domenica 31 agosto 2014

L'Archivio Akashico - La CPU di DIO

Il testo seguente è un'estratto dalla versione originale del libro: "I resoconti akashici – il libro della vita", di Edgar Cayce, Kevin J. Todeschi, Edizioni Alaya

L'Archivio Akashico o “Il libro della vita” può essere considerato l'equivalente di un super-computer dell'universo. È questo computer che funge da memoria centrale di tutte le informazioni di ogni individuo che abbia mai vissuto sulla terra. Forse la più completa fonte di informazioni sull'Archivio Akashico viene dall'opera chiaroveggente di Edgar Cayce.

Non è esagerato affermare che il computer ha trasformato (e sta ancora trasformando) il pianeta intero. Che si tratti della tecnologia, dei trasporti, della comunicazione, dell'educazione o dell'intrattenimento, l'era del computer ha rivoluzionato il globo e i modi in cui comunichiamo e interagiamo tra noi. Nessun settore della società moderna è stato risparmiato.

La quantità di informazioni immagazzinata nella memoria dei computer e presente ogni giorno nella “strada maestra” di Internet è incalcolabile. Tuttavia, questo vasto complesso di sistemi computerizzati e database collettivi non è ancora in grado di avvicinarsi alla potenza, la memoria o l'onnisciente capacità di registrazione dell'Archivio Akashico.

Per semplificare le cose, l'Archivio Akashico o “Il libro della vita” può essere considerato l'equivalente di un super-computer dell'universo. È questo computer che funge da memoria centrale di tutte le informazioni di ogni individuo che abbia mai vissuto sulla Terra. Più che un semplice contenitore di eventi, l'Archivio Akashico contiene ogni azione, parola, sentimento, pensiero e intenzione che sia mai avvenuto in qualsiasi momento della storia mondiale. Al contrario di un semplice magazzino di memoria, questo Archivio Akashico è interattivo, poiché esercita una grandissima influenza sulla nostra vita di ogni giorno, le relazioni, i sentimenti, i sistemi di credenze e le realtà potenziali che attiriamo su di noi ...



L'Archivio Akashico contiene l'intera storia di ogni anima, sin dall'alba della Creazione. Questo archivio ci connette tutti gli uni agli altri, e contiene ogni simbolo archetipo o racconto mitologico che abbia mai influenzato profondamente il comportamento e le esperienze dell'uomo.

L'archivio Akashico ispira i sogni e le invenzioni, provoca l'attrazione o la repulsione tra gli esseri umani, modella e foggia i livelli della consapevolezza umana, costituisce una porzione della Mente Divina, è il giudice e la giuria imparziali che cercano di guidare, educare e trasformare ogni individuo per farlo evolvere al meglio delle sue possibilità, e infine incarna una matrice fluida e sempre mutevole di futuri possibili che diventano attuali quando noi esseri umani interagiamo e impariamo dai dati che si sono già accumulati.


Informazioni su questo Archivio Akashico – questo Libro della Vita – si possono trovare nel folklore, nei miti e in tutto l'Antico e Nuovo Testamento. Sono rintracciabili nelle popolazioni semitiche, negli Arabi, gli Assiri, i Fenici, i Babilonesi e gli Ebrei. In ognuna di queste popolazioni esisteva la credenza nell'esistenza di una sorta di tavole celesti contenenti la storia del genere umano e ogni tipo di nozione spirituale.

Nelle Scritture, il primo riferimento a un libro ultraterreno si trova in Esodo 32:33. Dopo che gli Israeliti avevano commesso un peccato gravissimo adorando il vitello d'oro, fu Mosè a intercedere per loro, giungendo a offrire la propria totale responsabilità e la cancellazione del proprio nome “dal tuo libro che hai scritto” a espiazione delle loro azioni. In seguito, nell'Antico Testamento, apprendiamo che non esiste nulla di un individuo che non sia riportato in questo stesso libro. Nel Salmo 139, Davide accenna al fatto che Dio ha scritto tutti i dettagli della sua vita, incluso ciò che è imperfetto e le azioni ancora da svolgere.

Per molte persone, questo Libro della Vita è semplicemente un'immagine simbolica di coloro che sono destinati al paradiso; le sue radici sono gli archivi genealogici o forse i primi censimenti. La religione tradizionale suggerisce che questo libro – in forma letterale o simbolica – contiene i nomi di tutti coloro che sono degni di salvezza. Il Libro va aperto in relazione al giudizio divino (Dan. 7:10, Rev. 20:12). Nel Nuovo Testamento, i redenti dal Cristo sono contenuti nel Libro (Filippesi 4), mentre coloro che non si trovano nel Libro della Vita non entreranno nel Regno dei Cieli.

Come interessante corollario, nel mondo antico il nome di una persona era un simbolo della sua esistenza. Secondo Sir James Thomas Frazer, autore di The Golden Bough – una delle opere più esaurienti sulla mitologia mondiale – tra il nome e l'esistenza di una persona esisteva un legame tale che “era possibile compiere riti magici su un uomo indifferentemente attraverso il suo nome, i suoi capelli, le sue unghie o qualsiasi altra parte materiale della sua persona”. Nell'antico Egitto, cancellare un nome da un registro equivaleva addirittura a eliminare il fatto che una persona fosse mai esistita.

Più vicino ai giorni nostri, molte informazioni sull'Archivio Akashico sono state fornite da stimati medium e mistici contemporanei, ovvero individui la cui percezione si estendeva in qualche modo oltre i limiti delle tre dimensioni. Secondo H. P. Blavatsky (1831-1891), un'immigrata russa mistica e fondatrice della Società Teosofica, l'Archivio Akashico è molto di più che un semplice elenco statico di dati che un sensitivo può raccogliere qui e là; piuttosto, l'Archivio esercita un'influenza continua e creativa sul presente:

Akasha è uno dei principi cosmici e un soggetto plastico, creativo nella sua natura fisica, immutabile nei suoi principi più elevati. È la quintessenza di tutte le possibili forme di energia, materiale, psichica o spirituale; inoltre, contiene in sé i germi della creazione universale, che fiorisce sotto l'impulso dello Spirito Divino.

Rudolf Steiner (1861-1925), il filosofo, pedagogista e fondatore della Società Antroposofica nato in Austria, possedeva la capacità di ricevere informazioni da oltre il mondo materiale: un “mondo spirituale” che per lui era tanto reale quanto per gli altri lo era il mondo fisico. Steiner affermava che la capacità di percepire questo altro mondo poteva essere sviluppata, rendendo un individuo capace di scorgere eventi e informazioni in tutto e per tutto concreti come quelli presenti:
“…l'uomo è in grado di penetrare alle origini eterne delle cose che svaniscono con il tempo. In questo modo, egli amplia la sua facoltà cognitiva se, per quel che riguarda la conoscenza del passato, non si limita alle evidenze esteriori. Poi egli può vedere negli eventi non percepibili ai sensi, quella parte che il tempo non è in grado di distruggere. Egli passa dalla storia transitoria a quella non-transitoria. È un fatto che questa storia sia scritta in caratteri diversi rispetto a quella ordinaria. Nella gnosi e nella teosofia viene chiamata la “Cronaca Akashica”… Al non iniziato, che non è ancora in grado di fare l'esperienza di un mondo spirituale separato, è facile che l'iniziato sembri un visionario, se non qualcosa di peggio. Chi ha acquisito la capacità di percepire il mondo spirituale arriva a conoscere gli eventi passati nel loro carattere eterno. Questi ultimi non stanno di fronte a lui come la morta testimonianza della storia, bensì appaiono pieni di vita. In un certo senso, ciò che è avvenuto ha luogo davanti a lui.”

Per quanto riguarda le intuizioni moderne, forse la più completa fonte di informazioni sull'Archivio Akashico viene dall'opera chiaroveggente di Edgar Cayce (1877-1945), mistico cristiano e fondatore della A.R.E. Per trentatré anni della sua vita adulta, Edgar Cayce possedette la capacità soprannaturale di sdraiarsi su un lettino, chiudere gli occhi, unire le mani sullo stomaco ed entrare in una sorta di stato alterato in cui aveva accesso praticamente a qualsiasi tipo di informazione. L'accuratezza dell'opera telepatica di Cayce è dimostrata da circa una dozzina di biografie e da centinaia di libri che analizzano vari aspetti delle informazioni e delle migliaia di argomenti da lui discussi.

Quando era interrogato sulle fonti delle sue informazioni, Cayce rispondeva che erano essenzialmente due. La prima era la mente subconscia dell'individuo cui stava dando la “lettura”, la seconda era l'Archivio Akashico.

Più spesso, quando dava una lettura sulla storia dell'anima di una persona o sulla sua dimora individuale nello spazio e nel tempo, Cayce cominciava con un'affermazione del tipo: “Sì, abbiamo di fronte a noi l'archivio dell'entità adesso conosciuta o chiamata…”. Discutendo il processo mediante il quale accedeva a questi archivi, Edgar Cayce descrisse la sua esperienza come segue:
“Vedo me stesso come un piccolo punto fuori dal corpo fisico, che giace inerte davanti a me. Mi sento oppresso dall'oscurità e provo una solitudine terribile. Sono consapevole di un fascio bianco di luce. Da piccolo punto che sono, mi dirigo verso l'alto seguendo la luce, sapendo che devo seguirla, altrimenti sarò perduto.
Man mano che percorro questo cammino di luce, divento gradualmente consapevole di vari livelli sopra i quali c'è movimento. Sopra il primo livello esistono forme indistinte e orribili, figure grottesche come quelle che si vedono negli incubi. Andando avanti, cominciano ad apparire da entrambi i lati figure deformi di esseri umani con alcune parti del corpo ingrandite. Di nuovo, avviene un cambiamento e divento consapevole di figure grigie incappucciate che si muovono verso il basso. Gradualmente, il loro colore si fa più chiaro. Poi, la direzione cambia e queste figure si muovono verso l'alto, mentre il colore delle loro tuniche si schiarisce rapidamente. In seguito, cominciano ad apparire da entrambi i lati profili indistinti di case, muri, alberi ecc., ma ogni cosa è priva di movimento. Andando avanti, appaiono quelle che sembrano normali città, con più luce e movimento. Quando quest'ultimo aumenta, divento consapevole dei suoni: inizialmente strepiti confusi, poi odo musiche, risate e canti di uccelli. C'è sempre più luce, i colori diventano bellissimi e si sente il suono di una musica meravigliosa. Le case restano indietro, davanti c'è solo un insieme di suoni e colori. Improvvisamente mi imbatto in un archivio. Si tratta di una sala senza muri né soffitto, ma sono consapevole di vedere un uomo anziano che mi porge un grande libro, una documentazione dell'individuo per il quale sto cercando informazioni”. Lettura 294-19 (Trascrizione).

Una volta presa in mano la documentazione, Cayce aveva la capacità di selezionare le informazioni più utili per l'individuo in quel momento della sua vita. Frequentemente, una lettura poteva lasciare capire che era stata fornita solo una selezione del materiale disponibile, ma che all'individuo venivano date le cose “più utili e promettenti”. Intuizioni aggiuntive erano spesso fornite in letture successive, dopo che l'individuo aveva cercato di lavorare e mettere in pratica le informazioni già ricevute.

Forse per alludere al fatto che l'Archivio Akashico non era semplicemente una trascrizione del passato, ma includeva il presente, il futuro e alcune possibilità, nella lettura 304-5 Cayce fece una curiosa dichiarazione introduttiva. Discutendo del Libro della Vita, egli affermò che era “L'archivio di Dio, di te, della tua anima interiore e della conoscenza di essa” (281-33). In un'altra occasione (2533-8), fu chiesto a Cayce di spiegare la differenza tra il Libro della Vita e l'Archivio Akashico:

“Domanda: [Cosa si intende con] il Libro della Vita?
Risposta: L'archivio che l'entità stessa scrive pazientemente sopra la matassa del tempo e dello spazio. Esso viene aperto quando il sé è sintonizzato con l'infinito, e può essere letto da coloro che si stanno armonizzando con tale consapevolezza…
D: Il libro dei Ricordi di Dio?
R: Questo è il Libro della Vita.
D: L'Archivio Akashico?
R: Quelli creati dall'individuo, come appena indicato.
Lettura 2533-8

Le letture di Edgar Cayce suggeriscono che tutti noi scriviamo la storia della nostra vita tramite i nostri pensieri, le nostre azioni e la nostra interazione con il resto della Creazione. Queste informazioni hanno un effetto su di noi nel qui e ora. Di fatto, l'Archivio Akashico ha un tale impatto sulle nostre vite e le potenzialità che attiriamo su di noi, che qualsiasi indagine su di esso non può fare a meno di darci intuizioni sulla natura di noi stessi e della nostra relazione con l'universo.


