Howard Barraclough Fell (1917-1994), meglio conosciuto come Barry Fell, è stato enormemente influente negli Stati Uniti. Era un abile e rispettato biologo marino presso la Harvard University il cui interesse per l'epigrafia lo ha portato a essere descritto dai suoi seguaci come "il più grande linguista del XX secolo" anche se gli scettici lo ritenevano solo "uno pseudoscienziato che ha minacciato per annullare più di un secolo di un'attenta progressi nella ricerca archeologica e antropologica ".
Nulla di più ingiusto, in quanto Barry Fell era prima di tutto uno scienziato il che significa che egli fosse in grado di presentare ciò di cui era fermamente convinto secondo una certa misura di oggettività .
La prima incursione di Fell in epigrafia è stato uno studio di petroglifi polinesiane pubblicati nel 1940, ma è stato il suo libro “America BC” (1976) che in realtà lo ha spinto nell'ambito della ricerca archeologica 'borderline' a cui siamo avvezzi.
In esso, ha sostenuto che ci sono numerosi esempi di incisioni proprie del Vecchio Mondo che possiamo ritrovare su superfici rocciose e oggetti in tutto il Nord e il Sud America. Questo fu seguito da Saga America (1980), in cui ha ampliato le identificazioni delle incisioni e dei linguaggi per includere l'arabo e altri linguaggi, nonché mappe ed uno zodiaco. Il terzo, “Bronze Age America” (1982), concentrata sul riconoscimento di testi scandinavi dell'età del bronzo, ovvero 2000 anni più vecchi di eventuali iscrizioni runiche conosciute in Europa, a Peterborough, Ontario (Canada).
Secondo Barry Fell, c'erano stati numerosi contatti precolombiani tra Europa, Africa e Asia e il Nuovo Mondo che risale ad almeno 3000 anni prima della nascita di Cristo.
Nella prima metà degli anni Settanta un collaboratore del professor Barry Fell, di nome John William, scoprÏ nella Widener Library dello Harvard College una copia dí un curioso documento, stampato a New York nel 1866, incluso in un libro sugli indigeni wabanaki del Maine. Si trattava díunsolo foglio, scritto dal missionario francese Eugene Vetromile, un sacerdote che aveva predicato agli indigeni, ed era intitolato “La preghiera del Signore” in geroglifici Micmac.
Al primo sguardo, Barry Fell si rese conto che almeno la metà dei segni geroglifici di quel foglio erano simili ai geroglifici egizi, nella loro forma semplificata detta ‘ieratica’. Ciò che destava maggior sorpresa e il sospetto dí una mistificazione erano però le precise corrispondenze tra i significati dei segni egizi e la trascrizione in inglese del testo micmac riportato nel documento.
Sospetti decaduti dopo la scoperta della dichiarazione del sacerdote francese Pierre Maillard il quale aveva affermato di essere egli stesso l'inventore dei geroglifici micmac.
Come avrebbe potuto però Maillard conoscere i geroglifici egizi, per inventare il sistema di scrittura micmac? L'esame delle date mostra immediatamente l'impossibilità di ciò, poichè Maillard morì nel 1762, ovvero sessant'anni prima che Champollion pubblicasse la prima decifrazione della stele di Rosetta.
Qualsiasi somiglianza tra il sistema di Maillard e quello egizio doveva quindi essere puramente casuale come giustamente ci ricorda Alberto Arecchi nell'articolo “Il mistero dei Micmac” da cui abbiamo preso la seguente immagine e la storia sopraccitata.
In alto: La versione del Salmo 116 (Non nobis Domine) in geroglifici micmac, trascritta nel 1738 ca. Dall’Abbate Maillard. In basso, lo stesso testo trascritto in geroglifici egizi.
Nel nostro precedente articolo “Antiche Rotte commerciali” avevamo già evidenziato quegli indizi che ci fanno ragionevolmente pensare a contatti tra le popolazioni residenti sulle due sponde dell'atlantico concentrandoci su quelli ipotetici tra le civiltà mesoamericane e le culture mesopotamiche facendo specifico riferimento tra le altre cose al cammino del Peabirù, alla Fuente Magna, al manoscritto 512 e al Monolite di Pokotia riprendendo il lavoro di ricerca di Yuri Leveratto.
