sabato 31 ottobre 2015

Scienza e fede nel cinema di fantascienza. Star Trek e Star Wars a confronto

Questo saggio vuole mettere a confronto le due più celebri saghe fantascientifiche che la Settima Arte abbia mai partorito: Star Trek e Star Wars[1]. Ci concentreremo su di un aspetto che la saggistica italiana non ha finora approfondito, ovvero il ruolo che la fede e la scienza ricoprono nel 'concept' di queste due opere.
 
Infatti, se SW incarna l’eterno conflitto tra il Bene e il Male, donando all’aspetto trascendente un ruolo assolutamente di primo piano, ST si attesta invece come una opera di stampo positivista, lasciando pochissimo spazio alla questione religiosa, la quale viene esclusivamente giudicata da un punto di vista meramente antropologico, dunque ridotta a semplice rito e mai riconosciuta come elemento base di una civiltà.
 
Sono state volutamente escluse dalla analisi le numerose fanzine e prozine dedicate alle due saghe, per favorire una riflessione meno legata a un mero nozionismo, tipico di queste pubblicazioni.
 
Sappiamo che il tema in questione è vasto almeno quanto le opere che andremo ad analizzare, tuttavia ci auguriamo di poter individuare quelle che possiamo a buona ragione considerare le due anime portanti della fantascienza[2], e in fondo del fantastico più in generale: da una parte la lotta dell’uomo contro le sue debolezze, incarnate da un demone o, come nel nostro caso, da un Lato Oscuro, dall’altra la sempiterna sfida di alcuni moderni Ulisse, i quali si spingono verso luoghi ignoti alla ricerca della conoscenza.
 
Ricordiamo inoltre che da sempre la fantascienza ha come caratteristica quella di essere un genere contenitore, ovvero di proporre, oltre al tema pseudoscientifico, questioni che vanno dalla politica alla sessualità; persino rivisitare generi come la commedia o il dramma epico. Il passo è breve per capire quanto le tematiche politico-religiose abbiano rivestito un ruolo cruciale in questo tipo di storie, come afferma Jean Gattégno nel suo importante saggio dedicato proprio alla fantascienza: “Come qualsiasi tipo di letteratura, anche la SF trasmette una certa ideologia. Le correnti scientifiche del secolo vi si sono riflesse fedelmente. Come le correnti politiche, beninteso”[3].
 
SW è una saga cinematografica partorita dalla fervida fantasia di George Lucas. Essa, creta negli anni '70, è una delle poche serie cinematografiche della space opera che abbia oltrepassato indenne i decenni, giungendo fino al Terzo Millennio. Inizialmente composta da una trilogia, si è poi ampliata tra il 1999 e il 2005, diventando un'esalogia. Il primo film della serie, intitolato semplicemente Guerre Stellari, uscì il 25 maggio 1977  negli Stati Uniti d'America. La storia di Guerre Stellari si compone dunque di due trilogie: la prima detta Trilogia Originale e realizzata a cavallo tra gli anni '70 e gli anni '80, mentre la seconda va dal 1999 al 2005.  
                                                                         
Un episodio epitome della caduta dell’uomo
 
Per quanto concerne il nostro studio, ricopre una importanza primaria il film Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith (2005), diretto da Lucas. Si tratta del sesto e ultimo film, in ordine di produzione, della serie, nonché il fondamentale anello di congiunzione tra la 'Nuova trilogia' (episodi I, II, III) e quella che viene solitamente definita "Trilogia originale" (episodi IV, V, VI). Differentemente dalle prime due pellicole, indirizzate a un pubblico più giovane (segnatamente l’Episodio I: La minaccia fantasma, 1999), La vendetta dei Sith si contraddistingue per avere le atmosfere più cupe e drammatiche della intera saga.
 
Attraverso la riflessione sul dramma del giovane Anakin Skywalker, si possono comprendere quasi tutti gli aspetti fondamentali legati al contesto religioso in SW. La storia si apre con lo scontro tra ribelli e separatisti in pieno svolgimento, con la battaglia che infuria sui cieli del pianeta-capitale Coruscant. Il generale androide Grievous ha colpito al cuore della Repubblica rapendo il Cancelliere Palpatine. Obi-Wan Kenobi, insieme al suo indisciplinato quanto dotato discepolo Anakin, penetra nella nave ammiraglia dei separatisti, per liberare Palpatine, cosa che riuscirà a fare, senza però evitare lo scontro con il conte Dooku.
 
Proprio durante questo duello, che porterà Anakin a giustiziare senza pietà l’ennesimo jedi sedotto dal Lato Oscuro, si palesa la dichiarazione di intenti della pellicola e di tutta la saga di Guerra Stellari: la rabbia e il rancore, in questo caso di Anakin nei confronti di Dooku, che durante il loro primo “incontro” gli amputò la mano, sono la porta per il male. Ricordiamoci questo episodio, poiché esso è un po’ l’essenza di SW: l’incontinenza dell’animo umano quando abbandona fede e fratellanza, quando cioè pensa solo a se stesso e ai suoi drammi o ,come nel caso di ST, ai traguardi da raggiungere e alle nuove scoperte da fare.
 
Tornando alla trama della pellicola, dopo la sua liberazione, la condotta di Palpatine desta viva preoccupazione nel Consiglio degli Jedi, dove viene deciso di inviare proprio Skywalker in qualità di 'spia' presso il cancelliere. Decisione quanto mai sventurata, poiché segnerà l’ennesima vittoria di un fenomeno antico quanto l’essere umano stesso: la seduzione del male. Le parole di Palpatine lusingano e ingannano nel contempo il giovane jedi, facendo leva sulla natura stessa del male, ovvero la paura, il terrore di perdere quello che si ama.
 
Anakin accetta di farsi corrompere, credendo ingenuamente di impedire in tal modo ciò che per lui sarebbe inaccettabile, ovvero la morte dell’amata Padmè e del figlio (o meglio figli) che porta in grembo. La frustrazione di Skywalker viene anche alimentata dallo scetticismo del Consiglio dei Jedi, che lo giudica troppo immaturo per farne parte. Mentre Obi-Wan si dirige verso Utapau, dove i cloni hanno localizzato il rifugio personale di Grievous, la corruzione di Anakin è ormai quasi completa. Palpatine percepisce sempre più chiaramente il conflitto che dilania l'anima del giovane Skywalker tra la fedeltà al codice dei jedi e il terrore di perdere Padmè, come avvenne anni prima con l'amata madre. Tuttavia, la “nascita” del nuovo Signore dei Sith avverrà solo con il primo di una lunga serie di tradimenti, la morte del maestro Windu, che porterà alla quasi totale estinzione dell’Ordine dei Cavalieri Jedi. Anakin ha ormai fatto la sua scelta: giura fedeltà al Cancelliere, rivelatosi come il Signore Oscuro, prendendo un nome Sith: Darth Fener.
 
D’ora in poi la spada laser di Skywalker sarà al servizio del male. Il tradimento di Skywalker nei confronti dei jedi si attesta infine come un lontano, sebbene palese, riferimento alla presunzione di Lucifero, magnifico angelo, che si crede superiore a Dio. Nel duello  finale tra Anakin e Obi-Wan, memorabile pietra miliare di tutta la saga, si intravede la dicotomia che lacera la Forza, da un lato la religiosità dei jedi, dall’altro l’ateismo dei Sith, sostenitori di una civiltà fatta di androidi e tecnologia. Quando Obi-wan ammonisce Anakin di non tentare una mossa troppa ardita, la superbia e l’ira del Sith, simbolo della presunzione dell’uomo che si allontana dalla comunione con la propria gente, ne decreteranno la sconfitta. Anakin si avventa contro il vecchio maestro, perdendo due gambe e quel briciolo di umanità che gli era rimasta.
 
Poco dopo si risveglierà accanto all’imperatore, intrappolato in un corpo artificiale, per scoprire che Padmè è morta, mentre solo anni dopo incontrerà i due figli (Luke e Leila) che la moglie ha partorito in gran segreto prima di spirare. Questo film è forse il vero capolavoro di Lucas; si è fatto attendere, ma di certo è la degna conclusione di tutta la saga. Infatti, questa opera non solo si riallaccia perfettamente al successivo episodio il IV, ma ci insegna, in un secolo quasi privo di coscienza come quello in cui viviamo, che sebbene un film sia pieno di spettacolari effetti, è sempre la sua storia a dare quelle sensazioni che rimangono nella memoria del pubblico.
 
Inoltre, La vendetta dei Sith ha un altro grande merito, ovvero quello di evidenziare l’aspetto probabilmente più importante del capolavoro ideato dal cineasta americano, sarebbe a dire la dicotomia dell’animo umano, lo stravolgimento dello spirito quando si perde la fede, ovvero la speranza. Qui subentra il Male, il quale ci fa illudere di essere forti, autosufficienti, migliori degli altri, di poterci persino sostituire a Dio/La Forza. Ci inganniamo che le nostre abilità siano imbattibili (sebbene quelle dei Sith spesso ci vadano vicino) se paragonate alla 'passiva' lotta dell’uomo qualsiasi per inserirsi in una  comunità e difenderne le regole.
 
Il dramma del giovane Anakin Skywalker, futuristico lucifero, lucente angelo corrotto dal dolore per la perdita della madre, è l’epitome delle 'ragioni del male': dolore, frustrazione, paura. Solo con la saggezza di un vero jedi è possibile alienare queste emozioni negative dall’animo umano, poiché il primo convincimento di ogni cavaliere è che la paura sia la via più rapida verso l’oblio. Giunti a questo punto, solo la redenzione può salvarci, proprio come avviene per Fener, redento giusto all’ultimo dall’amore e dalla pietà figliale di Luke.
 
Da segnalare infine come il funerale di Padmè rispecchi, con la fotografia, i costumi e l'ambientazione, la celebre tela Ofelia (1852) del preraffaelita J. E. Millais. Dunque, l’amore che redime non solo come motore della trama di buona parte della serie, ma anche cardine fondamentale della cultura cristiana. In SW però più che all’amore vero è proprio, si fa più spesso riferimento alla saggezza come qualità che allontana l’uomo dal male. Ciò collega anche l’opera di Lucas alla cultura orientale, della quale tutta la saga è debitrice. Su questo argomento sono stati scritti ottimi saggi, con un taglio critico abbastanza approfondito[4].
 
Da notare inoltre come la letteratura accademica abbia di gran lunga prodotto una mole maggiore di scritti su ST, forse in virtù della visione critica che questa serie ha della religione, e di cui parleremo a breve, la quale trova sempre un certo consenso nelle aule universitarie.
 
Star Trek: l’uomo che non ha più bisogno di Dio
 
“In un episodio della serie televisiva di Star Trek non ci sarà mai niente di simile al grande bombardamento finale sulla Morte Nera in Guerre stellari”[5]. Basterebbero queste poche parole per comprendere bene quanto siano differenti le due serie che stiamo analizzando, e come rappresentino due modi diversi non solo di vedere la fantascienza, ma anche il mondo del futuro.
 
Da una parte un universo dove regna una forza che regola ogni cosa; dall’altra galassie e quadranti, astronavi e computer, tanta scienza o pseudo-scienza, ma della religione quasi neanche una traccia. ST è una saga fantascientifica che prende vita nel 1966 con una serie televisiva ideata da Gene Roddenberry, attestandosi tra le più famose, sicuramente la più complessa e longeva, della storia. A questa prima serie ne sono seguite altre cinque, tra cui una a cartoni animati, e dieci pellicole cinematografiche (l'undicesima è prevista nel 2009).
 
La saga narra le vicende degli umani in un lontano futuro, appartenenti a una Federazione Unita dei Pianeti che riunisce sotto un unico governo molti popoli di sistemi stellari diversi, e delle loro avventure nell'esplorazione dell'universo. Sebbene il fattore multirazziale e la esobiologia[6], di cui parleremo più in avanti, siano da sempre uno dei punti di forza della serie, tuttavia è sempre e comunque la razza[7] umana[8] il perno della storia. Dunque la questione razziale, come del resto quella religiosa, assume un connotato semplicemente antropologico, ma i problemi legati alla integrazione e ai rapporti interraziali non sono presi in considerazione.
 
Il messaggio che viene portato avanti è fin troppo chiaro, l’Umanità per essere pacifica si deve liberare dal retaggio del passato. Il senso del futuro in ST è una visione laica e transnazionale, peccato che l’unica cosa che si conservi del vecchio mondo sia la cultura americana, dunque il presupposto di coerenza della serie, che prevede una netta cesura con il passato, viene così a mancare fin dall’inizio; ecco perché al mitico capitano Kirk, ne seguono uno francese e uno di colore, tentando in tal modo di ridurre l’importanza della matrice statunitense  nell’opera.
 