Ci sono molte più cose nella nostra vita, nella nostra storia e nella nostra influenza individuale sul domani di quante, forse, abbiamo mai avuto il coraggio di immaginare. Avendo accesso alle informazioni dell'Archivio Akashico, il database dell'universo, molte cose potrebbero esserci rivelate. Il mondo, così come lo abbiamo collettivamente percepito, non è che una pallida ombra della realtà.

Nel tempo e nello spazio sono scritti i pensieri, le azioni, le attività di un'entità: nella loro relazione all'ambiente, alla sua influenza ereditaria; e nel loro essere guidati, ovvero diretti dal giudizio o in accordo a ciò che l'entità ritiene ideale. Per questo, come spesso è stato definito, l'archivio è il libro dei ricordi di Dio; e ogni entità, ogni anima… Riguardo le sue attività quotidiane, ne compie alcune bene, altre male e altre ancora in modo neutro, a seconda dell'applicazione del sé dell'entità a quella che è la maniera ideale di utilizzare il tempo, l'opportunità e l'espressione di ciò per cui ogni anima entra in una manifestazione materiale.

L'interpretazione, come è stata formulata qui, viene data con il desiderio e la speranza che, nel rivelare questo all'entità, l'esperienza possa essere utile e promettente.- Edgar Cayce, lettura 1650-1

Sì, abbiamo il corpo qui, e la documentazione come è stata prodotta e come potrebbe essere prodotta con l'esercizio della volontà, e la condizione – così come è stata creata – che prescinde dall'influenza o gli effetti della volontà. Abbiamo condizioni che potrebbero essere state, che sono e che potrebbero essere. Non mischiate le tre, e non incrociate i loro intenti. - Lettura 340-5

Il Libro della Vita – o l'Archivio Akashico – è il magazzino di tutte le informazioni riguardanti ogni individuo mai vissuto sulla Terra: esso contiene ogni parola, azione, sentimento, pensiero e intenzione mai avvenuti. Apprendi in che modo hai il controllo del tuo destino e come puoi utilizzare il tuo archivio – le tue vite passate, le tue esperienze presenti e il tuo futuro non ancora dischiuso – per creare la vita che desideri.

“Akasha”, che in sanscrito significa etere o spazio, è il primo dei cinque elementi base dell’intero universo, il vuoto che permette agli altri di esistere e di manifestarsi.

Akasha è l'onnipresente esistenza che pervade tutto. L’akasha diviene il sole, la terra, la luna, le stelle, l’aria, i liquidi ed i solidi; forma il corpo umano e degli animali, le piante, ogni forma che vediamo, tutto ciò che cade sotto i nostri sensi, tutto ciò che esiste. 

L'akasha non può essere percepito perché va al di là d’ogni ordinaria percezione; si può vedere e toccare soltanto quando si condensa e prende una forma.

Grandi sensitivi e veggenti come Edgar Cayce, Madame Blavatsky, Alice Bailey e Rudolf Steiner, per menzionare alcuni nomi, hanno saputo accedere alle memorie almiche dell’Essere Umano, ed alla memoria dell’Anima Planetaria, apportando informazione attraverso i loro libri e scritti.

sabato 30 agosto 2014

Il racconto di Bob Lazar sui velivoli di origine aliena

Ai primi del 1989, il giomalista televisivo George Knapp, della KLAS di Las Vegas, stava conducendo una serie di trasmissioni sugli UFO. Nel mese di marzo, Knapp fu Robert Bob Lazaravvicinato da Robert Scott Lazar, un trentenne che dichiarò di essere un fisico, di aver lavorato nel complesso di Nellis e di avere una serie di rivelazioni da fare.Knapp controllò la sua storia e si convinse a renderla nota. Fu ciò che avvenne nel corso di due serate televisive, l' 11 e il 13 novembre. Area 51 esplodeva anche tra i mass-media.Lazar, senza mezzi termini, affermò che nell'Area 51 si lavorava a velivoli a propulsione gravitazionale di origine aliena, e che aveva subito accuse di spionaggio e minacce di morte.

Egli avrebbe svolto le sue attività tra il dicembre 1988 e l'aprile 1989 in una zona denominata S-4, circa 16 km più a sud dell'Area 51 propriamente detta, presso il laghetto di Papoose. Ora, è certo che Lazar, nel 1982, abbia lavorato presso i Laboratori Nazionali di Fisica di Los Alamos (una circostanza che questo ente cercò invano di negare). Successivamente, con il suo impiego presso S-4, gli sarebbe stato dato accesso ad informazioni altamente riservate. Delle attività di S-4 non sarebbe stato al corrente nemmeno il Presidente degli Stati Uniti.

Lì, dentro enormi hangar sotterranei fra loro collegati, in un'atmosfera di continui controlli ed intimidazioni, il primo giorno gli sarebbero stati fatti leggere circa 120 documenti sugli UFO: nove astronavi erano cadute in mano alle autorità - non era spiegato come - ed autopsie erano state eseguite su cadaveri di alieni provenienti dal quarto pianeta del sistema stellare binario Zeta Reticuli 2.

Poi, Lazar avrebbe potuto lavorare ad un velivolo del diametro di 9-12 m, al cui interno c'era una colonna centrale che correva tra il pavimento e il soffitto del disco. Una consolle appariva rimossa, e le sedie sembravano esser state costruite per «bambini».

Secondo Lazar il velivolo era propulso da un reattore ad antimateria, un apparato emisferico posto sul pavimento del velivolo, delle dimensioni di un pallone da basket. Gli sarebbe stato mostrato anche il reattore in funzione. Come «carburante» il disco avrebbe utilizzato poco più di due etti di un elemento con numero atomico 115, un minerale superpesante e secondo Lazar non sintetizzabile sulla terra. Questo sistema propulsivo permetterebbe di manipolare lo spazio-tempo e di rendere invisibili i velivoli.Il lavoro di Lazar sarebbe consistito in un tentativo di duplicare il reattore.

Lazar avrebbe potuto osservare da lontano anche i nove tipi diversi di dischi posteggiati negli hangar, ad ognuno dei quali assegnò un nomignolo, e durante un breve volo dell'astronave su cui aveva lavorato: questa divenne blu, luminosa nella parte inferiore e cominciò a sibilare come un apparato ad alto voltaggio elettrico. Sconvolto, la sera del 22 marzo dell'89, per cercare di corroborare le sue paure, Lazar avrebbe condotto sua moglie Tracy, il discusso appassionato di UFO John Lear ed un amico, Gene Huff, in una località desolata a 24 km dalla zona dei presunti test. Qui, avrebbero osservato (Lear attraverso il suo telescopio Celestron) e filmato strane luci ellittiche compiere ardite manovre sulle Groom Mountains. Sul video si sentono anche i commenti eccitati dei testimoni.

In un'altra occasione, però, la sorveglianza li avrebbe scoperti.In seguito, Lazar sarebbe stato minacciato dafI'FBI, e nell'aprile (o maggio) 1989 cancellato dalla lista degli addetti ad Area 51. Sarebbe stato anzi a causa di minacce analoghe che, nel febbraio successivo, Lazar ruppe repentinamente un contratto con la Nippon Television. Poi, nel novembre dell'89, nel corso di un'intervista rilasciata a Benny Goodman della stazione radiofonica KVBG, un uomo che affermava di essere un elettricista della «Reynolds Electronics and Engineering» impiegato nella località di Camp Mercury, nella parte più meridionale dell'Area 51, si fece avanti sostenendo di aver lavorato in un tunnel sotterraneo profondo 1000 m. Lì avrebbero luogo enormi operazioni «coperte». Un marine lo avrebbe pesantemente minacciato quando vide medici in camice bianco portare via su lettini quattro corpi di piccoli esseri sconosciuti.

Chiamando alcuni ufologi di Las Vegas, l'anonimo disse che lui e altri 50 lavoratori impiegati a Camp Mercury avevano deciso di appoggiare Lazar, ma pare che l'iniziativa non abbia avuto seguito.Sempre alla KVBG, in precedenza erano giunte le telefonate di un individuo che si nascondeva dietro lo pseudonimo di «Yellow Fruit». Egli avrebbe lavorato ad Area 51 come addetto alla sicurezza. Le sue affermazioni sono, se possibile, ancor più improbabili delle precedenti.Uno dei suoi compagni di lavoro sarebbe stato... un alieno «buono», mentre altri avrebbero fatto parte del gruppo degli EBE (termine usato per descrivere gli alieni nel famoso documento «Majestic 12», un falso quasi sicuro).

Uno scontro cruento avrebbe avuto luogo tra i «buoni» e gli EBE, e i primi avrebbero preso il sopravvento sulla base, dove oggi lavorerebbero 37 «buoni» e 3 EBE sarebbero tenuti prigionieri!.L'ufologo William Hamilton si è recato nell'ottobre '89 presso il «Little Ale 'Inn», la birreria di Rachel, sulla statale 375, la cui proprietaria, Pat Travis, gli disse di conoscere di vista «Yellow Fruit». Questo buffo termine non sarebbe altro che il nome del primo livello delle unità di sicurezza dell'Area 51, oltre che l'appellativo di una vecchia unità congiunta Esercito-CIA.Hamilton riuscì a parlare soltanto per telefono con «Yellow Fruit», e questi gli ripete che sotto l'Area 51 c'erano enormi tunnel sotterranei che celavano un'intensa attività governo-alieni.Su richiesta di Knapp, Lazar si è sottoposto più volte al test del poligrafo - la cosiddetta «macchina della verità» - con almeno quattro diversi esaminatori e con risultati incoraggianti ma non univoci.

Uno degli esaminatori, Terry Tavernetti, ricevette a sua volta minacce telefoniche. Un ipnotista clinico che lavora spesso con la Polizia, Layne Keck, nell'89 ha inoltre sottoposto Lazar a ipnosi regressiva, ed ha concluso che l'uomo è sincero ma che durante il suo periodo di lavoro per i servizi gli sarebbe stato somministrato un farmaco e gli sarebbero state date istruzioni ipnotiche per indurlo a non ricordare i dettagli di ciò che aveva visto.Il giornalista Geo Robert Bob Lazarrge Knapp, lo «scopritore» di Lazar, ha confermato che le storie su Area 51 erano ricorrenti da anni, e che anche lui aveva raccolto direttamente indizi in senso positivo.

Riuscì a contattare almeno quattro altri informatori fra i quali addetti alla sicurezza della base, che avrebbero fatto parziali ammissioni, anche sulla presenza di un velivolo discoidale ad Area 51. Un professionista di Las Vegas gli disse che, mentre lavorava li', vide atterrare un disco, e che perciò fu tenuto per parecchie ore sotto interrogatorio. Un controllore di volo addetto ai radar della base aerea di Nellis, invece, gli raccontò di oggetti che volavano sulle Groom Mountains a oltre i 1.000 km/h.

Un portavoce della base di Nellis, infine, ha confermato a Knapp l'esistenza di un'installazione interna denominata S-4, ma si è rifiutato di dare ulteriori dettagli in merito.Uno dei problemi con Bob Lazar è che é sempre stato stranamente difficile reperire tracce del suo background di specializzazioni universitarie e di impieghi qualificati.

Tuttavia, la dichiarazione dei redditi del 1989, che Lazar ha esibito, cita un lavoro retribuito, svolto quell'anno in Nevada per i servizi segreti della Marina. Il modello contiene anche il numero di identificazione di Lazar, comprensivo della sigla «MAJ», che il fisico sostiene di aver avuto quando lavorava ad S-4. L'ufologo Bill Moore, che avversa Lazar, ha avanzato però seri dubbi sull'autenticità di tale dichiarazione. D'altro canto, Lazar é una persona la cui credibilità si presta senz'altro ad essere discussa.

