venerdì 31 maggio 2013

Le Sfere del Serpente



Centinaia di sfere misteriose si trovano sotto il Tempio del Serpente Piumato, antica piramide a sei livelli a 50 km da Città del Messico. 

Le sfere enigmatiche sono state trovate durante uno scavo archeologico utilizzando un robot dotato di fotocamera in uno degli edifici più importanti della città pre-ispanica di Teotihuacan.

"Sembrano sfere gialle, ma noi non ne conosciamo il significato. Si tratta di una scoperta senza precedenti", ha detto Jorge Zavala, un archeologo dell'Istituto Nazionale di Storia e Antropologia del Messico.

Il robot.

Le rovine mesoamericane di Teotihuacan, patrimonio dell'umanità, rappresentano uno dei più grandi centri urbani del mondo antico. Fondata intorno al 100 a.C., la città ricca di piramidi aveva più di 100.000 abitanti al suo apice, ma fu abbandonata per ragioni misteriose intorno al 700 d.C. - molto prima che gli Aztechi arrivassero nel 1300.

Lo scavo presso il tempio si è focalizzato su un tunnel lungo un centinaio di metri, che corre sotto la struttura. Il condotto è stato scoperto nel 2003, quando la pioggia ha aperto un buco a pochi metri dalla piramide.

L’esplorazione del tunnel, che è stato volutamente riempito di detriti e rovine dal popolo di Teotihuacan, ha richiesto diversi anni di lavoro preliminare e di pianificazione.

"Infine, un paio di mesi fa abbiamo trovato due camere laterali a 72 e 74 metri dall'ingresso. Le abbiamo chiamate Camera Nord e Camera del Sud," ha detto a Discovery News l’archeologo Sergio Gómez Chávez, direttore del Progetto Tlalocan.

Gli archeologi hanno esplorato il tunnel con un robot telecomandato chiamato Tlaloc II-TC, che dispone di una telecamera a infrarossi e di uno scanner laser che genera la visualizzazione in 3D degli spazi sotto il tempio.

"Il robot è stato in grado di entrare nella parte del tunnel che non è stata ancora scavato e ha trovato tre camere tra 100 e 110 metri dall'ingresso," ha detto Gómez Chávez.

Le misteriose sfere giacevano nelle camere, sia a nord sia a sud. Di raggio variabile tra 4 e 13 cm, gli oggetti hanno un nucleo di argilla e sono rivestiti con un materiale giallo chiamato jarosite.

giovedì 30 maggio 2013

Il Popolo degli Aditi


Il grande deserto del Rub al-Khali, il Quarto vuoto, uno dei più terribili deserti del mondo. A un giorno di fuoristrada si giunge alla città morta di Barrakesh, una rocca alta una trentina di metri sul piatto assoluto del deserto circostante. Era la capitale religiosa del regno di Main. Da Barrakesh, attraverso il bacino di Wuadi al Jawf, arriviamo a Marib, nel regno della regina di Saba.

Qui a Marib le leggende si sprecano e l'ambiente che la circonda, le giustificano.

I resti di un antichissimo ed enigmatico palazzo, di cui rimangono otto colonne sporgenti dalla sabbia, è attribuito alla regina di Saba, Bilqis, da sempre celebrata per la proverbiale bellezza che sedusse il re Salomone avendo poi da quel rapporto un figlio che divenne il primo re di Etiopia.


Di questo storico incontro ne parlano i testi ebraici, cristiani ed islamici. Poco distante, chiude un secco wadi, la diga di Marib costruita nell'VIII secolo a.c. e che probabilmente cadde in disuso solo nel VI secolo d.c. causando la fine della civiltà sabea.

Vagabondando nei dintorni incontriamo i resti più vari, da una muraglia ellittica lunga 300 metri, alta 10 e larga 4, a pezzi di pilastri, a lastre coperte di iscrizioni nel tipico alfabeto dei sabei.

Tutto fa pensare che qui ci sarebbe da scavare ancora una ricchezza archeologica immensa, ma la situazione politica della regione rende il progetto inattuabile, per la continua guerriglia in atto ormai da più di trent'anni. 

Noi proveremo a scavare tra le dune di questo deserto per estrarre una verità sconcertante.

Cinquecento chilometri ad est, in pieno deserto del Rub al-Khali, si apre una profonda voragine costituita dal wadi di Hadramawt; dal color ocra si passa al verde intenso degli orti e dei palmeti, dalla solitudine assoluta alla vita festosa di caratteristici paesini costruiti con mattoni di fango crudo, dipinti di calce bianca.

Questo luogo ricco di acqua e riparato dai forti venti che periodicamente spazzano il deserto, ha visto nascere in tempi antichissimi una favolosa civiltà stanziale. Si racconta che i primi abitanti, gli Aditi, fossero una razza di giganti che non aveva rivali in fatto di ricchezza.

Invece di essere grati a Dio per la loro fortuna, vivevano in dissolutezza e adoravano dei profani come viene descritto nella sura coranica dedicata al profeta Hud. La punizione divina arrivò con tempeste di sabbia che spazzarono via tutto e formiche grandi come cani che fecero a pezzi i giganti.

Una storia già sentita molte volte nel corso delle nostre ricerche, culturalmente declinata a seconda del popolo che ne ha elaborato facendo proprio il mito.

Nel Corano, Hūd è il profeta della tribù degli ʿĀd, nipote di Noè (Nuh in Arabo). La loro città sarebbe stata Iram, una misteriosa città scomparsa nell’antichità che il romanziere dell’occulto H.P.Lovecraft descrive così:

“… una città antichissima, abbandonata, "remota nel deserto d'Arabia", "le basse mura quasi sepolte dalle sabbie di età infinite", senza nome perché "nessuna leggenda è così antica da risalire fino ad essa per darle un nome, o per ricordare che fu mai viva un giorno… Era già vecchia quando Babele l'antica sorgeva; e non si sa quanto a lungo ha dormito nel cuore del colle ove i nostri picconi insistenti frugando le zolle, i suoi blocchi di pietra portarono a luce primeva. V'erano grandi locali e ciclopiche mura e lastre spaccate e statue scolpite di esseri ignoti vissuti in ere perdute, di molto più antichi del mondo ove l'uomo dimora...” 

e la cui storia, nell’immaginifico universo lovecraftiano, si intreccia con quella dell’autore del Necronomicon Abdul Al-Alhazred il quale non segue la religione islamica, ma adora strani dèi dai nomi inquietanti, come Yog e Cthulhu.

Demonologo e poeta pazzo, Al-Alhazred nasce a Sanaa, in Yemen al tempo dei califfi omayyadi, all'incirca nell'VIII secolo della nostra era. Egli esplora le rovine di Babilonia e i cunicoli nascosti di Menfi. Vive per dieci anni isolato nel deserto di Rub' al-Khali circondato da spiriti malvagi (jinn). Durante queste peregrinazioni Alhazred afferma d'aver visitato Irem (Iram dhāt al-ʿImād, la città "dalle Mille Colonne") e di aver scoperto fra le rovine di un villaggio innominabile le prove dell'esistenza di una razza pre-umana, di cui apprende i segreti e le cronache.

Conosciuta anche come “Iram delle Colonne”, Aran o Ubar, si trovava nella Penisola Arabica ed era una città mercantile edificata nel deserto del Rub’ al Khali, il più grande deserto di sabbia del mondo.


La tradizione narra che la città sopravvisse dal 3000 a.C. fino al I secolo d.C., arricchendosi anno dopo anno grazie a un florido commercio; successivamente se ne persero completamente le tracce, forse perché, come ricorda il Corano, subì la stessa punizione della tribù dei Banu ‘Ad, una stirpe araba vissuta durante il periodo pre islamico che osò sfidare Allah innalzando alti edifici in pietra e che per questo venne punita prima con un tremenda siccità, poi da una violenta pioggia seguita da un fortissimo vento che distrusse tutti i loro edifici.

Le rovine della Città delle Mille Colonne si troverebbero ancora sotto le sabbie del deserto, dimenticate anche dal tempo. Questa storia rimase una delle tante tradizioni orali raccontate intorno al fuoco, almeno fino a quando non giunse in Occidente in seguito alla traduzione del famoso “Le mille e una notte”.

Durante il II secolo d.C., Claudio Tolomeo, astronomo e geografo greco, disegnò la mappa di una misteriosa regione che, a suo dire, era abitata da un altrettanto enigmatico popolo, gli Ubariti, ovvero gli antichi abitanti di Ubar. In tempi più recenti il tenente colonnello Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto ai più come Lawrence d’Arabia, mostrò spesso un notevole interesse per questa città, che lui stesso definiva come l’Atlantide delle Sabbie.

Forse spinto anche da questo interessamento, un gruppo di ricercatori si affidò nel 1980 ai satelliti della NASA nel tentativo di ritrovare la Città delle Mille Colonne; una possibile collocazione venne individuata nella provincia di Dhofar, in Oman. La spedizione includeva   anche l'avventuriero Ranulph Fiennes, l'archeologo Juris Zarins, il regista Nicholas Clapp e l'avvocato George Hedges ed è descritta nel libro “Ubar, l’Atlantide nel Deserto” di Nicholas Clapp.