La saga ha come base quello spirito di indagine laica ed empirica che nella tradizione occidentale si può far risalire alla Odissea. Difatti, proprio come nel poema omerico, è il viaggio e la scoperta di “nuove civiltà” l’essenza di ST, l’esempio principe è rappresentato dalla missione quinquennale della serie originale. Altri debiti nei confronti della Odissea sono rintracciabili nell’importanza della nave, le varie Enterprise che si susseguono con i loro carismatici comandanti, e l’elemento in cui si naviga: l’acqua del Mediterraneo per Ulisse e il suo equipaggio, gli spazi siderali per gli eroi di ST. 
 
L'universo fantascientifico
 
Quello di ST, arricchitosi nel corso del tempo, è diventato uno dei più dettagliati e complessi universi immaginari di tutta la fantascienza, anzi forse il più imponente, col suo numero sterminato di razze, pianeti e linguaggi. È un futuro ottimistico in cui l'umanità ha raggiunto le stelle e ha risolto tutti i maggiori problemi che assillano, attualmente, il nostro pianeta (fame, sovrappopolazione, discriminazioni etniche, divisioni politiche e guerre, fonti energetiche ed equilibrio ambientale). Questo è potuto avvenire grazie anche agli stimoli sociali e culturali derivanti dal contatto con civiltà extraterrestri, più progredite non solo dal punto tecnologico ma anche etico e sociale. Fortuna vuole che il 'primo contatto'[9] avvenga con la pacifica e progredita razza vulcaniana e non con una belligerante società aliena.
 
Ma quest’ultima situazione, quanto mai stereotipata nella cinematografia di FS, non poteva valere per ST. Difatti, quello che prima abbiamo definito un 'futuro ottimistico', andrebbe meglio inquadrato nella visione positivista e, in parte scientista, che sta alla base della serie. La scienza qui non diventa uno strumento per il progresso, bensì il progresso stesso, relegando le tematiche religiose in secondo piano. Già, poiché le galassie attraversate dai vari comandanti dell’Enterprise mostrano una umanità unica, come detto transnazionale, e se si fa riferimento a questioni religiose, ciò riguarda solo gli alieni: la spiritualità umana è quasi rimossa.
 
Il positivismo che sottende al capolavoro ideato da Roddenberry è abbastanza classico per un certo filone di fantascienza letteraria e cinematografica antecedente alla serie da noi qui presa in esame[10] e che vede proprio la affermazione di una scienza, spesso di una vera oligarchia di scienziati, che assurge al potere come un fattore di catarsi dai mali della Umanità. La nostra società quindi, secondo i canoni trekkiani[11], è barbara e violenta: rammentiamoci la visione ironica del nostro mondo mostrata in Star Trek IV[12].
 
Seppure vincolati dalle regole imposte a un programma televisivo di intrattenimento di massa, gli autori della serie hanno in molti episodi affrontato temi importanti di tipo sociale, politico e filosofico, come proposta di cambiamento della nostra società[13].  Ciononostante, in ST non viene lasciato molto spazio al dibattito o alla valutazione di varie possibili alternative della società del futuro. Il modello scelto da Roddenberry è uno e insindacabile: la base della società del futuro viene da quella americana della prima metà del XX secolo, quella che ha vinto due conflitti mondiali, e che assimila etnie e culture con estrema facilità.
 
A questa società viene semplicemente tolta la natura fortemente capitalistica, anche se questo è un vero controsenso, poiché cosa sarebbero mai gli Stati Uniti senza il culto del denaro. In fondo, basta veramente poco per vedere che lo schema politico di ST propone una specie di ONU galattica, con al posto delle nazioni i pianeti, ma con sempre una sola cultura a guidarla. Dunque, la supremazia della razza umana e segnatamente della cultura anglosassone sono aspetti difficilmente negabili persino dal più ingenuo degli spettatori. Pensiamo ad esempio alla astronave Enterprise, uno dei topoi che ha contribuito al successo di ST: come potremmo in questo caso negare il fatto che quest’ultima porta il nome di una delle più celebri portaerei della marina americana.
 
Ma ci sono anche altre questioni politico-sociali che vengono prese in considerazione, ad esempio il primo bacio fra un bianco e una nera (Kirk che bacia il tenente Uhura); cosa rivoluzionaria per l'America del ‘67. Si pensi anche alla Guerra Fredda e si consideri il fatto che il tenente Checov, di chiare origini russe, era sul ponte di comando dell’Enterprise. Dunque, in questa saga esiste una natura politica, la quale, sebbene abbia un palese intento pacifista e antirazzista, per converso propone la visione di una galassia guidata da una federazione che talvolta ricorda troppo da vicino lo spirito della federazione degli stati americani.
 
Rammentiamoci inoltre che l’opera creata da Roddenberry cresce e matura in un epoca in cui l’America è tutta presa dalla esaltazione per le conquiste spaziali. Questa sicurezza del primato scientifico, specialmente di quello americano, si riflette nel messaggio proposto dalla serie e che vede la pace come ultima conquista di una società in cui la scienza è alla base tutto. Però questa resta pur sempre una pace di stampo borghese[14], che incoraggia le buone relazione tra popoli e civiltà più per ragioni mercantilistiche che per amore del progresso.
 
Con ciò non vogliamo certo affermare che questa bellissima saga fantascientifica nasconda pericolosi messaggi politici. Tuttavia, non approfondendo oltre questa complessa tematica, vogliamo chiarire un punto. Quando si elimina la fantasia e il trascendente, come avviene in ST, sostituendoli con la ragione e la tecnica, diventa molto difficile sfuggire a meccanismi di propaganda culturale insiti nella visione stessa che l’uomo ha del mondo. Ovvero, fuori da un contesto religioso o fantastico, il pensiero umano diventa per causa di forza maggiore un pensiero politico.
 
Scienza, pseudo scienza e religione
 
La "Prima direttiva" è la fondamentale norma etica che impedisce alla Federazione dei Pianeti Uniti di interferire con le civiltà meno progredite, limitando di fatto i contatti con quei popoli che non hanno ancora scoperto la propulsione a curvatura.
 
La prima direttiva (ideata da Theodore Sturgeon) costituisce il sottotema di molti degli episodi della serie originale di ST e delle serie successive, con le sue interpretazioni più o meno elastiche e i conseguenti dubbi e conflitti morali. Quella che qui ci preme evidenziare altro non è che la natura prettamente scientifica di questo aspetto di ST e la sua visione di stampo antropologico, cosa che fa sì che la religiosità non faccia mai davvero parte dell’anima della narrazione, come avviene invece in SW, ma sia invece un aspetto sociale da osservare, quasi sempre nelle popolazioni aliene.
 
Non è forse questo un messaggio di voluta laicità? Sembra che l’idea sostenuta sia che oltre a essersi emancipato dalle frontiere nazionali e dalle differenze linguistiche, l’uomo si sia emancipato anche da Dio.
 
Fra gli esseri umani è rimasto ben poco senso religioso: in quattro serie e otto film, neppure un singolo membro umano dell’equipaggio di alcuna astronave della Federazione professa alcuna forma di fede religiosa. Una fede religiosa formale è una cosa riservata a popoli alieni e di solito è un segno di debolezza culturale.”[15]
 
Come del resto, in questa futuristica concretizzazione di una società utopica non si sente mai parlare di soldi; dunque un futuro in cui il denaro non c'è. Di fatto, se da un lato sparisce il dio religioso, dall’altro fortunatamente scompare anche il dio denaro. L’importanza che riveste la matrice sociologica della storia si evince anche dalla grande attenzione data alle culture aliene, ponendo ST come una vera pietra angolare nella questione dell’alterità nella SF cinematografica. Non molti anni dopo andrà in onda Spazio 1999 (serie inglese del '79).
 
Qui gli alieni sono ripugnanti, con delle bolle verdi. In ST Spock invece è un protagonista, esempio del rispetto per la diversità culturale. Questo atteggiamento di rottura da una cinematografia che fino ad allora aveva per lo più mostrato le razze extraterrestri come minacciose e fisicamente deformi è dovuto proprio a quella base scientifica che se da un lato mina il discorso religioso, dall’altro pone in essere la idea secondo cui se una cultura possiede una tecnologia avanzata, allora essa è sempre da rispettare: scienza uguale coscienza.
 
In SW non diciamo che avvenga proprio il contrario, ma la matrice fortemente religiosa fa sì che l’essere umano sia al centro della narrazione, poiché egli è in continua lotta tra il bene e il male (qui rappresentati dai due lati della Forza); dunque le altre razze non sono protagoniste, bensì parte di quel Creato che Dio ha predisposto per l’Umanità. Difatti, molto spesso gli alieni vengono descritti col classico cliché mostruoso, come accennato poco fa, tipico di molta fantascienza d’antan, oppure in modo buffo, come se si trattasse quasi di un animale domestico[16]. La scienza stessa, sebbene possa sembrare assurdo per un genere dove la tecnologia è cruciale, riveste un ruolo secondario, venendo spesso “banalizzata”, il desidero di verosimiglianza qui non interessa.
 
I jedi stessi non utilizzano forse spade laser, e non i micidiali phaser che tanto caratterizzano ST? Tutto ciò non deve sorprendere, poiché Lucas ha utilizzato il contenitore della fantascienza, per narrare una storia sul dualismo tra la luce e la tenebra, e dove lo scontro vede alle prese personaggi a metà tra cavalieri templari e micidiali samurai. Proprio l’interesse di questa saga per il misticismo orientale (tema che potrebbe essere lo spunto per un'altra ricerca e che qui vogliamo solo accennare) conferma precisamente la vocazione di SW verso questioni spirituali.
 
Infine, il computer che anche dopo l’avvento di ST, prendiamo sempre come pietra di paragone la fortunata serie di Spazio 1999, facevano 'gli scontrini', ma ben dieci anni prima Kirk e compagni utilizzavano congegni simili ai floppy disc e ai telefoni cellulari. Dunque se giudicato da un punto di vista meramente scientifico, bisogna riconoscere che la saga idea da Roddenberry non ha eguali per l’interesse e lo studio di tematiche legate alla scienza e alla tecnologia e sviluppate nell’arco di più decadi; non per nulla ciò ha anche incoraggiato la pubblicazione di alcuni testi su questo argomento[17].
 
Forse è questo uno dei motivi per cui la saga in questione riscuote da sempre maggior favore tra persone con una solida formazione scientifica rispetto a SW; serie che viene invece apprezzata di più da spettatori con una educazione di stampo umanistico. Possiamo affermare che il grande merito di ST è quello di aver aperto nuovi orizzonti nel mondo della fantascienza, cosa che Lucas ha evitato di fare riallacciandosi alla vecchia space opera, in cui l’elemento scientifico, vuoi elettronico, vuoi biologico è fondamentale ma quasi mai plausibile, e, come afferma anche Antonio Scacco, questo non è sicuramente un fattore trascurabile: «Naturalmente, non si deve cadere nell’eccesso […] di considerare la presenza della scienza in una opera di fantascienza come un elemento di secondaria o di nessuna importanza» (Scacco, 2002, p.164).
 
Antiche divisioni
 
In ultima battuta, vogliamo spendere qualche parola per ampliare il nostro studio. Per primo, è lecito reiterare la innegabilità dei meriti “scientifici” di ST. Dal canto suo però SW ha un pregio di natura diametralmente opposta: l’affrancamento dal mito della  scienza e dunque dell’uomo che si eleva a creatore, incentrando tutto se stesso sulla ricerca del sapere.
 
In aggiunta, jedi a parte, l’idea che Lucas ha avuto di riproporre le tematiche quasi adamitiche della rinuncia dell’uomo all’onniscienza, alla onnipotenza, per coltivare la compassione e la calma (in poche parole il confronto tra il Bene e il Male) rende SW una opera dal valore altamente pedagogico, come riveste per il fantasy la trilogia de Il signore degli anelli, dove ciò che conta davvero non è la magia, bensì sentimenti come l’amore, l’amicizia e l’odio.
 