Nel 1990, infatti, é stato condannato ad una pena detentiva (sospesa) per aver partecipato alla gestione di una casa di tolleranza a Las Vegas. Lazar ha anche ammesso a mezza bocca di aver intravisto, dentro S-4, due uomini in camice bianco discutere con «qualcuno di piccolo, dalle lunghe braccia», ma si è rifiutato di sostenere che poteva trattarsi di un alieno.

Fra i 120 documenti che egli avrebbe potuto leggere, vi sarebbero stati quelli concernenti i progetti «Galileo» (attività di volo con i dischi volanti), «Looking Glass» (studi sulla possibilità di vedere il passato) «Siderick» (su potentissime armi a raggi) e uno riguardante l'origine dell'umanità, che sarebbe nata grazie ad esperimenti genetici degli alieni, che peraltro avrebbero «programmato» anche la venuta di Gesù sulla Terra! Nel 1979, alieni presenti nella base avrebbero avuto uno scontro a fuoco con il personale. Poi, nell'aprile 1987, in un incidente avvenuto ad Area 51, erano morti almeno due addetti. Lazar sarebbe stato chiamato a sostituire uno di costoro.

ALTRE TESTIMONIANZE

Lo scienziato Chuck Clark, sottolineò che l’Area 51 sarebbe una sorta di “groviera”, nel senso che una rete di tunnel sotterranei, con relativi hangar, si celerebbe al di sotto del lago disseccato e di tutta la base; il che è tutt’altro che improbabile. Inoltre il personale, una volta entrato nell’”area riservata”, vi sarebbe trasportato all’interno di mezzi privi di finestrini. Bill Uhouse, ingegnere all’interno dell’Area 51, disse che a “dreamland” si realizzano e si sperimentano “nuovi mezzi” desunti da tecnologia non terrestre. Gli aerei della generazione “Stealth”sono solo la punta dell’iceberg che si cela sotto le installazioni del lago dissecato.

Le strumentazioni al quarzo, è una tecnologia importata ovvero riflessa. Gli alieni sono già stati ospiti nell’Area 51 soprattutto come istruttori... Il fisico Paul Bennewitz e gli ex agenti dei servizi segreti americani William Cooper, John Lear e Virgil Armstrong, sostengono addirittura che il Governo americano accetterebbe da tempo sugli USA, un “protettorato” da parte degli extraterrestri; il tutto all’oscuro e alle spalle dei popoli della Terra, pur di mantenere il proprio ruolo di preminenza locale, a livello di una strategia planetaria.

venerdì 29 agosto 2014

Analogie tra Celti e Algonchini... Indizi di una Civiltà Madre

Howard Barraclough Fell (1917-1994), meglio conosciuto come Barry Fell, è stato enormemente influente negli Stati Uniti. Era un abile e rispettato biologo marino presso la Harvard University il cui interesse per l'epigrafia lo ha portato a essere descritto dai suoi seguaci come "il più grande linguista del XX secolo" anche se gli scettici lo ritenevano solo "uno pseudoscienziato che ha minacciato per annullare più di un secolo di un'attenta progressi nella ricerca archeologica e antropologica ".

Nulla di più ingiusto, in quanto Barry Fell era prima di tutto uno scienziato il che significa che egli fosse in grado di presentare ciò di cui era fermamente convinto secondo una certa misura di oggettività .

La prima incursione di Fell in epigrafia è stato uno studio di petroglifi polinesiane pubblicati nel 1940, ma è stato il suo libro “America BC” (1976) che in realtà lo ha spinto nell'ambito della ricerca archeologica 'borderline' a cui siamo avvezzi. 


In esso, ha sostenuto che ci sono numerosi esempi di incisioni proprie del Vecchio Mondo che possiamo ritrovare su superfici rocciose e oggetti in tutto il Nord e il Sud America. Questo fu seguito da Saga America (1980), in cui ha ampliato le identificazioni delle incisioni e dei linguaggi per includere l'arabo e altri linguaggi, nonché mappe ed uno zodiaco. Il terzo, “Bronze Age America” (1982), concentrata sul riconoscimento di testi scandinavi dell'età del bronzo, ovvero 2000 anni più vecchi di eventuali iscrizioni runiche conosciute in Europa, a Peterborough, Ontario (Canada). 

Secondo Barry Fell, c'erano stati numerosi contatti precolombiani tra Europa, Africa e Asia e il Nuovo Mondo che risale ad almeno 3000 anni prima della nascita di Cristo.

Nella prima metà degli anni Settanta un collaboratore del professor Barry Fell, di nome John William, scoprÏ nella Widener Library dello Harvard College una copia dí un curioso documento, stampato a New York nel 1866, incluso in un libro sugli indigeni wabanaki del Maine. Si trattava díunsolo foglio, scritto dal missionario francese Eugene Vetromile, un sacerdote che aveva predicato agli indigeni, ed era intitolato “La preghiera del Signore” in geroglifici Micmac.

Al primo sguardo, Barry Fell si rese conto che almeno la metà dei segni geroglifici di quel foglio erano simili ai geroglifici egizi, nella loro forma semplificata detta ‘ieratica’. Ciò che destava maggior sorpresa e il sospetto dí una mistificazione erano però le precise corrispondenze tra i significati dei segni egizi e la trascrizione in inglese del testo micmac riportato nel documento.

Sospetti decaduti dopo la scoperta della dichiarazione del sacerdote francese Pierre Maillard il quale aveva affermato di essere egli stesso l'inventore dei geroglifici micmac. 

Come avrebbe potuto però Maillard conoscere i geroglifici egizi, per inventare il sistema di scrittura micmac? L'esame delle date mostra immediatamente l'impossibilità di ciò, poichè Maillard morì nel 1762, ovvero sessant'anni prima che Champollion pubblicasse la prima decifrazione della stele di Rosetta. 

Qualsiasi somiglianza tra il sistema di Maillard e quello egizio doveva quindi essere puramente casuale come giustamente ci ricorda Alberto Arecchi nell'articolo “Il mistero dei Micmac” da cui abbiamo preso la seguente immagine e la storia sopraccitata. 

In alto: La versione del Salmo 116 (Non nobis Domine) in geroglifici micmac, trascritta nel 1738 ca. Dall’Abbate Maillard. In basso, lo stesso testo trascritto in geroglifici egizi.

Nel nostro precedente articolo “Antiche Rotte commerciali” avevamo già evidenziato quegli indizi che ci fanno ragionevolmente pensare a contatti tra le popolazioni residenti sulle due sponde dell'atlantico concentrandoci su quelli ipotetici tra le civiltà mesoamericane e le culture mesopotamiche facendo specifico riferimento tra le altre cose al cammino del Peabirù, alla Fuente Magna, al manoscritto 512 e al Monolite di Pokotia riprendendo il lavoro di ricerca di Yuri Leveratto.

Una ricerca che ci porta alla conclusione di come, secondo Bernardo Biados, i Sumeri circumnavigarono l’Africa già nel terzo millennio prima di Cristo, ma, arrivati presso le isole di Capo Verde, si trovarono sbarrato il passaggio dai venti contrari che soffiano incesantemente verso sud-ovest. Si trovarono pertanto obbligati a fare rotta verso ovest, cercando venti favorevoli. Fu così che giunsero occasionalmente in Brasile presso le coste dell’attuale Piauì o Maranhao. Da quei punti esplorarono il continente risalendo gli affluenti del Rio delle Amazzoni, in particolare il Madeira e il Beni o percorrendo il già citato "Cammino del Peabirú".

In questo modo arrivarono all’altopiano andino, che probabilmente nel 3000 a.C. non aveva un clima così freddo. Si mischiarono così alle genti Pukara che a loro volta provenivano dall’Amazzonia (espansione Arawak), e ai popoli Colla (i cui discendenti parlano oggi la lingua aymara). La cultura Sumera influenzò le genti dell’altopiano, non solo dal punto di vista religioso, ma anche lessicale. Molti linguisti infatti hanno trovato molte similitudini tra il proto-sumerico e l’aymara. 

La Fuente Magna e il Monolite di Pokotia – prove di presenza Sumera in Sudamerica 

Ma questa volta lasceremo da parte il mondo mesopotamico per concentrarci sulle regioni nord-atlantiche, altrettanto misteriose, anche se sappiamo come l'archeologia alternativa preferisca focalizzarsi maggiormente sull'area medioorientale.

Esiste una teoria, che riprendiamo dall'articolo di Steven Sora pubblicato su “Atlantis Rising” e, in lingua italiana, sul sito Liutprand, che vede l'antico e misterioso popolo dei Pitti in Scozia, discendere nientepopodimeno che da un'altrettanta misteriosa tribù algonchina del nordamerica. Proprio i Micmac di Fell.

Per affrontare correttamente il tema dobbiamo dimenticarci gli stereotipi cui siamo abituati a credere quando ci interfacciamo con la cultura dei nativi americani e che certa cinematografia ci ha indotto a pensare.

La discussione sulla capacità dei popoli pre–colombiani dell’America del Nord non ha mai riguardato qualcosa di più di incidenti isolati, in parte a causa della necessità di dipingere un quadro dei popoli americani come selvaggi. Con navi di grandi dimensioni, superiori a quella di Colombo, città di certo più grandi di quelle europee, e più precisi nella matematica e della misurazione del tempo, gli Americani evidentemente trascendevano ogni nostra precedente comprensione. 

Che i nativi americani avessero una cura per il più grande dramma dei marinai che navigavano su lunghe distanze non era l’ultima sorpresa per i francesi. Quello che sarebbe cresciuto fino a diventare Montreal si chiamava Hochlaga, ed era un villaggio pianificato con strade che partivano da una piazza centrale. Anche gli spagnoli trovarono che la città azteca di Tenochtitlan era più grande della stessa Siviglia, gli europei avrebbero incontrato molte sorprese anche dai nativi americani del Nord. La risposta è semplice: gli americani non erano i selvaggi descritti nelle storie dei conquistatori del Nuovo Mondo. 

Una delle maggiori sorprese venne dal linguaggio d’un ramo della tribù algonchina chiamato Micmac. Entrando alla foce del San Lorenzo, i francesi incontrarono questa tribù che circondava la loro nave con due distinte flotte di canoe cinquanta ciascuno. La capacità della popolazione nativa di riunire un gran numero di persone sul fiume era abbastanza una sorpresa, e i francesi scoprirono ben presto che sapevano spostarsi su grandi distanze, nonché, eventualmente, fare numerosi viaggi in Scozia e alle isole settentrionali.

Gli europei avrebbero scoperto che le popolazioni native del nord–est avevano effettivamente impegnarsi in un vasto commercio che portava loro sia i beni sia le conoscenze provenienti dagli angoli più remoti del continente. Dal Messico arrivava la capacità di coltivare fagioli e mais. Da sud–est venivano le conchiglie, da nord–est l’ossidiana, e dai Grandi Laghi veniva il rame. Gran parte del commercio era condotta per vie d’acqua. 

La capacità di navigare a grande distanza nel mare era nota pure a Colombo. Sappiamo che, presso il popolo dei Caribi, Colombo aveva trovato canoe, complete di alberi, che potevano contenere 25–70 persone. Colombo sequestrò una nave dei Maya Putun più grande della sua. Poteva contenere altrettanti o più marinai di una delle sue navi. I Maya avevano una flotta di un centinaio di navi e avevano costruito moli a Tulum e sull’isola di Cozumel per il commercio. Dall’altra parte del continente, i Kwakiutl nel nord–ovest avrebbero avuto canoe oceaniche, capaci di contenere 7–10 persone. Chiaramente il commercio era ben consolidato in America, prima che gli europei arrivassero. 

Un quadro completamente diverso dall'idea di “cacciatori di bisonti” con la quale forse in modo troppo riduttivo immaginiamo i popoli delle praterie e delle foreste del nordamerica. E' quindi ragionevole pensare che questi popoli con queste conoscenze nautiche siano stati in grado di realizzare viaggi transatlantici secoli prima di Cristoforo Colombo e secoli prima dei Vichinghi? 

In realtà esiste più di un indizio che consente di dimostrare la fondatezza di questa ipotesi. Ed è ancora l'articolo di Steven Sora riportato su Liutprand a dimostrarlo.

