", potevano essere rese più facilmente con linguaggio simbolico, piuttosto che con linguaggio concettuale. C'è però un altro curioso motivo che ha spinto tanti ricercatori ad esprimersi in quel modo: creando un atmosfera di ricerca del tesoro, avrebbero, da una parte meglio invogliato le poche persone serie a cui rivolgevano i loro insegnamenti, e dall'altra avrebbero preso in giro i falsi ricercatori, imbottendo le loro pagine di formule "folli".

Le persone serie avrebbero cercato le poche perle nascoste fra tanto pattume messo lì deliberatamente, mentre i cosiddetti "soffiatori" si sarebbero persi in mille operazioni chimiche che nulla avevano a che vedere con la ricerca della Verità. In un certo senso potremmo considerare l'alchimia come un'immensa cronaca di esperienze "mistiche" raccontate dai vari autori in centomila linguaggi diversi. Ad un attento lettore di testi alchemici però non potrà sfuggire il fatto che ogni autore parla per esperienza diretta, e che quel che racconta sa di vero. Le migliaia di simboli usati possono produrre un doppio effetto. Su chi non ha mai neanche tentato di esplorare se stesso: confusione - su chi invece ha avuto qualche esperienza mistica (uso il termine in senso molto lato): conferme e suggerimenti.

Giunti a questo punto, ci preme sottolineare una cosa importante. A differenza dei mistici delle religioni, l'alchimista non si abbandona mai completamente: egli è sempre vigile, consapevole, attento. Tale sua attenzione costituisce quasi una forza in più da utilizzare per "bussare" affinché gli venga aperto. Adesso, per sottolineare la natura "mistica" dell'alchimista, riporteremo qualche brano scelto fra i tantissimi autori. Il Pernety, nel suo "trattato dell' Opera Ermetica (ed. Phoenix 79, pag. 69) dice: "Adorate solo Dio, amate Lui con tutto il vostro cuore, ed il vostro prossimo come voi stesso. Proponetevi sempre la gloria di Dio quale scopo di tutte le vostre azioni; invocatelo ed Egli vi esaudirà, glorificatelo ed egli vi esalterà".

Basilio Valentino, ne Le dodici chiavi de la Filosofia (ed. Mediterranee, pag. 57) ci dice: " Se il Creatore ha voluto dispensare la vera scienza e la sua non comune conoscenza, è, se non altro, per alcuni che condannano la menzogna, amano la verità, la cercano, designati per l'arte, con un cuore sensibile e che, innanzitutto, amano Dio senza ipocrisia e perciò lo pregano". Infine, Nicolas Flamel conclude il suo Il Libro delle figure geroglifiche (ed. Med. pag. 177) con le seguenti parole: "Tutto questo avviene grazie all'aiuto del Signore, Unico Dispensatore di tutti i tesori e di tutte le grazie; Egli che è Uno e Trino, e che regna nei secoli dei secoli. Così sia".

Di brani come questi, nei testi alchemici ve ne sono tantissimi. Molti alchimisti erano monaci, un esempio per tutti Alberto Magno, maestro di San Tommaso d'Aquino. Non dimentichiamo che fino a pochi secoli fa la cultura era esclusivo appannaggio del clero e della nobiltà, e che grazie all'opera di copiatura dei monaci, i manoscritti potevano circolare. Per non parlare del gran numero di opere di altissima Filosofia nate negli stessi conventi ad opera di umili ma geniali monaci. Non sarebbe stato giusto parlare della chiesa solo in termini di roghi. Solo chi ama il linguaggio dei simboli potrà evitare grossi mal di testa. Noi qui possiamo solo sfiorare l'argomento, perché esso è vastissimo. Secondo la stragrande maggioranza degli studiosi l'alchimia consiste in un processo "psico-spirituale", a fronte di una ristretta minoranza che vede in essa un "processo chimico".