Una ricerca che ci porta alla conclusione di come, secondo Bernardo Biados, i Sumeri circumnavigarono l’Africa già nel terzo millennio prima di Cristo, ma, arrivati presso le isole di Capo Verde, si trovarono sbarrato il passaggio dai venti contrari che soffiano incesantemente verso sud-ovest. Si trovarono pertanto obbligati a fare rotta verso ovest, cercando venti favorevoli. Fu così che giunsero occasionalmente in Brasile presso le coste dell’attuale Piauì o Maranhao. Da quei punti esplorarono il continente risalendo gli affluenti del Rio delle Amazzoni, in particolare il Madeira e il Beni o percorrendo il già citato "Cammino del Peabirú".
In questo modo arrivarono all’altopiano andino, che probabilmente nel 3000 a.C. non aveva un clima così freddo. Si mischiarono così alle genti Pukara che a loro volta provenivano dall’Amazzonia (espansione Arawak), e ai popoli Colla (i cui discendenti parlano oggi la lingua aymara). La cultura Sumera influenzò le genti dell’altopiano, non solo dal punto di vista religioso, ma anche lessicale. Molti linguisti infatti hanno trovato molte similitudini tra il proto-sumerico e l’aymara.
La Fuente Magna e il Monolite di Pokotia – prove di presenza Sumera in Sudamerica
Ma questa volta lasceremo da parte il mondo mesopotamico per concentrarci sulle regioni nord-atlantiche, altrettanto misteriose, anche se sappiamo come l'archeologia alternativa preferisca focalizzarsi maggiormente sull'area medioorientale.
Esiste una teoria, che riprendiamo dall'articolo di Steven Sora pubblicato su “Atlantis Rising” e, in lingua italiana, sul sito Liutprand, che vede l'antico e misterioso popolo dei Pitti in Scozia, discendere nientepopodimeno che da un'altrettanta misteriosa tribù algonchina del nordamerica. Proprio i Micmac di Fell.
Per affrontare correttamente il tema dobbiamo dimenticarci gli stereotipi cui siamo abituati a credere quando ci interfacciamo con la cultura dei nativi americani e che certa cinematografia ci ha indotto a pensare.
La discussione sulla capacità dei popoli pre–colombiani dell’America del Nord non ha mai riguardato qualcosa di più di incidenti isolati, in parte a causa della necessità di dipingere un quadro dei popoli americani come selvaggi. Con navi di grandi dimensioni, superiori a quella di Colombo, città di certo più grandi di quelle europee, e più precisi nella matematica e della misurazione del tempo, gli Americani evidentemente trascendevano ogni nostra precedente comprensione.
Che i nativi americani avessero una cura per il più grande dramma dei marinai che navigavano su lunghe distanze non era l’ultima sorpresa per i francesi. Quello che sarebbe cresciuto fino a diventare Montreal si chiamava Hochlaga, ed era un villaggio pianificato con strade che partivano da una piazza centrale. Anche gli spagnoli trovarono che la città azteca di Tenochtitlan era più grande della stessa Siviglia, gli europei avrebbero incontrato molte sorprese anche dai nativi americani del Nord. La risposta è semplice: gli americani non erano i selvaggi descritti nelle storie dei conquistatori del Nuovo Mondo.
Una delle maggiori sorprese venne dal linguaggio d’un ramo della tribù algonchina chiamato Micmac. Entrando alla foce del San Lorenzo, i francesi incontrarono questa tribù che circondava la loro nave con due distinte flotte di canoe cinquanta ciascuno. La capacità della popolazione nativa di riunire un gran numero di persone sul fiume era abbastanza una sorpresa, e i francesi scoprirono ben presto che sapevano spostarsi su grandi distanze, nonché, eventualmente, fare numerosi viaggi in Scozia e alle isole settentrionali.
Gli europei avrebbero scoperto che le popolazioni native del nord–est avevano effettivamente impegnarsi in un vasto commercio che portava loro sia i beni sia le conoscenze provenienti dagli angoli più remoti del continente. Dal Messico arrivava la capacità di coltivare fagioli e mais. Da sud–est venivano le conchiglie, da nord–est l’ossidiana, e dai Grandi Laghi veniva il rame. Gran parte del commercio era condotta per vie d’acqua.