Ciò ha permesso alla saga di SW di essere amata da tutti, piccoli e grandi, uomini e donne, oltrepassando la barriera del semplice interesse scientifico che rende ST purtroppo meno appetibile per il grande pubblico. Infine pensiamo all’enorme successo ottenuto da ST e confrontiamolo con quello della opera di Lucas. Cosa viene fuori? Forse che le cronache della galassia dei jedi in sole sei pellicole hanno lasciato un segno eguale a quello lasciato da ST, benché questa ultima saga si sia tradotta in numerosi film per il cinema e, specialmente, in varie serie televisive. Ragion per cui, se è doveroso ammettere che per la critica accademica ST ha un appeal di natura scientifica superiore, dobbiamo anche constatare che SW ha avuto una incredibile presa sul vasto pubblico proprio perché parla di uomini e di cose di uomini, e sicuramente la religione e la spiritualità, con tutte le complesse questioni a esse collegate, fanno parte integrante dell’essere umano e della sua storia[18].
 

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Tra le enciclopedie online più complete si segnalano inoltre:
Hypertrek (in italiano) : http://www.hypertrek.org/index.php
Wookieepedia (in inglese): http://starwars.wikia.com/wiki/Main_Page 
 
 
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[1] Da qui in poi Star Wars: SW, Star Trek: ST.
[2] Su questo argomento segnaliamo il testo di Antonio Scacco (in bibliografia). Costui studia da anni i rapporti tra cultura umanistica e fantascienza. Egli conclude che non esiste un dualismo tra questi due mondi,  ma che anzi sono complementari. La nostra analisi è vicina a questa idea.
[3] Jean Gattégno, Saggio sulla fantascienza, pp.100-01.
[4] Dick Staub affronta direttamente il collegamento tra SW e il Cristianesimo, mentre J.M. Porter e Matthew Bordolin esaminano per l’appunto la “natura” orientale della serie. Nel saggio di Jon Snodgrass, invece, si fa una importante analisi del retaggio mitologico cavalleresco dei jedi.  Difatti, Lucas fu profondamente influenzato dal lavoro dello studioso di mitologia Joseph Campbell. Tutti i testi citati sono in bibliografia.
[5] Thomas Richards, Il mondo di Star Trek, p.13. In esso, l’autore mette a confronto ST come opera nella quale l’azione non è alla base della storia, dunque ove prevale la riflessione e il raziocinio, mentre in SW l’azione è segno di una passionalità forte e emozionale. Richards pone in essere un confronto che vede le due opere come rappresentanti una del cervello, l’altra dell’anima. 
[6]  L'esobiologia (o xenobiologia, astrobiologia) è il termine per indicare un campo speculativo della biologia che considera la possibilità della vita extraterrestre e la sua possibile natura. Necessariamente include anche il concetto di vita artificiale, poiché qualunque forma di vita che potrebbe evolvere naturalmente in modo concepibile, potrebbe essere creata altrove in laboratorio usando una tecnologia del futuro. Il termine fu coniato negli anni cinquanta dello scorso secolo dal biologo statunitense Joshua Lederberg in preparazione allo sbarco dell'uomo sulla Luna. Su questo vedi: S. e R. Jenkins, 1999 - Segni di vita - La biologia di Star Trek, Longanesi.
[7]  Utilizziamo queste termine, al giorno d’oggi inappropriato, poiché nel modo di ST il genere umano si confronta spesso con altre razze e nelle storie vengono sovente evidenziate le differenze biologiche proprio tra le varie razze che popolano l’universo. 
[8]  Non di rado fanzine e prozine di FS hanno mosso accuse di razzismo verso ST. Il motivo risiede probabilmente nel fatto che in questa serie si è sempre giocato, talvolta in modo ardito, col tema razziale, mettendolo sì al centro della propria storia, senza però mai convincere davvero il pubblico che quello non fosse altro che un semplice espediente di correttezza politica. 
[9] Primo contatto (titolo originale: Star Trek: First Contact) è un film del 1996 diretto da Jonathan Frakes. È l'ottavo della saga.
[10]               Ci riferiamo in particolare alla pietra miliare della SF  La vita futura - nel duemila guerra o pace (1936, titolo originale: Things to Come) del regista Cameron Menzies. La trama parla della costruzione di una nuova società sulle ceneri di quella vecchia che si è autodistrutta. Questa verrà governata proprio da una oligarchia di scienziati, assurta al vertice della politica del pianeta.
[11]               Una piccola curiosità: negli Anni 70 venne coniato il termine 'trekkie' a indicare tutti gli amanti della serie. Negli ultimi anni, questo termine è stato aggiornato dal più serioso 'trekker'.
[12]               Star Trek IV: Rotta verso la Terra (Star Trek IV: The Voyage Home, 1986), regia di Leonard Nimoy.Tornati indietro al tempo dell’America degli Anni 80, Kirk e compagni ironizzano più volte sulla società che si trovano davanti e sui costumi degli umani dell’epoca. Ancora una volta si mette a nudo la filosofia di base delle serie, la quale prevede un futuro fatto di progresso che porta con sé la pace e una società più evoluta. Manca, a nostro avviso, sempre un elemento nella visione che si ha in ST della storia, un passaggio che non viene mai affrontato in modo adeguato, ovvero quello della autodistruttività insita nel genere umano. È vero che si fa riferimento a guerre e conflitti che hanno lacerato il pianeta nei secoli. Purtuttavia, l’idea che l’uomo sia carnefice di se stesso viene spesso ignorata. In questo frangente, ST sfocia in un altro genere, quello della utopia. Per converso, SW mette questi aspetti proprio al centro della sua filosofia: il progresso è fatto per distruggere, un esempio tra tutti è la Morte Nera.  
[13]               L’opera può anche essere letta come uno specchio della società americana e di come essa sia cambiata negli anni. Su questo argomento, vedere: Angelica Tintori, Star Trek: uno specchio dell'America.
[14]               Per chi desidera approfondire questo argomento, segnaliamo il lavoro del filosofo tedesco Jürgen Habermas e in particolare il testo Strukturwandel der Öffentlichkeit. Untersuchungen zu einer Kategorie der bürgerlichen Gesellschaft (1962), dove troviamo il concetto di “sfera pubblica” che vede la borghesia alla guida della società, escludendo le minoranze da un ruolo decisionale. Purtroppo non possiamo approfondire oltre il discorso, onde rischiare di allontanarci troppo dalla nostra analisi. Comunque, una società laica, scientifica e con alla base una borghesia illuminata sono anche elementi presenti in ST.
[15]               Thomas Richards, op. cit., p.159. Sullo stesso argomento Barbara A. Silliman affronta in modo diretto e deciso una interpretazione di ST come di un’opera in cui la religione è a dir poco sminuita o persino vista come elemento “primitivo” in una società. Cfr. Batter Up! The Mythology and Psychology of Sports and Games in Star Trek: Deep Space Nine, pp. 100 e 109.
[16]               Esempi eclatanti sono gli ewok de Il ritorno dello jedi (1983) e Jar Jar Binks de La minaccia fantasma (1999). Persino alcuni androidi, segnatamente R2-D2, vengono trattati con l’affetto e la tenerezza che solitamente si ha con gli animali domestici, una dimostrazione in più di come la scienza in SW sia spesso “esorcizzata” e sdrammatizzata.
[17]               Tra tutti ne segnaliamo uno in lingua italiana, poiché quelli in inglese sono in numero troppo consistente e, in parte, molto simili come analisi. Difatti, il dibattito nella letteratura di settore propone molto spesso l’argomento della più o meno verosimiglianza della scienza mostrata nella saga. Sovente la critica giunge al giudizio che la tecnologia in ST sia plausibile, ma mai realistica. Cfr. Danila Zappalà. Star Trek: scienza o fantascienza?.
[18]            «La nostra tesi è dunque che Guerre Stellari sia venuto a colmare una sete di mito e di leggenda che l’immaginario collettivo dell’uomo multimediale ha manifestato in modo sempre più evidente» (Bergamino e Fenzi, p. 7). Nello scarno panorama delle monografie specialistiche in lingua italiana dedicate a SW, il sintetico contributo di Bergamino e Fenzi ha il merito di offrire qualche interessante spunto di riflessione sulla natura mitologica della saga.  

venerdì 30 ottobre 2015

Alchimia e Ormoni

Nel mondo profano, quando si parla di Alchimia, spesso si va con il pensiero ad evocare personaggi illustri di epoche passate che operavano segretamente in luoghi bui e nascosti, pieni di fumo, di fuochi ed alambicchi, personaggi che, per la loro dedizione alla Magia e spesso alla stesura di indecifrabili testi alchemici, sono stati avvolti in un aura di mistero che spesso sconfinava nella leggenda o addirittura nel mito.
 
E’ l’esempio di alchimisti della caratura di Nicolas Flamel, Paracelso, Basilio Valentino, Raimondo Lullo, Cornelio Agrippa, Giordano Bruno, John Dee, William Blake, Cagliostro, Raimondo di Sangro principe di Sansevero, Fulcanelli, di donne alchimiste come Maria la profetessa, Ipazia d’Alessandria, Maria Cristina di Svezia e tantissimi altri ancora.
 
Moltissimi, per secoli, come la stessa Chiesa, hanno creduto che tali personaggi avessero, per certi versi, trovato la “formula magica” del potere sulla Natura e dell’eterna giovinezza, attraverso un patto col diavolo, credendo che l’Alchimia fosse legata a qualcosa di estremamente oscuro, arcano e di dubbia provenienza. Quanti furono, infatti, gli alchimisti, uomini e donne, bruciati sui roghi dell’Inquisizione!
 
Ma ancora oggi, sono pochi quelli che sanno realmente di cosa realmente si tratti. Quasi tutti credono che quest’Arte sia solamente legata alla “metallurgia”, al mito della trasformazione dei metalli vili in oro. Alla scoperta di una pietra magica, la pietra filosofale, attraverso la quale tutto è possibile. Credono che il fine di tutto questo si riduca all’esercizio di un potere magico destinato all’arricchimento materiale. Ma in effetti è tutto il contrario.
 
L’Alchimia parte dalla Materia per arrivare allo Spirito, parte dall’Oscurità per arrivare alla Luce, parte dall’Uomo per arrivare a Dio. L’Alchimia è la Via dell’Uomo che percorre e ripercorre il sentiero di se stesso, attraversando il proprio sangue e la propria anima, rettificandola attraverso il sacrificio del proprio principio vitale, liberandola dal giogo del “drago” attraverso la lancia della volontà e l’amore del ritmo.
 
L’Alchimia è la conoscenza diretta dell’Essere Uomo, la riscoperta del proprio corpo come laboratorio di vita, la consapevolezza di riconoscere in se stessi la chiave attraverso cui si aprono le porte del Cielo, il ponte attraverso il quale l’Uno abbraccia il molteplice e si rispecchia in esso.
 
L’Alchimia è la Riconciliazione con il proprio corpo, con la propria origine divina, con la Natura che lo compone, che da Matrigna torna ad essere Madre e Matrice di ogni cosa.
 
E’ difficile pensare a quanto grande sia il potere racchiuso all’interno del nostro corpo, a quante possibilità possa esso esprimere per la realizzazione della “Grande Opera”, la manifestazione del Cristo Trasfigurato nel corpo di Luce e di Gloria. Eppure tutto questo è possibile. Possibile grazie alla profonda conoscenza di ciò che siamo. “Uomo conosci te stesso, e conoscerai l’universo e gli Dei”: così citava il motto inciso sopra l’ingresso dell’oracolo di Delfi. E questa è tutta la Verità.
 
micro misura macro
 
Abbiamo parlato in precedenza di laboratori, di alambicchi e di fuochi, ebbene, dove si trovano tutti questi elementi? Nel nostro corpo, microcosmo del Creato. E’ da qui che dobbiamo partire: da ciò che ci è più vicino, da ciò che noi siamo, dall’unico elemento con cui possiamo intimamente confrontarci: la nostra natura umana. Fisica, psichica e spirituale. Ci si può chiedere: “Come può un essere così “limitato”, pieno di fragilità, di condizionamenti e contraddizioni divenire ed essere la “chiave di volta” del cambiamento?”
 
Può esserlo nel momento in cui è collegato alla Sorgente Universale e fruisce da questa la Forza e la Potenza per esprimerne il progetto. Ma perché tutto ciò si realizzi è necessario creare il luogo perché questa stessa Forza sia in grado di abitarvi.

Per questo il “Tempio” va preparato, per accogliere lo Spirito.
 
La Natura volgare e rozza della materia che ci compone perirebbe al solo contatto con questa Forza se non venisse sublimata e “purificata” dalle basse vibrazioni in cui è immersa. Tutto ciò è possibile attraverso un lungo e lento processo di trasformazione e di elevazione vibratoria che comporta un adeguata modifica delle informazioni genetiche riposte nel nostro DNA.
 