Quindi, mentre i primi leggono gli scritti alchemici come metafore, i secondi li prendono alla lettera. Secondo noi le due cose non si escludono, ma ci colpisce come i chimici dell'alchimia, in un tempo come il nostro in cui sui libri o su internet è possibile leggere le formule e forse anche i procedimenti per costruire ordigni nucleari, si ostinino a tenere secreti i loro studi e le loro scoperte. Spero proprio che non si tratti della trasmutazione di metalli in oro metallico! Loro dicono che la strasmutazione interiore deve procedere di pari passo con quella esteriore, e che l'una è la prova dell'altra, ma anche in questo caso non si capisce il motivo del segreto.

C'è poi chi dice che l'alchimia è esclusivamente un processo chimico. Uno di questi è Francis Israel Regardie, che nel lontano 1936, mentre era impantanato in trattati alchemici, in un primo momento accolse il commento di Jung al Segreto del fiore d'oro come la soluzione dei suoi dubbi e la risoluzione del mistero alchemico (tanto da scrivere un libro in proposito La Pietra Filosofale), ma dopo lo rifiutò perché "A Salt Lake City incontrò un moderno alchimista, Albert Riedel, ed assistette ad esperimenti che non gli lasciarono dubbi sul fatto che l'alchimia consista in processo chimico, non certo psico-spirituale…" (Colin Wilson - Jung - Atanor pag. 108).

Secondo l'autore del brano riportato, Jung nei suoi studi alchemici parla molto di sé e delle sue teorie, "ma quanto dicano a noi di alchimia resta ancora da stabilire". Secondo noi hanno ragione sia Regardie che Wilson, e sia Jung. Ma non scordiamoci che a quest'ultimo, membro della comunità scientifica internazionale, stava a cuore soprattutto l'aspetto "scientifico" dell'alchimia, e cioè tutto quello che poteva servire per la conoscenza dell'anima (psiche).

Per come la vediamo noi, Jung ha avuto un bel coraggio a parlare di spiriti, di astrologia, di alchimia, di miti, simboli, e persino di ufo.

Ma i riferimenti a tante "discutibili" discipline testimoniano solo come il grande psichiatra svizzero abbia davvero indagato a 360°. Egli ha scrutato l'occidente e l'oriente, ha scavato a fondo nelle religioni, ha percorso i sentieri più impensabili dello sconfinato mondo psichico, e tutto questo è accaduto perché doveva ad ogni costo trovare cause o conferme a sue esperienze psichiche. Jung è uno strano composto di sciamanesimo-psicologia-filosofia-poesia-"follia"-romanticismo-misticismo-religione-medicina-arte-"magia".

Tutte queste cose insieme lo caratterizzano e fanno di lui un autentico alchimista, perché a parer nostro un vero alchimista è talmente determinato a conoscere se stesso, è talmente infervorato, talmente acceso dal fuoco della ricerca, che non può fare a meno di sondare ogni disciplina che in un modo o in un altro può essere usata per tale conoscenza. Un tale ricercatore, un tale profondo studioso non può e non deve trascurare nulla, ed ecco che rivolgendo l'attenzione alle filosofie e alle religioni passate e rivivendone simboli, miti, metafore, parabole ecc., cerca di espandere la sua coscienza nel tempo; ed entrando attivamente sia in se stesso che in ogni sistema di ricerca, realizza l'espansione coscienziale sia nello spazio interiore che in quello esteriore della psiche. Sa che il compito è arduo, anzi impossibile, ma deve tentare, perché tutto ciò è "imposto" da quanto deve essere conosciuto e coscientizzato.

Deve ubbidire all'Inconscio, a questo Potere che sta forse al di là del bene e del male come un Dio Trascendente, e la cui forza è immanente. Se alchimista vuol dire "conoscitore per esperienza" , beh, Jung è un alchimista e tutte le sue teorie (checché ne possa dire Regardie o Wilson o mille altri pensatori) sono testimonianza delle sue verità. Ed ecco perché gli scritti di Jung affascinano nonostante spesso siano confusionari e pieni di stancanti riferimenti: questo "strano filosofo" scriveva "camminando", "parlava mentre assaggiava il vino" I suoi scritti non sono frutto di un cervello ma di un uomo intero.