La capacità di navigare a grande distanza nel mare era nota pure a Colombo. Sappiamo che, presso il popolo dei Caribi, Colombo aveva trovato canoe, complete di alberi, che potevano contenere 25–70 persone. Colombo sequestrò una nave dei Maya Putun più grande della sua. Poteva contenere altrettanti o più marinai di una delle sue navi. I Maya avevano una flotta di un centinaio di navi e avevano costruito moli a Tulum e sull’isola di Cozumel per il commercio. Dall’altra parte del continente, i Kwakiutl nel nord–ovest avrebbero avuto canoe oceaniche, capaci di contenere 7–10 persone. Chiaramente il commercio era ben consolidato in America, prima che gli europei arrivassero.
Un quadro completamente diverso dall'idea di “cacciatori di bisonti” con la quale forse in modo troppo riduttivo immaginiamo i popoli delle praterie e delle foreste del nordamerica. E' quindi ragionevole pensare che questi popoli con queste conoscenze nautiche siano stati in grado di realizzare viaggi transatlantici secoli prima di Cristoforo Colombo e secoli prima dei Vichinghi?
In realtà esiste più di un indizio che consente di dimostrare la fondatezza di questa ipotesi. Ed è ancora l'articolo di Steven Sora riportato su Liutprand a dimostrarlo.
Dopo che Cesare aveva conquistato la Gallia, una canoa con tre sopravvissuti sbarcò in Germania. Un capo di una tribù germanica di frontiera consegnò gli uomini al governatore Quinto Metello, che riconobbe che non erano europei. L’incidente è stato registrato dallo storico romano Plinio. Altri esempi sono citati in altre opere dello stesso periodo. Gli Inuit erano conosciuti e si sapeva che attraversavano il gelido Nord Atlantico in kayak, e un kayak era posto a decorare la cattedrale di Nidaros in Norvegia.
Quando Colombo era ancora un cartografo, navigò a Galway in Irlanda. Una potente corrente raggiunge le isole britanniche sin dal Golfo del Messico. Quando Colombo era lì, s’imbatté con due pellerossa, individui dalla fronte piatta che chiamò "indiani", cioè provenienti dall’India. L’incidente contribuì a convincerlo della sua missione per raggiungere l’Asia attraverso l’Atlantico.
Cosa ancora più strana di queste visite accidentali, i nativi americani avevano attraversato l’Atlantico, centinaia di anni prima, e "scoperto" l’Europa, e potrebbero avere colonizzato la Scozia. Erano le tribù marittime che Cartier incontrò, i Micmac. Gli storici confinano queste persone ad una zona di Terranova e della Nuova Scozia, benché una parte della tribù non appartenesse al gruppo più alto degli Algonchini, ma ad un gruppo più basso, dalla pelle più scura, e si coloravano la pelle con tintura blu.
Pittura blu che non può non ricordare al lettore attento un nostro vecchio articolo intitolato “Quegli Uomini dalla Pelle Blu” nel quale, riprendendo la recente vicenda di Paul Karason si sosteneva l'ipotesi che la raffigurazione degli dei nella mitologia antica fosse legata all'utilizzo di oro o altri metalli allo stato molecolare per scopi medici.
Amon in Egitto fu spesso raffigurato con il viso blu e la carnagione blu, così come anche Shou, Thoth, venivano raffigurati di colore azzurro o blu. Vishna in India, celebrato come il Dio Supremo.
In Guatemala, in Messico, Colombia, Perù, Bolivia, leggende tramandate per secoli, parlano di visitatori di colore blu. Il grande dio Sin, di Khafajah, antica città mesopotamica che conobbe il suo splendore con il popolo sumero sotto anche conosciuto come il Dio dalla pelle azzurra e dai capelli di lapislazzuli.
Come sostiene Giorgio Pastore nel suo libro “Dei del Cielo, Dei della Terra” pubblicato da Eremon Edizioni nel 2007 a pagine 243 e 244, all’origine della credenza che i nobili e l’aristocrazia di tutti i secoli siano collegati agli atlanti dei c’è la conferma di Manetone e di Erodoto relativamente al fatto che gli Egizi, i quali facevano molta attenzione all’uso dei colori nei loro affreschi dipingevano Amon e Shu con la pelle azzurra e Osiride e Thot con la pelle verde. Questi sarebbero stati abitanti di Atlantide, scampati al disastro che interessò la loro terra così come il resto del mondo. La prima elìte. I primi sovrani del mondo.