L’elevazione spirituale passa quindi attraverso un “adeguamento” materiale alle alte frequenze della Luce che il corpo fisico dovrà ospitare. Dobbiamo renderci conto che l’Uomo è un essere in evoluzione e che quello che ora siamo è soltanto una fase transitoria di ciò che diventeremo. E’ interessante scoprire quanta bellezza vi sia all’interno del nostro “laboratorio” fisico.
 
Una macchina che rasenta la perfezione. Un sistema talmente sofisticato da non poter fare a meno di credere all’origine di una “Mente Eterna” matrice di tale perfezione. A volte basta soltanto adottare la legge ermetica per eccellenza: “come è in alto così è in basso…” per scoprire i segreti inimmaginabili che abbiamo sempre dinanzi ai nostri occhi.
 
Ultimamente sono stato attratto da qualcosa che fino ad oggi non avevo mai considerato. Qualcosa che, approfondendo l’argomento, ha suscitato in me tanta meraviglia e stupore: le ghiandole endocrine. Mai avrei creduto all’importanza esoterica di queste ghiandole. Ma andiamo a guardarle più da vicino. Le ghiandole endocrine nell’essere umano sono fondamentalmente sette. Sette come i Chakra , sette come i sigilli del libro dell’Apocalisse, sette come le Chiese e  sette come colori dell’iride, effetto della scomposizione della Luce.
 
Ma tornando all’Alchimia sono sette anche i metalli, i pianeti, i vizi e le virtù! E tutto ciò non è un caso. Queste ghiandole sono, in effetti, importantissime poiché sono quelle che regolano la nostra vita dalla nascita alla morte attraverso la produzione di ormoni.

Ed è qui che il velo si squarcia! Cosa sono gli ormoni?
 
Questa è la loro classificazione scientifica:”…Un ormone (dalla lingua greca όρμάω – “mettere in movimento”) è un messaggero chimico che trasmette segnali da una cellula (o un gruppo di cellule) ad un’altra cellula (o altro gruppo di cellule). Tale sostanza è prodotta da un organismo con il compito di modularne il metabolismo. Gli ormoni sono prodotti da ghiandole endocrine, che li riversano nei liquidi corporei. Ogni ormone raggiunge attraverso il sangue tutti i punti dell’organismo, ma ha poi azione solo sulle cellule dotate di opportuni ricettori”.
 
Cosa ancora più interessante è l’accostamento di ogni ghiandola al flusso energetico delle “ruote” Chakras, che, come sappiamo, svolgono un’azione di regolazione in entrata e in uscita dal corpo del flusso energetico, dal micro al macrocosmo e viceversa. Questi centri, in poche parole, sono le stesse “porte” o sigilli di cui si parla nel libro dell’Apocalisse di san Giovanni e sono delle autentiche ruote che, a seconda del loro movimento, centrifugo o centripeto, regolano le comunicazioni sottili tra la Sorgente e la Manifestazione.
 
E’ quindi fondamentale conoscerne il funzionamento e agire con metodo affinché se ne possano sfruttare  le qualità. Le sette ghiandole si classificano in:
 
• Gonadi divise in testicoli (maschili) e ovaie (femminili), corrispondenti al Chakra basale detto “Muladhara”, colore rosso.
• Ghiandole Surrenali corrispondenti al Chakra sacrale detto “Svadhisthana”, colore arancione.
• Pancreas (isole di Lanngherans) corrispondente al Chakra del plesso solare detto “Manipura”, colore giallo.
• Timo corrispondente al Chakra del plesso cardiaco detto “Anahata”, colore verde.
• Tiroide e Paratiroidi corrispondenti al Chakra del plesso faringeo detto “Visuddha”, colore blu.
• Pituitaria (Ipofisi) corrispondente al Chakra frontale  detto “Ajna”, colore viola.
• Pineale (Epifisi) corrispondente al Chakra coronale  detto “Sahasrara”, colore indaco.
 
Ognuno di questi centri secernano ormoni differenti che, come abbiamo detto, vengono liberati nel sangue e, attraversando tutto il corpo, raggiungono la destinazione aderendo alle cellule “ricettori”.
 
E’ affascinante il compito di questi “Messaggeri” che portano informazioni continue a tutto il corpo rendendo possibile la vita stessa dell’intero organismo. Il sistema ormonale, a differenza di quello neurovegetativo, agisce con velocità e modalità diverse. Mentre il secondo agisce in maniera diretta sulle cellule, in modo ravvicinato e ad alta velocità, il primo agisce a distanza e molto più lentamente e, a seconda della qualità della cellula “ricettore”, può provocare effetti diversi, a volte anche di tipo opposto.
 
libro7sigilli
 
Ma non voglio dilungarmi sul carattere scientifico della questione, ma addentrarmi nell’aspetto esoterico ed alchemico. Quando mi addentrai nel mondo dei “centri ormonali” fui colpito subito dall’etimologia del nome “ormone” che come abbiamo detto significa “mettere in movimento”. Ebbene mi colpì anche il termine scientifico con cui era descritto: “….messaggero chimico”!
 
Immediato fu il richiamo a qualcosa che è nell’anima dell’Apocalisse di Giovanni: la realizzazione del progetto e l’apertura del Libro della Vita attraverso lo scioglimento dei sette sigilli per mano di sette Angeli attraverso il suono di sette trombe!
 
Ma gli angeli cosa sono se non Messaggeri? Come ci dice l’etimologia del nome. A questo punto è naturale la trasposizione tra la visione macrocosmica a quella microcosmica come ci insegna Ermete Trismegisto nella Tavola Smeraldina. Abbiamo anche detto che a queste sette ghiandole corrispondono anche le sette porte, Chakras, attraverso cui avviene la fruizione in entrata dell’energia cosmica dalla Sorgente all’uomo.
 
E’ chiaro, quindi, per conseguenza, che l’informazione vitale portata dagli ormoni all’interno di tutto il corpo proviene direttamente dalla Sorgente e attraverso il sangue è destinata alle cellule che gli competono.
 
Attraverso la Scienza sappiamo anche che gli ormoni sono composti da atomi di carbonio e che questi variano nel numero a seconda del tipo ormonale , tra i più noti il testosterone, 19 atomi di carbonio, prodotto in maggior parte dal testicolo, e il progesterone, 21 atomi di carbonio, prodotto dalle ovaie e dalla placenta.
 
Quello che stimola il mio pensiero è che il carbonio è anche il componente atomico del diamante, prodotto “trasmutato”del carbone o grafite. E’ affascinante a questo punto credere che dal nero e oscuro carbone possa crearsi il più splendido, cristallino e luminoso diamante! Come dalla Terra più Nera, in Alchimia, si ricava la Luce! Non a caso il “Corpo di Luce “è anche chiamato “Corpo di Diamante”! Ma andando oltre, altra differenza tra il carbone/grafite e il diamante risiede nella struttura atomico molecolare.
 
Infatti, mentre il carbone ha una struttura a reticolo esagonale, che gli conferisce la qualità di minerale più fragile in Natura, il diamante è dotato di una struttura atomica “tetraedrica” che, in poche parole, corrisponde alla forma piramidale, forma che gli conferisce la durezza e resistenza maggiore rispetto a qualsiasi minerale!
 
Da qui la spiegazione della forma della Grande Piramide, luogo dedicato alla Trasformazione dell’uomo in Dio! Tutto ciò è straordinario se si pensa che il passaggio da carbone a diamante avviene proprio grazie a condizioni estreme di pressione e di calore. Non a caso l’Alchimia si fonda sul lavoro del Fuoco, o meglio dei Fuochi Sacri. Ma il lavoro del Fuoco è accompagnato da quello sul ritmo che, lavorando in attrito con le Forze planetarie, genera “pressione”. In breve, abbiamo tutti gli ingredienti per trasformare il “Carbone” in “Diamante”. La velocità di azione dell’ormone, messaggero chimico, abbiamo costatato che è piuttosto lenta, rispetto all’azione neurovegetativa. Tale azione a volte può impiegare anche più di 24 ore perché si realizzi.
 
Questa modalità temporale è un altro richiamo al sistema operativo alchemico che, nella maggior parte dei casi, si serve della modulazione del ritmo e del tempo per regolare le “tempeste ormonali”. Gli ormoni, nel momento in cui entrano in circolo, soprattutto tra le donne, sono spesso motivo di alterazioni emotive, che a seconda dei casi sono causa di ricettività estrema, fungendo da veri e propri potenziatori di “antenne”.
 
E’ chiaro che appropriarsi di tale qualità, gestendone il potere, può soltanto che far evolvere bio-tecnologicamente il proprio corpo, avendo la possibilità di captare appieno e in maniera più sensibile, tutte le informazioni provenienti dalla Sorgente Universale, accelerando così il processo evolutivo. Tutto ciò fa supporre che attraverso un lavoro adeguato sul fisico, legato agli ormoni, Messaggeri della Sorgente, è possibile trasformare la Materia su cui essi vanno ad aderire.
 
E’ chiaro che il lavoro è piuttosto arduo, ma non impossibile! Come detto, ormone viene dal verbo greco “όρμάω” e significa mettere in movimento. Non è un caso, trasposto sul piano esoterico, che l’azione di un “Messaggero” è quasi sempre all’origine di un grande cambiamento. La Bibbia è piena di episodi che lo testimoniano. Basti pensare all’Annunciazione di Maria ad opera del’Arcangelo Gabriele.

Da quel fatto si mise in moto tutto il processo epocale che porterà alla nascita di Gesù, colui che ha manifestato il Cristo.
 
Come anche nell’Apocalisse, ogni volta che uno dei sette Angeli scioglie uno dei sette sigilli innesca un processo che porterà, alla fine, al compimento dell’Opera. Così, nel corpo umano, l’ormone prodotto dalla ghiandola, stimolata dalla vibrazione cosmica attraverso il Chakra corrispondente, si getta nel flusso sanguigno e attraverso di esso arriva a destinazione “annunciando” la nuova “nascita” e produzione di elementi finalizzati alla Vita del corpo. Quello che però comporta il vero cambiamento, come sopra citato, è l’azione di sintesi dello stesso ormone attraverso il convogliamento di questo all’interno dell’Athanor.
 
Questo è il luogo vero e proprio della trasformazione, dove, attraverso l’azione del fuoco sacro e del ritmo, il messaggero chimico diventa alchemico, sublimando l’informazione ormonale, portandola ad un livello e frequenza più alti, modificandone l’informazione che nel tempo andrà a riprogrammare il DNA, accelerando la frequenza vibratoria degli atomi che, aumentando in pressione e calore, genereranno, dal corpo materiale denso, un corpo materiale di Luce che permetterà all’Uomo di fare il salto quantico per “abitare” nuove dimensioni, diventando lui stesso “Messaggero” della Sorgente.
 

giovedì 29 ottobre 2015

Il Pozzo dell'Isola di Oak Island

Un pozzo, un’isola ed un mistero irrisolto che tuttora affascina ed interessa gli studiosi e gli appassionati. Il luogo è singolare, una piccola isola del distretto canadese in Nova Scotia. Ancor più singolari sono le circostanze della scoperta di quel che sembra un enigma senza soluzione. Cosa si nasconde nelle profondità del pozzo di Oak Island. Per tentare di capirlo, cominciamo dall’inizio.
 
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Tutto ha avuto inizio intorno al 1795, quando un giovane ragazzo di nome Daniel McGinnis si aggirò nei pressi dell’isola di Oak Island, piccola isoletta canadese della Magone Bay in Nova Scotia. Ad un certo punto trovò una depressione nel terreno e vicino ad essa un’ albero di quercia con una antica carrucola posta su di essa. Il giorno successivo, insieme ad altri due coetanei John Smith e Anthony Vaughan, tornò dove aveva trovato la depressione e cominciarono a scavare trovando a 60 centimetri uno strato di ardesia, un materiale non reperibile sull’isola.
 
Continuarono fino a tre metri e trovarono una pavimentazione di legno di quercia con evidenti segni di ascia. A sette metri capirono che con le loro forze non potevano continuare da soli…
 
Ecco come ha avuto inizio il mistero del pozzo di Oak Island, anche chiamato “Money Pit” ovvero pozzo del denaro. Molte sono le leggende e le domande che aleggiano su questa strana costruzione idraulica, da antiche civiltà come i Vichinghi, a lotte di pirati, a misteri ancora più profondi come la corona francese o i Templari e il Sacro Graal. Il ritrovamento del pozzo di Oak Island ha coinvolto associazioni di persone, grandi somme di denaro e perdite di vite umane nel corso di questi due secoli.
 
La storia vuole che otto anni dopo il ritrovamento dello strano luogo i tre ragazzi trovarono aiuto in un uomo di nome Simeon Lynds che venuto a sapere del pozzo fondò un consorzio dal nome Onslow Company atto a finanziare lo scavo a Oak Island. Le ricerche nel pozzo riprese nel 1803. Lo scavo era intervallato per ogni tre metri da piattaforme di legno di quercia. Furono anche trovate strati di altri materiali, alcuni non presenti sull’isola e neanche nelle vicinanze:

◾A circa dodici metri fu scoperto uno strato di carbone di legna
◾A quindici metri uno strato di mastice
◾A diciotto uno strato di fibra di cocco
◾A ventisette metri una pietra di perfido egizio con su inciso una frase tradotta: “Quaranta piedi sotto sono sepolte due milioni di libre”
 
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Schema del Pozzo di Oak Island
 
Infine con un piede di porco sondarono sotto l’ultimo strato ritrovato colpendo qualcosa di consistente somigliante una cassa. Dato che la notte stava per nascere decisero di tornare il giorno dopo.
 
Al loro ritorno però trovarono il pozzo allagato per quasi tutta la sua lunghezza. Avevano innescato una forma di difesa idraulico che aveva permesso all’acqua di riempire lo scavo. Si è poi scoperto che il pozzo, finchè era sigillato dalle pavimentazioni superficiali, non permetteva all’aria di uscire e di conseguenza all’acqua di penetrare. Una volta tolto il “tappo” l’acqua ha riempito il tutto fino a livello del mare.
 
Furono effettuati due tentativi per raggiungere il fondo del pozzo: il primo fu svuotare il pozzo che però falli miseramente quando si notò che anche se si buttava via l’acqua il livello non variava affatto. Un altro tentativo fu la costruzione di un pozzo parallelo per far defluire l’acqua del primo pozzo nel secondo. Anche questo tentativo però fallì. Le ricerche sull’isola di Oak Island ripresero nel 1849 con la fondazione di una nuova società di finanziamento chiamata Truro Company. I problemi dell’infiltrazione d’acqua però causarono gravi complicazioni.
 
Fu tentato l’inserimento di una trivella che trapassò gli strati del pozzo fino a raggiungere qualcosa che furono identificati come barili. Al ritiro della trivella furono recuperati da Lynds tre anelli di una catena d’oro. In seguito fu inserita un altro tipo di trivella per raggiungere il pozzo in maggiore profondità. Quando la trivella torno in superficie un operaio addetto agli scavi accusò un altro di aver recuperato qualcosa dalla trivella.
 
Durante l’interrogatorio l’operaio promise di rivelare tutto agli investitori, ma prima che accadesse ciò, morì in condizioni misteriose. Una volta appurato che l’acqua contenuta nel pozzo fosse acqua di mare e che il livello seguisse il movimento delle maree fu effettuato un sopralluogo che accertò che la spiaggia attorno a Money Pit fosse artificiale. La compagnia finanziò la costruzione di una diga che ne evidenziò la presenza di una più antica e di una serie di tunnel, che convergevano verso il pozzo del denaro. Sfortunatamente prima che la diga fu terminata venne spazzato tutto via da una tempesta.
 
Nel 1861 vennero effettuati altri scavi e in questo anno ci fu la prima vittima dell’isola di Oak: un operaio morì in seguito allo scoppio di una caldaia impiegata per il prosciugamento del pozzo. Incidenti successivi provocarono il cedimento delle piattaforme di legno e il crollò del pozzo del tesoro. Nel 1891 fu fondata la Oak Island Theasure Company, da parte di Fred Blaire. Dal 1987 al 1955 si susseguirono numerosi scavi e sporadici ritrovamenti riguardanti frammenti di legno lavorato, di metalli e di una sostanza che, successivamente studiata, si rivelò essere un materiale artificiale simile al cemento.
 
Nel 1959 ci fu un incidente nel quale furono coinvolte 5 persone che morirono nel tentativo di scavo di un pozzo, a quanto pare per esalazioni di gas di macchinari o da un accumulo di anidride carbonica proveniente da un pozzo precedente. Infine nel 1971 fu impiegato una ulteriore trivella e dopo il ritrovamento di frammenti di ottone e legna fu calata nel pozzo una telecamera che rilevò la presenza di due o tre casse e di un corpo umano. Nel 1995 fu redatto un rapporto sull’isola Oak e da allora i cacciatori di tesori continuano a tentare di trovare il tanto bramato e misterioso tesoro del Money Pit.
 

mercoledì 28 ottobre 2015

Michio Kaku e gli Universi Paralleli

Il noto fisico Michio Kaku segnala che i Dejà vu potrebbero essere ricordi di universi paralleli.
 
Quante volte ci sarà capitato di dire “questa cosa mi sembra di averla già vissuta”, o di avere la sensazione talmente forte quasi da sapere cosa accadrà nel momento successivo? La psicologia lo definisce come un falso meccanismo della memoria, quando il cervello non ha terminato di costruire la sua percezione cosciente dell’esperienza che sta vivendo. Ma secondo la fisica quantistica, potrebbe essere un momento in cui le nostre vibrazioni cambiano, permettendoci letteralmente di “viaggiare”, secondo il fisico Michio Kaku, esperto della Teoria delle Stringhe, in un’altra dimensione.
 
Viaggiare tra gli universi paralleli: solo fantasia?
 
L’esempio che usa è quello della radio. Allo stesso tempo, siamo circondati da moltissime frequenze che viaggiano nello spazio nello stesso momento, però, con una radio e girando semplicemente la manopola del canale, riusciamo a collegarci alla frequenza che vogliamo. La stessa cosa vale per gli stati vibrazionali: esistono più realtà che coesistono allo stesso tempo, e se riuscissimo a cambiare la nostra ‘vibrazione’, potremmo connetterci con un differente piano d’esistenza.
 
La domanda che Kaku quidi si pone è :”potremmo viaggiare tra gli universi paralleli in qualche modo?”. La risposta non è così scontata. “Siamo composti di atomi, gli atomi vibrano, però non allo stesso tempo degli altri universi. Non abbiamo perso la connessione con gli altri universi, abbiamo semplicemente perso la coerenza con essi. Semplicemente non vibriamo alla loro stessa frequenza”, dice il fisico.
 
La verità è che siamo talmente concentrati e coinvolti dal mondo fisico che ci dimentichiamo realmente di quello che siamo: energia e vibrazioni. Probabilmente, se riuscissimo a ricordarci di cosa realmente siamo fatti, potremmo controllare le nostre vibrazioni e così viaggiare tra i vari universi. Solo teoria, ovviamente.
 

 

martedì 27 ottobre 2015

Con Bill Gates e Monsanto verso l’estinzione

Nell’aprile 2015 la testata The Guardian ha invitato il miliardario Bill Gates a intervenire, affinché il cambiamento del clima globale possa essere fermato in tempo. Il patetico invito, che non tralascia di incensare Gates nei toni più alti, sottolinea: “Abbiamo scelto di rivolgerci alla Fondazione Gates perché sono brave persone e sicuramente capiscono l’importanza di dover contrastare questo cambio climatico.” Patetico davvero. Anzi, sembra quasi una presa in giro, se pensiamo che proprio la Fondazione Gates lavora spalla a spalla con gente come David Rockefeller, il quale di certo non è un benefattore dell’umanità.
 
Monsanto Condensed Death Soup © Hervé Joseph Lebrun - CC-BY-SA 4.0
 
Inoltre Bill Gates appoggia in modo massiccio la multinazionale criminale Monsanto nella diffusione di OGM (organismi geneticamente modificati) ed è accusato di sponsorizzare una ricerca scientifica volta a provocare, a suon di vaccinazioni, l’estinzione di gran parte del genere umano. Sì, avete letto bene. Siamo in troppi sulla terra. Chi deve sparire, ovviamente, sono poveri e gente normale. Per lasciar più spazio agli oligarchi. Il miliardario Gates, quello che appare oggi nelle foto ufficiali con i capelli grigi, abbronzato, occhialetti da topo di biblioteca, sfoggiando un immancabile sorriso a quarantaquattro denti, si augura una drastica diminuzione della popolazione umana.

Nel 2009, il quotidiano Sunday Times scriveva che già tredici anni prima Bill Gates aveva riunito alcuni facoltosi amici, tra cui David Rockefeller, i magnati Georges Soros e Warren Buffet, l’allora sindaco di New York Michael Bloomberg e il re dei mass media Ted Turner con la sua creatura Oprah Winfrey, per mettere in atto un progetto incentrato su diversi programmi sanitari da applicare nei Paesi in via sviluppo. I “benefattori” donarono più di 45 miliardi di dollari. Qual era il motivo di questa iniziativa? La veloce, pericolosa crescita della popolazione mondiale, che il club dei filantropi eletti considera una vera e propria catastrofe ecologica e deve quindi essere bloccata. Era necessario agire tempestivamente, in concomitanza con i governi delle singole nazioni. Ma come?
 
Hugh Grant, chairman di Monsanto. www.agenciabrasil.gov.brCC-BY-3.0-br
 
Per esempio, facendo circolare sul mercato i prodotti cancerogeni della multinazionale Monsanto, di cui Gates è socio azionario. Il contributo del miliardario all’interno della multinazionale concerne soprattutto le attività di Monsanto in Africa, che vengono spacciate per missioni umanitarie contro la fame nel mondo, ma in realtà rappresentano una minaccia per l’agricoltura locale. Imposti in quelle regioni, i prodotti OGM di Monsanto mettono gli agricoltori locali in ginocchio, boicottano i loro raccolti spingendo i contadini al suicidio, oppure li costringono a operare in perpetua dipendenza economica dalla potente multinazionale statunitense.

lunedì 26 ottobre 2015

Economia del dono: Alain Caillé

Il sociologo francese Alain Caillé ripropone in questa intervista la questione del «dono», la critica all'homo oeconomicus, all'utilitarismo esasperato, alla visioni degli esseri umani come "animali interessati"... E ribadisce un concetto chiave: il dono è un gesto decisivo per lo sviluppo della società umana.
 
Contro la logica dello sfrenato utilitarismo che oggi sembra trionfare in molti campi prende forma una forte opposizione da parte della filosofia e dell’antropologia.

Ad alzare il vessillo della rivolta è stato, nel 1992, il sociologo francese Alain Caillé con il suo Lo spirito del dono – scritto a quattro mani con il collega canadese Jacques T. Godbout – un libro tradotto in cinque lingue che gli ha assicurato fama internazionale.
 
Ma Caillé aveva già dato fuoco alla santabarbara con la "Critica della ragione utilitaristica" del 1989, che assestava un primo colpo all’assioma dell’egoismo, secondo il quale in ogni azione e relazione sociale non si può che mirare al soddisfacimento del proprio interesse. Ora, in un’epoca ancora dominata dal consumismo, il messaggio di Alain Caillé si rivolge ai sudditi dell’impero neoliberistico: «Quanta parte delle attività dell’uomo, sia personali che sociali, deve essere impiegata per soddisfare il puro e semplice utilitarismo, e quanta invece dovrebbe essere dedicata a produrre significati, pensieri, a dare un senso alla vita, cioè al simbolico, al rituale, al politico, insomma al non utilitario?».
 
L’individuo obbedisce automaticamente al sempre più pervasivo modello dell’homo oeconomicus, imposto da certa pubblicità: massimizzare utilità e piacere, respingere senza indugio non solo ciò che fa soffrire ma anche, e soprattutto, ciò che non è utile. Eppure – obietta Caillé – uomini e donne non sono venuti sulla terra per agire da «animali interessati», che desiderano soltanto avere sempre più cose; anche se non lo sanno, l’oggetto principale della loro brama non è comunque la ricchezza quanto «l’essere riconosciuti».
 
Alla 14° sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, apertasi ieri in Vaticano, la nuova filosofia e sociologia, incardinata sul paradigma del dono e dell’altruismo, è stata illustrata dai suoi massimi rappresentanti: Alain Caillé, professore all’Università di Parigi Nanterre e Jacques T. Godbout, professore emerito al National Institut of Scientific Research dell’università di Montreal.

Intervista:
 
Professor Caillé, in un mondo soggiogato dall’etica dell’utilitarismo, la rivendicazione di una nuova economia, fondata sul dono e sull’altruismo, non sembra velleitaria?