L’esplorazione si concentrò su un antico pozzo chiamato Ash Shisa, nelle immediate vicinanze, infatti, venne alla luce un sito costruito molto più anticamente; nessuna prova di una certa importanza venne comunque rinvenuta. A questo tentativo seguirono altre quattro campagne di scavo, ma anche in questo caso l’ubicazione di Iram delle Colonne rimase avvolta nel mistero. Ma torniamo al profeta Hūd e alla sua storia.

Hud è da alcuni storici delle religioni individuato nel Patriarca biblico Heber, discendente di Sem. è anche il titolo della Sura XI del Corano. In quanto nipote di Noè Hud è sicuramente antecedente ad Abramo.

Nella Sura a lui dedicata, Allāh promette tremendi castighi a chi mette in dubbio la Sua parola e a quanti reclamano prove circa la verità di quanto da Lui rivelato nel Corano. Il testo sacro islamico afferma che Mūsā, Nūḥ (Noé), Hūd, Ṣāliḥ Ibrāhīm, Lūṭ, Shuʿayb e lo stesso Maometto sono stati rifiutati dalle genti cui essi erano stati inviati per le ragioni più diverse, ma che Dio punirà tutte queste genti ribelli, sterminandole, se esse non si pentiranno, anche per impartire un esemplare ammonimento per le comunità che, sciaguratamente per loro, volessero imitarle.

Gli ʿĀd rifiutarono di sottomettersi alle ingiunzioni di Hūd. Furono perciò sottoposti a una dura siccità. Qāʾil, il loro capo, si decise allora a celebrare un sacrificio a Dio per il ritorno della pioggia, ma era ormai troppo tardi, visto che Dio aveva deciso di punire gli ʿĀd per la loro incredulità. Qāʾil, che era non credente, condusse le vittime sulla cima di una montagna per sacrificarle egli stesso.

« Girando allora il suo volto verso il cielo, disse: “O Dio del cielo, io ti chiedo la pioggia per il mio popolo: sii il nostro protettore”. Nello stesso istante apparvero tre nuvole; la prima era rossa, la seconda nera e la terza bianca. Da queste nuvole uscì una voce che diceva: “Quale vuoi che si diriga verso il tuo popolo?” Qāʾil si disse tra sé e sé: “Se questa nuvola rossa si dirigesse verso il mio popolo, non ne scaturirebbe pioggia, del pari la nuvola bianca, restasse anche tutto un giorno, non ne uscirebbe pioggia. è la nuvola nera che assicura la pioggia”. Allora Qāʾil disse ad alta voce: “Chiedo che questa nuvola nera vada verso il mio popolo” » - Ṭabarī, Dalla creazione a David in op. cit., 116. Storia del profeta Hūd.

La nuvola si fermò sopra la testa degli Aditi, e il vento sterile che essa conteneva ne uscì, come è detto nel passaggio del Corano citato da Ṭabarī:

« E anche fra gli ʿĀd fu un Segno, allorché mandammo contro di loro il vento devastatore » - Corano, LI:41

Questi Aditi erano probabilmente gli abitanti di Atlantide o Ad–lantis. "Sono impersonati da un monarca a cui tutto viene attribuito, e che si dice sia vissuto per diversi secoli". (Lenormant e Chevallier, "Ancient History of the East", vol. II, p. 295). 

Ad proveniva dal nord–est. "Sposò un migliaio di mogli, ebbe quattromila figli e visse milleduecento anni. I suoi discendenti si moltiplicarono notevolmente. Dopo la sua morte i suoi figli Shadid e Shedad regnarono in successione sugli Aditi. Al tempo di quest’ultimo, il popolo di Ad era composto da un migliaio di tribù, ognuna composta di diverse migliaia di uomini. Grandi conquiste sono attribuite a Shedad, e si dice che gli fossero sottomessi, tutta l’Arabia e l’Iraq. La migrazione dei Cananei, il loro insediamento in Siria, e l’invasione dei Pastori in Egitto sono attribuiti, secondo molti scrittori arabi, a una spedizione di Shedad". (Ibid., p. 296). 

Shedad costruì un palazzo ornato di colonne superbe, e circondato da un magnifico giardino. Si chiamava Irem. "Era un paradiso che Shedad aveva costruito a imitazione del paradiso celeste, delle cui delizie che aveva sentito parlare". ("Ancient History of the East", p. 296). 

In altre parole, un’antica, potente razza conquistatrice, che praticava il culto del sole, invase l’Arabia agli albori della storia, erano i figli di Adlantide: il loro re cercò di creare un palazzo e un giardino dell’Eden come quelli di Atlantide. 

Gli Aditi sono ricordati dagli Arabi come una razza grande e civile. "Essi sono rappresentati come uomini di statura gigantesca, la loro forza era pari alle loro dimensioni, e spostavano facilmente enormi blocchi di pietra". (Ibid.) Erano architetti e costruttori. "Innalzarono molti monumenti al loro potere, e quindi, fra gli arabi, nacque l’usanza di chiamare le grandi rovine "costruzioni degli Aditi". Ancora oggi gli arabi dicono "vecchio come Ad". Nel Corano si fa allusione agli edifici costruiti su "alti luoghi per usi vani", espressioni che dimostrano che si ritiene che la loro "idolatria fosse stata contaminata con il Sabeismo o culto delle stelle". (Ibid.) 

"In queste leggende," dice Lenormant, "troviamo tracce di una nazione ricca, che erigeva grandi costruzioni, con una civiltà avanzata, analoga a quella della Caldea, che professava una religione simile a quella babilonese, una nazione, in breve, nella quale il progresso materiale si congiungeva ad una grande depravazione morale e a riti osceni. Questi fatti devono essere veri e strettamente storici, perché si ritrovano dappertutto tra gli Etiopi, come tra i Cananei, i loro fratelli per l’origine comune".

In tutte queste cose vediamo rassomiglianze con gli Atlantidei. 

Il grande Impero Etiope o Cuscita, che nei primi secoli prevalse, come dice Rawlinson, "dal Caucaso all’Oceano Indiano, dalle sponde del Mediterraneo sino alla foce del Gange", era l’impero di Dioniso, l’impero di "Ad", una nuova nazione atlantidea da aggiungere sulla nostra mappa dell’età dell’oro.

El Edrisi chiama la lingua parlata ancora oggi da parte degli arabi di Mahrah, in Arabia Orientale, "la lingua del popolo di Ad," e il Dr. J.H. Carter, nel Bombay Journal di luglio 1847, dice: "E’ il linguaggio più morbido e dolce che abbia mai sentito". Sarebbe interessante confrontare questa lingua primitiva con le lingue del Centro America. 

Il dio Thoth degli Egiziani, che proveniva da un paese straniero e che inventò le lettere, era chiamato At–hothes. 

In sanscrito Adim significa in primo luogo. Tra gli indù il primo uomo si chiamava Ad–ima, la moglie era Heva. Essi si stabilirono su un’isola, che si dice essere Ceylon; lasciarono l’isola e raggiunsero la terra ferma, quando, a causa d’un sommovimento terrestre di grande importanza, la loro comunicazione con la terra madre fu tagliata per sempre. 

Ritroviamo così i figli di Ad alla base di tutte le razze più antiche di uomini, cioè gli Ebrei, gli Arabi, i Caldei, gli Indù, i Persiani, gli Egizi, gli Etiopi, i Messicani e i Centroamericani; testimonianza che tutte queste razze facessero riferimento per le loro origini ad un vago ricordo di Ad–lantis. 

E forse fu proprio a questi, prima che agli ebrei, che Yahweh/Allah volse la sua attenzione in luogo della scelta del suo popolo prediletto per i suoi piani di conquista secoli prima della chiamata di Abramo. 

Dalla Bibbia sappiamo a un certo punto che “…Abramo uscì dalla città di UR dei Caldei…” (Keltoi?) per raggiungere la terra promessa, la terra di Canaan, su indicazione diretta di Dio/Yahweh/Enlil. Possiamo collocare temporalmente nel XVIII sec. a.C. la partenza della tribù di Abramo verso Canaan, ovvero 3800 anni fa, esattamante alla fine dell’azione Kurgan nel continente europeo.

Questo avvenne perché dopo il Diluvio nazioni e popoli superstiti dell’antica età dell’oro atlantidea salvatisi grazie all’intercessione di Enki vennero spartiti tra gli Elohim per promuovere la cosiddetta Rinascita Enkilita ovvero il sogno del fratello “buono” di ricostituire l’età dell’oro antidiluviana ricominciando con una umanità riformattata. 

Ma Yahweh, probabilmente imparentato con Enlil come si evince dalle ricerche dei De Angelis schematizzate nella seguente tabella venne escluso da questa spartizione.

Per visualizzare a risoluzione maggiore:

A un Elohim fu assegnato l’Egitto, a un altro la valle dell’indo, a un terzo la zona europea dove sorsero le prime società gilaniche, ad altri le nazioni mesopotamiche e ad altri ancora le regioni del continente nord e sudamericano e così via. A Yahweh non fu assegnato nulla… se lo prese da solo.

Ma al contrario di quanto abbiamo sempre pensato non fu la stirpe di Abramo dei Caldei di Ur la sua prima scelta. La Sura XI del Corano illustra un’altra storia, la storia di Hud, precedente ad Abramo, in visita presso i superstiti del potente popolo “gigante” degli Aditi i quali rifiutarono l’offerta di Yahweh.