Chi si accosta a Jung con la sola ragione, lo detesterà presto. I suoi scritti non sono "puliti" come quelli di Freud, non possono essere una perfetta tela di ragno cucita secondo la geometria di un dogma (libido sessuale), non sono frutto di una cieca fede in qualcosa che già si conosce. I suoi scritti sono gli itinerari percorsi per tutta la vita, sono un invito al sentiero individuale, sono un sentiero nel bosco tracciato non a colpi di macete (dogma), ma scansando le piante e rilasciandole dopo il passaggio. Sono la sua ricerca, il suo sforzo, la sua vita, e quel sentiero appena accennato e subito ricoperto è un invito all'azione diretta, alla scoperta personale, alla visitazione della propria interiorità.

E tutto questo è alchimia di primissima qualità, come quella di tutti i grandi scrittori, i grandi artisti di ogni tempo, i grandi filosofi e pensatori. Ci si deve rendere conto una volta per tutte che le verità umane non possono che essere parziali, perché ognuna di esse si rifà ad esperienze individuali, a percorsi personalissimi, a tempi, spazi e modi unici e irripetibili. A volte qualcuna di esse riesce a cogliere meglio di altre il momento e la situazione psichica del collettivo, ed allora trova seguaci. Ma il pensiero autentico del caposcuola rimarrà sempre un affare dello stesso caposcuola, perché nessuna parola, nessun simbolo, nessuna metafora o esempio potranno mai fotografare l'esatto contenuto di tale pensiero. Nemmeno stando a contatto con la persona se ne potrà svelare il mistero.

Nemmeno una persona di scienza come Jung poteva raccontarci questa sua verità, ed è lui stesso ad affermarlo proprio nell'inizio del prologo del "suo" Ricordi, sogni, riflessioni: "La mia vita è la storia di una autorealizzazione dell'inconscio. Non posso usare un linguaggio scientifico per delineare il procedere di questo sviluppo in me stesso, perché non posso sperimentare me stesso come un problema scientifico".

Quanto poi alla ambiguità e alla confusione nei suoi scritti, c'è da sottolineare pure la volontà di usare un linguaggio equivoco da parte del nostro grande psichiatra. Nel 1952, in una lettera ad un giovane studioso Jung dice fra l'altro: "La lingua che parlo dev'essere ambigua, ossia a doppio senso, per adeguarsi alla natura psichica col suo duplice aspetto. Nell'esperienza tutto cade in preda all'ambiguità della psiche perciò preferisco il linguaggio equivoco, perché rende giustizia in egual misura alla soggettività delle rappresentazioni archetipiche e all'autonomia dell'archetipo". Questa è una delle tante cose che fa qualificare Jung alchimista: la "follia", quasi quella stessa dei folli di Dio, e diciamo 'quasi' perché lì c'è il totale abbandono al Supremo, mentre in un pensatore come Jung c'è il costante ancoraggio alla terra, alla fisicità, alla coscienza (vedi la sua vita in campagna, il suo contatto con la terra, il suo mischiarsi alla gente di ogni ceto sociale, il suo essere medico, ecc.).

Ecco perché decide di parlare di ogni cosa: la psiche collettiva si occupa di I King, di astrologia, di fantasmi, di taoismo, animismo, alchimia, e non solo di cliniche psichiatriche e malati mentali, non solo di religione e filosofia, egli deve quindi scavare anche lì, per com-prendere, capire, ed infine sintetizzare. Per non appesantire troppo questo breve saggio, non parleremo di alchimia in generale, né di metalli, di Solfo Mercurio e Sale, nemmeno dei colori delle varie fasi e delle diverse operazioni. Chi si accosta ad un saggio del genere è certamente a conoscenza di tutte queste cose, chi invece non è addentro alla materia, alla fine di questo scritto troverà un elenco di testi consigliati. Un' altra cosa: Jung era consapevole di avere dato, con i suoi studi alchemici, un forte contributo alla comprensione di parte dei misteri che l'alchimia nasconde gelosamente, ma non si è mai sognato di affermare d'avere svelato tutto: "Non pretendo però che l'interpretazione psicologica di un mistero debba necessariamente costituire 'l'ultima' parola. Se si tratta di un mistero, deve avere anche altri aspetti. Sono dell'opinione che la psicologia potrà pure spogliare l'alchimia dei suoi misteri, senza però riuscire a svelare il mistero dei misteri". (Mysterium Coniuntionis - Boringhieri, pag. 165).