E anche i Micmac erano soliti dipingersi la pelle di blu, esattamente come i popoli scozzesi con i quali i nativi americani condividono incredibilmente molte caratteristiche. I Pitti si dipingevano i volti e la pelle con tatuaggi. Come i Micmac, che indossavano pochi abiti, perché non volevano coprire le loro opere d’arte.
Copricapi piumati esistevano tra i Micmac, e il rango di chi l’indossava era determinato dalla quantità di piume. Questa usanza esisteva anche tra i Pitti, gli unici europei a indicare il proprio rango con questo metodo.
Entrambi, Micmac e Pitti, avevano tradizioni matriarcali. Ciò significa che gli individui risalivano alle origini della loro famiglia attraverso la madre. I Celti vivevano in un’organizzazione di tipo patriarcale. Le famiglie di entrambi, Pitti e Micmac, erano organizzate in un sistema di clan. Mentre la famiglia era la prima la lealtà, il clan era molto importante. Il Clan Chattan, che significa il Clan del Gatto, è stato il più grande della Scozia. Nel prendere decisioni tra i clan, le donne sedevano nei consigli dei Pitti e dei Micmac così come presso i fieri Irochesi. Le donne avrebbero determinato quale uomo sarebbe stato il capo del popolo.
Quando giungeva il momento di festeggiare, le danze degli indiani americani sono ben note. Tra le terre delle isole britanniche, gli scozzesi e gli irlandesi sono noti per le loro danze. Gli Highlanders sono noti per la riunione annuale dei Clan, che corrisponde al pow–how, la più ampia riunione tribale degli Indiani d’America.
Certe caratteristiche razziali erano condivise tra i Pitti e i Micmac. Entrambi tali popoli erano più bassi rispetto ai loro vicini, ed entrambi avevano la carnagione più scura.
È probabile che i Celti, in confronto, fossero più alti, con capelli rossi o biondi, occhi azzurri, come gli abitanti delle isole britanniche più tardi.
L’espressione "irlandese scuro" o "irlandese nero" sopravvive oggi per distinguerli dai cugini celtici. Gli antropologi propendono ufficialmente per una fusione con sangue mediterraneo, o addirittura africano, anche se non ci sono prove.
Tatuaggi e visi tinti in blu valsero loro il nome di "nasi blu", un soprannome che ancora esiste in centinaia di barche da pesca da Terranova al Maine.
E’ anche un soprannome per i residenti costieri del Nord–Est. I Micmac potevano indossare perizomi, ma potevano stare al caldo con un abbondante strato di grasso animale strofinato sulla pelle. Questa “giacca” teneva al di fuori il gelo e permetteva loro di navigare il gelido Atlantico.
Ma i misteri dei Micmac non si limitano a questo.
Come ci ricorda Alberto Arecchi nel suo articolo “Il Mistero dei Micmac” è necessario segnalare ciò che gli stessi algonchini hanno raccontato ai primi ricercatori. Il primo resoconto pubblicato fu quello di John Johnston, un agente della trib˘ shawnee, il quale scrisse, in una lettera del 7 luglio 1819: “Questa gente conserva la tradizione che i suoi antenati abbiano attraversato il mare. La sola tribù da me conosciuta che ammetta una origine straniera. Sino ad epoca recente ossia al 1819 hanno compiuto sacrifici annuali per celebrare il loro arrivo sicuro in questo paese. Non sanno però da dove o in quale epoca siano arrivati in America.
Indiani Micmac in abiti tradizionali
Forse è significativo anche il fatto che gli algonchini abbiano mantenuto la tradizione, ancora viva quando Johnston redasse il suo rapporto scritto, che esistessero altri popoli stranieri in America, in tempi antichi. Johnston dice, su tale punto, che gli algonchini li informarono come segue. “E' opinione prevalente tra di loro che la Florida sia stata abitata da una popolazione bianca, che usava attrezzi di ferro. Piede Nero (un celebre capo) afferma di avere spesso udito dire da parte dei vecchi che si trovavano spesso ceppi díalberi, sotto terra, che erano stati tagliati da strumenti affilati.”