Un offerta, quella di Yahweh, che non poteva essere rifiutata e che costò loro la vita. 

Il popolo degli Aditi venne così cancellato, facendo entrare nel mito la città di Iram delle mille colonne, Ubar e l’intera storia del popolo Adita dalle cui ceneri sorse nei successivi secoli il potente regno della Regina di Saba, alleata questa volta del Regno di Israele, il popolo prescelto da Yahweh… come seconda scelta!


Fonti:

mercoledì 29 maggio 2013

Agartha e la Thule Gesellshaft


Tratto da un articolo di Carlo Barbera

Nel 1917 l’occultista Barone Rudolf Von Sebottendorf, il discepolo di Gurdjeff Karl Haushofer, il pilota asso dell’aviazione Lothar Waiz, il Prelato Gernot della segreta “Societas Templi Marcioni”, (Gli Eredi dei Cavalieri Templari) e Maria Orsic, una medium trascendentale di Zagabria si incontrarono a Vienna. Ciascuno di loro aveva studiato estensivamente la “Golden Dawn”, i suoi insegnamenti, i rituali e specialmente la sua conoscenza delle segrete Logge Asiatiche. Sebottendordf ed Haushofer erano sperimentati viaggiatori di India e Tibet e molto influenzati dagli insegnamenti e dai miti di quei luoghi.

Durante la Prima Guerra Mondiale Karl Haushofer aveva preso contatti con una delle più influenti società segrete Asiatiche, i Tibetani “Cappelli Gialli” (dGe-lugs-pa), costituita nel 1409 dal riformatore Buddhista Tsong-kha-pa. 

Haushofer fu iniziato ad essa e giurò di compiere suicidio se avesse fallito la sua missione. 

I contatti tra Haushofer e i “Cappelli Gialli” condussero negli anni Venti alla formazione delle colonie Tibetane in Germania.

Le quattro giovani persone speravano che durante questi incontri a Vienna sarebbero venuti a conoscenza di segreti testi rivelatori dei Cavalieri Templari ed avrebbero avuto notizie della fratellanza segreta dei “Signori della Pietra Nera”. Il Prelato Gernot era un membro degli “Eredi dei Cavalieri Templari” ritenuta da molti composta dai discendenti dei Templari del 1307 che tramandavano i loro segreti da padre in figlio fino ad oggi. Sembra che il Prelato Gernot parlò loro dell’avvento di una nuova era, del cambiamento dall’Era dei Pesci all’Era dell’Acquario. 

La Lotta contro il male

La parte principale della discussione affrontò inoltre il tema di una sezione del Nuovo Testamento, Matteo 21:43, dove Gesù si rivolge agli Ebrei:

“Così io vi dico che il regno di Dio vi sarà negato e sarà dato a un popolo che produrrà il suo frutto”.

Il testo originale completo custodito negli archivi della “Societas Templi Marcioni” lo affermava anche più chiaramente. Ma il punto era che in quel testo Gesù effettivamente nomina il “popolo”; egli si rivolge ai Teutonici che servivano la legione Romana ed afferma che il popolo ad essere stato scelto era il loro. Questo era ciò che Sebottendorf ed i suoi amici volevano sapere con certezza: i Teutonici, ovvero il popolo Germanico era investito della missione di formare il reame di luce sulla Terra, nella “Terra della Montagna di Mezzanotte” (La Germania). Il luogo dove il raggio avrebbe incontrato la Terra fu stabilito nell’Untersberg vicino a Salisburgo.

Alla fine del Settembre 1917 Sebottendorf incontrò all’Untersberg alcuni membri dei “Signori della Pietra Nera” per ricevere il potere della “Pietra Nera-Porpora”. I “Signori della Pietra Nera” che si costituirono dalla società Templare Marcionita nel 1221 e furono condotti da Hubertus Koch, avevano stabilito come proprio fine la lotta contro il male e la costruzione del reame di luce di Cristo. Questo potere oscuro che essi combattevano si era rivelato nel così detto Antico Testamento attraverso Mosè ed altri strumenti di Dio, partendo dalla parola YHWH : JAHVEH. Jehovah ad Abramo: “ Io sono il Dio Onnipotente!”, in Ebraico: “Ani ha El Shaddai”, tradotto: Io sono El Shaddai, “l’Arcangelo caduto (Shaddai El) – Shaitan o Satana”.

Sebottendorf riconobbe chiaramente Shaddai, il Dio dell’Antico Testamento come il distruttore, l’antagonista di Dio. I suoi seguaci quindi cercavano di distruggere la Terra, la Natura e l’Umanità; i suoi seguaci erano quindi i credenti nella Legge Mosaica, gli Ebrei.

Esoteristi e "politici"

Ancora oggi molte persone si chiedono perche Hitler si scagliò contro gli Ebrei. Negli occhi della Thule Gesellschaft, da cui più tardi emerse il DAP (Partito Germanico dei Lavoratori), il NSDAP (Partito Germanico dei Lavoratori Nazional-Socialisti) e le SS (Schutzstaffel), il popolo Ebreo che era stato incaricato dal dio del Vecchio Testamento Jahveh di “far insorgere la distruzione sulla Terra”, era la causa di tutta la guerra e la discordia che affliggeva il mondo.

I membri della Società Thule conoscevano i sistemi bancari Ebraici, la famiglia Rothschild ed i loro alleati, i “Protocolli degli Anziani di Sion” avevano già seminato profonda inquietudine in Europa ed essi sentivano come loro compito quello di combattere il popolo Ebraico, ma specialmente i loro sistemi bancari e le loro logge.

Alcuni dei più importanti insegnamenti che influenzavano la Thule Gesellschaft era la costruzione della religione Ario-Germanica (Wihinei) del filosofo Guido von List, la Cosmologia Glaciale di Hans Horbiger e la propensione verso il Cristianesimo primitivo ed anti-Antico Testamento dei Marcioniti. Credevano in un Prossimo Salvatore, il “Terzo Sargon” che avrebbe portato alla Germania la gloria e una nuova cultura Ariana.

Meravigliosa Iperborea

Alcuni autori pongono enfasi su un’altra particolare idea che animava la Thule Gesellschaft. 

"ULTIMA THULE" viene descritta come la capitale del primo continente popolato dagli Ariani. Tale continente fu chiamato IPERBOREA, più antico di Lemuria e di Atlantide (continenti con culture avanzate finchè furono sommerse). 

Gli Scandinavi tramandano un racconto su “Ultima Thule”, la meravigliosa terra nell’estremo Nord, dove il sole mai tramonta e dove abitano gli antenati della razza Ariana. Iperborea si trovava nel Mare del Nord e si immerse durante un’era glaciale. Si presume che gli Iperborei vennero dal sistema solare di Aldebaran che è la stella principale della costellazione del Toro, e che tale popolazione avesse una statura di circa quattro metri, che fossero bianchi, biondi e con occhi azzurri. Essi non conoscevano guerre ed erano vegetariani. Secondo presunti testi di Thule essi furono tecnologicamente molto avanzati e volavano sulle apparecchiature Vril, macchine volanti che oggi chiamiamo UFO.

Questi dischi volanti erano in grado di levitare, di raggiungere velocità estreme e di compiere manovre che si vedono compiere oggi agli UFO, prestazioni ottenute per mezzo di due campi magnetici contrari e rotanti. Essi usavano il cosi detto potere Vril come energia potenziale o carburante (Vril = etere, Od, Prana, Chi, Ki, forza cosmica, Orgone, ma anche dall’accademico "vri-IL" ovvero “simile alla più alta divinità - simile a dio) e prendevano energia dal campo magnetico della Terra.

Quando Iperborea cominciò a sprofondare, si dice che gli Iperborei abbiano scavato con enormi macchine giganteschi tunnels nella crosta terrestre e si siano rifugiati all’interno, insediandosi sotto la regione Himalayana. Il loro reame sotterraneo era chiamato Agartha e la sua capitale Shamballah. I Persiani chiamano questa misteriosa terra “Ariana”, la terra di origine degli Ariani.

Dovremmo qui menzionare il fatto che Karl Haushofer dichiarava che Thule era effettivamente Atlantide e, contrariamente a tutti gli altri ricercatori del Tibet e dell’India, sosteneva che i sopravvissuti di Thule-Atlantide si separarono in due gruppi, uno di buoni e un altro di cattivi. 

Quelli che chiamavano gli Agarthi, erano i buoni e si insediarono nella regione Himalayana, i cattivi erano i Shamballah, che volevano soggiogare l’umanità ed andarono ad Occidente.

Agartha e Shamballah

Haushofer sosteneva che la lotta tra il popolo di Agartha e quello di Shamballah era continuata per migliaia di anni e che nel Terzo Reich, la Thule Gesellschaft come rappresentante di Agartha, continuava questa lotta contro i rappresentanti di Shamballah, i Massoni ed i Sionisti. 

Il capo di questa regione sotterranea veniva chiamato Ridgen Jyepo, il re del mondo, con il suo rappresentante sulla superficie della Terra, il Dalai Lama. Haushofer era convinto che la terra sotto l’Himalaya era la terra di origine della razza Ariana, ed affermava di averlo confermato nei suoi viaggi in India e in Tibet.