Dopo che Cesare aveva conquistato la Gallia, una canoa con tre sopravvissuti sbarcò in Germania. Un capo di una tribù germanica di frontiera consegnò gli uomini al governatore Quinto Metello, che riconobbe che non erano europei. L’incidente è stato registrato dallo storico romano Plinio. Altri esempi sono citati in altre opere dello stesso periodo. Gli Inuit erano conosciuti e si sapeva che attraversavano il gelido Nord Atlantico in kayak, e un kayak era posto a decorare la cattedrale di Nidaros in Norvegia. 

Quando Colombo era ancora un cartografo, navigò a Galway in Irlanda. Una potente corrente raggiunge le isole britanniche sin dal Golfo del Messico. Quando Colombo era lì, s’imbatté con due pellerossa, individui dalla fronte piatta che chiamò "indiani", cioè provenienti dall’India. L’incidente contribuì a convincerlo della sua missione per raggiungere l’Asia attraverso l’Atlantico. 

Cosa ancora più strana di queste visite accidentali, i nativi americani avevano attraversato l’Atlantico, centinaia di anni prima, e "scoperto" l’Europa, e potrebbero avere colonizzato la Scozia. Erano le tribù marittime che Cartier incontrò, i Micmac. Gli storici confinano queste persone ad una zona di Terranova e della Nuova Scozia, benché una parte della tribù non appartenesse al gruppo più alto degli Algonchini, ma ad un gruppo più basso, dalla pelle più scura, e si coloravano la pelle con tintura blu.


Pittura blu che non può non ricordare al lettore attento un nostro vecchio articolo intitolato “Quegli Uomini dalla Pelle Blu” nel quale, riprendendo la recente vicenda di Paul Karason si sosteneva l'ipotesi che la raffigurazione degli dei nella mitologia antica fosse legata all'utilizzo di oro o altri metalli allo stato molecolare per scopi medici.

Amon in Egitto fu spesso raffigurato con il viso blu e la carnagione blu, così come anche Shou, Thoth, venivano raffigurati di colore azzurro o blu. Vishna in India, celebrato come il Dio Supremo. 

In Guatemala, in Messico, Colombia, Perù, Bolivia, leggende tramandate per secoli, parlano di visitatori di colore blu. Il grande dio Sin, di Khafajah, antica città mesopotamica che conobbe il suo splendore con il popolo sumero sotto anche conosciuto come il Dio dalla pelle azzurra e dai capelli di lapislazzuli. 


Come sostiene Giorgio Pastore nel suo libro “Dei del Cielo, Dei della Terra” pubblicato da Eremon Edizioni nel 2007 a pagine 243 e 244, all’origine della credenza che i nobili e l’aristocrazia di tutti i secoli siano collegati agli atlanti dei c’è la conferma di Manetone e di Erodoto relativamente al fatto che gli Egizi, i quali facevano molta attenzione all’uso dei colori nei loro affreschi dipingevano Amon e Shu con la pelle azzurra e Osiride e Thot con la pelle verde. Questi sarebbero stati abitanti di Atlantide, scampati al disastro che interessò la loro terra così come il resto del mondo. La prima elìte. I primi sovrani del mondo.

E anche i Micmac erano soliti dipingersi la pelle di blu, esattamente come i popoli scozzesi con i quali i nativi americani condividono incredibilmente molte caratteristiche. I Pitti si dipingevano i volti e la pelle con tatuaggi. Come i Micmac, che indossavano pochi abiti, perché non volevano coprire le loro opere d’arte. 

Copricapi piumati esistevano tra i Micmac, e il rango di chi l’indossava era determinato dalla quantità di piume. Questa usanza esisteva anche tra i Pitti, gli unici europei a indicare il proprio rango con questo metodo. 

Entrambi, Micmac e Pitti, avevano tradizioni matriarcali. Ciò significa che gli individui risalivano alle origini della loro famiglia attraverso la madre. I Celti vivevano in un’organizzazione di tipo patriarcale. Le famiglie di entrambi, Pitti e Micmac, erano organizzate in un sistema di clan. Mentre la famiglia era la prima la lealtà, il clan era molto importante. Il Clan Chattan, che significa il Clan del Gatto, è stato il più grande della Scozia.  Nel prendere decisioni tra i clan, le donne sedevano nei consigli dei Pitti e dei Micmac così come presso i fieri Irochesi. Le donne avrebbero determinato quale uomo sarebbe stato il capo del popolo.

Quando giungeva il momento di festeggiare, le danze degli indiani americani sono ben note. Tra le terre delle isole britanniche, gli scozzesi e gli irlandesi sono noti per le loro danze. Gli Highlanders sono noti per la riunione annuale dei Clan, che corrisponde al pow–how, la più ampia riunione tribale degli Indiani d’America. 


Certe caratteristiche razziali erano condivise tra i Pitti e i Micmac. Entrambi tali popoli erano più bassi rispetto ai loro vicini, ed entrambi avevano la carnagione più scura. 

È probabile che i Celti, in confronto, fossero più alti, con capelli rossi o biondi, occhi azzurri, come gli abitanti delle isole britanniche più tardi. 

L’espressione "irlandese scuro" o "irlandese nero" sopravvive oggi per distinguerli dai cugini celtici. Gli antropologi propendono ufficialmente per una fusione con sangue mediterraneo, o addirittura africano, anche se non ci sono prove.

Tatuaggi e visi tinti in blu valsero loro il nome di "nasi blu", un soprannome che ancora esiste in centinaia di barche da pesca da Terranova al Maine. 

E’ anche un soprannome per i residenti costieri del Nord–Est. I Micmac potevano indossare perizomi, ma potevano stare al caldo con un abbondante strato di grasso animale strofinato sulla pelle. Questa “giacca” teneva al di fuori il gelo e permetteva loro di navigare il gelido Atlantico. 
Ma i misteri dei Micmac non si limitano a questo. 

Come ci ricorda Alberto Arecchi nel suo articolo “Il Mistero dei Micmac” è necessario segnalare ciò che gli stessi algonchini hanno raccontato ai primi ricercatori. Il primo resoconto pubblicato fu quello di John Johnston, un agente della trib˘ shawnee, il quale scrisse, in una lettera del 7 luglio 1819: “Questa gente conserva la tradizione che i suoi antenati abbiano attraversato il mare. La sola tribù da me conosciuta che ammetta una origine straniera. Sino ad epoca recente ossia al 1819 hanno compiuto sacrifici annuali per celebrare il loro arrivo sicuro in questo paese. Non sanno però da dove o in quale epoca siano arrivati in America. 

Indiani Micmac in abiti tradizionali

Forse è significativo anche il fatto che gli algonchini abbiano mantenuto la tradizione, ancora viva quando Johnston redasse il suo rapporto scritto, che esistessero altri popoli stranieri in America, in tempi antichi. Johnston dice, su tale punto, che gli algonchini li informarono come segue. “E' opinione prevalente tra di loro che la Florida sia stata abitata da una popolazione bianca, che usava attrezzi di ferro. Piede Nero (un celebre capo) afferma di avere spesso udito dire da parte dei vecchi che si trovavano spesso ceppi díalberi, sotto terra, che erano stati tagliati da strumenti affilati.” 

Gli algonchini sarebbero di discendenza mista, con una proporzione maggiore di sangue mongolico verso ovest ed una proporzione maggiore di sangue europeo verso la costa orientale. Tale supposizione si può confrontare con l'evidenza linguistica. 

Ricercatori russi hanno raccolto vocabolari per circa 25.000 parole dalle molte tribù nomadi che vivono allíestremità nord-orientale della Siberia e delle isole adiacenti.

Queste, con gli studi della struttura grammaticale delle lingue, mostrano una chiarissima affinità con le lingue parlate nellíestremità nord-occidentale dellíAmerica. » chiaro che una comunicazione ed anche una migrazione si è verificata tra l'Asia ed il Nord America in tempi relativamente recenti. » altamente probabile che una tale comunicazione e migrazione si sia prolungata per migliaia dí anni.  

Quando sbarcarono in Scozia, i popoli celtici più alti li chiamarono "folletti" (pixies), un nome che esiste ancora nel folclore delle isole britanniche. I Romani li chiamavano Pitti. 

Le regioni abitate dai Micmac tra Quebec e (guarda caso) Nova Scotia

I Pitti erano ben distinti dai Celti che vivevano nelle Highlands, i quali conservarono i loro costumi e la loro lingua. Nell’81 d.C. le ostilità tra vicini portarono alla guerra e i Pitti devastarono un terzo del britannico. Due storici romani, Nennio e Gildas, registrarono tali antiche ostilità e Gildas afferma che questi fossero venuti dall’altra parte del mare.

La realtà di traversate oceaniche precolombiane sarebbe stata negata un giorno dal nazionalismo degli europei, nel tentativo di legittimare le loro conquiste e lo spirito razzista. Le prove sempre più emergenti di precedenti viaggi di scoperta (e di migrazioni) fatti in entrambe le direzioni ci presenta però un quadro molto diverso da quello accademicamente riconosciuto e consolidato.

Un quadro che inevitabilmente incrocia il cammino con le popolazioni celtiche e la teoria dell'Out of Atlantis, teoria antropologica che Progetto Atlanticus ha presentato in precedenti articoli e che forse può aiutarci a comprendere meglio quel misterioso mondo rappresentato dall'esoterismo druidico.

Da dove venivano i druidi? Alcuni dicono da Occidente, altri da Oriente. Alcuni vogliono che essi ab biano avuto origine in Atlantide, a Occidente, altri ipotizzano che i druidi quali noi li cono sciamo dai testi classici siano il prodotto della fusione di una cultura neolitica locale con i Celti sopraggiunti da Oriente.


Come apprendiamo leggendo “La Realtà Druidica”, articolo pubblicato su Bibrax, Associazione Culturale Celtica la storia esoterica delle radici del druidismo è bella e affascinante. I maghi di Atlantide avevano svelato i miste ri della natura ed agivano in armonia con la sua potenza. 

Ma vi furono alcuni che usarono questa stessa potenza per i propri fini, allo scopo di dominare e manipolare gli altri. "La Guerra di Atlantide fu la guerra della magia bianca contro quella nera, tra coloro che vedevano nella Natura la grande Madre Divina degli uomini e usavano i suoi doni per il benessere del genere umano, e quelli che vedevano nella Natura la Tentatrice Satanica, che faceva offerte di oscuro dominio e crude le potenza" (Eleanor Merry). Quando la catastrofe si abbatté su Atlantide, i signori oscuri si inabissarono mentre cercavano di tenersi stretti al loro potere temporale. 

I saggi bianchi, invece, dotati di conoscenze superiori e di una più profonda fede nella supremazia della ricchezza spirituale su quella ma teriale, si misero in viaggio sia verso Oriente sia verso Occidente. A Ovest, essi sbarcarono sulle coste americane, a Est sulle spiagge irlandesi e sulle coste occidentali della Gran Bretagna.

Se accettiamo questa teoria sulle origini dei primi druidi, saremo in grado di renderci conto più agevolmente del motivo per cui esistono così tante impressionanti somiglianze tra le dottrine e le pratiche degli Indiani d'America e quelle dei druidi entrambi portatori di un sapere esoterico precedente il cosiddetto “Diluvio”.

Nelle fonti letterarie antiche non esistono testimonian ze che accennino alla provenienza da Atlantide dei druidi. 

Tuttavia, nella tradizione celtica trovano posto inondazio ni catastrofiche, e nel Libro Nero di Camarthe, per esempio, una fanciulla di nome Mererid porta allo scoperto "la fontana di Venere" dopo essere stata stuprata da Seithen nin. Dopodiché l'acqua della fonte ricoprì la Terra. In Gran Bretagna si narra la storia di Ys inghiottita dal le acque. 

La malvagia figlia del re praticava la magia nera, e impossessatasi della chiave che il padre teneva al collo e che apriva la diga che proteggeva Ys dal mare, riuscì a far sprofondare il regno e se stessa allo stesso tempo.

Ambedue questi racconti, come pure alcune antiche storie del Graal, parlano degli stessi fatti accaduti ad Atlantide: una violenza fatta alla natura il cui esito è lo scaturire delle acque che inondano le terre. 