Michela Pereira, a pag. 277 del suo Arcana Sapienza, ed. Carocci, dopo avere sottolineato che l'opera di Jung coglie solo un aspetto del problema alchimia, ci dice che "Di ciò si mostra consapevole Jung (non sempre invece i suoi discepoli)", volendoci significare che tanti suoi seguaci danno alle sue interpretazioni psicologiche un valore assoluto. Come dire: sull'alchimia è già stato detto tutto. Diciamo subito che noi la pensiamo come la sig.ra Pereira, docente di storia della Filosofia all'Università di Siena. Detto questo, continuiamo. Secondo Jung, a partire dall'illuminismo e dal razionalismo scientifico, la psiche è stata identificata con la coscienza. L'Io diviene l'unica e sola psiche. Prevale il dentro, mentre il fuori non è più portatore di mistero: furono ritirate tutte le proiezioni, ed i contenuti scaturenti dal ritiro di esse divennero 'Io'.

"E così i contenuti che prima venivano proiettati dovevano ormai apparire come proprietà, come fantasmi chimerici di un Io cosciente. Il fuoco si raffreddò e diventò aria, e l'aria divenne il vento di Zarathustra e provocò un'inflazione della coscienza che evidentemente poteva essere arrestata soltanto dalle più temibili catastrofi che possono colpire una civiltà, da quel diluvio che gli dèi scatenarono sull'umanità inospitale. Una coscienza che soffre d'inflazione è ipnotizzata da sé stessa è dunque votata a catastrofi che possono colpirla a morte. Inflazione significa, molto paradossalmente, che la coscienza diventa inconscia" (Psicologia e Alchimia - Boringheri, pag. 458). Questo brano, dal nostro punto di vista, riveste moltissima importanza, perché, come ci spiega Jung poco dopo, se il singolo individuo non si rende conto che esistono contenuti che "non appartengono alla personalità dell'Io, ma vanno attribuiti a un non-Io psichico", le catastrofi sono inevitabili.

La catastrofe della seconda guerra mondiale accadde perché l'uomo europeo fu posseduto da "qualcosa che lo privava di ogni decisione basata sul libero arbitrio". E qui Jung sottolinea molto il fatto che prendere atto di tali contenuti spetta al singolo individuo, "perché le masse sono animali ciechi", purtroppo solo in pochi affrontano i rischi di tale ricerca, "Perché è più comodo predicare agli altri la panacea universale, così da non aver più bisogno di applicarla a se stessi: si sa che ogni male sparisce se si è tutti insieme sulla stessa barca. Nel gregge non esistono dubbi, e più grande è la massa, maggiore è la sua verità, ma maggiori sono anche le catastrofi". L'opera alchemica, che altri non è che il Processo di Individuazione, ci permette di prendere coscienza di quanto sta oltre la personalità dell'Io.

E qui Jung è davvero un grande alchimista: ponendo sulle spalle della sua teoria (individuazione) il mantello carico di mistero dell'alchimia, riesce a far uscire dai recinti dell'accademismo lo studio della psiche (anima): chiunque può accostarsi alla psiche, con le dovute cautele. A nostro parere, come era stato all'inizio per la diffusione della Psicanalisi, Jung (accogliendo le teorie di Freud nella clinica svizzera in cui operava, e convincendo i colleghi della bontà di esse) era riuscito a far circolare il pensiero di Freud; con i suoi lavori sull'alchimia è riuscito a far divenire "popolare" lo studio della psiche, iniziando intere generazioni di giovani ad una sorta di "sciamanesimo colto", se così possiamo dire. Ma tutto questo non è nato a tavolino spremendo le meningi su una strategia divulgativa.