Il simbolo di Thule era la swastika antioraria. Lama Tibetani e lo stesso Dalai Lama in persona testimoniavano che il popolo di Agartha era ancora vivo ed esistente. La civiltà sotterranea ancorata in quasi tutte le tradizioni Orientali si sarebbe diffusa nei millenni sotto tutta la superficie della Terra con enormi centri sotto il deserto del Sahara, il Mato Grosso e le montagne di Santa Catarina in Brasile, lo Yucatan in Messico, il Monte Shasta in California, l’Inghilterra, l’Egitto e la Cecoslovacchia.

La Terra Cava

Sembra che proprio Hitler desiderasse in modo speciale scoprire le entrate al mondo sotterraneo di Agartha ed entrare in contatto con i discendenti degli Ariani, il popolo di Dio proveniente da Aldebaran-Iperborea. 

Nei miti e nelle tradizioni del mondo sotterraneo si dice spesso che la superficie del mondo deve ancora soffrire una terribile guerra mondiale che sarebbe terminata con terremoti, ed altri disastri naturali, con lo spostamenti dei poli e la morte di più di due terzi dell’umanità. 

Dopo questa “ultima guerra” le diverse razze della Terra Interna si sarebbero riunite con i sopravvissuti sulla superficie ed il millennio dell’Età dell’Oro, l’Età dell’Acquario, sarebbe sorta. 

Hitler voleva costruire un’Agartha “esterna” con gli Ariani come razza madre, e la Germania avrebbe dovuto essere la sua patria. Durante l’esistenza del Terzo Reich due grandi spedizioni furono inviate dalle SS in Himalaya per trovare quegli ingressi. Ulteriori spedizioni li cercarono sulle Ande, nelle montagne del Mato Grosso nel Nord e le montagne di Santa Catarina nel Sud del Brasile, in Cecoslovacchia e in alcune zone dell’Inghilterra.

Alcuni autori affermano che i membri di Thule credessero che, del tutto indipendentemente dai tunnels e dal sistema di città sotterranee, la Terra fosse Cava, con due grandi aperture ai poli. A rafforzare questa tesi venivano portate le leggi della Natura, il “Come sopra così Sotto”. Dato che le cellule del sangue, del corpo e dell’uovo, le comete e gli atomi, tutti hanno un nucleo ed uno spazio cavo che le circonda e che è, a sua volta, rinchiuso da un involucro, e dato che la vita effettiva ha luogo nel suo centro, si può presumere che la Terra sia costituita con gli stessi principi. 

Perciò la Terra doveva anche essere cava, apparentemente in accordo con la visione dei Lama Tibetani e dello stesso Dalai Lama, ed aveva un nucleo, il sole centrale (anche chiamato “Schwarze Sonne, il Sole Nero) che dava all’interno un clima sempre temperato ed una luce solare permanente, corrispondente nel microcosmo al sole centrale della galassia nel macrocosmo.

Sostenevano che la vita effettiva del nostro pianeta ha luogo nell’interno, che le razze madri vivono all’interno ed i mutanti sulla superficie. Secondo questo principio il motivo per cui non si trovano abitanti all’esterno degli altri pianeti del nostro sistema solare sarebbe spiegato dall’esistenza della vita e di civiltà all’interno di essi.

Come detto le entrate principali dovrebbero essere ai poli Nord e Sud, aperture attraverso le quali risplende il sole centrale producendo le aurore boreali. 

Nell’interno la massa terrestre dovrebbe essere superiore alla massa d’acqua. Gli esploratori polari Olaf Jansen ed altri dissero che l’acqua nell’interno è dolce, cosa che potrebbe spiegare perché il ghiaccio dell’Artico e dell’Antartico è composto di acqua dolce e non di acqua salata. 

E’ interessante notare che questa visione della costituzione del mondo è condivisa e supportata dagli esploratori polari Cook, Peary, Amundsen, Nansen e Kane e, ultimo ma non ultimo, l’Ammiraglio E.Byrd. Tutti ebbero la stesse, strane esperienze che contraddicevano la teoria scientifica.

Tutti hanno confermato che dopo i 76 gradi di latitudine i venti diventano più caldi, che gli uccelli volano a nord oltre il ghiaccio, che anche gli animali come le volpi si muovono verso nord, che trovarono neve colorata e grigia che quando disciolta depositava pollini colorati o cenere vulcanica. La domanda che sorge è: da dove vengono pollini di fiori o cenere vulcanica vicino al Polo Nord, dato che nessun prato fiorito ne un singolo vulcano sono segnati su qualsiasi accessibile mappa?

Inoltre alcuni degli esploratori si ritrovarono in acqua dolce, e tutti dicono che ad un certo punto del loro viaggio videro due soli. Furono trovati negli iceberg dei mammuth la cui carne era ancora fresca e il cui stomaco conteneva erba verde.

Finora la teoria della “Terra Cava”, per il pubblico, è rimasta solo una teoria, sebbene alcuni autori ed esploratori dichiarino di aver visitato misteriosi territori interni e, come l’Ammiraglio E.Byrd, di aver scattato numerose fotografie. Non può essere negato che tutti gli esploratori Artici hanno avuto esperienze straordinarie che finora non possono essere spiegate, e che mettono in evidenza che qualcosa di strano sia effettivamente accaduto. 

Ma la teoria che la Terra ha un cuore fuso e incandescente è ugualmente rimasta solo una teoria. Rimane il fatto che i tunnel sotterranei costruiti dall’uomo e i sistemi di caverne esistono, possono essere trovati in quasi ogni paese del mondo ed elementi come la sorgente di luce naturale che illumina i tunnels (un chiarore verdastro che diventa più brillante più ci si addentra nei tunnels), le pareti intagliate artificialmente sono testimonianze di una cultura tecnologicamente avanzata esistita milioni di anni fa. 

Venuti dal Cielo

A riprova che la storia degli Ariani Iperborei non fu interamente inventata potremmo menzionare due esempi. Quando gli Spagnoli di Pizarro giunsero in Sud America nel 1532, i nativi li chiamarono i “viracochas” (signori bianchi). Secondo le loro leggende ci fu una razza madre di persone bianche molto alte che, secoli prima, erano discesi in “dischi volanti” dal paradiso. Essi governarono a lungo in alcune delle città e quando scomparvero promisero che sarebbero tornati. Quando gli Spagnoli chiari di pelle arrivarono, i nativi pensarono che fossero loro i viracochas che ritornavano e, almeno all’inizio, diedero loro spontaneamente il proprio oro.

Una cosa simile accadde quando i primi viaggiatori bianchi arrivarono in Tibet ed altre regioni Himalayane. Essi furono esaminati con sbigottimento dai Tibetani e fu chiesto loro perché mai giungessero da sotto (dalle valli) piuttosto che da sopra come essi abitualmente facevano.

Nonostante molti Tedeschi non abbiano mai sentito nulla riguardo tutto ciò, l’ideologia Nazista Tedesca fu basata sul tema di El Shaddai e la risultante persecuzione degli Ebrei, la Rivelazione di Isaia, la conoscenza dei Templari e possibilmente sui molti miti e racconti della Terra Cava e di Agartha appena citati. Tutte le loro azioni, anche le più spaventose e folli, inclusa la Seconda Guerra Mondiale ed il genocidio di milioni di persone, furono basati su questo.

martedì 28 maggio 2013

Dovevamo morire


Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. 

Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

Nino Galloni

E’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè.

Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».

Andreotti

Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.

E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima».

Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.

Ciampi

Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil.

Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».

Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione».

Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

Agnelli

Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici».

E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.

Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni.

Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Andreatta

Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.

Draghi

Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.

Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose».

Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».

Merkel e Monti

Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.

L’odiata Germania?

Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.

Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».


lunedì 27 maggio 2013

I Crop Circle dei nostri nonni


I cerchi nel grano non sono una mistificazione, una truffa, uno scherzo, ma un fatto reale. A sostenerlo è uno storico australiano, che ha esaminato una serie di foto d’epoca inglesi, risalenti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nelle quali si vedono insoliti disegni nei campi coltivati molto simili a quelli poi diventati noti come “Crop Circle”.

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Whiston Cross, 1945

Complicati ricami, intrecci geometrici, raffigurazioni astronomiche: sono mille le varianti apparse negli ultimi decenni, impresse tra le spighe soprattutto delle campagne britanniche, dove il fenomeno è nato per poi diffondersi in tutto il mondo. Un mistero da molti attribuito all’azione di entità o forze aliene.

Almeno fino a quando non si sono fatti avanti Dave Chorley e Doug Bower. I due, nel 1991, confessarono di essere gli autori dei cerchi nel grano comparsi nel sud della Gran Bretagna a partire dal 1978. Con corde, assi di legno e bastoni mostrarono pubblicamente quant’era facile realizzarli.  Da allora, è stato gioco facile per gli scettici archiviare tutti gli esemplari spuntati qua e là come falsificazioni.

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Whiston Cross, 1945, dettaglio a maggiore altitudine

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Whiston Cross, 1945, dettaglio ad una altitudine più elevata

Ma Greg Jefferys, al contrario, crede di poter provare che i crop circle esistevano molti anni prima che i due burloni si mettessero all’opera. Lo storico, laureato in archeologia, si è appassionato dell’argomento dopo aver letto un articolo relativo a questi insoliti disegni pubblicato dalla rivista scientifica Nature nel 1880 ed ora intende addirittura promuovere un dottorato di ricerca presso l’Università della Tasmania.