«La gente crede che il dono e la generosità siano inutili fronzoli, sentimenti polverosi gettati in soffitta. Questa idea viene fatta valere con un bombardamento quotidiano dal modello economico dominante, secondo il quale non solo il mercato e gli scambi monetari ma anche l’apprendimento, il matrimonio, la fede religiosa, l’amore e l’odio, la giustizia e il delitto, sono regolati dalla logica egoistica. E invece il dono ha un ruolo oggi come lo aveva nel passato delle società umane. La grande scoperta è merito dell’antropologo Marcel Mauss, nipote ed erede intellettuale di Emile Durkheim, uno dei fondatori della sociologia. Nel 1923-1924, Mauss pubblica i risultati della sua indagine sulla pratica del dono cerimoniale. Però lui non si riferiva soltanto alle società arcaiche e primitive. La pratica di dare, prendere e ricambiare, cioè il principio della reciprocità, è stata posta da Claude Lévi-Strauss alla base della ricerca antropologica».
 
Sarà duro il lavoro di persuasione per la nuova sociologia.

«Dal 1982 c’è un Movimento Anti Utilitaristico nelle Scienze Sociali, che prende nome da Mauss. E’ nata una scuola di pensiero la quale ha prodotto una rivista (che ho diretto); la tesi del movimento è stata illustrata in oltre mille articoli e più di trenta libri. L’idea che ne scaturisce è che bisogna dare meno importanza all’ homo oeconomicus e più spazio all’homo politicus, all’homo ethicus e all’homo religiosus ».
 
Che cosa ha scoperto, in pratica, l’inchiesta di Marcel Mauss?

«Ha dimostrato che i doni, nelle società primitive, non avevano alcun valore materiale. Contavano come simboli della relazione sociale, e comunque non avevano nulla a che vedere con la carità. Talvolta esprimevano anche spirito aggressivo e agonismo. Il dono è un simbolo e rispetta la legge della reciprocità. È la circolazione di un debito che può essere invertita ma non fermata».
 
Che cosa resta del dono arcaico nella società di oggi?

«Prendiamo il caso dei donatori di sangue o di organi. Fanno un dono che potenzialmente è destinato a tutti, alla famiglia, ai vicini, ai concittadini come agli stranieri. L’obbligo di dare rimane una regola della socialità primaria. Esprime amore o amicizia? Secondo me esprime simpatia o meglio quella che io chiamo aimance, cioè più esattamente 'l’interesse per gli altri'. Si tenga conto che la teoria dell’estremo utilitarismo era stata già emendata dalla corrente anglosassone della filosofia morale. L’individuo persegue la duratura soddisfazione del suo interesse personale se riesce anche a massimizzare la soddisfazione degli interessi del maggior numero di persone. Un egoismo altruistico».
 
Come convertire l’egoista in altruista?

«C’entra la costruzione dell’identità, individuale e collettiva. L’egoista non vuole tanto possedere, quanto 'essere riconosciuto'. Intendiamoci: anche il dono può essere interessato ma le indagini sociologiche mostrano che 'è interessante essere disinteressati'. Il disinteresse paga».
 
Lo studioso, che partecipa al summit in Vaticano sul bene comune: «Ormai è chiaro che i gesti gratuiti sono un dato decisivo nello sviluppo delle società. Bisogna uscire dall’utilitarismo esasperato»
 

domenica 25 ottobre 2015

I Pitagorici e l'Orfismo

Con i Pitagorici ci troviamo per la prima volta di fronte ad un'autentica scuola filosofica, sebbene molto arcaica e rudimentale. Siamo in pieno VI secolo a.C. e la scuola filosofica assume il carattere di scuola mistica: i contenuti si rispecchiano infatti parzialmente nella setta degli Orfici, mentre le pratiche sono assolutamente uguali: basti pensare che per entrare a far parte della scuola bisognava essere sottoposti ad un rito di iniziazione
 
Sicchè, più che di una scuola, si tratta di una comunità filosofica, religiosa e politica (in certo senso si può anche parlare di "setta" religiosa) i cui membri conducevano vita comune e venivano iniziati. Tutti i pensatori che lavorarono in questa scuola vengono generalmente chiamati Pitagorici, dal nome del loro maestro Pitagora. Oltre a segnare il passaggio di secolo, Pitagora e la sua scuola segnano anche il passaggio della filosofia dalla Grecia e dalle zone della Ionia alla Magna Grecia.
 
Cerchiamo di analizzare le vicende di Pitagora, benché la sua figura sia avvolta da un’aura di mistero: egli nacque a Samo e vi restò finchè non salì al potere un tiranno - Policrate di Samo - sfavorevole all'aristocrazia, nella quale Pitagora si identificava pienamente.
 
Quello di Policrate non è un caso isolato: tutto il V secolo in Grecia (e non solo) è infatti una fase di passaggio da aristocrazia a democrazia (i tiranni infatti erano appoggiati dal popolo). Così Pitagora si vide costretto a fuggire esule a Crotone, nell'attuale Calabria. Ed è qui che egli fondò la scuola, la quale incontrò ben presto un irresistibile successo presso i ceti aristocratici ed i Pitagorici acquisirono un peso determinante nella vita politica di Crotone e delle località limitrofe.
 
Nella scuola l'insegnamento, originariamente, non era affidato allo scritto, ma era impartito oralmente. Inoltre, entrare a far parte della scuola era molto difficile e quando si entrava non vi era la libertà di agire a piacimento: per un po’ di tempo si era, per così dire, Pitagorici "in prova", acusmatici, ossia ascoltatori di precetti che venivano impartiti senza che venisse mostrato il perchè: gli acusmatici di loro non dicevano nulla, ma si limitavano ad imparare i precetti dei Pitagorici già maturi . Interessante è il modo di definizione pitagorico: se ad esempio veniva loro chiesto che cosa fosse bello, rispondevano dicendo la cosa più bella. Era come se trasformassero la domanda "che cosa è bello?" in "quale è la cosa più bella?".
 
E' interessante notare che Aristotele (Metafisica, I), quando ci parla dei vari filosofi che l’hanno preceduto, lo fa singolarmente, ma nel caso dei Pitagorici descrive collettivamente: la scuola stessa era caratterizzata da una vita collettiva (con tanto di comunione dei beni), religiosa e politica, in cui i legami interni erano fortissimi.
 
A Pitagora fu attribuita la valenza di profeta e la sua figura sfumò presto nella leggenda. Le dottrine della scuola erano segrete e anche dopo la morte di Pitagora continuarono ad essere a lui attribuite le variazioni e le evoluzioni, immaginando che parlasse tramite la divinità: da qui nacque la famosa espressione ipse dixit ("l'ha detto lui in persona"), con la quale si indicava che ogni elaborazione non era altro che uno sviluppo delle dottrine del maestro Pitagora. Proprio per questo non sappiamo se il celebre teorema di Pitagora sia effettivamente suo o di qualcun altro a lui vicino. Tutto però ebbe fine quando nel 510 circa vi fu una rivolta democratica a Crotone che portò alla distruzione della scuola, che era di schieramento aristocratico.
 
La tradizione narra che l' opposizione democratica crotoniate, guidata da un certo Cilone, assalì i Pitagorici nella loro sede e ne fece morire un gran numero nelle fiamme. Sembra poi che il Pitagorismo abbia perfino influenzato le civiltà "barbare" e che il re Numa Pompilio sia stato un pitagorico, ma molto probabilmente si tratta semplicemente di leggende. Si dice spesso che i Pitagorici fossero anti-femministi, aspetto che per altro era caratteristico dell'intera società greca, ma probabilmente non è corretto: basti pensare che nella scuola le donne erano accettate.
 
Entriamo ora nell'ambito delle dottrine pitagoriche: tratto saliente dei Pitagorici è il marcato ascetismo a cui essi fanno capo: la pratica di non mangiare carni (la commedia greca ce li rappresenta ironicamente come dei morti di fame) e la credenza (di marca orfica) nella trasmigrazione delle anime e nelle loro espiazioni di colpe sono i pilastri della vita pitagorica; con loro prende via la tradizione del corpo come tomba dell’anima destinata – attraverso Platone prima e attraverso il cristianesimo dopo – a segnare in maniera indelebile la cultura occidentale. La cosa curiosa è che Pitagora ci è presentato come politico, come etico, come fisico e come matematico: insomma, come una figura a trecentosessanta gradi.
 
Nel primo libro della Metafisica, Aristotele attribuisce ai Pitagorici la dottrina per cui i numeri costituiscono l’essenza di tutte le cose, tant’è che per lo Stagirita essi rientrano tra i primi indagatori della natura, sebbene non rinvengano l’arch in un unico principio, ma in una miriade di principi (i numeri); il che fa di loro non già dei monisti, bensì dei pluralisti. Tuttavia non è chiaro a quali Pitagorici faccia riferimento Aristotele (a quelli originari o a quelli a lui contemporanei?): pare difficile che egli alluda ai primi, anche perché la tradizione attesta che il nucleo originario dei loro insegnamenti fosse rigorosamente impartito per via orale e, come se ciò non bastasse, i destinatari erano tenuti al silenzio; solo più tardi, con Filolao di Crotone e Archita (IV secolo a.C. quasi), i Pitagorici mettono per iscritto le loro dottrine ed è dunque presumibile che ad essi alluda Aristotele. 
 
Due risultano essere le più importanti dottrine formulate dal Pitagorismo . La prima è quella della trasmigrazione delle anime, di derivazione orfica: l'Orfismo trovò fertile terreno di sviluppo nell'Italia Meridionale e senz'altro sostenne la dottrina della trasmigrazione delle anima prima dei Pitagorici. Sembra quindi che Pitagorismo e Orfismo siano la stessa cosa, ma non è così. L'Orfismo è di carattere maggiormente religioso, il Pitagorismo è più filosofico.
 
Ma vi è poi un'altra grande differenza, che consiste nei mezzi con cui si può raggiungere il fine (la purificazione): per gli Orfici occorreva compiere riti e vivere in modo giusto, per i Pitagorici bisognava sì vivere in modo giusto e compiere riti, ma anche (e soprattutto) conoscere i numeri, che stanno alla base della dottrina pitagorica. La seconda grande dottrina pitagorica è appunto quella dei numeri, che è legata, come abbiamo visto, alla precedente.
 
I Pitagorici furono dunque i primi greci ad occuparsi in maniera sistematica della matematica. Essi Ritenevano che i principi della matematica fossero anche i principi dell'intera realtà. Notarono infatti che la matematica aveva tutti i principi adatti per essere presa come principio dell'intera realtà. Essa non è un'opinione e Aristotele stesso dirà che gli oggetti di studio della matematica sono permanenti ed immutabili. Se ad esempio prendiamo la musica, gli accordi non sono nient'altro che rapporti matematici. Proprio partendo da questo esempio, che è il più evidente, estesero le loro dottrine all'intera realtà, così come aveva fatto Talete con il magnete.
 
Così come Talete aveva notato che tutte (o quasi) le cose sono caratterizzate dall'acqua, i Pitagorici notarono che tutte le cose sono caratterizzate dalla misurabilità, vale a dire che si possono misurare. Chiaramente questo segnò un grandissimo passo avanti verso l'astrazione. Bisogna senz'altro riconoscere un merito ai Pitagorici: per loro infatti la fisica è spiegabile tramite la matematica. Il loro rapporto con la matematica non è puramente metodologico, come è per noi, ma anche ontologico: non si tratta per loro di studiare solo i numeri, ma anche la realtà, servendosi dei numeri.
 
Nonostante i Pitagorici abbiano avuto la grande intuizione di applicare la matematica per indagare la realtà, non se ne sono serviti poi molto. Il motivo di questo loro limite è dovuto in gran parte alla mancanza di strumenti concettuali e materiali.
 
Non potendo fare della matematica un uso effettivo, essi finirono per provare a cogliere delle somiglianze tra le caratteristiche dei numeri e quelle della realtà. Per esempio, arrivarono a dire che il numero due corrispondeva al genere femminile, il tre al maschile, il cinque al matrimonio (3+2 = 5).
 
Il quattro ed il nove corrispondevano invece alla giustizia in quanto erano i primi numeri quadrati e suggeriscono l'idea di ordine.
 
Nel tempo stesso va detto che la speculazione numerica pitagorica non può non essere stata influenzata dall' osservazione dei fenomeni astronomici: dagli astri essi debbono aver tratto le loro prime idee dei numeri aventi posizione, cioè fissati come punti nello spazio, degli aggruppamenti numerici formanti figure geometriche definite e costanti , della ricorrenza di alcuni numeri nei fenomeni celesti. In altre parole, il numero viene elevato a principio universale di interpretazione, via via che é esteso dall' ordine aritmetico a quello geometrico e, finalmente, all' ordine fisico.
 

sabato 24 ottobre 2015

La connessione del Nazismo con Shambhala e il Tibet

Molti membri d'alto rango del regime Nazista, incluso Hitler, ma specialmente Himmler e Hess, avevano contorte credenze occultistiche. Spinti da queste convinzioni, i tedeschi mandarono una spedizione ufficiale in Tibet tra il 1938 e il 1939, su invito da parte del governo tibetano a partecipare alle celebrazioni del Losar (il Nuovo Anno).
 
Il Tibet aveva vissuto una lunga serie di tentativi di annessione da parte dei cinesi e di tentativi falliti da parte dei britannici di impedire queste aggressioni o di proteggere il Tibet. Sotto Stalin, l'Unione Sovietica stava severamente perseguitando il Buddhismo, particolarmente la forma tibetana che era praticata dai Mongoli all'interno dei suoi confini e nel suo stato satellite, la Repubblica Popolare di Mongolia (Mongolia Esterna). Al contrario, il Giappone stava sostenendo il Buddhismo tibetano nella Mongolia Interna, che aveva annesso come parte di Manchukuo, il suo stato fantoccio in Manciuria. Affermando che il Giappone fosse Shambhala, il Governo Imperiale stava cercando di conquistare il sostegno dei mongoli sotto il suo controllo a favore di un'invasione della Mongolia Esterna e della Siberia, per poter creare una confederazione pan-mongola sotto la protezione giapponese.
 
Il governo tibetano stava vagliando la possibilità di ottenere anch'esso protezione dal Giappone, a fronte della situazione instabile. Il Giappone e la Germania avevano firmato un Patto Anti-Comintern nel 1936, dichiarando la loro comune ostilità nei confronti della diffusione del comunismo internazionale. L'invito per la visita di una delegazione ufficiale della Germania nazista fu inviato in questo contesto. Nell'Agosto 1939, poco dopo la spedizione tedesca in Tibet, Hitler ruppe il patto con il Giappone e firmò il Patto Nazi-Sovietico. A settembre, i sovietici sconfissero i giapponesi che avevano invaso la Mongolia Esterna a maggio. Di conseguenza, nulla si è mai materializzato dai contatti giapponesi e tedeschi con il governo tibetano.
 
Diversi scrittori occultisti del Dopoguerra hanno affermato che il Buddhismo e la leggenda di Shambhala hanno avuto un ruolo significativo nel contatto ufficiale tra Germania e Tibet. Andiamo ad esaminare questa questione.
 
I miti di Tule e di Vril
 
Il primo elemento delle credenze occultistiche dei nazisti era il mitico regno di Tule Iperborea. Allo stesso modo in cui Platone citò la leggenda egiziana dell'isola sprofondata di Atlantide, Erodoto menzionò la leggenda egiziana del continente di Iperborea nell'estremo nord. Quando i ghiacci distrussero quest'antica terra, la sua popolazione migrò a sud. Nel 1679, l'autore svedese Olaf Rudbeck identificò gli Atlantidi con gli Iperborei e collocò questi ultimi al Polo Nord. Secondo diverse descrizioni, Iperborea fu divisa tra le due isole di Tule ed Ultima Tule, che alcuni identificarono con l'Islanda e la Groenlandia.
 
Il secondo ingrediente era l'idea che la terra fosse cava. Alla fine del diciassettesimo secolo, l'astronomo britannico Sir Edmund Halley suggerì per la prima volta che la terra fosse cava e che consistesse di quattro sfere concentriche. La teoria della terra cava ha stimolato la fantasia di molte persone, specialmente a seguito della pubblicazione del romanzo Viaggio al centro della terra dello scrittore francese Jules Verne, avvenuta nel 1864.
 
Poco dopo apparve il concetto di vril. Nel 1871, il romanziere britannico Edward Bulwer-Lytton, nel suo libro La razza che verrà, descrisse una razza superiore, i Vril-ya, che viveva sotto terra e tramava di conquistare il mondo tramite il vril, un'energia psicocinetica. L'autore francese Louis Jacolliot ampliò questo mito in Le Fils de Dieu (I figli di Dio) (1873) e Les Traditions indo-européeenes (Le tradizioni indo-europee) (1876). In questi libri, vril fu connessa ai popoli sotterranei di Tule. I Tuleani avrebbero convogliato l'energia di vril in modo da diventare superuomini e conquistare il mondo.
 
Anche il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) enfatizzò il concetto dell' Übermensch (superuomo) e iniziò la sua opera, Der Antichrist (L'anticristo) (1888), con la frase: "Vediamoci per quello che siamo. Siamo Iperborei. Sappiamo fin troppo bene come stiamo vivendo lontani da questa rotta." Nonostante Nietzsche non avesse mai menzionato vril, nella sua collezione di aforismi pubblicata postuma, Der Wille zur Macht (Il desiderio del potere), egli enfatizzò il ruolo di una forza interna per lo sviluppo superumano, scrivendo che "il gregge," ovvero le persone comuni, ambisce alla sicurezza al suo interno, tramite la costituzione di una moralità e di leggi, mentre i superuomini hanno una forza vitale interna che li spinge ad andare oltre il gregge. Questa forza li costringe e li spinge a mentire al gregge per poter restare indipendenti e liberi dalla "mentalità del gregge."
 
Nel suo libro La dimora artica dei Veda (1903), il pioniere della libertà indiana, Bal Gangadhar Tilak, aggiunse un ulteriore aspetto, identificando la migrazione verso sud dei Tuleani con l'origine della razza Ariana. Dunque, molti tedeschi all'inizio del ventesimo secolo erano convinti di essere i discendenti degli ariani che si erano spostati verso sud partendo da Iperborea Tule e che erano destinati a divenire la razza superiore di superuomini attraverso il potere di vril. Hitler era uno di loro.
 
La Società di Tule e la fondazione del partito Nazista
 
Felix Niedner, il traduttore tedesco del testo norvegese antico Eddas, fondò la Società di Tule nel 1910. Nel 1918, Rudolf Freiherr von Sebottendorf ne fondò la sezione di Monaco di Baviera. Sebottendorf aveva vissuto in precedenza parecchi anni ad Istanbul, dove, nel 1910, aveva fondato una società segreta che combinava il Sufismo esoterico con la Massoneria. Si fondava sul credo negli assassini, derivante dalla setta Nazari dell'Islam ismailita, che aveva prosperato durante le Crociate.
 
Mentre era ad Istanbul, Sebottendorf aveva senza dubbio conosciuto il movimento pan-turanico dei Giovani Turchi, iniziato nel 1908, che era in larga misura responsabile del genocidio armeno del 1915-1916. La Turchia e la Germania erano alleati durante la Prima Guerra Mondiale. Ritornato in Germania, Sebottendorf era anche stato membro del Germanen Order (Ordine dei Teutoni), fondato nel 1912 come società di destra con una loggia segreta antisemitica. Attraverso questi canali, l'assassinio, il genocidio e l'antisemitismo divennero parte del credo della Società di Tule. L'anticomunismo fu aggiunto più tardi dopo la Rivoluzione Comunista Bavarese del 1918, quando la Società di Tule di Monaco divenne il centro del movimento controrivoluzionario.
 
Nel 1919, la Società diede origine al Partito Tedesco dei Lavoratori. Più tardi nello stesso anno, Dietrich Eckart, un membro della cerchia più ristretta della società di Tule, introdusse Hitler nella Società e cominciò ad insegnargli i metodi per convogliare vril per creare una razza di superuomini ariani. Hitler aveva una propensione mistica sin dalla sua giovinezza, quando studiò l'Occulto e la Teosofia a Vienna. Successivamente, Hitler dedicò Mein Kampf a Eckart. Nel 1920, Hitler divenne il capo del Partito Tedesco dei Lavoratori, oramai ribattezzato in Partito Nazionalsocialista (Nazista) Tedesco dei Lavoratori.
 
Haushofer, la società di Vril e la Geopolitica
 
Un'altra influenza rilevante sul pensiero di Hitler fu Karl Haushofer (1869-1946), un consulente militare dei giapponesi a seguito della Guerra Russo-Giapponese del 1904-1905. Poiché era profondamente colpito dalla cultura giapponese, molti sono convinti che fu responsabile della successiva alleanza tedesco-giapponese. Inoltre era profondamente interessato alle culture indiana e tibetana, studiava il sanscrito e affermava di aver visitato il Tibet.
 
Dopo aver prestato servizio come generale nella Prima Guerra Mondiale, Haushofer fondò la Società di Vril a Berlino nel 1918. Essa condivideva fondamentalmente le stesse credenze della Società di Tule e alcuni dicono che ne fosse la cerchia più intima. La Società cercò di entrare in contatto con esseri soprannaturali sotterranei per poter ottenere da loro i poteri di vril. Inoltre essa affermava l'origine centroasiatica della razza ariana. Haushofer sviluppò la dottrina della Geopolitica e poi, nei primi anni '20, divenne il direttore dell'Istituto di Geopolitica all'Università Ludwig-Maximilian di Monaco. La Geopolitica propagava la conquista di territorio per guadagnare spazio vitale (ted. Lebensraum) come mezzo per acquisire potere.
 
Rudolf Hess era uno degli studenti più stretti di Haushofer e lo presentò a Hitler nel 1923, mentre Hitler era in prigione per il suo Putsch fallito. Successivamente, Haushofer visitò spesso il futuro Führer, insegnandogli la Geopolitica, combinata con le idee delle Società di Tule e di Vril. In questo modo, quando Hitler divenne cancelliere nel 1933, adottò la Geopolitica come linea programmatica per la conquista dell'Europa dell'Est, della Russia e dell'Asia Centrale da parte della razza ariana. La chiave del successo sarebbe stata la scoperta nell'Asia Centrale degli antenati della razza ariana, i custodi dei segreti di vril.
 
La Swastika
 
La Swastika è un antico simbolo indiano di fortuna immutabile. "Swastika" è una anglicizzazione del termine sanscrito svastika, che significa benessere o buona fortuna. Utilizzato da migliaia di anni dagli induisti, dai buddhisti e dai gianisti, si diffuse anche in Tibet.
 
La swastika è apparsa anche in molte altre culture antiche del mondo. Per esempio, la sua variante antioraria, adottata dai nazisti, è anche la lettera "G" nella scrittura runica medievale dell'Europa settentrionale. I Massoni assunsero questa lettera come un simbolo importante, poiché "G" poteva simbolizzare Dio [God, n.d.T], il Grande Architetto dell'Universo oppure Geometria.
 
La swastika è anche un simbolo tradizionale dell'antico dio norvegese del Tuono e della Potenza (Scandinavo: Thor, Tedesco: Donner, Baltico: Perkunas). A causa della sua associazione con il Dio del Tuono, sia i lettoni che i finlandesi adottarono la swastika come insegna dei loro corpi di aeronautica militare quando acquisirono l'indipendenza a seguito della Prima Guerra Mondiale.
 
Nel tardo diciannovesimo secolo, Guido von List adottò la swastika come emblema del movimento neopagano in Germania. Tuttavia, i tedeschi non usarono il termine sanscrito svastika, ma la chiamarono invece Hakenkreuz, ovvero "croce uncinata." Avrebbe sconfitto e sostituito la croce, allo stesso modo in cui il Neopaganesimo avrebbe sconfitto e sostituito il Cristianesimo.
 
Condividendo il sentimento anticristiano del movimento neopagano, la Società di Tule adottò anch'essa il Hakenkreuz come parte del suo emblema, ponendolo in un cerchio con un pugnale tedesco verticale sovrapposto ad esso. Nel 1920, su suggerimento del Dott. Friedrich Krohn della Società di Tule, Hitler adottò il Hakenkreuz in un cerchio bianco come parte centrale della bandiera del Partito Nazista. Hitler scelse il rosso come colore per lo sfondo per competere contro la bandiera rossa del rivale Partito Comunista.
 
I ricercatori francesi Louis Pauwels e Jacques Bergier, in Le Matin des Magiciens (Il mattino dei maghi) (1962), scrissero che Haushofer convinse Hitler ad usare il Hakenkreuz come simbolo del Partito Nazista. Essi affermano che questo era a causa dell'interesse di Haushofer per le culture indiana e tibetana. Questa conclusione è altamente improbabile, poiché Haushofer non incontrò Hitler prima del 1923, mentre la bandiera nazista apparve per la prima volta nel 1920. È più probabile che Haushofer utilizzò la presenza diffusa della swastika in India e in Tibet come prova per convincere Hitler che in quella regione si trovassero gli antenati della razza Ariana.
 
La soppressione nazista dei gruppi occulti rivali
 
Durante la prima metà degli anni '20, una violenta rivalità ebbe luogo tra le società occulte e le logge segrete in Germania. Negli anni successivi, Hitler continuò la persecuzione degli Antroposofisti, dei Teosofisti, dei Massoni e dei Rosacroce. Vari studiosi attribuiscono questa linea politica al desiderio di Hitler di eliminare qualsiasi rivale occulto al suo comando.
 