E' accaduto perché Jung ha avuto un confronto con l'inconscio, che poteva condurlo verso la stessa follia che aveva inghiottito Nietzsche. Quindi, il motore delle sue teorie aveva un nome: esperienza diretta. La sua scoperta sul significato dei mandala, per esempio, non è frutto di un'idea campata in aria, di una teoria. Essa è figlia di diecine di mandala disegnati e studiati al fine di cogliere i mutamenti psichici che avvenivano giorno dopo giorno in lui. Ma egli è grande alchimista anche quando suggerisce di vedere nel Sé la figura del Cristo, e di scorgere nell'iter alchemico un parallelo con la Sua vita, morte e Resurrezione (cosa che già avevano proposto altri): la via alchemica è un percorso spirituale che ha come scopo quello di liberare la divinità prigioniera della materia.

Con le sue opere sull'alchimia Jung era finalmente riuscito ad arginare la marea di ateismo provocata dal materialismo ad oltranza proclamato da altre scuole. La nostra epoca avrebbe bisogno oggi di un nuovo Jung, perché l'inflazione, che frattanto ha scavalcato i confini dell'Europa, non ha solo connotati economico-monetari… Forse abbiamo più bisogno di individui che di masse. Sigle di tutti i colori, politiche e non, propongono rimedi infallibili contro i mali del mondo, raccolgono masse disposte ad abdicare al libero arbitrio, tolgono il fastidio di pensare e riflettere, e soprattutto compressano la psiche in guscetti che prima o poi raggiungeranno dimensioni atomiche.

Ma non è giusto essere pessimisti, perché per fortuna aumenta anche il numero di quei "solitari" disposti ad incontrare le loro parti peggiori. Sono i novelli alchimisti. Certo all'interno del movimento cosiddetto New Age vi sono tanti furbi che mirano solo al portamonete dei creduloni: basta un po' di coreografia, un po' di paroloni, una buona dose di lavaggio di cervello attraverso ripetizioni e fascinazioni, ed il gioco è fatto. Per fortuna c'è pure tanta brava gente.

C'è un solo modo per smascherare i fasulli: leggere i classici della filosofia, della psicanalisi, della letteratura, dell'economia, e soprattutto delle religioni. C'è veramente poco che non sia stato detto. Tuttavia è bene anche tenersi aggiornati sul pensiero contemporaneo, perché ovviamente non tutto è stato detto. Ma torniamo al nostro discorso. Secondo Jung "tutto ciò che è ignoto e vacuo viene riempito da proiezioni psicologiche; è come se nell'oscurità si rispecchiasse il retroscena psichico dell'osservatore", quindi l'alchimista proietterebbe l'inconscio sulla materia.

Adesso, una curiosità: alle pagine 227 e 240 Jung cita Iulius Evola e riporta in nota un brano della Tradizione Ermetica- Laterza. Ci piace sottolinearlo perché egli fa suo il pensiero di Evola, e perché soprattutto ci conferma che l'aspetto chimico dell'alchimia non era mai stato escluso. Nel brano in questione suggerisce che "L'opera alchimistica non consiste per la maggior parte in meri esperimenti chimici, ma in qualcosa di simile a dei processi psichici in linguaggio pseudochimico. Difatti poco più avanti dice che "durante l'esecuzione dell'esperimento chimico, l'adepto viveva certe esperienze psichiche che gli apparivano come un comportamento particolare del processo chimico. Egli viveva la sua proiezione come una qualità della materia" . Come avrete notato non abbiamo parlato né di termini alchemici, né di procedimenti.

Questo perché ogni termine può significare talmente tante cose a seconda del contesto in cui sta, che dire semplicisticamente, per esempio: il mercurio è la prima materia dell'Opera, oppure che esso è il vaso ermetico, o che esso è - potrebbe sviare il lettore che poi decidesse di andare a consultare dei testi alchemici. Né servirebbe elencare tutto ciò che un termine può significare.