Jefferys ha dunque studiato le immagini aeree scattate nel 1945 dalla Raf, a guerra appena conclusa, e visibili su Google Earth: in questo modo ha analizzato il 35 per cento del territorio britannico- com’era circa 70 anni fa- disponibile online. Ed ha scoperto molti, strani disegni nella campagne inglesi: in totale, ben 64. Ma considerando tutti i possibili difetti della pellicola, dovuti a cause meccaniche o chimiche, alla fine ne ha salvati 13.

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Un altro Crop Circles datato 1945 scoperto attraverso Google Earth

“Utilizzando queste immagini aeree di Google Earth 1945, emerge che il numero dei cerchi del grano risulta relativamente costante negli ultimi 70 anni e che questi disegni non possono essere spiegati con la teoria della burla. E se non ha valore la rivendicazione dei mistificatori, allora i crop circle restano un fenomeno inspiegato che merita un’approfondita indagine da parte di istituzioni accademiche o da altre organizzazioni di ricerca“, scrive lo studioso australiano.

Facendo le proporzioni, secondo Jefferys quell’estate dovrebbero essere apparsi sul territorio britannico circa 100 cerchi nel grano. “E questo dato, combinato con un significativo corpus di documenti storici che comprovano l’esistenza anche nei secoli scorsi dei crop circle, smentisce le affermazioni fatte da coloro che rivendicano di esserne i creatori”- aggiunge lo storico, che si pone così la fatidica domanda:”Ma se non sono stati loro, allora chi o cosa è responsabile della formazione dei cerchi del grano?”

Greg Jefferys ha già una possibile risposta. “Ci sono molti elementi che suggeriscono il coinvolgimento di una rara forma di energia elettromagnetica chiamata vortice di plasma ionizzato, noto anche come fulmine globulare.” Si tratta di uno dei fenomeni meno conosciuti della fisica: ancora non è chiaro come si producano queste sfere di pura energia, in grado di attraversare finestre e muri o di fluttuare a mezz’aria.

“In base ai miei studi, sospetto che le forze coinvolte nella creazione dei crop circle rappresentino un nuovo campo della scienza, potenzialmente straordinario, insomma una nuova frontiera che potrebbe portarci a scoperte fondamentali o a tecnologie sconosciute”, afferma il ricercatore.

E conclude: ”Se la comunità scientifica non fosse così timorosa e così tradizionalista nella sua visione dell’Universo, non se ne starebbe con le mani in mano fingendo che questi fenomeni non esistono, ma anzi intraprenderebbe uno studio approfondito per cercare una spiegazione.

domenica 26 maggio 2013

Antiche Rotte Commerciali


Questa avventura inizia alla corte di Salomone, sovrano del regno di Israele intorno al 950 a.C., figlio e successore di Re Davide. Sotto il suo comando il regno si estendeva dal fiume Eufrate fino all’Egitto ed inoltre aveva due alleati molto importanti: il re Hiram, a capo dei Fenici, i grandi navigatori dell’antichità, e la regina di Saba, che dominava un regno esteso nell’attuale Yemen ed Etiopia la cui capitale era Aksum, che gli forniva oro, incenso, profumi e spezie.

Il suo regno viene considerato dagli ebrei come un'età ideale, simile a quella del periodo augusteo a Roma. La sua saggezza, descritta nella Bibbia, è considerata proverbiale. Durante la sua reggenza venne costruito il Tempio di Salomone, che divenne leggendario per le sue molteplici valenze simboliche.

Il regno di Davide ereditato dal figlio Salomone

L’omonimia del Re fenicio Hiram con l’architetto proveniente dalla città di Tiro selezionato da Re Salomone per l’edificazione del Tempio ci lascia pensare che in realtà i due potessero essere la stessa persona.

La Bibbia ci presenta Hiram Abiff come il massimo artista del suo tempo. Famoso nella propria città natale, appunto Tiro, per la magnificenza delle sue opere, onorato ed ammirato dal sovrano per le straordinarie capacità dimostrate nelle arti, fu da questi inviato al potente Re Salomone per la costruzione del grande Tempio, la Casa del Signore. Nessuno meglio di Hiram sapeva lavorare i metalli, egli padroneggiava i segreti dell’Arte, fine intagliatore di pietre e legno aveva accumulato grande esperienza nel governare operai e maestranze.

Sulle conoscenze di navigazione dei Fenici, estremamente avanzate per l’epoca, parleremo in seguito e torneranno utili per indagare sulla ubicazione dei giacimenti auriferi che consentirono al Regno di Israele di diventare una delle più ricche nazioni del tempo durante il regno di Re Salomone, grazie allo stretto rapporto che questi intrattenne con la sua seconda potente alleata: la Regina di Saba. 

La Regina di Saba regnava su un territorio che si estendeva a cavallo tra Africa e penisola arabica, più circostanziabile in Etiopia e Yemen dove recenti ritrovamenti archeologi hanno riportato alla luce quelli che sembrano essere i resti dei palazzi del fastoso regno della consorte di Re Salomone dove forse si cela uno dei manufatti più preziosi e misteriosi della storia ebraica: l’Arca dell’Alleanza.

Gli arabi la conoscevano come la regina Bilquis, gli etiopi la chiamavano Macheda, per gli ebrei e i cristiani è la regina di Saba. La regina venne a conoscenza della fama di Salomone e si recò a Gerusalemme per conoscerne la saggezza. Arrivò con un gran seguito e con cammelli carichi di spezie. La storia della regina di Saba probabilmente ha origini giudee, ma esiste anche una versione persiana, la troviamo anche nel Corano difatti gli arabi affermano che credesse nella grandezza di Halla.

Dalla visita a Gerusalemme, avvenuta tra il 1000 ed il 950 a.C. vi è menzione nel Talmud ebraico, nella Bibbia - Antico Testamento, nel Corano ed ovviamente nel Kebra Nagast, Gloria dei re che è il libro fondamentale per la storia dell'impero degli altopiani, elaborato in Etiopia nel XIV secolo, ed uno dei testi sacri del movimento Rastafariano.

Il mito della Regina di Saba si mescola con la leggenda della città perduta di Ubar. Conosciuta anche come “Iram delle Colonne”, Aran o Ubar, si trovava nella Penisola Arabica ed era una città mercantile edificata nel deserto del Rub’ al Khali, il più grande deserto di sabbia del mondo.

La tradizione narra che la città sopravvisse dal 3000 a.C. fino al I secolo d.C., arricchendosi anno dopo anno grazie a un florido commercio; successivamente se ne persero completamente le tracce, forse perché, come ricorda il Corano, subì la stessa punizione della tribù dei Banu ‘Ad, una stirpe araba vissuta durante il periodo pre-islamico che osò sfidare Allah innalzando alti edifici in pietra e che per questo venne punita prima con un tremenda siccità, poi da una violenta pioggia seguita da un fortissimo vento che distrusse tutti i loro edifici; una storia peraltro simile sotto certi aspetti alla condanna divina conseguente al tentativo della costruzione della Torre di Babele così come narrato nella Bibbia.

Le rovine della Città delle Mille Colonne si troverebbero ancora sotto le sabbie del deserto, dimenticate anche dal tempo. Questa storia rimase una delle tante tradizioni orali raccontate intorno al fuoco, almeno fino a quando non giunse in Occidente in seguito alla traduzione del famoso “Le mille e una notte”. Durante il II secolo d.C., Claudio Tolomeo, astronomo e geografo greco, disegnò la mappa di una misteriosa regione che, a suo dire, era abitata da un altrettanto enigmatico popolo, gli Ubariti, ovvero gli antichi abitanti di Ubar.

In tempi più recenti il tenente colonnello Thomas Edward Lawrence, meglio conosciuto ai più come Lawrence d’Arabia, mostrò spesso un notevole interesse per questa città, che lui stesso definiva come l’Atlantide delle Sabbie.

Ed effettivamente da sotto le sabbie del deserto yemenita a volte compaiono resti di civiltà perdute. Quando il vento sposta le dune, talvolta appaiono ai beduini momentanei scorci di mura e fondazioni sepolte, subito nuovamente coperti dal tempo e da altra sabbia. Le voci che parlavano dell’esistenza di un gran muro hanno portato gli archeologi a scoprire un enorme complesso, che si è rivelato il più segreto e misterioso sito del Medio Oriente. Un gran muro in pietra alto circa 20 metri, con 5 metri di spessore, forma un ovale che protegge un ampio cortile che deve ancora essere scavato. Sul muro c’è una miriade di simboli che non si sa (ancora) come tradurre. Il sito archeologico si trova in Mareb, Yemen, in quella che è conosciuta come la "zona vuota". Si tratta di un territorio asciutto e desolato, con dune di sabbia e chilometri di deserto.

Sito archeologico nel Mareb e i simboli ritrovati sul muro – I resti del Palazzo della Regina di Saba?

Simboli simili compaiono su uno tra i più misteriosi ma meno conosciuti reperti dell’archeologia israeliana che consiste in un semplice coccio di terracotta. Un archeologo israeliano sostiene che le cinque righe presenti su questo coccio potrebbero rappresentare il più antico esempio di scrittura ebraica mai scoperto. Il frammento è stato trovato da un adolescente, che scavava come volontario, circa 20 km a sud–ovest nel sito di Khirbet Qeiyafa, che domina la valle di Elah, dove la Bibbia dice che l’ebreo Davide, padre di Salomone, combatté contro il gigante filisteo Golia. Esso contiene segni ritenuti di un antico alfabeto, chiamato proto–cananeo o Prima Lingua.