Gli algonchini sarebbero di discendenza mista, con una proporzione maggiore di sangue mongolico verso ovest ed una proporzione maggiore di sangue europeo verso la costa orientale. Tale supposizione si può confrontare con l'evidenza linguistica.
Ricercatori russi hanno raccolto vocabolari per circa 25.000 parole dalle molte tribù nomadi che vivono allíestremità nord-orientale della Siberia e delle isole adiacenti.
Queste, con gli studi della struttura grammaticale delle lingue, mostrano una chiarissima affinità con le lingue parlate nellíestremità nord-occidentale dellíAmerica. » chiaro che una comunicazione ed anche una migrazione si è verificata tra l'Asia ed il Nord America in tempi relativamente recenti. » altamente probabile che una tale comunicazione e migrazione si sia prolungata per migliaia dí anni.
Quando sbarcarono in Scozia, i popoli celtici più alti li chiamarono "folletti" (pixies), un nome che esiste ancora nel folclore delle isole britanniche. I Romani li chiamavano Pitti.
Le regioni abitate dai Micmac tra Quebec e (guarda caso) Nova Scotia
I Pitti erano ben distinti dai Celti che vivevano nelle Highlands, i quali conservarono i loro costumi e la loro lingua. Nell’81 d.C. le ostilità tra vicini portarono alla guerra e i Pitti devastarono un terzo del britannico. Due storici romani, Nennio e Gildas, registrarono tali antiche ostilità e Gildas afferma che questi fossero venuti dall’altra parte del mare.
La realtà di traversate oceaniche precolombiane sarebbe stata negata un giorno dal nazionalismo degli europei, nel tentativo di legittimare le loro conquiste e lo spirito razzista. Le prove sempre più emergenti di precedenti viaggi di scoperta (e di migrazioni) fatti in entrambe le direzioni ci presenta però un quadro molto diverso da quello accademicamente riconosciuto e consolidato.
Un quadro che inevitabilmente incrocia il cammino con le popolazioni celtiche e la teoria dell'Out of Atlantis, teoria antropologica che Progetto Atlanticus ha presentato in precedenti articoli e che forse può aiutarci a comprendere meglio quel misterioso mondo rappresentato dall'esoterismo druidico.
Da dove venivano i druidi? Alcuni dicono da Occidente, altri da Oriente. Alcuni vogliono che essi ab biano avuto origine in Atlantide, a Occidente, altri ipotizzano che i druidi quali noi li cono sciamo dai testi classici siano il prodotto della fusione di una cultura neolitica locale con i Celti sopraggiunti da Oriente.
Come apprendiamo leggendo “La Realtà Druidica”, articolo pubblicato su Bibrax, Associazione Culturale Celtica la storia esoterica delle radici del druidismo è bella e affascinante. I maghi di Atlantide avevano svelato i miste ri della natura ed agivano in armonia con la sua potenza.
Ma vi furono alcuni che usarono questa stessa potenza per i propri fini, allo scopo di dominare e manipolare gli altri. "La Guerra di Atlantide fu la guerra della magia bianca contro quella nera, tra coloro che vedevano nella Natura la grande Madre Divina degli uomini e usavano i suoi doni per il benessere del genere umano, e quelli che vedevano nella Natura la Tentatrice Satanica, che faceva offerte di oscuro dominio e crude le potenza" (Eleanor Merry). Quando la catastrofe si abbatté su Atlantide, i signori oscuri si inabissarono mentre cercavano di tenersi stretti al loro potere temporale.
I saggi bianchi, invece, dotati di conoscenze superiori e di una più profonda fede nella supremazia della ricchezza spirituale su quella ma teriale, si misero in viaggio sia verso Oriente sia verso Occidente. A Ovest, essi sbarcarono sulle coste americane, a Est sulle spiagge irlandesi e sulle coste occidentali della Gran Bretagna.
Se accettiamo questa teoria sulle origini dei primi druidi, saremo in grado di renderci conto più agevolmente del motivo per cui esistono così tante impressionanti somiglianze tra le dottrine e le pratiche degli Indiani d'America e quelle dei druidi entrambi portatori di un sapere esoterico precedente il cosiddetto “Diluvio”.