Lo stupro della vergine Mererid, per esempio, può essere visto come un'immagine mitica della violenza fatta alla natura dai maghi di Atlantide dediti alla magia nera. Il fatto che la violenza scateni al lagamenti incontrollabili ben si adatta dal punto di vista simbolico, perché ciò che sfrutta le terre è la consapevolezza analitica maschile non addomesticata dall'unione con il femminile, ed è la potenza vendicatrice del femminile, simboleggiata dalle acque, che è costretta a sommergere l'insensibile maschile. Ed è strano osservare come oggi la storia sembri sul punto di ripetersi, con le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari che innalzano il livello dei mari in risposta alla nostra violenza sulla biosfera.

Nel Lebor Gabala Érenn (Libro della conquista dell' lrlan da) si parla del diluvio biblico, ma Caitlín Matthews ha avanzato l'ipotesi che per questa e per altre storie "sia forse a qualche vaga reminiscenza di Atlantide e della fan ciulla a guardia della fonte che si ispirarono alcune delle storie nel loro aspetto primitivo" Quel che è certo è che la tradizione celtica parla di sei razze che sono giunte in Irlanda dall' "al di là della nona onda" (l'estremo confine delle terre al di là del quale si stendono i mari neutrali) La Compagnia di Cessair, la Compagnia di Partholon, il Popo lo di Nemed, i Fir Bolg, i Tuatha de Danaan e i Milesii. Il Libro della conquista dell'lrlanda fa una cronaca delle in vasioni di queste sei razze, cercando di integrare memorie dei bardi e tradizione biblica, facendo di Cessair la nipote di Noè. Ma sono i Tuatha de Danaan, i Figli di Danu o Dana, la razza divina che ha preso dimora nelle vuote colline del sidhe al sopraggiungere dei Milesii, quelli che alcuni esoteristi identificano negli stessi Atlantidi.

La società dei celti nell’Europa occidentale degli ultimi secoli a.C. era dominata dalla leggendaria casta sacerdotale dei druidi, benché gran parte delle informazioni in merito ci giungano da autori greci e romani. La relazione più consistente ci viene fornita da Giulio Cesare, conquistatore della Gallia (la moderna Francia) nonché condottiero d’una sfortunata invasione della Britannia nel 55 a.C. Pur occupandosi in primo luogo di questioni militari, Cesare s’interessò anche alle usanze dei galli, compresa la loro religione .

Il primo autore ad occuparsi dei druidi fu il geografo greco Poseidonio, vissuto intorno al 100 a.C., tuttavia la storia dei druidi scivola spesso nel regno delle illazioni come il presunto legame con Stonehenge. Anche se la loro origine risale a parecchi secoli prima di Poseidonio, rimane comunque una lacuna notevole di almeno mille anni tra la loro apparizione e l’ultima fase dell’edificazione del luogo megalitico più famoso del mondo. La mancanza di connessioni viene confermata dalla documentazione archeologica relativa all’epoca dei druidi sia a Stonehenge sia altrove in Gran Bretagna. 

Da Stonehenge emergono ben poche testimonianze di attività dopo la definitiva collocazione delle pietre sarsen e delle bluestones, solo alcuni frammenti sparsi di ceramica consentono di risalire all’epoca dei druidi. Di fatto i cerchi di pietra non svolgevano alcun ruolo nella religione dei druidi, incentrata sull’utilizzo di templi di pietra o di boschetti: difatti, il termine “druido” deriva probabilmente dalla parola dru, cioè “quercia“. 

E' possibile allora che i famosi “cerchi di pietra” e un certo tipo di megalitismo europeo non siano tanto una tradizione celtica quanto paradossalmente una fattura nordamericana algonchina? Di monoliti, o pietre erette che sono tra i più caratteristici elementi del paesaggio celtico europeo, se ne trovano esempi non meno impressionanti dei monoliti giganti della Bretagna anche in Nordamerica.

Gli anelli di pietre, talvolta doppi, con o senza una pietra centrale, sono pure caratteristici delle terre celtiche, ma li ritroviamo in Vermont e nel Connecticut, così come presso Burnt Mountain nel Massachusetts, e molte altre località del New England. In Irlanda essi hanno un diametro minimo di tre metri, e quelli dell'America hanno dimensioni simili.

I popoli del New England usavano un alfabeto ogam composto almeno di dodici segni, identici a quelli in uso in Portogallo ed in Spagna nella tarda Età del bronzo, verso l’800 a.C. I segni del New England hanno gli stessi valori di pronuncia di quelli della penisola iberica; quando si assegnano loro i suoni iberici, si possono leggere frasi appropriate al loro contesto. 

Le possibilità che due eventi tanto simili possano verificarsi indipendentemente possono essere calcolate con la teoria matematica delle probabilità. 

Esiste meno di una probabilità su 430 milioni che alfabeti identici di dodici lettere nascano in modo indipendente, presso due civiltà che non hanno alcun rapporto tra loro. Per l’alfabeto ogam di diciassette lettere di Monhegan, Maine, e dellíIrlanda, le probabilità di un’origine indipendente in due luoghi diversi sono inferiori ad una su 300 milioni di milioni. » un altro modo per dire che le probabilità di un tale doppio evento sono inesistenti. In altri termini, coloro che scrivevano iscriziioni ogam celtiche in Iberia ed in Irlanda dovevano appartenere allo stesso popolo che scriveva le iscrizioni corrispondenti nel New England.


Il megalitismo europeo, la storia del misticismo druidico così simile allo sciamanesimo dei nativi americani, le misteriose conoscenze e tradizioni delle tribù algonchine nordamericane dei micmac così simili a quelle dei Pitti dei quali potrebbero essere i progenitori supportano l'ipotesi della Out of Atlantis a integrazione delle origini dei popoli amerindi come frutto della sola migrazione di popoli mongoloidi attraverso lo stretto di Bering.

Qualche anno fa fu scoperto a Kennewick, una località dello stato americano di Washington uno scheletro vecchio di 9000 anni che presentava delle caratteristiche un po' strane: le fattezze del volto sono caucasoidi e non amerinde e il suo DNA mitocondriale contiene l'aploguppo X, tipicamente euroasiatico. Cominciamo a dire subito che “caucasoide” non significa molto: ordinariamente con questo termine si intende un europeo, un nordafricano o un mediorientale, in contrasto con altri “tipi” come il negroide o l'orientale (il tipico aspetto degli asiatici nordorientali). 

In realtà caucasoide significa tutto e nulla: probabilmente erano somaticamente caucasoidi i primi uomini anatomicamente moderni usciti dall'Africa e quindi, semmai, sono gli orientali che si sono successivamente differenziati a partire da antenati caucasoidi. La stessa cosa è successa nelle Americhe, dove i primi nativi assomigliavano davvero poco ai loro discendenti attuali.

Ammettendo che l'uomo di Kennewick fosse un Na-Dene, potrebbe essere valida l'ipotesi che i Na-dene (e a maggior ragione gli amerindi che li avevano preceduti lungo la via dello Stretto di Bering) siano migrati dalla Siberia prima che nei popoli rimasti là si fissasse quella importante caratteristica che sono gli occhi a mandorla. Iin effetti se si eccettuano gli Inuit, pur venendo tutti dall'Asia (con la eventuale eccezione – vedremo – degli europei solutreani) nessun nativo americano è caratterizzato dagli occhi a mandorla.

La presenza dell'aplogruppo X pone altri interrogativi. 

Fino ad allora era stato notato solo in Europa ed in Medio Oriente. La sua è comunque una distribuzione strana: gli aplogruppi hanno solitamente una elevata frequenza in una zona geograficamente ben delimitata. Invece X è debomente presente in molte aree: medio oriente (con particolare frequenza fra i drusi del Libano), nordafrica, Italia, Isole Orcadi, paesi nordici a lingue uraliche (ma solo Finlandia ed Estonia: è molto più raro nei popoli geneticamente e linguisticamente a loro connessi nelle steppe russe). Ed è sempre in percentuali inferiori al 5%, tranne che nei drusi, nelle Orcadi e in Georgia. Fra i nativi americani lo troviamo fra Na-dene e Algonchini (gli Amerindi del nordest, tra Canada e USA settentrionali),sia in popolazioni viventi che in sepolture. La percentule è tipicamente il 3 %, con alcuni picchi oltre il 10% in alcune tribù. In Sudamerica è presente negli Yanomami.

L'aploguppo X americano fu facilmente correlarlo a incroci con bianchi dopo la venuta degli europei (a cominciare dai Vichinghi nel IX secolo), ma la distanza genetica tra il tipo nordamericano e quello europeo è troppo alta per dare validità all'idea. Contemporaneamente era stata notata un'altra stranezza: le punte delle lance della cultura Clovis, la più antica documentata in Nordamerica, sono simili a quelle che venivano fabbricate in Francia dai Solutreani qualche migliaio di anni prima. Punte del genere si trovano soltanto in Francia, penisola iberica e Nordamerica. 

In quegli anni l'aplogruppo X non era documentato in Asia settentrionale e quindi nel 1999 due ricercatori dello Smithsonian Institute, Dennis Stanford e Bruce Bradley, unirono le due cose, ipotizzando che dei solutreani fossero arrivati in Nordamerica dall'Europa lungo la banchisa polare, cacciando foche e vivendo come gli attuali Inuit. All'epoca , cone si vede dalla carta edita dalla National Geographic Society, l'Atlantico settentrionale era coperto di ghiacci come adesso l'Artico: la calotta polare in Europa, oltre alla Scandinavia, copriva pure la Gran Bretagna, arrivando quasi alle attuali coste tedesche, mentre in America si estendeva almeno fino alla latitudine di New York. 

Quindi era teoricamente possibile attraversarlo. Contro questa ipotesi, detta “ipotesi solutreana” ci sono due obiezioni principali: la differenza di età fra la cultura solutreana, attiva tra 22000 e 16500 anni fa, mentre le tracce più antiche dei Clovis sono di appena 13.500 anni fa, e il fatto che i Solutreani (e i loro successori Magdaleniani) fossero degli abilissimi pittori (le testimonianze di arte rupestre e nelle grotte in Francia sono vastissime), mentre non ci sono tracce di arte nel periodo Clovis.

La prima obiezione ha in se una sua validità, la seconda chiaramente no: l'ambiente tipico della traversata atlantica sui ghiacci non consentiva certo questa attività, e ne potrebbe essere stato perso il ricordo. Se l'ipotesi di Stanford continua ad essere valida a proposito delle punte, potrebbe però cadere come spiegazione della presenza dell'Aplogruppo X, che è stato recentemente rinvenuto in popolazioni dell'Asia settentrionale. 

Se volessimo disegnare alcune mappe a supporto 


che ricordano in modo estremamente significativo la mappa di Donnelly relativamente all'antico regno di Atlantide.


Non è quindi così assurdo pensare che il sapere posseduto da druidi e micmac al di qua e al di là dell'Atlantico, anche a prescindere da tutti i successivi contatti che le precedenti ricerche di Yuri Leveratto, H.Fell, così come quella di molti altri archeologi e ricercatori 'borderline', ai quali va tutto il nostro plauso e la nostra ammirazione, dimostrano già di per sé una storia capace da sola di rivoluzionare il pensiero comune, non è escluso dicevamo che l'origine di tutto questo sia da ricercare in una civiltà madre, comune a entrambe le culture, antecedente alla storia tradizionalmente conosciuta.


Una civiltà che ricordiamo solo nel mito e che, a prescindere dal nome con la quale vogliamo identificarla, esisteva da molto tempo prima che il periodo glaciale di Wurm lasciasse spazio alla nostra era geologica.

Fonti:

giovedì 28 agosto 2014

I Druidi di Atlantide

Che cosa vuole dire la parola "Druido", e quale la sua provenienza? 

Nei testi classici la troviamo solo al plurale: druidai in greco e druidue o druides in latino. Nei testi in antico ir­landese, dnuid è il plurale di dnui..

Il druidismo da sempre è stato un sistema vivo e in costante evoluzione e mutamento, che con il trascorrere del tempo integra in sé influssi provenienti da ciò che gli sta intorno. Non è facile distinguere uno per uno i diversi influssi e non possiamo mai essere sicuri di averli identifi­cati con precisione. Se questo è vero per quanto riguarda il druidismo come complesso di pratiche o credenze, ciò vale anche per la stessa parola "druido". Non tutti gli stu­diosi sono concordi circa la sua etimologia, ma la maggior parte degli esperti contemporanei concordano con gli autori classici nel considerare più probabile un'origine della parola dal termine che significa "quercia" unito alla radice indoeuropea wid, "sapere", consentendo loro di tradurre la parola druido come "colui che ha il sapere del­la quercia", "saggio della quercia". Moltissimi sono gli elementi che corroborano questa etimologia, come pos­siamo notare dalla parola "quercia" nelle quattro lingue sotto indicate:

daur (irlandese, "quercia"- drui "druido"); dervo (gallico, "quercia"); derw (gallese, "quercia"-denvydd "druido"); drus (greco, "quercia")

Anche se a prima vista può sembrare strano che le conoscenze dei druidi fossero limitate a un unico albero, è facile capire che, se questa etimologia è giusta, la quercia sarà stata scelta simbolicamente perchè rappresentasse tutti gli alberi, dal momento che essa era uno dei membri più vecchi, imponenti e riveriti della foresta. Colui che possedeva il sapere della quercia possedeva il sapere di tutti gli alberi. Ulteriore sostegno all'idea che la parola "druido" unisca i concetti di conoscenza e di alberi lo possiamo trovare nel fatto che in irlandese gli alberi sono fid e la conoscenza è fis, mentre in gallese gli alberi sono gwidd e gwiddon è "il conoscitore"; da ciò si può avanzare l'ipotesi che il druido fosse una persona dotata della "cono­scenza degli alberi" o fosse un vero e proprio saggio dei boschi.

Dato che comunemente la parola per indicare questi personaggi è "Druido" spesso è frequente l'interrogativo sul se esistessero anche Druidesse

Un errore che si compie comunemente nel rappresentarsi il druidismo consiste nel pensa­re che esso sia patriarcale. È, sì, vero che quando comin­ciò la rinascita, nel XIX secolo, i gruppi di neo - druidi erano dominati dai maschi, un po' come nel caso della massoneria. Tuttavia, pur essendoci ancor oggi gruppi ancora influenzati dal carattere patriarcale del druidismo della rinascita, è importante rendersi conto che questo non appartiene alla autentica pratica druidica. Sia le narrazioni classiche sia le narrazioni celtiche ci mostrano che accanto ai druidi esistevano delle druidesse, e la leg­ge celtica concedeva la parità alle donne, permettendo lo­ro di scegliersi il marito, di divorziare, di possedere ed ereditare proprietà, di combattere e diventare capi militari, come ben sappiamo dalla storia di Boadicea.

Cercare di capire chi erano i druidi porta ad assistere a una battaglia tra due ideologie, due modi di concepire la vita: quello materialista e quello spirituale. L'in­terpretazione della storia dipenderà dall'ideologia o dalla filosofia cui daremo il primo posto, e finché non avremo ben chiaro come il modo di porsi influenzi l'interpretazio­ne del passato lo studio dei druidi sarà estrema­mente confuso.

La maggior parte dei libri sui druidi hanno messo insie­me materiale storico fattuale e materiale esoterico o speculativo in un modo che sovente è poco chiaro e tale da giustificare l'accusa rivolta ai loro autori dalle autorità ac­cademiche di mescolare fantasia e fatti. Un numero minore di libri si sono limitati al materiale fattuale disponibile e si sono presentati come studi storici oggettivi sui druidi. Ma commetteremmo un grosso errore se pensassimo che questi testi "oggettivi" presentino le cose in modo reale, dal momento che la presa di posizione ideologica dell'autore che a essi soggiace influenza intimamente il modo in cui egli presenterà e interpreterà i suoi dati. 

Per quel che riguarda il druidismo i dati sono particolarmen­te frammentari. Sono sufficienti per formarci un'immagine di chi fossero e di che cosa facessero e in che cosa credessero, ma si tratta di un quadro cosi scarno che siamo costretti a basarci in gran parte su deduzioni, e in questo processo di interpretazione dei dati saremo guidati dal nostro modo di porci filosoficamente nei confronti della vita: la nostra concezione di chi sia realmente l'uomo e perché egli sia al mondo.

Chi erano i druidi?

Da dove venivano i druidi? Alcuni dicono da Occidente, altri da Oriente. Alcuni vogliono che essi ab­biano avuto origine in Atlantide, a Occidente, altri ipotizzano che i druidi quali noi li cono­sciamo dai testi classici siano il prodotto della fusione di una cultura neolitica locale con i Celti sopraggiunti da Oriente.

La storia esoterica delle radici del druidismo è bella e affascinante. I maghi di Atlantide avevano svelato i miste­ri della natura ed agivano in armonia con la sua potenza. Ma vi furono alcuni che usarono questa stessa potenza per i propri fini, allo scopo di dominare e manipolare gli altri. "La Guerra di Atlantide fu la guerra della magia bianca contro quella nera, tra coloro che vedevano nella Natura la grande Madre Divina degli uomini e usavano i suoi doni per il benessere del genere umano, e quelli che vedevano nella Natura la Tentatrice Satanica, che faceva offerte di oscuro dominio e crude­le potenza" (Eleanor Merry). 

Quando la catastrofe si abbatté su Atlantide, i signori oscuri si inabissarono mentre cercavano di tenersi stretti al loro potere temporale. I saggi bianchi, invece, dotati di conoscenze superiori e di una più profonda fede nella supremazia della ricchezza spirituale su quella ma­teriale, si misero in viaggio sia verso Oriente sia verso Occidente. A Ovest, essi sbarcarono sulle coste americane, a Est sulle spiagge irlandesi e sulle coste occidentali della Gran Bretagna.

Se accettiamo questa teoria sulle origini dei primi druidi, saremo in grado di renderci conto più agevolmente del motivo per cui esistono così tante impressionanti somiglianze tra le dottrine e le pratiche degli Indiani d'America e quelle dei druidi.

Nelle fonti letterarie antiche non esistono testimonian­ze che accennino alla provenienza da Atlantide dei druidi. Tuttavia, nella tradizione celtica trovano posto inondazio­ni catastrofiche, e nel Libro Nero di Camarthe, per esempio, una fanciulla di nome Mererid porta allo scoperto "la fontana di Venere" dopo essere stata stuprata da Seithen­nin. Dopodiché l'acqua della fonte ricoprì la Terra.

In Gran Bretagna si narra la storia di Ys inghiottita dal­le acque. La malvagia figlia del re praticava la magia nera, e impossessatasi della chiave che il padre teneva al collo e che apriva la diga che proteggeva Ys dal mare, riuscì a far sprofondare il regno e se stessa allo stesso tempo.

Ambedue questi racconti, come pure alcune antiche storie del Graal, parlano degli stessi fatti accaduti ad Atlantide: una violenza fatta alla natura il cui esito è lo scaturire delle acque che inondano le terre. Lo stupro della vergine Mererid, per esempio, può essere visto come un'immagine mitica della violenza fatta alla natura dai maghi di Atlantide dediti alla magia nera. Il fatto che la violenza scateni al­lagamenti incontrollabili ben si adatta dal punto di vista simbolico, perché ciò che sfrutta le terre è la consapevolezza analitica maschile non addomesticata dall'unione con il femminile, ed è la potenza vendicatrice del femminile, simboleggiata dalle acque, che è costretta a sommergere l'insensibile maschile. Ed è strano osservare come oggi la storia sembri sul punto di ripetersi, con le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari che innalzano il livello dei mari in risposta alla nostra violenza sulla biosfera.

Nel Lebor Gabala Érenn (Libro della conquista dell' lrlan­da) si parla del diluvio biblico, ma Caitlín Matthews ha avanzato l'ipotesi che per questa e per altre storie "sia forse a qualche vaga reminiscenza di Atlantide e della fan­ciulla a guardia della fonte che si ispirarono alcune delle storie nel loro aspetto primitivo" Quel che è certo è che la tradizione celtica parla di sei razze che sono giunte in Irlanda dall' "al di là della nona onda" (l'estremo confine delle terre al di là del quale si stendono i mari neutrali) La Compagnia di Cessair, la Compagnia di Partholon, il Popo­lo di Nemed, i Fir Bolg, i Tuatha de Danaan e i Milesii. Il Libro della conquista dell'lrlanda fa una cronaca delle in­vasioni di queste sei razze, cercando di integrare memorie dei bardi e tradizione biblica, facendo di Cessair la nipote di Noè. Ma sono i Tuatha de Danaan, i Figli di Danu o Dana, la razza divina che ha preso dimora nelle vuote colline del sidhe al sopraggiungere dei Milesii, quelli che alcuni esoteristi identificano negli stessi Atlantidi.

Coloro che sostengono l'origine del druidismo da Atlan­tide avanzano l'ipotesi che, mentre alcuni degli emigrati dalle Terre Lucentie si sarebbero stabiliti in Irlanda e Gran Bretagna, altri avrebbero proseguito alla volta del­l'Asia e dell'India, alcuni attraverso un percorso più set­tentrionale, altri attraverso un percorso più meridionale. In seguito, i discendenti di questi emigrati sarebbero rifluiti da est a ovest, ed è, secondo loro, questa seconda migrazione quella che venne scelta da alcuni storici essoterici per concentrarvi la loro attenzione riguardo alle origini del druidismo.

Lasciando da parte la teoria delle origini da Atlantide, la cui accettazione è a discrezione di ciascuno, possiamo ora rivolgerci alle teorie più convenzionali sull'origine dei druidi, che sono basate più su fonti di informazione storiche essoteriche che non su fonti esoteriche o chiaroveg­genti. Dell'esistenza dei druidi siamo a conoscenza me­diante le opere degli autori classici. La prima menzione dei druidi si ebbe in due opere distinte risalenti rispettiva­mente al 200 a.C. e al 400 a.C. circa, che sfortunatamente sono andate perdute. 

Nel III secolo d.C., Diogene Laerzio, nella prefazione delle sue Vite dei Filosofi, menziona il fat­to che i druidi erano stati descritti in un libro del greco Sozione di Alessandria e in un trattato sulla magia attri­buito ad Aristotele. Gli storici ritengono plausibile l'esistenza del libro di Sozione, scritto nel II secolo a.C., men­tre considerano apocrifa l'opera di Aristotele del IV secolo a.C. Se si ammette una concezione mitica o poetica delle origini dei druidi, non stona né il non poter essere sicuri se la più antica registrazione di questa tradizione sia realmente esistita né il fatto che la seconda attestazione in or­dine di tempo esista sì, ma non in una biblioteca bensì nell'intangibile mondo in cui viene registrato solo il ricor­do della sua esistenza, più di cinquecento anni dopo che essa era stata messa per iscritto. In questo modo, la no­stra conoscenza del druidismo emerge dal regno dell'i­gnoto facendosi strada un po' alla volta più che manife­starsi all'improvviso in noi in un flusso di consapevolezza.

Prime attestazioni

La più antica attestazione dei druidi che non sia andata perduta ci è fornita da Giulio Cesare nel sesto libro del De bello gallico, scritto intorno al 52 a.C. Successivamen­te troviamo che parlano dei druidi numerosi autori clas­sici tra cui, Cicerone, Strabone, Diodoro Siculo, Lucano, Plinio e Tacito , fino al 385 d.C., quando Ausonio scrisse per i professori di Bordeaux una raccolta di odi, tra le quali vi è la storia di un vecchio di nome Febicio, della stirpe bretone dei druidi, che riuscì a ottenere una cattedra a Bordeaux grazie all'intervento di suo fi­glio. L'opera degli autori classici getta un po' di luce anche se in modo incompleto su ciò che facevano e in cui credevano i druidi.

Ma le maggiori fonti di informazione scritte che si possiedono sui druidi vengono dall'Irlanda, dal Galles e dalla Scozia, anche se esse sono cronologicamente molto più tarde delle fon­ti classiche, e quindi presentano già di per sé problemi particolari al momento di interpretarle. I testi irlandesi partono dall' VIII secolo d.C., quelli gallesi vennero nel complesso messi per iscritto solo in epoca medievale, e i materiali scozzesi rimasero allo stadio di tradizioni orali fin verso la fine del XIX secolo, quando gli studiosi di tra­dizioni popolari cominciarono a registrare per iscritto i tesori che essi contenevano.