Il coccio di terracotta

Esperti della Hebrew University hanno detto che è stato scritto 3000 anni fa – circa 1000 anni prima dei rotoli di Qumran. L’epoca corrisponde grosso modo al momento del primo tempio, dominato dalle figure bibliche di Davide e Salomone, e pre–daterebbe lo stesso alfabeto, usato anche dalla Regina di Saba (presumibilmente sposata a Salomone), in quello che ora si chiama Yemen. Gli scritti trovati nello Yemen in questo stesso alfabeto e le loro traduzioni in ebraico antico indicavano il nascondiglio dell’Arca di Mosé in un sito vicino a Mareb (Ma'rib, nell’antico regno di Saba).

L’uso di questa lingua, all’inizio della storia dell’ebraico, spiegherebbe il motivo per cui la stessa era utilizzata anche nell’antico regno di Saba. Nella leggenda, e nel Santo Corano, si ipotizza che la regina di Saba fosse stata invitata a visitare il re Salomone, che si fossero sposati e avessero avuto un figlio, Menelik. Ulteriori ricerche condotte da Gary Vey e John McGovern hanno portato alla recente scoperta del presunto palazzo della regina, nel Mareb, Yemen, con iscrizioni nello stesso alfabeto, che descrivono il trasferimento della famosa Arca dell’Alleanza a quel sito da parte del figlio di Salomone, in seguito alla distruzione di Gerusalemme. Entrambi Vey e McGovern credono che sino ad oggi l’Arca sia rimasta nello Yemen.

I risultati del lavoro di traduzione di Vey hanno rivelato una prosa che descriveva la "cassa di El" e parlava di un "figlio" e di un "padre". Vey successivamente apprese che questo era un riferimento all’Arca, a Salomone e al figlio di Saba, Menelik, e per il "padre" – a Salomone stesso. 

Egli legge l’iscrizione come segue:

... perché il figlio era consapevole della natura che era in lui ... ma la felicità del figlio fu avvelenata dalla notizia che suo padre stava morendo, la rabbia crebbe, ma al figlio fu rivelata da suo padre la collocazione della grande cassa di EL. E l’azione di grazia del bel Signore rese felice il figlio, che giurò di proteggere la cassa di EL, e di essere associato con lo spirito del Signore...


Il sito purtroppo si è trasformato in un pericoloso avamposto d’estremisti dal settembre 2001 e nessun ulteriore intervento è stato possibile.

La Bibbia lascia intendere che il Regno della Regina di Saba fosse oltre modo ricco di oro visto che faceva confluire ogni anno nelle Casse di Re Salomone ben 666 talenti d’oro equivalenti a poco meno di 20 tonnellate.

Due archeologi italiani, Alfredo e Angelo Castiglioni, avrebbero localizzato le miniere di re Salomone dalle quali proveniva l'oro regalatogli dalla regina di Saba. L'importante scoperta è in Etiopia ma è stata resa nota oggi, a Rovereto, durante l'ultima giornata della XXI Rassegna internazionale del Cinema Archeologico. Secondo i due archeologi non vi è ancora la certezza, ma tutti gli indizi sembrano portare in questa direzione.

"Abbiamo compiuto cinque missioni, tra il 2004 e il 2008, per cercare le antiche zone di estrazione - hanno raccontato i due studiosi - Le prime tre, nel Beni Shangul (Etiopia sud occidentale), fruttarono la scoperta di enormi zone aurifere, sfruttate nell’antichità; ancora oggi vi si lavora con gli stessi metodi e utensili di allora, e alcune profonde gallerie sono tutt'ora chiamate dalla gente locale 'le antiche miniere di re Salomone'".

Ma un’altra ipotesi, ancora più affascinante, vede l’origine di tutto quell’oro in una regione distante migliaia di kilometri dall’Etiopia e dallo Yemen, addirittura al di là dell’Oceano Atlantico coinvolgendo i Fenici e le conoscenze da questi ottenute dall’eredità di uno dei popoli più misteriosi della storia e della regione medio-orientale: i Sumeri.

Sappiamo già come l’opera più importante del re Salomone fu la costruzione del Tempio di Gerusalemme, dove era depositata l’Arca dell’Alleanza, contenenti le tavole della Legge, che secondo la tradizione erano state consegnate direttamente da Jehova a Mosè.

Per costruire il Tempio di Gerusalemme, Salomone aveva bisogno di una quantità spropositata d’oro e argento abbiamo visto in gran parte ottenuti grazie all’alleanza con la Regina di Saba. Secondo il Libro dei Re nella Bibbia, la provenienza dei preziosi metalli era da ricercarsi nel leggendario paese di Ofir. Le flotte mercantili comandate da esperti navigatori Fenici partivano dal Mar Rosso o dai porti fenici del Mediterraneo e tornavano indietro dopo tre anni di navigazione, ricolme d’oro, argento, pietre preziose e profumi.

Molti storici hanno tentato di ubicare questo mitico paese in Africa o in India, ma la tesi che vogliamo approfondire oggi è quella di Benito Arias Montano che colloca il mitico Regno di Ofir al di là dell’Oceano Atlantico e più precisamente in Perù, anche se fino ad oggi non vi sono state prove esaustive sulla sua ubicazione.

A conferma di questa ardita teoria viene in nostro soccorso la ricerca portata avanti dal ricercatore indipendente Yuri Leveratto. Yuri Leveratto è un ricercatore indipendente con al suo attivo diverse spedizioni in Sudamerica e diverse pubblicazioni tra cui “Cronache indigene del Nuovo Mondo”. Con questo libro, che è una ricompilazione di settanta suoi articoli, l’autore ha voluto fornire una ampia visione dell’affascinante storia dei popoli autoctoni del Nuovo Mondo, dai primordi fino ai giorni nostri. Il suo lavoro è stato fondamentale per noi per approfondire i collegamenti esistenti tra il mondo medio-orientale e quello sud-americano migliaia di anni fa.

Uno dei primi sostenitori della teoria della presenza antica dei Fenici in Brasile fu il professore di storia austriaco Ludwig Schwennhagen (XX secolo), che nel suo libro “Storia antica del Brasile”, citava gli studi di Umfredo IV di Toron (XII secolo), che a sua volta aveva descritto i viaggi di navi fenicie fino all’estuario del Rio delle Amazzoni.

Come sappiamo, sono varie le evidenze archeologiche e documentali su una possibile antica presenza dei Fenici (o Cartaginesi), in Brasile: la pietra di Paraiba, i pittogrammi della Pedra de Gavea e i petroglifi della Pedra do Ingà, oltre al misterioso documento 512.

Vi è, però un’altra evidenza archeologica che suggerisce una possibilità sulla probabile coincidenza della terra di Ofir con l’Alto Perù: l’esistenza di un antico e lunghissimo cammino, detto in portoghese “Caminho do Peabirú”, che dalle attuali coste dello Stato di San Paolo e Santa Catarina (Brasile), conduce, dopo circa 3000 chilometri, proprio fino a Potosì, e prosegue fino a Tiahuanaco e Cusco.

Già da vari anni alcuni archeologi e ricercatori indipendenti brasiliani stanno studiando un antico cammino, conosciuto con il nome di “Peabirù” che nella lingua Tupi Guaranì, significa “cammino d’andata e ritorno”. Secondo l’interpretazione di Yuri Leveratto, siccome in lingua Guaranì “pe” significa “sentiero” e Birú era l’antico nome con il quale veniva identificato il Perú, non è un azzardo considerare il nome “Peabirú” come “cammino al Perú”.

Questo è un sentiero, largo circa 1,4 metri, che origina dalla zona di San Vicente nell’attuale Stato di San Paolo e dalla costa di Santa Catarina, in particolare dalla baia conosciuta con il nome di Cananea, durante l’era delle scoperte geografiche. I due tronchi si uniscono presso l’attuale Stato del Paraná, per procedere fino all’attuale frontiera con la Bolivia, presso la città di Corumbá. Quindi, dopo aver attraversato le praterie del Chaco, il cammino si dirige a Potosí.


In realtà il sentiero prosegue, dividendosi in due rami: uno va verso Oruro, Tiahuanaco e poi Cusco, mentre un altro ramo si dirige verso l’Oceano Pacifico, nell’attuale Cile settentrionale. In pratica il cammino del Peabirú si interconnetteva con i sentieri incaici dell’impero che a loro volta univano Samaipata, la fortezza inca ubicata più a Sud (attuale Bolivia), con il Cusco e con altri siti “misteriosi” delle culture andine.

L’esistenza dell’antico cammino del Peabirù è importantissima, perché prova che era possibile raggiungere nell’antichità il Cerro Rico di Potosì che ricordiamo essere la montagna più ricca d’argento del mondo, dalle coste del Brasile, con un viaggio di circa 2 mesi.

L’interrogativo che ci appassiona è chi furono gli ideatori e i costruttori di questi percorsi?

I membri dell’etnia Guaraní attribuiscono la costruzione del cammino al loro leggendario semi-dio Sumé, che fu un civilizzatore e colonizzatore vissuto prima del diluvio, il quale insegnò ai Guaraní l’agricoltura, l’artigianato e impose loro i fondamenti del diritto in modo del tutto simile a quanto narrato dai popoli andini relativamente al dio Viracocha. 