Nelle fonti letterarie antiche non esistono testimonian ze che accennino alla provenienza da Atlantide dei druidi.
Tuttavia, nella tradizione celtica trovano posto inondazio ni catastrofiche, e nel Libro Nero di Camarthe, per esempio, una fanciulla di nome Mererid porta allo scoperto "la fontana di Venere" dopo essere stata stuprata da Seithen nin. Dopodiché l'acqua della fonte ricoprì la Terra. In Gran Bretagna si narra la storia di Ys inghiottita dal le acque.
La malvagia figlia del re praticava la magia nera, e impossessatasi della chiave che il padre teneva al collo e che apriva la diga che proteggeva Ys dal mare, riuscì a far sprofondare il regno e se stessa allo stesso tempo.
Ambedue questi racconti, come pure alcune antiche storie del Graal, parlano degli stessi fatti accaduti ad Atlantide: una violenza fatta alla natura il cui esito è lo scaturire delle acque che inondano le terre.
Lo stupro della vergine Mererid, per esempio, può essere visto come un'immagine mitica della violenza fatta alla natura dai maghi di Atlantide dediti alla magia nera. Il fatto che la violenza scateni al lagamenti incontrollabili ben si adatta dal punto di vista simbolico, perché ciò che sfrutta le terre è la consapevolezza analitica maschile non addomesticata dall'unione con il femminile, ed è la potenza vendicatrice del femminile, simboleggiata dalle acque, che è costretta a sommergere l'insensibile maschile. Ed è strano osservare come oggi la storia sembri sul punto di ripetersi, con le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari che innalzano il livello dei mari in risposta alla nostra violenza sulla biosfera.
Nel Lebor Gabala Érenn (Libro della conquista dell' lrlan da) si parla del diluvio biblico, ma Caitlín Matthews ha avanzato l'ipotesi che per questa e per altre storie "sia forse a qualche vaga reminiscenza di Atlantide e della fan ciulla a guardia della fonte che si ispirarono alcune delle storie nel loro aspetto primitivo" Quel che è certo è che la tradizione celtica parla di sei razze che sono giunte in Irlanda dall' "al di là della nona onda" (l'estremo confine delle terre al di là del quale si stendono i mari neutrali) La Compagnia di Cessair, la Compagnia di Partholon, il Popo lo di Nemed, i Fir Bolg, i Tuatha de Danaan e i Milesii. Il Libro della conquista dell'lrlanda fa una cronaca delle in vasioni di queste sei razze, cercando di integrare memorie dei bardi e tradizione biblica, facendo di Cessair la nipote di Noè. Ma sono i Tuatha de Danaan, i Figli di Danu o Dana, la razza divina che ha preso dimora nelle vuote colline del sidhe al sopraggiungere dei Milesii, quelli che alcuni esoteristi identificano negli stessi Atlantidi.
La società dei celti nell’Europa occidentale degli ultimi secoli a.C. era dominata dalla leggendaria casta sacerdotale dei druidi, benché gran parte delle informazioni in merito ci giungano da autori greci e romani. La relazione più consistente ci viene fornita da Giulio Cesare, conquistatore della Gallia (la moderna Francia) nonché condottiero d’una sfortunata invasione della Britannia nel 55 a.C. Pur occupandosi in primo luogo di questioni militari, Cesare s’interessò anche alle usanze dei galli, compresa la loro religione .
Il primo autore ad occuparsi dei druidi fu il geografo greco Poseidonio, vissuto intorno al 100 a.C., tuttavia la storia dei druidi scivola spesso nel regno delle illazioni come il presunto legame con Stonehenge. Anche se la loro origine risale a parecchi secoli prima di Poseidonio, rimane comunque una lacuna notevole di almeno mille anni tra la loro apparizione e l’ultima fase dell’edificazione del luogo megalitico più famoso del mondo. La mancanza di connessioni viene confermata dalla documentazione archeologica relativa all’epoca dei druidi sia a Stonehenge sia altrove in Gran Bretagna.
Da Stonehenge emergono ben poche testimonianze di attività dopo la definitiva collocazione delle pietre sarsen e delle bluestones, solo alcuni frammenti sparsi di ceramica consentono di risalire all’epoca dei druidi. Di fatto i cerchi di pietra non svolgevano alcun ruolo nella religione dei druidi, incentrata sull’utilizzo di templi di pietra o di boschetti: difatti, il termine “druido” deriva probabilmente dalla parola dru, cioè “quercia“.