I testi irlandesi sono considerati "un frammento straordi­nariamente arcaico di letteratura europea", che rispec­chiano "un mondo più antico di quello di qualunque altra letteratura popolare dell'Europa occidentale". Essi com­prendono perlopiù racconti di eroi e compendi di codici di leggi, e ancorché trascritti da ecclesiastici cristiani, si può osservare come essi riproducano un quadro affidabi­le di quel mondo druidico precristiano d'Irlanda che esisteva prima dell'introduzione del cristianesimo nel V secolo d.C..

I testi gallesi, come quelli irlandesi, sono la versione scritta di materiali originariamente tramandati per via orale. Messo per iscritto molto più tardi dei componimen­ti irlandesi, il Corpas di testi gallesi comprende il Libro Bianco di Rhydderc1z (Gwvn Rhydderc), la cui stesura risale al XIV secolo circa e il Libro Rosso di Hergest (Llyfr Coch Hergest) del XV secolo circa. 

È dal Libro Rosso che sono tratte le ben note fiabe del Mabinogion, e una parte delle fiabe di questa raccolta si trovano anche nel Libro Bianco: il che prova che esse vennero messe per iscritto per la prima volta tra il 1100 e il 1250. Un altro importan­te manoscritto gallese, che racchiude molte delle nostre conoscenze attuali sulla sapienza druidica, è il Libro di Taliesin (Hanes Taliesin). Esso risale a un'epoca ancora più recente, essendo la copia, redatta nel XVII secolo, di un manoscritto del XVI. Un'ulteriore fonte di conoscenze sui druidi e sulla loro opera ci può venire dalle Trindi Cal­lesi, che sono il risultato dell'unione di molte fonti mano­scritte. Esse ci permettono di vedere da vicino qual era il complesso percorso dell'addestramento dei bardi, e dalla loro forma nitida possiamo intravedere la profondità del pensiero bardico e druidico.

Il materiale scozzese, si potrebbe pensare, non dovreb­be avere una grande affidabilità come fonte di informa­zione sui druidi, dal momento che è stato messo per iscritto solo nel XIX e nel XX secolo. Tuttavia, questo ma­teriale, che comprende la cospicua raccolta fatta da Alexander Carmichael e pubblicata in sei volumi tra il 1900 e il 1961 con il titolo Carmina Gadelica, non fa che convalidare la visione del nostro retaggio precristiano quale era stata ricavata dalle fonti precedenti, classiche, irlandesi e gallesi. Esso rappresenta anche la testimonian­za vivente della capacità straordinaria che le tradizioni culturali e spirituali hanno di sopravvivere per migliaia di anni venendo semplicemente trasmesse da bocca a orec­chio. È vero che tutte queste fonti di informazione di cui disponiamo sono state influenzate, con il passar del tem­po, dal cristianesimo e da influssi continentali, quando i bardi gallesi e cornovagliesi fuggirono in Bretagna al mo­mento delle invasioni sassoni, ritornando con canzoni e storie modificate. Ma nonostante questi influssi, la forma e la sostanza originarie precristiane di questi materiali è chiaramente individuabile, e si può affermare che il cor­pus di materiale di cui si dispone per comprendere il drui­dismo è veramente enorme. A tutt'oggi i tesori che esso racchiude non sono ancora stati pienamente indagati e valorizzati.

Dati archeologici

Le nostre conoscenze riguardo ai druidi possono essere incrementate, ancorché non di molto, attraverso lo studio di iscrizioni, incisioni e sculture. Il materiale epigrafico disponibile consiste in circa 360 iscrizioni ogamiche, ritrovate principalmente su pietre tombali nel Sudovest dell'Irlanda e in Galles, che risalgono al V e VI secolo d.C., e in circa 374 iscrizioni, ritrovate soprat­tutto in Gallia, con dediche a dei o dee, anche se esse ri­salgono quasi esclusivamente all'epoca in cui la Gran Bre­tagna e la Gallia appartenevano all'Impero romano. Il materiale iconografico è costituito da sculture e incisioni, sia in legno sia in pietra, raffiguranti persone e animali e risalenti al VI secolo a.C. Questi due tipi di testimonianze, quella epigrafica e quella iconografica, diventano illumi­nanti se poste nel contesto che ci è fornito dai dati testua­li corroborati dalle scoperte nel campo dell'archeologia,

degli studi linguistici e della mitologia comparata. Pas­sando a considerare queste testimonianze, ci addentria­mo in un campo di studio ricco ed entusiasmante, che nell'ultimo ventennio ci ha consentito di formarci un qua­dro del druidismo che fa pensare a una continuità di tra­dizione che dall'era neolitica si è protratta per tutto il pe­riodo celtico.

Comunità agricole neolitiche risalenti al 4500 a.C. sono state individuate nel Sud della Gran Bretagna e in Irlan­da, e a nord, fino alle Orcadi, al 3500 a.C. Furono queste comunità "dell'età della pietra" che costruirono i monu­menti megalitici ed eressero i loro numerosi monumenti di pietra nel corso di circa duemilacinquecento anni, tra il 3500 e il 1000 a.C.

Quanti tra noi si erano fatti l'idea che questi nostri an­tenati neolitici fossero dei "rozzi selvaggi" sono stati co­stretti a rivedere radicalmente il loro modo di pensare alla luce delle scoperte, di cui fu pioniere, Sir Norman Lockyer agli albori del XX secolo, ma che hanno avuto un pieno sviluppo solo negli ultimi vent'anni grazie alla mi­nuziosa opera di analisi computerizzata dei professori Thom, Hawkins e Atkinson. Quest'opera ha dimostrato che i circoli di pietre e altri monumenti della popolazione neolitica furono eretti servendosi di conoscenze matema­tiche sorprendentemente sofisticate, il che dimostra che i nostri antenati illuminati possedevano una conoscenza "pitagorica" della matematica più di mille anni prima della nascita di Pitagora.

Resti megalitici sotto forma di tumuli sepolcrali, pietre erette e circoli di pietre sono stati ritrovati in ogni parte del mondo: in Tibet, Cina, Corea e Giappone, nelle isole del Pacifico, Malesia e Borneo, in Madagascar, India, Pakistan ed Etiopia, nel Medio e nel Vicino Oriente, in Africa e nelle Americhe.

Quello che è certo, comunque, è che i monumenti megalitici dell'Europa occidentale sono tra i più antichi del mondo. La datazione con il carbonio 14 situa la maggior parte di essi tra il V e il II millennio a.C. E dal momento che essi sono più antichi dei monumenti trovati in Africa o in Asia, nel Vicino o nel Medio Oriente, non possono es­sersi "propagati" a partire dal Sud o dall'Est.

Chi erano i Celti?

Le origini dei Celti sono altrettanto difficili da determina­re e provocano tante discordie accademiche quanto le ori­gini dei druidi. La conclu­sione di molti storici è che termine "Celti" non sia il nome proprio di una popo­lazione ... ma sia stato attribuito dai geografi classici a una grande varietà di tribù barbare, anche se non si nega che sia esistito un gruppo linguistico che a partire dal XIX secolo è stato chiamato "celtico", né che sia possibile effettuare significative osservazioni archeo­logiche riguardo alla cultura materiale e al modo di vita nei singoli momenti e luoghi. Ma que­ste percezioni diverse e legittime non andrebbero confuse mescolandole tutte in uno stesso insieme etichettato co­me "celtico".

Consapevoli di queste premesse, probabilmente gli antenati dei Celti erano i popoli della cultura dei Vasi Campaniformi (Beaker-folk), originari dell'Europa centrale o dell'Iberia nel III millennio a.C., e quelli della cultura delle Asce da Combattimento che quasi certamente mi­grarono dalle steppe della Russia meridionale più o meno nello stesso periodo. La fusione di queste popolazioni nelI'Europa centrale intorno al II millennio a.C. diede origi­ne alle culture successive note come culture di Unjetice, dei Tumuli e dei Campi di Urne. Alcuni studiosi sostengo­no che sul finire del II millennio a.C. la cultura dei Campi di Urne può essere considerata "protoceltica". A partire dal 700 a.C. circa, la cultura di alcuni dei discendenti dei popoli dei Campi di Urne è stata denominata cultura di Hallstatt, che può essere considerata con una certa sicurezza celtica in opposizione a quella protoceltica. La cul­tura di Hallstatt può essere seguita solo per 200 anni, dopodiché essa lasciò il posto alla cultura di "La Tène" che si protrasse fino all'arrivo dei Romani.

Ma se consideriamo antenati dei Celti anche i popoli delle culture dei Vasi Campaniformi e delle Asce da Com­battimento, e li chiamiamo, come fanno alcuni studiosi, "proto-Celti", allora possiamo far risalire l'arrivo dei proto-Celti in Gran Bretagna già intorno al 2000 a.C., dal mo­mento che fin da tale epoca sono stati identificati siti di cultura dei Vasi Campaniformi nelle Isole Britanniche.

Il professor Renfrew si schiera contro questa teoria, so­stenendo che, anche se essa viene preferita dagli archeo­logi del continente, la maggior parte degli archeologi (britannici) oggi non pensa in termini di immigrazione, in qualsivoglia misura, di portatori di vasi campaniformi. Al contrario Renfrew, in un'opera recente che descrive gli studi di linguistica storica, preferisce una teoria sulle ori­gini indoeuropee che era già in voga nel XIX secolo ma che ora egli ripresenta con le opportune modifiche e mes­se a punto. Le sue argomentazioni sono complesse e raffi­nate, e andrebbero studiate sull'originale. Ma sono convincenti. Egli non si rifà a un modello migrazionista, pur avanzando l'ipotesi che, grosso modo prima del 6000 a.C., nella parte orientale dell'Anatolia si trovassero popolazio­ni parlanti lingue progenitrici di tutte le lingue indoeuro­pee, e che intorno al 4000 a.C. i più antichi parlanti lingue indoeuropee avrebbero raggiunto l'Europa e forse anche la Gran Bretagna.

I Celti vengono considerati discendenti da questi In­doeuropei. A partire dal 6000 a.C. essi si erano diffusi dalla loro sede originaria sia in direzione est sia in direzione ovest, raggiungendo a Occidente la Gran Bretagna e l'Ir­landa, e a Oriente l'India. Gli studi di mitologia comparata hanno evidenziato che la letteratura sanscrita ci tramanda antichi riti indiani assai simili a quelli che si ritrovano nell'Irlanda celtica, e che si possono istituire impressionanti paralleli tra alcune divinità indù e gli dei celtici.

Gli storici erano soliti sostenere che i Celti erano giunti nelle Isole Britanniche a ondate successive a partire dal 500 a.C. circa, e che quindi i druidi, essendo Celti, non po­tevano avere costruito i circoli di pietre. Gli appassionati di antichità della rinascita druidica del XVIII secolo e i moderni Ordini druidici che sostenevano che i druidi pra­ticavano il loro culto in località come Stonehenge veniva­no scherniti dagli accademici convinti che invece gli ulti­mi circoli di pietre costruiti fossero anteriori di oltre cinquecento anni all'arrivo dei Celti. Tuttavia, i dati che sono oggi in nostro possesso mostrano che i druidi della rinascita e quelli moderni avevano ragione riguardo ai lo­ro predecessori, sia che si pensi alla comparsa in Gran Bretagna dei proto-Celti intorno al 2000 a.C., con la cultu­ra dei Vasi Campaniformi, sia che si pensi a un loro arrivo in epoche ancora anteriori, con gli Indocuropci, come ipotizza Colin Renfrew.

Ma approfondire l'argomento oltre l'analisi storica delle origini del drui­dismo è impresa che va al di là di ogni limite, poichè ogni aspetto della sua storia più antica dà adito a controversie.

Quanto tempo occorreva per diventare Druido

Non possiamo essere certi del tempo esatto occorrente, ma Cesare accenna al fatto che occorrevano vent'anni per diventare Druidi, ma poteva anche trat­tarsi di una cifra convenzionale, per indicare semplice­mente un lungo periodo di tempo, e che in realtà doveva­no occorrere diciannove anni, dal momento che i druidi quasi sicuramente facevano riferimento al Ciclo di Me­ton, un sistema di computo del tempo basato sul ciclo lu­nare di diciannove anni. Sembra comunque che, qualun­que fosse la lunghezza complessiva dell'addestramento, essa dovesse comprendere anche il periodo impiegato per raggiungere i gradi anteriori di bardo e ovate.