L'unico modo per comprendere i termini e le fasi dell'opera è leggere i testi classici e poi "operare": non c'è altro mezzo. Ma pure questo non è sufficiente. Se qualcuno ha avuto particolari esperienze psichiche, è attratto da quelle strane figure alchemiche e leggerà i testi senza problemi. Ma se uno si accosta a tali libri per curiosità o per dimostrarne l'assurdità, ne ricaverà solo mal di testa e tanta, tanta acidità con cui condirà poi i suoi giudizi (!) sull'alchimia. Piano piano ci stiamo rendendo conto degli enormi sforzi che Jung ha fatto per rendere "scientifico" quanto fino ad allora era rimasto avvolto dal fumo della magia e del mistero. Tradurre le opere alchemiche in termini di Psicologia Analitica, in particolare nel Processo di Individuazione, ecco quello che ha fatto.

E c'è riuscito benissimo. In Studi sull'Alchimia (pag. 58 Boringheri vol. 13° ) ce lo dice chiaramente:"Ho la ferma intenzione di portare alla luce della comprensione psicologica ogni cosa che sappia di metafisica, e farò tutto il possibile per evitare al pubblico di credere all'autorità di parole oscure".

In questo stesso volume sono raccolti gli scritti su Paracelso. Jung ha dedicato a tale, per certi versi geniale, medico-alchimista-astrologo, parecchi studi. Egli ne ha sicuramente letto tutte le opere. Perché ha dedicato tanto del suo tempo ad un personaggio tanto discusso e tanto strano, il cui strano linguaggio fa passare la voglia di accostarcisi? Perché Paracelso, in certo qual modo, nei tempi in cui visse ha fatto più o meno quello che Jung ha fatto il secolo scorso: ha cercato di dare una parvenza "scientifica" (la scienza allora era poca cosa) ad un caos indescrivibile, ad un magma alchemico impossibile da decifrare. Per mettere un po' d'ordine s'è creato un linguaggio tutto suo, che da un lato gli ha permesso di eliminare tutti gli altri e di fare una sintesi per se stesso, ma dall'altro ha apparentemente contribuito a creare nuovo caos. Un altro motivo per cui è stato commentato è che Paracelso era un ribelle che andava contro corrente ed attaccava la cultura accademica di allora accusandola di ciarlataneria.

Jung non va a fondo nei commenti, ma riportando passi significativi fa capire di dare ad essi importanza. Paracelso è stato un profondo conoscitore della Psiche, dell'alchimia e della medicina. Infine, come Jung, Paracelso era una persona profondamente "religiosa" che seppe conciliare alchimia e religione. Dalle sue opere Jung ha tratto parecchi spunti per la sua traduzione dei processi alchemici in paralleli processi psicologici. Da non sottovalutare poi la "traduzione" che egli fa di parecchi termini incomprensibili. Paracelso ha persino suggerito il modo giusto di accostarsi al paziente. E' notorio come la prassi terapeutica freudiana prevedesse che il medico se ne restasse "nascosto" dietro il divano, oltre che la sua assoluta non partecipazione ed il quasi totale silenzio. Jung fece tutto l'opposto: massima partecipazione, terapeuta di fronte al paziente, empatia.

Paracelso nella sua opera De Caducis dice testualmente: " In primo luogo v'è un gran bisogno di parlare della compassione, che nel medico dev'essere innata" "Dove non c'è amore non c'è arte" "Così il medico dev'essere dotato di compassione e amore non minori di quelli che Dio nutre nei confronti dell'uomo" (idem 145,146). La 'compassione' di Paracelso in Jung è divenuta 'empatia'.

Paracelso "predicava" che senza fede in Dio non era possibile conseguire nessuna verità, e secondo noi Jung la pensa allo stesso modo. Lo testimonia per esempio l'accostamento del Sé al Cristo, e quello del Mercurio all' Anima del mondo platoniano; oppure il suo porre l'inconscio oltre ogni bene e male, aldilà di tutto come un Dio trascendente; oppure ancora il suo ritenere che l'inconscio bussa continuamente alla porta della coscienza; e poi il suo misticismo di sottofondo.