Come non riscontrare in tutto ciò la forte analogia con il processo di “Rinascita” perpetuato dal dio Anunnaki Enki, che secondo quanto affermato nelle ricerche del Progetto Atlanticus coinvolse in primis l’area medio-orientale fin dalla fine della glaciazione di Wurm circa dodicimila anni fa sugli altopiani iranici e caucasici partendo proprio dalle pendici del monte Ararat su cui si arenò Noè e la sua “Arca” e dove giustappunto sorgono le città di Gobekli Tepe e Kisiltepe?


Se le due cose sono collegate allora forse il cammino del Peabirù potrebbe essere considerato come uno dei tanti resti di una civiltà antidiluviana riutilizzato in seguito dai depositari di determinate conoscenze, diciamo esoteriche, tramandate dagli antichi dei civilizzatori (Enki, Viracocha, Sumè, etc.etc.) ai popoli loro prediletti: Sumeri, Fenici, Egizi, Ebrei.

Questo rafforza l’ipotesi, sostenuta peraltro dal noto e compianto archeologo boliviano Freddy Arce, che il cammino del Peabirú potrebbe essere stato usato successivamente, seppur in tempi remotissimi dai popoli del Medio Oriente, come per esempio i Sumeri (da cui deriverebbe la parola Sumè), ed in seguito dai Fenici e Cartaginesi, per inoltrarsi all’interno del continente e raggiungere così la miniera d’argento più grande del pianeta forti appunto di quelle conoscenze di cui al paragrafo precedente.

Sappiamo inoltre che i reperti che richiamano alle culture Medio-Orientali sono diversi in Sud America, come il Monolite di Pokotia e il Fuente Magna, il grande vaso cerimoniale di pietra trovato presso il lago Titicaca, all’interno del quale vi sono iscrizioni in lingua sumera. 

La Fuente Magna e il Monolite di Pokotia – prove di presenza Sumera in Sudamerica

Secondo la versione ufficiale il vaso fu scoperto in Bolivia nel 1960, da un contadino, in un terreno privato che si dice sia appartenuto alla famiglia Manjon, situato a Chua, circa 80 chilometri da La Paz, nelle vicinanze del lago Titicaca. Nella parte esterna il vaso riporta alcuni bassorilievi zoomorfi (di origine Tihuanacoide), mentre nell’interno, oltre a una figura zoomorfa o antropomorfa (a seconda dell’interpretazione), vi sono incisi due tipi di differenti scritture, un alfabeto antico, proto-sumerico, e il quellca, idioma dell’antica Pukara, civiltà antesignana di Tiwanaku.

Un ulteriore elemento di prova ci viene fornito dal cosiddetto “Manoscritto 512” un documento inedito risalente al 1753, ma ritrovato solo nel 1839, conservato nella Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro nel quale viene descritta la rocambolesca avventura di un gruppo di esploratori portoghesi alla ricerca delle leggendarie miniere di Muribeca, durante la qual ricerca scoprirono le rovine di una grande città perduta, la cui architettura ricordava lontanamente lo stile greco-romano e dove furono ritrovate delle iscrizioni che furono ricopiate dagli esploratori nel documento.


Secondo altri ricercatori l’alfabeto utilizzato nelle iscrizioni del “manoscritto 512” potrebbe essere il punico, il fenicio antico o l’aramaico antico. Non deve fare meraviglia che i libri di storia non menzionino questo documento. Se la notizia di una grande città antica di origine pre-greca fosse stata divulgata, i termini del trattato di Madrid avrebbero potuto essere rivisti in quanto sarebbe stata provata la colonizzazione e permanenza di un popolo del Mediterraneo o del Medio-Oriente in Brasile nei secoli o millenni passati e sarebbe caduto pertanto lo ius possidentis del Portogallo sulle terre brasiliane.

Se a questi reperti aggiungiamo il petroglifo di Ingà di chiara origine pre-fenicia, il tesoro della Cueva di Los Tayos alla cui ricerca partecipò nientemeno che l’astronauta recentemente scomparso Neil Armstrong, possiamo affermare con ragionevole certezza che l’esistenza del Nuovo Mondo era perfettamente conosciuta ai Fenici e ai Cartaginesi che già circumnavigarono l’Africa nel I millennio prima di Cristo e che le loro conoscenze derivavano proprio dai Sumeri. 

E’ noto che i Sumeri navigavano sulle loro imbarcazioni attraverso i canali del Tigri e dell’Eufrate allo scopo di commerciare. E’ invece poco conosciuta la navigazione marittima dei Sumeri, che avevano come base l’attuale isola di Bahrein, dove recenti scavi hanno dimostrato l’esistenza di un porto commerciale che era in attività nel terzo millennio prima di Cristo. Nei testi Sumeri l’odierno Bahrein era identificato come Dilmoun, e da quel punto le flotte sumere partivano per la foce dell’Indo da dove rimontavano il grande fiume, giungendo a Mohenjo-Daro, per intercambiare tessuti, oro, incenso e rame. Le imbarcazioni sumere erano lance che potevano dislocare fino a 36 tonnellate. 

Secondo Bernardo Biados i Sumeri circumnavigarono l’Africa già nel terzo millennio prima di Cristo, ma, arrivati presso le isole di Capo Verde, si trovarono sbarrato il passaggio dai venti contrari che soffiano incesantemente verso sud-ovest. Si trovarono pertanto obbligati a fare rotta verso ovest, cercando venti favorevoli. Fu così che giunsero occasionalmente in Brasile presso le coste dell’attuale Piauì o Maranhao. Da quei punti esplorarono il continente risalendo gli affluenti del Rio delle Amazzoni, in particolare il Madeira e il Beni o percorrendo il già citato "Cammino del Peabirú".

In questo modo arrivarono all’altopiano andino, che probabilmente nel 3000 a.C. non aveva un clima così freddo. Si mischiarono così alle genti Pukara che a loro volta provenivano dall’Amazzonia (espansione Arawak), e ai popoli Colla (i cui discendenti parlano oggi la lingua aymara). La cultura Sumera influenzò le genti dell’altopiano, non solo dal punto di vista religioso, ma anche lessicale. Molti linguisti infatti hanno trovato molte similitudini tra il proto-sumerico e l’aymara. 

Una storia che si mescola con la leggenda di Akakor, perduto regno antidiluviano fiorente sulle rive del bacino del Rio delle Amazzoni, salito agli onori della cronaca grazie al preziosissimo contributo del colonnello Percy Fawcett, esperto coloniale e cartografo della Società Cartografica Britannica. Appassionato esploratore e cultore delle civiltà del passato, raccoglie dagli Indios delle varie tribù, tradizioni orali e leggende stupefacenti. Lo studio accurato che il colonnello ha fatto di tutto il materiale raccolto, lo porta alla conclusione che tutti i miti testimoniano l’origine divina di tutti quei popoli.

Viene in possesso, inoltre, d’indicazioni e strani racconti su enormi abbandonate e misteriose città, che lo portano a viaggiare in lungo e in largo della giungla del Sud America, sino quando, a Rio, ebbe modo di consultare il Manoscritto dei Bandeirantes, conservato nel Museo locale dell’Indio; ispirato dal documento decide di intraprendere una spedizione nel Mato Grosso alla ricerca della fantastica città perduta. Tenta più volte senza successo, sino a quando Fawcett e' sicuro di avere in mano le indicazioni decisive e l’orientamento esatto per la rivoluzionaria scoperta. Parte con pochi uomini fidati, ma la sua marcia viene seguita sino alla metà del percorso da lui previsto, poi scompare nella foresta vergine e di lui non si sa più nulla. Era il 1925.


Il regno di Akakor fu forse una delle nazioni antidiluviane di cui serbiamo il ricordo di Atlantide, artefice di tutte le incredibili strutture megalitiche del continente sudamericano come Tiahunaco, Machu Picchu, Cuzco, la Città di Caral, etc.etc. così come la rete viaria sfruttata dall’impero inca migliaia di anni dopo di cui il Peabirù o cammino del Perù né rappresenta un segmento? Noi onestamente pensiamo di sì. 

Così come pensiamo che il retaggio di queste civiltà antidiluviane sia giunto attraverso i sumeri ai popoli medio-orientali, Egizi, Fenici, Etiopi-Yemeniti (Saba) ed Ebrei compresi i quali sfruttarono queste loro conoscenze per scopi commerciali. Ma il nostro Salomone, da dove questa nostra avventura ha avuto inizio, non ottenne soltanto oro e argento dallo sfruttamento commerciale di queste antiche rotte.

In un nostro precedente articolo abbiamo affrontato il tema dello Shamir, potente oggetto, presumibilmente tecnologicamente avanzato, che compare in numerosi midrash ebraici tra i quali uno che fa riferimento proprio al Re del nostro articolo. Il midrash che parla dello Shamir riporta che, per la costruzione del Tempio, Salomone aveva dato ordini molto precisi. Secondo la Legge mosaica, Legge divina, nessun materiale facente parte del Tempio doveva essere lavorato con attrezzi di ferro, il metallo di cui son fatte le armi che portano morte, evitando così di contaminare la sacralità del luogo. 

L'altare, soprattutto, non doveva essere profanato in nessun modo da quel contatto, e nel cantiere non doveva entrare nemmeno un chiodo; né tanto meno martelli, scalpelli, picconi o altro. Tanto è vero che il materiale da costruzione - o almeno, sicuramente, la pietra - era arrivato sul posto già squadrato, se non rifinito, di modo che durante i lavori "non si udì nel Tempio nessun rumore prodotto da utensili metallici". L'unica maniera alternativa di lavorare la pietra senza impiegare strumenti di ferro era quella di usare il "magico Shamìr". Dio stesso, secondo la tradizione, l'aveva consegnato a Mosè sul Sinai, il quale se ne era servito per incidere i nomi delle dodici tribù sulle pietre incastonate nel pettorale e nell'"efòd" che facevano parte dei paramenti del Sommo Sacerdote. Da allora però lo Shamìr era sparito e non si sapeva più che fine avesse fatto.

Lo Shamìr venne inoltre usato per tagliare le pietre con cui fu costruito il Tempio, perché la legge proibiva di usare per quest'opera strumenti di ferro così come possiamo leggere nel Talmud e nell’ambito della letteratura midràshica. Forse la tecnologia dello Shamir è la stessa che venne usata in epoca antidiluviana per lavorare e tagliare altre pietre… gli enigmatici blocchi H di Puma Punku.

Inoltre, sempre dalle stesse fonti, sappiamo che lo Shamìr non può essere conservato in un recipiente chiuso di ferro o di qualunque altro metallo, poiché lo farebbe scoppiare, forse a causa dell’emissione di gas o di calore derivante da una possibile radioattività dell’elemento. Radioattività che giustificherebbe i malanni di Re Salomone e di Re Davide dopo l’utilizzo dello Shamir e della elevata mortalità di coloro che lo maneggiava per più tempo senza probabilmente le dovute precauzioni.

Altre incredibili applicazioni dello Shamir sono descritti nel racconto di come Salomone riuscì a impossessarsi dello strumento in oggetto. Il dèmone Asmodeo il quale conosce l#146;ubicazione di tutti i tesori nascosti, fu costretto a rivelare al re che Dio aveva consegnato lo Shamìr a Rahav, l'Angelo (o il Principe) del Mare, il quale non lo affidava mai a nessuno se non, raramente e solo a fin di bene, al gallo selvatico, il quale viveva lontano, ai piedi di montagne mai esplorate dall'uomo: questi se ne serviva per "forestare" intere colline nude e pietrose, producendovi - per mezzo dello Shamìr - innumerevoli forellini, nei quali poi piantava semi di varie piante e di alberi. Ciò veniva fatto nell'imminenza della migrazione di gruppi tribali divenuti troppo numerosi, che più tardi, arrivando sul posto, avrebbero trovato un ambiente vivibile.

Come non collegare a questa descrizione le migliaia di buche delle dimensioni di un uomo scavate nella nuda roccia vicino a Valle Pisco, Perù, su una pianura chiamata Cajamarquilla. Questi strani buchi (pare 6900), si estendono per circa 1450 mt in una banda larga approssimativamente 20 mt di terreno montuoso e irregolare e sono stati qui da così tanto tempo che le persone non hanno idea di chi li ha fatti e perché.

Valle Pisco, Perù

Questo avvalora l’incredibile ipotesi che gli Egizi o comunque qualcuno prima di loro, sia riuscito a raggiungere il Sudamerica, dando origine alle prime civiltà mesoamericane. Gli studiosi hanno stabilito che il giorno uno del calendario olmeco era coincidente con il 13 Agosto 3113 a.C., data della nascita della civiltà olmeca, evento straordinario per tutte le civiltà dell'America Latina al pari dell’anno zero del calendario cristiano. Ma il 3113 a.C. indica per la precisione la data esatta dell'esilio di Thoth e dei suoi seguaci africani dall'Egitto per mano di suo fratello Ra, verso i confini del mondo per la colonizzazione di nuove terre.

Presenza di egiziani in Sudamerica che giustificherebbero le forti similitudini a livello architettonico e culturale tra le civiltà pre-colombiane, Maya in primis, e l’antico egitto di cui le piramidi ne rappresentano l’esempio più eclatante. Qualcosa di più di una semplice teoria secondo alcuni approfonditi studi che desideriamo condividere con i lettori.

Esiste infatti una serie di geroglifici risalenti ad epoche diverse che si riferiscono a un paese non meglio identificato e denominato come Punt dove alcuni faraoni inviarono delle spedizioni; la prima di cui si abbia notizia è quella ordinata dal faraone Sahura della V dinastia. Il Punt doveva essere una terra ricca di risorse e di materiali preziosi visto che le iscrizioni parlano di navi cariche di oro, argento, spezie e ogni sorta di ricchezza tra cui anche animali e piante rare come i leopardi e, presumibilmente, anche cocaina e tabacco, delle cui piante sono state rinvenute tracce nelle tombe di alcuni faraoni.

L’ultima a inviare spedizioni nel Punt fu la regina Hatshepsut alla cui morte Tutmosi III cancellò, come era consuetudine, ogni traccia del passato del precedente sovrano, e con esse i riferimenti al Punt e alla sua ubicazione.

La cosa interessante di questa ricerca è che, per volere del faraone, i lavoratori inviati nel Punt dovevano essere “… del paese dei Tebani…”, ovvero provenienti dalle culture nubiane dell’attuale Sudan dominate dall’Egitto caratterizzate da una popolazione con caratteristiche somatiche negroidi. Questi schiavi nubiani sarebbero poi stati lasciati in Sudamerica per alleggerire le imbarcazioni egizie di ritorno in Egitto dando origine alla cultura olmeca il che giustificherebbe il ritrovamento di monumentali teste olmeche dalle fattezze tipicamente negroidi, forse scolpite in onore dei primi rappresentanti della civiltà olmeca.

Teste olmeche

Un percorso logico che sostanzialmente ripercorre le rotte di schiavi durante il periodo coloniale di epoche storiche molto più vicine temporalmente a noi. 

Gli Olmechi ebbero una importanza fondamentale nello sviluppo e nell’evoluzione degli aspetti culturali e religiosi delle civiltà mesoamericane precolombiane, Maya in primo luogo, alle quali trasmisero le loro conoscenze ereditate dal dominio egizio in terra nubiana, strutture piramidali comprese.

E’ inoltre testimoniata dai primi esploratori spagnoli e portoghesi durante la conquista coloniale del Sudamerica nel XVI secolo la presenza di tribù indigene composte da individui di pelle nera all’interno della foresta, probabilmente discendenti regrediti allo stato preistorico dei primi schiavi egizi, fondatori della cultura Olmeca. 

L’ultima prova a supporto di questa teoria che voglio citare, consapevole dell’esistenza di molte altre non affrontate in questa sede è rappresentata dai tre calendari Olmechi, il più noto è quello definito di Conto Lungo che prevede il via da un Enigmatico Giorno Uno (il nostro equivalente di avanti e dopo Cristo, evento straordinario per i cristiani segnato dalla nascita di Gesù di Nazareth.) Gli studiosi hanno stabilito che il Giorno Uno era coincidente con il 13 Agosto 3113 a.C. quale data di nascita della civiltà olmeca, evento straordinario per tutte le civiltà dell'America Latina. 

Ma il 3113 a.C. "stranamente" segna per la precisione la data esatta dell'esilio di Thoth e dei suoi seguaci (africani) dall'Egitto per mano di suo fratello Ra (inizio del regno dei faraoni), verso i confini del mondo per la colonizzazione di nuove terre: solo una straordinaria coincidenza?

Proprio quel Thoth, depositario dei segreti di una civiltà madre pre-esistente a quelle storicamente conosciute e direttamente collegata ai miti inerenti la civiltà di Atlantide quale super potenza globale tecnologicamente avanzata, secondo il Progetto Atlanticus di derivazione Anunnaka.

E volete conoscere la sorte del manufatto più prezioso dell'America Latina, ovvero un elefantino che attribuisce i veri natali alle civiltà americane Misteriosamente sparito, insieme ai calendari originali Olmechi incisi su tre colonne a Veracruz.

La conclusione di questo lungo percorso che ci ha portato ad affrontare diverse tematiche spesso affrontate dalla storiografia ufficiale come non collegate fra di loro è sempre la stessa. Ovvero che la storia così come la conosciamo probabilmente è da riscrivere.

Così come, alla luce di queste scoperte, andrebbe rivista la storia di un navigatore genovese (?) che per buscar el levante por el ponente si ritrovò in terre sconosciute secondo la storia… ma questo sarà oggetto di un altro articolo del Progetto Atlanticus.

Io credo che le conoscenze antiche descritte nel precedente articolo abbiano consentito durante i secoli delle grandi esplorazioni la redazione di talune mappe (p.es. Piri Reis) e soprattutto l'esecuzione di spedizioni come quella di Cristoforo Colombo - conoscenze acquisite dai Templari durante la permanenza in Terra Santa durante la quale probabilmente sono entrati in contatto con comunità che preservavano i saperi contenuti nella Biblioteca di Alessandria.

Di Cristoforo Colombo ne abbiamo parlato qui:

Dei Templari e della Biblioteca di Alessandria qui:


Fonti:

Per scaricare l'articolo in formato PDF

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