Se il bardo era il poeta, il conservatore della tradizione e l'intrattenitore, mentre l'ovate era il medico, il detective, l'indovino e il veggente, che cos'era il druido? Per riassumere le sue fun­zioni, si può dire che fungeva da consigliere di re e gover­nanti, da giudice, da maestro e da autorità in fatto di cul­to e cerimonie. Il quadro che ne risulta è quello di una saggezza matura, di una posizione ufficiale privilegiata, e di un ruolo che comporta prendere decisioni, dirigere e impartire conoscenza. Tendiamo a pensare al druido co­me a una specie di sacerdote, ma questo non è provato dal materiale disponibile. I testi classici non li descrivono mai come sacerdoti, bensì come filosofi. A prima vista questo sembra originare qualche confusione, dal momen­to che sappiamo che essi presiedevano cerimonie, ma se ci rendiamo conto che il druidismo era una religione na­turale, terrestre o solare, in contrapposizione a una reli­gione rivelata, come il cristianesimo o l'islamismo, possiamo concludere che essi non fungevano da mediatori tra Dio e l'uomo, bensì da registi dei rituali, da sciamani che guida­no e controllano i riti.

I Druidi in quanto giudici
"I druidi sono considerati i più giusti tra gli uomini e per­tanto a loro viene affidato il compito di giudicare le contro­versie private e pubbliche. Un tempo dovevano anche funge­re da giudici arbitrali in caso di guerra e avevano la facoltà di fermare i combattenti nell'attimo in cui costoro si accinge­vano ad allinearsi per la battaglia, ma, soprattutto, si de­mandava loro il giudizio nei processi per omicidio". - Strabone, Geographia -
"Sono chiamati a decidere in quasi tutte le controversie pubbliche e private e se viene commesso qualche delitto, se awiene qualche uccisione, se sorge una lite per un'ere­dità o per la delimitazione di terreni, sono i druidi a deci­dere e a stabilire i risarcimenti e le pene. E se qualcuno, sia che si tratti di un cittadino privato o di un intero popolo, non si attiene al loro giudizio, lo bandiscono dalle funzioni del culto, il che è la pena più grave, presso i Galli".
- Cesare, De belto gallico -

È sempre stato tramandato all'interno dell'Ordine che i druidi non fossero responsabili dei sacrifici umani men­zionati dagli autori classici. Se prendiamo in considera­zione i racconti sui famosi uomini di vimini (gigantesche sagome di legno in forma umana al cui interno criminali e altri sarebbero stati dati alle fiamme) vedremo che uno studio accurato di quanto ci dicono gli autori classici per­metterà di stabilire se siano o meno affermazioni basate su fatti reali.

Nel brano di Cesare sopra citato, egli osserva che la pe­na più severa comminata dai druidi era l'ostracismo. In una società altamente strutturata, la posizione, l'immagi­ne, la condizione e la reputazione erano di vitale impor­tanza per l'individuo. In molte società perdere la faccia era, e ancor oggi è, la punizione più temibile. La ferita inferta dal­l' ostracismo era una ferita dell'anima, non del corpo. Pe­netrava nel cuore stesso di quello che ciascuno riteneva di essere al mondo. Cesare non afferma che la punizione più grave per i druidi fosse l'essere sacrificati o bruciati vivi, asserisce invece che la loro punizione più severa consiste­va nell'escludere la persona trovata colpevole dalla parte­cipazione ai sacrifici (in altre parole, le cerimonie religio­se, che probabilmente comportavano sacrifici di animali). Quando si era banditi dalla partecipazione all'attività spirituale e sociale centrale per la tribù, la punizione era vera­mente severa, si era dei reietti, e probabilmente si diventava anche capri espiatori, per non parlare dell'intima tortura del proprio io, della vergogna e della derisione della tribù. Un simile ostracismo era una punizione spa­ventosa, inconcepibile per il modo di pensare individuali­sta di oggigiorno.

Lo spiega Cesare: "Quelli che sono a questo modo banditi sono considerati empi e scellerati; tutti si allontanano da loro, evitano di incontrarli e di par­lare con essi, per non essere contaminati dal loro contat­to".

L'Irlanda non venne mai conquistata dai Romani ma anche in questo paese troviamo ulteriore materiale a sostegno dell'idea che la punizione più severa dei druidi fosse l'ostracismo, se studiamo le antiche leggi d' Irlanda, che risalgono direttamente alla legge druidica. La puni­zione più pesante era il bando: per esempio, coloro che avevano commesso incesto od omicidio venivano gettati in mare in una rudimentale imbarcazione di vimini con null'altro che un coltello per potere badare a se stessi. Se ne uscivano vivi, avevano salva la vita: avevano affrontato il giudizio degli elementi e il tormento di essere dei reietti e avevano rischiato la morte, in tal modo si consideravano sufficientemente purificati. Certo, essi dovevano conosce­re molto bene le maree, perché nessuno doveva augurarsi di vedere un assassino rigettato sulla spiaggia nel giro di un'ora e con un coltello in mano. I cinici direbbero che si trattava di un semplice scaricabarile, con ogni comunità che sospingeva i propri criminali verso quella più vicina in direzione della corrente. Chi conosce il mare e i suoi pericoli saprà che molti dovevano senz'altro perire se messi in acqua in determinati luoghi e in determinati momenti.

Se la punizione più severa comminata dai druidi era il bando o l'esilio, sia in senso letterale, con il colpevole gettato in mare, sia in senso sociale e psicologico come nel caso di chi era bandito dagli atti di culto, perché troviamo i druidi associati a sacrifici umani? Torniamo a leggere Cesare e il suo De bello gallico:
"I Galli sono molto dediti alle pratiche religiose, perciò quelli che sono gravemente ammalati o si trovano in guer­ra o in pericolo, fanno sacrifici umani o fanno voto di im­molarne e si servono dei druidi come ministri di questi sa­crifici ... certe popolazioni costruiscono statue enormi, fatte di vimini intrecciati, che riempiono di uomini vivi e incendiano, facendoli morire tra le fiamme."

In entrambi i casi sono i Galli, e non i druidi che immo­lano o fanno voto di immolare. Nella frase in cui si parla delle statue di vimini non si parla affatto dei druidi. Nella frase precedente si sostiene che i Galli impiegavano i druidi come ministri di questi sacrifici. Fino all'abolizio­ne della pena di morte, in Gran Bretagna si sono impiega­ti sacerdoti cristiani come ministri quando i condannati venivano impiccati. Ed ancor oggi vediamo le forze arma­te impiegare ministri del culto cristiani quando si ingag­gia una battaglia e a migliaia i soldati vengono sacrificati al Dio della Guerra. I druidi erano i saggi della società barbarica dei Celti, e la religione dei Celti era an­che la loro religione, con tutti i suoi lati crudeli.

I Druidi in quanto maestri
«Presso di loro si raccoglie per istruirsi un gran numero di giovani ed essi sono tenuti in grande onore... Attirati da cosi grandi privilegi (l'esenzione dal servizio militare e dal­la tassazione di guerra) molti giovani di loro volontà si re­cano da loro per esserne discepoli e molti sono mandati dai genitori e dai parenti. Da loro, a quanto pare, debbono imparare a memoria un gran numero di versi; per molti il tempo del noviziato dura vent'anni. Non ritengono lecito scrivere i loro sacri precetti; invece per gli altri affari, sia pubblici sia privati, usano l'alfabeto greco."
Cesare, De bello gallico

A giudicare tanto dalle fonti classiche che da quelle irlan­desi, appare chiaro che una delle principali funzioni del druido era quella di maestro. Ciò comprendeva l'insegna­mento sia a un livello esoterico sia a un livello essoterico. Per aiutarci a farci un'immagine di come doveva vivere e operare un druido, Caitlín Matthews propone l'immagine del rabbino ebreo. Egli, o essa, era «un uomo o una don­na sapiente il cui consiglio era ricercato per tutte le que­stioni della vita di ogni giorno, qualcuno che magari eser­citava un'arte, che era sposato e aveva una famiglia, che radunava la gente per le celebrazioni comunitarie e la cui parola era legge. 

Proprio come i rabbini hassidici che pra­ticavano la Kabbalah ed erano conosciuti come veggenti e operatori di miracoli, anche i druidi erano persone dalle capacità eccezionali. Dai vari resoconti celtici troviamo che un druido aveva di solito uno o più studenti addetti al suo seguito o alla sua casa. Allo stesso modo, per tornare al nostro parallelo ebraico, un rabbino gestiva spesso una scuola talmudica per un numero di allievi che poteva es­sere sia di poche unità sia piuttosto elevato. Analogamen­te gli allievi druidi imparavano dai loro maestri».

Mentre alcuni druidi potevano avere anche solo due o tre discepoli che vivevano con loro, in cambio, presumi­bilmente, di un aiuto nella gestione della casa, altri riuni­vano intorno a sé un numero di allievi sufficiente per co­stituire un vero e proprio collegio druidico. Nell'Ulster, per esempio, si tramanda che Cathbad, un druido del re Conchobar, era circondato da un centinaio di discepoli.

Che cosa dovevano imparare? Proprio come, in epoche successive, gli ordini monastici divennero centri di cultu­ra, si facevano carico di tutta la gamma dell'istruzione, dall'insegnamento della cultura generale a quello della filosofia, dall'insegna­mento del diritto a quello della magia, dall'insegnamento delle arti di guaritore all'insegnamento dell'ordine esatto delle cerimonie. Sappiamo anche che i druidi fungevano da tutori dei figli dei re e dei nobili, e che gli allievi veniva­no mandati da un maestro druido a un altro per apprende­re le diverse arti. 

Uno degli argomenti a sostegno dell'ipo­tesi che il druidismo abbia avuto origine in Gran Bretagna con la fusione della tradizione celtica e del clero preesi­stente della cultura megalitica sta nel fatto che gli allievi venivano mandati dalla Gallia in Gran Bretagna per essere addestrati nel druidismo. Essi venivano inviati all'autenti­ca sorgente della cultura druidica, per immergersi in tale fonte. Cesare fornisce un sostegno a questo modo di vedere quando afferma: "È opinione comune che l'organizzazio­ne dei druidi sia originaria della Britannia e di li sia passa­ta in Gallia e ora chi vuole approfondirne lo studio, si reca perlopiù in tale isola, allo scopo di apprendere".

È allettante pensare che il sistema educativo anglosas­sone, come pure il sistema inquirente e giudiziario, ab­biano le loro radici nel druidismo. Un giorno probabil­mente vedremo la statua di un druido eretta fuori dalla sede di Scotland Yard o dal tribunale sullo Strand, op­pure un murale nell'anticamera del ministero della Pub­blica istruzione con la raffigurazione di un druido che sta insegnando all'interno di un Bosco sacro.

I Druidi in quanto re e consiglieri dei Re.

È provato che alcuni re furono anche druidi. Il druido Ai­lill Aulomon fu re del Munster nel I secolo d.C., e si tra­manda che tre re druidi regnavano sull' "isola di Thule". Thule era il nome con cui spesso ci si riferiva all'Islanda, e abbiamo così la suggestiva possibilità che l'Islanda fosse un tempo un regno retto da druidi, molto prima della conquista vichinga. La storia ufficiale dell'Islanda afferma che i primi coloni normanni, quando vi posero piede nell'874 d.C., vi trovarono e portarono via con sé alcuni isolati eremiti irlandesi, che vi erano arrivati passando per le isole FaerOer. Ma una recente indagine sui gruppi sanguigni islandesi mostra che essi hanno una maggior somiglianza con quelli dell'Irlanda che con quelli della Scandinavia. 

Questo ci porta a concordare con quegli sto­rici che sostengono che l'Islanda fosse di fatto già stata colonizzata dai Celti assai prima che arrivassero i Vichin­ghi. Questa rivendicazione si rafforza quando osserviamo che l'unica fonte di informazione manoscritta in nostro possesso riguardo alla cosmologia pagana nordica, l' Ed­da, fu scritta in Islanda e non in Scandinavia. Il mano­scritto presenta notevoli somiglianze con gli antichi ma­noscritti irlandesi dello stesso periodo, ed è forte la tentazione di immaginarsi i Vichinghi d'Islanda assistiti nel registrare la loro cosmologia da druidi irlandesi o da loro discendenti..

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