L'opera di Jung è un ponte fra religione e psicologia, è dinamismo psichico, è invito ad "operare", a studiarsi, a fidarsi in primo luogo delle proprie esperienze dopo averle sottoposte a studio attento. Merito di essa è avere tolto ogni dogmatismo alla psicanalisi freudiana. Freud ha scoperto l'inconscio, ma secondo Jung, è finito "per soccombere all'effetto numinoso dell'immagine primordiale da lui stesso scoperta", da cui la sua "rigidità dogmatica"(idem 323).

Jung è un alchimista perché cercando la stessa materia prima che gli alchimisti avevano sempre cercato, si è imbattuto nell'inconscio e si è dovuto confrontare con esso per anni. L'inconscio è la materia prima dell'alchimista, e rimarrà una nera "nube di inconoscenza" fino a che la coscienza, affacciandosi dai limiti dei propri confini, osserverà e basta. Confrontarsi con l'inconscio è opera titanica, eroica. Tale confronto "è, da un lato il tentativo di comprendere il mondo archetipico della psiche; e dall'altro la lotta contro il pericolo che per la ragione rappresenta il fascino che scaturisce dalle incommensurabili vette e profondità, dai paradossi della verità psichica immediata".

Adesso vedremo di dare conferma a quanto si diceva poco fa a proposito della religiosità di Jung. Riporteremo un brano da cui apparirà chiaro innanzitutto come egli dia all'inconscio valenza di "Dio" Impersonale eterno. Quando scatta il confronto con l'inconscio "La mente umana è posta di fronte alla sua stessa origine, al suo archetipo; la coscienza finita sta di fronte alle sue premesse, e l'Io mortale di fronte al Sé eterno, all'Anthropos, al Purusa, all'Atman quello stato preconscio collettivo , da cui si origina il singolo Io". (idem) Poi Jung giustifica il segreto con cui Paracelso copriva la dottrina dell'Anthropos: per lui Cristo era solo un riflesso dell'Anthropos interiore, e siccome la cosa non presentava nessun aggancio con l'insegnamento della chiesa, era pericolosa…

I brani sopra riportati sono però testimonianza anche di altro. Jung fra Buddismo e Induismo preferiva quest'ultimo, ed il paragone del suo Sé (comprensivo di conscio e inconscio) con l'Atman indiano ne è la prova.

La sua religiosità ha mostrato la cistifellea, come direbbe un maestro zen. Ma proseguiamo. E' quasi inutile ricordare quanta importanza Jung attribuiva ai sogni, attraverso cui l'inconscio ci manda messaggi rivolti a farci acquisire quanto ancora è fuori della nostra coscienza. Ci invita ad analizzarli, ad entrarci dentro con l'immaginazione attiva, a reagire con essi, a parlare con i personaggi, ad ascoltarli. Ci invita insomma ad agire in prima persona, a farci maestri di noi stessi (almeno fino a un certo punto, oltre il quale, soprattutto per l'immaginazione attiva è meglio essere seguiti da un esperto).

Jung dà molto peso all'esperienza diretta, alla nostra verità più che a quella degli altri. E' per questo che decise di non rendere omaggio a Ramana allorché si trovò in India: lui doveva scoprire la sua verità. Purtroppo però constatava come spesso gli adulti siano ad uno stadio inconscio, senza alcun senso critico, e si lascino facilmente convincere da verità preconfezionate. "Se così non fosse, le sette e gli 'ismi' di ogni tipo avrebbero già da tempo cessato di esistere" (Mysterium Coniunctionis, vol 14 pag. 526 - Boringheri). Secondo lui la cosa è dovuta ad infantilismo, insicurezza, inconsapevolezza, mancanza di autonomia, cose che tutte lasciano "prosperare ogni sorta di malerba" (idem).

E' talmente convinto di questo, cioè che lo sforzo deve essere personale, da spingersi fino a "terrorizzare" il lettore con frasi tipo: "L'inconscio ha mille strade per mettere fine con sorprendente rapidità a un'esistenza priva di senso"(idem 475). Il nostro breve saggio volge al termine. Esso è voluto essere, oltre che un omaggio ad uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, anche un esercizio di sintesi per meglio studiare e conoscere noi stessi.

http://esoterismografico.blogspot.it/2011/03/jung-e-lalchimia.html

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