E' possibile allora che i famosi “cerchi di pietra” e un certo tipo di megalitismo europeo non siano tanto una tradizione celtica quanto paradossalmente una fattura nordamericana algonchina? Di monoliti, o pietre erette che sono tra i più caratteristici elementi del paesaggio celtico europeo, se ne trovano esempi non meno impressionanti dei monoliti giganti della Bretagna anche in Nordamerica.
Gli anelli di pietre, talvolta doppi, con o senza una pietra centrale, sono pure caratteristici delle terre celtiche, ma li ritroviamo in Vermont e nel Connecticut, così come presso Burnt Mountain nel Massachusetts, e molte altre località del New England. In Irlanda essi hanno un diametro minimo di tre metri, e quelli dell'America hanno dimensioni simili.
I popoli del New England usavano un alfabeto ogam composto almeno di dodici segni, identici a quelli in uso in Portogallo ed in Spagna nella tarda Età del bronzo, verso l’800 a.C. I segni del New England hanno gli stessi valori di pronuncia di quelli della penisola iberica; quando si assegnano loro i suoni iberici, si possono leggere frasi appropriate al loro contesto.
Le possibilità che due eventi tanto simili possano verificarsi indipendentemente possono essere calcolate con la teoria matematica delle probabilità.
Esiste meno di una probabilità su 430 milioni che alfabeti identici di dodici lettere nascano in modo indipendente, presso due civiltà che non hanno alcun rapporto tra loro. Per l’alfabeto ogam di diciassette lettere di Monhegan, Maine, e dellíIrlanda, le probabilità di un’origine indipendente in due luoghi diversi sono inferiori ad una su 300 milioni di milioni. » un altro modo per dire che le probabilità di un tale doppio evento sono inesistenti. In altri termini, coloro che scrivevano iscriziioni ogam celtiche in Iberia ed in Irlanda dovevano appartenere allo stesso popolo che scriveva le iscrizioni corrispondenti nel New England.
Il megalitismo europeo, la storia del misticismo druidico così simile allo sciamanesimo dei nativi americani, le misteriose conoscenze e tradizioni delle tribù algonchine nordamericane dei micmac così simili a quelle dei Pitti dei quali potrebbero essere i progenitori supportano l'ipotesi della Out of Atlantis a integrazione delle origini dei popoli amerindi come frutto della sola migrazione di popoli mongoloidi attraverso lo stretto di Bering.
Qualche anno fa fu scoperto a Kennewick, una località dello stato americano di Washington uno scheletro vecchio di 9000 anni che presentava delle caratteristiche un po' strane: le fattezze del volto sono caucasoidi e non amerinde e il suo DNA mitocondriale contiene l'aploguppo X, tipicamente euroasiatico. Cominciamo a dire subito che “caucasoide” non significa molto: ordinariamente con questo termine si intende un europeo, un nordafricano o un mediorientale, in contrasto con altri “tipi” come il negroide o l'orientale (il tipico aspetto degli asiatici nordorientali).
In realtà caucasoide significa tutto e nulla: probabilmente erano somaticamente caucasoidi i primi uomini anatomicamente moderni usciti dall'Africa e quindi, semmai, sono gli orientali che si sono successivamente differenziati a partire da antenati caucasoidi. La stessa cosa è successa nelle Americhe, dove i primi nativi assomigliavano davvero poco ai loro discendenti attuali.
Ammettendo che l'uomo di Kennewick fosse un Na-Dene, potrebbe essere valida l'ipotesi che i Na-dene (e a maggior ragione gli amerindi che li avevano preceduti lungo la via dello Stretto di Bering) siano migrati dalla Siberia prima che nei popoli rimasti là si fissasse quella importante caratteristica che sono gli occhi a mandorla. Iin effetti se si eccettuano gli Inuit, pur venendo tutti dall'Asia (con la eventuale eccezione – vedremo – degli europei solutreani) nessun nativo americano è caratterizzato dagli occhi a mandorla.
La presenza dell'aplogruppo X pone altri interrogativi.