Influenzato dagli scritti di Nietzsche e dalle credenze della Società di Tule, Hitler credeva che il Cristianesimo fosse una religione in difetto, infettata dalle sue radici nel pensiero giudaico. Egli vedeva i suoi insegnamenti sul perdono, sul trionfo dei deboli e sull'abnegazione come antievolutivi e vedeva se stesso come un messia che avrebbe sostituito Dio e Cristo. Steiner aveva usato l'immagine dell'Anticristo e di Lucifero come future guide spirituali che avrebbero rigenerato il Cristianesimo in una nuova forma pura. Hitler andò molto oltre. Vedeva se stesso come colui che avrebbe liberato il mondo da un sistema degenerato e avrebbe dato origine ad un nuovo passo nell'evoluzione con la razza superiore ariana. Non poteva tollerare alcun Anticristo rivale, né ora, né in futuro. Tuttavia, era tollerante nei confronti del Buddhismo.
 
Il Buddhismo nella Germania Nazista
 
Nel 1924, Paul Dahlke fondò il Buddhistisches Haus (la Casa Buddhista) a Frohnau, Berlino. Era aperta a membri di tutte le tradizioni buddhiste, ma ospitava principalmente le forme Theravada e giapponese, poiché queste erano le forme più conosciute in occidente a quell'epoca. Nel 1933, ospitò il Primo Congresso Europeo Buddhista. I nazisti permisero che la Casa Buddhista rimanesse aperta durante tutta la guerra, ma la tenevano sotto stretto controllo. Poiché alcuni membri conoscevano il cinese e il giapponese, funsero da traduttori per il governo, in cambio della tolleranza verso il Buddhismo.
 
Nonostante il regime nazista avesse chiuso la Buddhistische Gemeinde (Società Buddhista), che era stata attiva a Berlino a partire dal 1936, e avesse arrestato per un breve periodo il suo fondatore Martin Steinke nel 1941, in generale esso non perseguitò i buddhisti. Tuttavia, non c'è alcuna prova che maestri del Buddhismo tibetano siano mai stati presenti nel Terzo Reich.
 
La politica di tolleranza nazista nei confronti del Buddhismo non prova alcuna influenza degli insegnamenti buddhisti su Hitler o sull'ideologia nazista. Una spiegazione più probabile è il desiderio dei tedeschi di non danneggiare le relazioni con il suo alleato buddhista, il Giappone.
 
L' Ahnenerbe
 
Sotto l'influenza di Haushofer, Hitler autorizzò Frederick Hielscher nel 1935 a fondare l' Ahnenerbe (Società di ricerca dell'eredità ancestrale), con il Colonnello Wolfram von Sievers come suo capo. Tra le altre funzioni, Hitler gli assegnò lo studio delle rune germaniche, delle origini della svastica e l'individuazione dell'origine della razza ariana. Il Tibet era il candidato più promettente.
 
Alexander Csoma de Körös (Körösi Csoma Sandor) (1784-1842) era uno studioso ungherese ossessionato dalla missione della scoperta delle origini della popolazione ungherese. Sulla base di affinità linguistiche tra gli ungheresi e le lingue turche, egli pensava che le origini della popolazione ungherese fossero nel "regno degli Yuguri (Uiguri) nel Turkistan Orientale (Xinjiang, Sinkiang). Era convinto che se avesse potuto raggiungere Lhasa, avrebbe trovato là la chiave per individuare la sua madrepatria.
 
Le lingue ungherese, finlandese, mongola, manciù e le lingue turche appartengono alla famiglia linguistica uralo-altaica, conosciuta anche come famiglia turanica, derivante dal termine persiano Turan per indicare il Turkistan. A partire dal 1909, i Turchi conobbero un movimento pan-turanico, capeggiato da una società nota come i Giovani Turchi. La Società Turanica Ungherese seguì nel 1910 e l'Alleanza Turanica d'Ungheria nel 1920. Alcuni studiosi ritengono che le lingue giapponese e coreano appartengano anch'esse alla famiglia turanica. Dunque, l'Alleanza Nazionale Turanica fu fondata in Giappone nel 1921 e la Società Turanica Giapponese nei primi anni '30. Haushofer era senza dubbio al corrente di questi movimenti, che cercavano le origini della razza turanica nell'Asia Centrale. Questo era bene in linea anche con la ricerca della Società di Tule delle origini della razza ariana in quella regione. Il suo interesse per la cultura tibetana diede ulteriore peso alla candidatura del Tibet come chiave per individuare un'origine comune delle razze ariana e turanica e per ottenere il potere di vril che era posseduto dai suoi leader spirituali.
 
Haushofer non fu l'unica influenza in merito all'interesse dell' Ahnenerbe per il Tibet. Hielscher era amico di Sven Hedin, l'esploratore svedese che guidò le spedizioni in Tibet del 1893, 1899-1902 e 1905-1908, e una spedizione in Mongolia del 1927-1930. Poiché era visto con molto favore dai nazisti, Hitler lo invitò a tenere il discorso inaugurale alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Hedin si occupò di pubblicazioni filonaziste in Svezia e intraprese numerose missioni diplomatiche in Germania tra il 1939 e il 1943.
 
Nel 1937, Himmler rese l' Ahnenerbe un'organizzazione ufficiale annessa alle SS (ted. Schutzstaffel, Squadra di Protezione) e nominò a suo capo il Professor Walther Wüst, direttore del Dipartimento di Sanscrito presso l'Università Ludwig-Maximilian di Monaco. L' Ahnenerbe aveva un Tibet Institut (Istituto Tibetano), che fu rinominato Sven Hedin Institut für Innerasien und Expeditionen (Istituto Sven Hedin per l'Asia Centrale e le Spedizioni) nel 1943.
 
La spedizione nazista in Tibet
 
Ernst Schäfer, un cacciatore e biologo tedesco, partecipò a due spedizioni in Tibet, nel 1931-1932 e nel 1934-1936, a fini di ricerca sportiva e zoologica. L' Ahnenerbe sponsorizzò una sua terza spedizione (1938-1939) su invito ufficiale del governo tibetano. La visita coincise con un rinnovo dei contatti tra il Tibet e il Giappone. Una possibile spiegazione per l'invito è il desiderio da parte del governo tibetano di mantenere relazioni cordiali con i giapponesi e il fatto che i loro alleati tedeschi fossero un contrappeso nei confronti dei britannici e dei cinesi. Dunque, il governo tibetano accolse la spedizione tedesca per le celebrazioni del Nuovo Anno (Losar) a Lhasa nel 1939.
 
In Fest der weissen Schleier: Eine Forscherfahrt durch Tibet nach Lhasa, der heiligen Stadt des Gottkönigtums (Festival delle sciarpe bianche: una spedizione di ricerca attraverso il Tibet fino a Lhasa, la città sacra del regno degli Dei) (1950), Ernst Schäfer descrisse le sue esperienze durante la spedizione. Durante le festività, annotò, l'Oracolo di Nechung avvertì che, nonostante i tedeschi portassero parole amabili e doni, il Tibet doveva stare in guardia poiché il leader dei tedeschi era come un drago. Tsarong, il precedente capo dell'esercito tibetano e filogiapponese, cercò di ammorbidire la profezia, dicendo che il Reggente aveva già udito molte altre cose dall'Oracolo ma che egli stesso non era autorizzato a divulgarne i dettagli. Il Reggente pregava ogni giorno che non ci fosse una guerra tra i britannici e i tedeschi, poiché questo avrebbe avuto conseguenze terribili anche per il Tibet. Entrambi i paesi dovevano comprendere che tutte le persone di buona fede dovevano fare le stesse preghiere. Per tutto il resto del suo soggiorno a Lhasa, Schäfer incontrò spesso il Reggente ed ebbe un buon rapporto con lui.
 
I tedeschi erano molto interessati a stabilire relazioni amichevoli con il Tibet. Tuttavia, le loro priorità erano leggermente diverse da quello dei tibetani. Uno dei membri della spedizione Schäfer era l'antropologo Bruno Beger, che era responsabile dei programmi di ricerca razziale. Avendo lavorato con H. F. K. Günther a Die nordische Rasse bei den Indogermanen Asiens (La razza nordica tra gli Indogermani dell'Asia), Beger sosteneva la teoria di Günther di una "razza nordica" in Asia Centrale e in Tibet. Nel 1937, Beger aveva proposto un progetto di ricerca nel Tibet Orientale e, con la spedizione Schäfer, intendeva investigare scientificamente le caratteristiche razziali della popolazione tibetana. Durante il suo percorso attraverso il Tibet e il Sikkim, misurò il cranio di trecento tibetani e sikkimesi ed esaminò alcune altre caratteristiche fisiche e tratti corporei, concludendo che i tibetani occupavano una posizione intermedia tra le razze mongole e quelle europee, con gli elementi razziali europei evidenti in modo maggiormente pronunciato tra i membri dell'aristocrazia.
 
Secondo quanto scrisse Richard Greve nel suo Tibetforschung in SS-Ahnenerbe (Ricerca Tibetana nelle SS-Ahnenerbe), pubblicato in T. Hauschild (ed.) Lebenslust und Fremdenfurcht – Ethnologie im Dritten Reich (Passione per la vita e xenofobia – etnologia nel Terzo Reich) (1995), Beger raccomandò che i tibetani avrebbero dovuto avere un ruolo importante dopo la vittoria finale del Terzo Reich. Essi avrebbero potuto servire come una razza alleata in una confederazione pan-mongola sotto l'egida della Germania e del Giappone. Nonostante Beger avesse anche raccomandato ulteriori studi per misurare tutti i tibetani, non ci furono ulteriori spedizioni in Tibet.
 
Presunte spedizioni occulte in Tibet
 
Diversi studi effettuati nel Dopoguerra sul Nazismo e sull'Occultismo, come quello di Trevor Ravenscroft La Lancia del Destino (1973), hanno affermato che sotto l'influenza di Haushofer della Società di Tule, i tedeschi inviarono spedizioni annuali in Tibet dal 1926 al 1943. La loro missione era innanzitutto trovare e successivamente mantenere i contatti con gli antenati ariani di Shambhala e Agharti, due città sotterranee nascoste ai piedi dell'Himalaya. Gli adepti in questi luoghi erano i custodi di antichi poteri occulti, specialmente vril, e le missioni cercavano di ottenere il loro aiuto per convogliare questi poteri e creare una razza superiore ariana.
 
Secondo queste testimonianze, Shambhala rifiutò ogni assistenza, mentre Agharti acconsentì. Successivamente, a partire dal 1929, pare che gruppi di tibetani vennero in Germania ed avviarono delle logge note come la Società degli Uomini Verdi. Connessi con la Società dei Dragoni Verdi in Giappone, attraverso l'intermediazione di Haushofer, pare che essi aiutassero la causa nazista con i loro poteri occulti. Himmler era attratto da questi gruppi di adepti tibetani di Agharti e, a quanto pare sotto la loro influenza, fondò l' Ahnenerbe nel 1935.
 
A parte il fatto che non fu Himmler a fondare l' Ahnenerbe, piuttosto lo incorporò nelle SS nel 1937, la testimonianza di Ravencroft contiene altre affermazioni discutibili. Tra di esse, la principale è l'eventuale appoggio di Agharti alla causa nazista. Nel 1922, lo scienziato polacco Ferdinand Ossendowski pubblicò Bestie, Uomini e Dei, descrivendo i suoi viaggi attraverso la Mongolia. Nel suo testo, egli riferisce di aver sentito parlare del regno sotterraneo di Agharti sotto il Deserto del Gobi. In futuro, i suoi potenti abitanti sarebbero venuti in superficie per salvare il mondo dal disastro.
 
La traduzione tedesca del libro di Ossendowski apparve nel 1923 e ebbe un discreto successo. Tuttavia, Sven Hedin pubblicò nel 1925 il suo Ossendowski und die Wahrheit (Ossendowski e la verità), in cui sfatò le affermazioni dello scienziato polacco. Hedin fece notare che Ossendowski aveva ripreso l'idea di Agharti dal romanzo del 1886 di Saint-Yves d’A lveidre’s Mission de l’Inde en Europe (Missioni dell'India in Europa), per rendere il suo racconto più appetibile ad un pubblico tedesco. Poiché Hedin aveva una forte influenza sull' Ahnenerbe, è improbabile che questo ufficio abbia inviato una spedizione specificamente allo scopo di individuare Shambhala e Agharti e dunque avesse ricevuto sostegno da quest'ultima.

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