Fino ad allora era stato notato solo in Europa ed in Medio Oriente. La sua è comunque una distribuzione strana: gli aplogruppi hanno solitamente una elevata frequenza in una zona geograficamente ben delimitata. Invece X è debomente presente in molte aree: medio oriente (con particolare frequenza fra i drusi del Libano), nordafrica, Italia, Isole Orcadi, paesi nordici a lingue uraliche (ma solo Finlandia ed Estonia: è molto più raro nei popoli geneticamente e linguisticamente a loro connessi nelle steppe russe). Ed è sempre in percentuali inferiori al 5%, tranne che nei drusi, nelle Orcadi e in Georgia. Fra i nativi americani lo troviamo fra Na-dene e Algonchini (gli Amerindi del nordest, tra Canada e USA settentrionali),sia in popolazioni viventi che in sepolture. La percentule è tipicamente il 3 %, con alcuni picchi oltre il 10% in alcune tribù. In Sudamerica è presente negli Yanomami.
L'aploguppo X americano fu facilmente correlarlo a incroci con bianchi dopo la venuta degli europei (a cominciare dai Vichinghi nel IX secolo), ma la distanza genetica tra il tipo nordamericano e quello europeo è troppo alta per dare validità all'idea. Contemporaneamente era stata notata un'altra stranezza: le punte delle lance della cultura Clovis, la più antica documentata in Nordamerica, sono simili a quelle che venivano fabbricate in Francia dai Solutreani qualche migliaio di anni prima. Punte del genere si trovano soltanto in Francia, penisola iberica e Nordamerica.
In quegli anni l'aplogruppo X non era documentato in Asia settentrionale e quindi nel 1999 due ricercatori dello Smithsonian Institute, Dennis Stanford e Bruce Bradley, unirono le due cose, ipotizzando che dei solutreani fossero arrivati in Nordamerica dall'Europa lungo la banchisa polare, cacciando foche e vivendo come gli attuali Inuit. All'epoca , cone si vede dalla carta edita dalla National Geographic Society, l'Atlantico settentrionale era coperto di ghiacci come adesso l'Artico: la calotta polare in Europa, oltre alla Scandinavia, copriva pure la Gran Bretagna, arrivando quasi alle attuali coste tedesche, mentre in America si estendeva almeno fino alla latitudine di New York.
Quindi era teoricamente possibile attraversarlo. Contro questa ipotesi, detta “ipotesi solutreana” ci sono due obiezioni principali: la differenza di età fra la cultura solutreana, attiva tra 22000 e 16500 anni fa, mentre le tracce più antiche dei Clovis sono di appena 13.500 anni fa, e il fatto che i Solutreani (e i loro successori Magdaleniani) fossero degli abilissimi pittori (le testimonianze di arte rupestre e nelle grotte in Francia sono vastissime), mentre non ci sono tracce di arte nel periodo Clovis.
La prima obiezione ha in se una sua validità, la seconda chiaramente no: l'ambiente tipico della traversata atlantica sui ghiacci non consentiva certo questa attività, e ne potrebbe essere stato perso il ricordo. Se l'ipotesi di Stanford continua ad essere valida a proposito delle punte, potrebbe però cadere come spiegazione della presenza dell'Aplogruppo X, che è stato recentemente rinvenuto in popolazioni dell'Asia settentrionale.
Se volessimo disegnare alcune mappe a supporto
che ricordano in modo estremamente significativo la mappa di Donnelly relativamente all'antico regno di Atlantide.
Non è quindi così assurdo pensare che il sapere posseduto da druidi e micmac al di qua e al di là dell'Atlantico, anche a prescindere da tutti i successivi contatti che le precedenti ricerche di Yuri Leveratto, H.Fell, così come quella di molti altri archeologi e ricercatori 'borderline', ai quali va tutto il nostro plauso e la nostra ammirazione, dimostrano già di per sé una storia capace da sola di rivoluzionare il pensiero comune, non è escluso dicevamo che l'origine di tutto questo sia da ricercare in una civiltà madre, comune a entrambe le culture, antecedente alla storia tradizionalmente conosciuta.
Una civiltà che ricordiamo solo nel mito e che, a prescindere dal nome con la quale vogliamo identificarla, esisteva da molto tempo prima che il periodo glaciale di Wurm lasciasse spazio alla nostra era geologica.
Fonti: