Nel territorio tra la regione Marche e l’Umbria sui monti Sibillini tra le province di Ascoli e Macerata, si racconta, da tempo immemorabile, la leggenda della regina Sibilla (Sibilla appenninica), una profetessa che abita in una grotta sul monte che da lei prende il nome. Essa e la regina di un mondo sotterraneo, ma luminosissimo, popolato da belle fanciulle e ricco di suoni e inestimabili tesori.
Si può rimanere in questo mondo per otto giorni e risalire il nono, oppure restare per 13 giorni o ancora 330 giorni, ma scaduto questo termine, non si potrà più andar via e si dovrà vivere per sempre in questo regno. Del resto è facile perdere la cognizione del tempo vivendo in mezzo a tante delizie. Anche in questo caso c’è un prezzo da pagare: ogni sabato fino al lunedì successivo le damigelle e le altre meravigliose creature si trasformano in serpi; tutto scompare e le caverne diventano buie e gelide.
Tutto ciò sembrerebbe estraneo al mondo dei celti, ma ad un esame più attento si possono scoprire delle interessanti analogie. Secondo il libro “Dizionario di magia” scritto da Giuseppe Coria, le Sibille deriverebbero tutte da una capostipite nordica.
Il suo nome era Vittolfa, ed era una profetessa celtica. In seguito con il termine di Vittolfe furono indicate tutte coloro che nel mito scandinavo avevano capacità di chiaroveggenza. Proviamo quindi ad indagare sulla storia e la nascita delle Sibille nel mondo greco e romano per poi approfondire la conoscenza della Sibilla appenninica per cercare di trovare qualche nesso con il mondo celtico. Noi conosciamo la Sibilla, (l’etimologia del nome Sibilla è sconosciuto, e viene menzionato per la prima volta da Eraclito nel VI sec. a.C.), dai racconti degli antichi romani e greci, che la descrivono come una profetessa, che ispirata dalla divinità, dava responsi e vaticini, scritti in esametri greci, che di solito vertevano su argomenti tristi e gravi.
La differenza tra la Sibilla e la Pizia, figura affine alla prima, era che il responso di quest’ultima era legato ad un santuario. La Sibilla invece, di solito concepita come una vergine, anche se talvolta rappresentata in età decrepita, si manifestava per lo più presso fonti o grotte. Terenzio Varrone ne elencava 10, ma la più famosa è la Sibilla Cumana. Fu proprio questa a vendere i tre libri sibillini, dove era scritto il destino di Roma, al re Tarquinio (Prisco per Varrone, Superbo secondo Plinio) dei nove che gli furono offerti.
I tre libri furono depositati nel Tempio Capitolino, ed erano consultati in casi di calamità. Andarono distrutti nell’incendio del 84 a.C. Alcuni identificano nella Sibilla Cumana la figura di Alcina, la Sibilla che abita una grotta vicino al paese di Montemonaco (AP) La catena montuosa prende da lei il nome di Sibillini. L’antro, oggi sepolto a causa di un terremoto o per l’opera dei monaci del vicino monastero di San Eutizio, era molto famoso nell’antichità, e frequentato da viaggiatori ed avventurosi.
Come già detto, sembra che fosse la Sibilla Cumana ha prendere dimora sul Monte della Regina nella “grotta delle fate”, e fino a qui giungevano i romani per avere i suoi vaticini. Con l’avvento del Cristianesimo il luogo assunse un aspetto demoniaco e la figura delle Sibille si modificò. Durante il Medioevo con il nome di Sibilla venivano spesso chiamate coloro che praticavano la stregoneria eppure, nonostante la loro origine pagana, il Cristianesimo non condannò la figura della Sibilla, ma la fece diventare una profetessa di Cristo, inserendola spesso anche nell’iconografia cristiana, rappresentandola con un simbolo della passione e vita di Gesù.
La Sibilla è più vicina ai Profeti e ai Padri della Chiesa e fu una figura pagana considerata degna di ascolto dalla Chiesa. Ne parla San Paolo (da Clemente Alessandro, Stromateis), San Teofilo (Theophilo ad Autolico) e Sant’Agostino (S. Agostineo, De civite Dei). (Per fare un esempio la Sibilla Eritrea è rappresentata con la spada e la corona di spine sui muri della Cattedrale di Laon e di Auxerre in Francia, della quale la leggenda diceva che era la padrona di tutti i templi pagani che la morte e resurrezione del Cristo fecero crollare). I poteri posseduti dalle Sibille erano attribuiti al dio Apollo. La leggenda greca narra che Apollo aveva promesso alla Sibilla Cumana Deifobe, di esaudire qualunque suo desiderio, in cambio del suo amore. Essa rispose di poter vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere nella sua mano. Si dimenticò però di chiedere anche l’eterna giovinezza, che Apollo, furbamente, le offrì in cambio della sua verginità. In seguito al suo rifiuto, la Sibilla Cumana incominciò ad invecchiare e ad rinsecchire fino ad assomigliare ad una cicala, e fu appesa in una gabbia nel tempio dedicato ad Apollo a Cuma, in Campania.
A questo punto la Sibilla aveva un solo desiderio, la morte, che, però non fu soddisfatto. La Sibilla, era quindi legata al dio Apollo, quindi analizziamo la figura di questo dio chiamato con il nome di Apollo sia dai greci che dai romani. Apollo era detto Iberboreo.
Gli Iperborei erano i primi sciamani greci che vivevano e provenivano al di là del vento del Nord.
Nel mito greco Apollo ha l’appellativo di iperboreo, perchè egli, prima di recarsi al santuario di Delfi, aveva trascorso un anno nel territorio degli Iperborei, i quali erano descritti come uomini dalla lunga vita e particolari poteri magici. Alcuni iperborei svolgevano funzioni particolari anche presso l’oracolo apollineo di Delfi. Interessante notare come gli iperborei avessero conoscenze simili a quelle dei Druidi e la loro provenienza al di là del vento del Nord li colloca in una regione che potrebbe ben corrispondere alle antiche terre di stanziamento dei Celti nel nord dell’Europa.
Diodoro Siculo (I sec. a.C.) riprende un passo andato perduto di un opera di Ecateo dedicato alle popolazioni Iperboree, probabilmente datata VI sec. a.C. Secondo il testo a nord dell’Oceano di fronte al paese dei Celti vi era un’isola grande quanto la Sicilia dal clima talmente mite da permettere 2 raccolte l’anno. Qui vi era un culto riservato ad Apollo a cui erano dedicati un recinto sacro e un tempio circolare ricco di offerte. Ad esso era consacrata un’intera città in cui erano giunti diversi greci da Atene e Delo per onorarlo lasciando delle iscrizioni in lingua greca a perpetua memoria. Diodoro definì questo racconto favoloso, ma a qualcuno può venire in mente di paragonare il tempio circolare di Apollo con Stonehenge o con altri cromlech presenti nelle isole britanniche.
Apollo, quindi, si può considerare, alla luce dei fatti, un Dio discendente dalle divinità solari, se non celtica almeno pre-celtica. Nell’età del ferro le popolazioni autoctone costruirono effettivamente templi a pianta circolare associandoli alle osservazioni del movimento solare e degli astri. Il fatto che Ecateo a proposito del culto di Apollo nell’isola faccia cenno ad un ciclo di 19 anni fondato su osservazioni astronomiche, equivalente al “ciclo di Metone” introdotto nel V sec. a.C. ad Atene per conciliare l’anno lunare con quello solare, forse non è un caso. Sappiamo che i Celti calcolavano il tempo contando le notti e non i giorni, ma il calendario di Coligny (nell’Ain) si è rivelato un sistema di computo lunare, successivamente adattato all’anno solare. Quando gli dei greco-romani venivano introdotti nel mondo celtico, spesso acquistavano consorti femminili del luogo.
Apollo veniva chiamato Grannus come dio del cielo e Borvo come dio della medicina. Le mogli attribuite all’Apollo “celtico” erano Sirona , in Germania a Hochscheid, e Damona venerati alle sorgenti di Alesia. Sirona e Damona erano entrambe ritratte con spighe di grano e con serpenti, simboli di rinascita e di fecondità. Fino a qui abbiamo quindi ipotizzato una provenienza nordica del Dio Apollo, e quindi delle profetesse a lui attribuite.
Ora analizziamo la figura della Sibilla appenninica in particolare. La leggenda racconta, che la regina Sibilla e le altre meravigliose creature si trasformano in paurosi serpenti ogni fine settimana. Il serpente per i celti ha un simbolismo complesso: il fatto che cambi la pelle lo rende un simbolo di rinascita e viene associato a divinità guaritrici, come Sirona (una delle mogli di Apollo). E’ anche rappresentazione della fertilità ed è legato alle energie delle profondità terrestri (come il drago).
La conoscenza e la padronanza di queste energie da parte dei Druidi spiega perchè si autodefinissero “i serpenti”. Le stesse divinità sono strettamente legate al mondo animale e questo concetto si manifesta in due modi: il primo con la rappresentazione degli Dei sottoforma semizoomorfa e il secondo, con la metamorfosi, ossia il passaggio dalla forma umana a quella animale (come succedeva alla Sibilla di trasformarsi in serpente). la natura terricola dei serpenti, le loro abitudini carnivore e la loro abilità nell’uccidere evocano un potente simbolismo ctonio.
I serpenti compaiono in numerosi miti irlandesi, e, poichè in Irlanda non ci sono serpenti, bisogna dedurre che tali racconti siano di grande antichità. Il tema del serpente che fa la guardia ad un tesoro è diffuso nelle varie mitologie europee compresa l’Italia, ma è un tema di origine gallese: l’eroe dell’Ulster Conall Cernach ha un incontro con un grande serpente che fa la guardia ad un ricco tesoro.
L’ecclesiastico gallese Giraldus Cambrensis scrisse un racconto in cui una collana d’oro veniva custodita da un serpente in un pozzo del Pembrokeshire. Il mondo della regina Sibilla ricorda anche la concezione dell’oltretomba celtico: un mondo molto simile alla terra ma dove non c’è dolore, non c’è malattia, non c’è vecchiaia, non c’è decadenza. Un mondo pieno di musica, feste e di bellezza. Ma esiste un’altra concezione dell’oltretomba, nel mondo celtico, che è in netto contrasto: quello di un posto oscuro e pieno di pericoli , specialmente se visitato prima della morte fisica. Le nostre conoscenze del modo di pensare e di vivere dei Celti bisogna ricercarle nelle cronache dei commentatori del mondo classico contemporanei ai galli, dai documenti vernacoli dell’Irlanda e del Galles, e dall’archeologia.
L’oltretomba gallese era chiamato Annwfn, l’oltretomba irlandese era pressoché simile, e la loro localizzazione era immaginata in isole (Avalon), o sotto il mare o sottoterra. Ogni dio, poi, poteva avere un regno sotterraneo detto Sidh, in cui dominava. L’entrata poteva essere in un lago o in una caverna. Questo regno, da non confondere con l’oltretomba, il cui il termine (sidh) significa “pace” e anche “collina fatata”, era un mondo parallelo a quello quotidiano, paesaggio prediletto degli esseri invisibili, il mondo dove si assaporano i piaceri , e la musica echeggia in ogni dove.
Il mondo della Sibilla è veramente molto simile alla concezione di mondi, paralleli o di passaggio dopo la morte, dei Celti, da far pensare a vere e proprie contaminazioni. Le prime testimonianze dell’esistenza di un centro oracolare sugli Appennini, si hanno ad opera di Svetonio (circa 100 d.C.) nella sua “Vita di Vitellio” in cui scrive che l’oracolo appenninico fu consultato da Aulo Vitellio, che morì nel 69 d.C. Lo stesso Svetonio racconta un episodio riguardante la misteriosa Sibilla appenninica, condannata da Dio nelle profondità della montagna fino al giudizio universale , per essersi ribellata dopo aver saputo che non sarebbe stata lei a concepire Cristo, ma una vergine di origine ebrea. Anche nel III sec. d.C. si hanno delle notizie del centro oracolare con Trebelio Pollione nella “Vita di Claudio”, inserita nella sua “Historia Augusta” in cui racconta che l’imperatore Claudio II il Gotico si rivolse ad un oracolo presso i monti Sibillini per sapere del suo futuro.
La risposta dell’oracolo avveniva con il metodo delle “Sortes Virgilianes”, ossia con citazioni prese a caso dai testi di Virgilio che poi venivano interpretati. L’oracolo fu interpellato circa tre anni prima della morte di Claudio avvenuta per peste nel 271 d. C. (quindi il 268). Non c’è dubbio, quindi, che qui era presente un centro attivo in cui si prevedeva il fururo già in età romana, ma forse le sue origni sono precedenti, forse umbra, picena o forse celtica? Alcuni toponimi che rimandano alla civiltà celtica e alcuni interessanti ritrovamenti archeologici gallici, ci fanno pensare che questa popolazione raggiunse anche i territori vicini ai monti Sibillini. (Vi rimando al testo “Esino finis Italie”) Il metodo di divinazione descritto da Pollione è quello delle “sortes”: queste erano delle tavolette di legno di quercia, che recavano incise delle iscrizioni criptiche e senza senso, ma se combinate in modo causale formavano frasi di senso compiuto.
Nell’oracolo appenninico venivano usate le opere letterarie di Virgilio, che erano considerate di ispirazione divina.
Forse non è un caso che Virgilio, grande scrittore e noto mago e conoscitore di materie esoteriche, abbia frequentato questi luoghi ed abbia inciso sul lago di Pilato (località poco distante dal monte Sibilla) uno dei cerchi esistenti. Ricordiamo che anche i Druidi scrivevano sul legno per scopi magici e divinatori, e che l’albero della quercia era venerato da queste tribù. Andrea da Barberino (vero nome Andrea Mangaboti) scrisse, il “Guerin Meschino” racconto ambientato nel 824, in cui il protagonista fa visita alla Sibilla per sapere chi fossero i suoi genitori. Arrivato alla grotta della regina o delle fate entra in una apertura a forma di scudo rovesciato, all’interno vi è una camera quadrata con intagliati dei sedili tutt’attorno, segue un cunicolo dove s’incontra un vento fortissimo, proseguendo il vento cala e si arriva fino ad un ponte molto stretto che sovrasta un profondo precipizio dove si sente scorrere un fiume, passata anche questa difficile prova si arriva in un’altra stanza dove due dragoni dagli occhi luminosi, tanto da rischiarare il locale come se fosse illuminato dal sole, stanno a guardia del luogo.
Passate senza paura queste due statue si arriva, dopo un altro cunicolo, ad una stanza quadrangolare, dove ci sono due porte che sbattono incessantemente. Qui bisogna decidere se entrare o no nel regno della Sibilla. Nel testo di Andrea da Barberino si racconta che fino a questo punto arrivarono 5 uomini di Montemonaco e Don Antonio Fumato, parroco di Montemonaco), ma non andarono avanti.
Proseguirono invece due cavalieri tedeschi e nel racconto anche il Guerin Meschino che incontrò Alcina, così si chiama la Sibilla nel testo, gli rivela di aver guidato Enea nel suo viaggio nell’Inferno e quindi di essere alquanto vecchia di età. Antoine de la Sale scrisse “Il Paradiso della Regina Sibilla ”, e visitò la grotta il 18 maggio 1420, lasciando la sua firma incisa sulle pareti accanto a quelle dei due cavalieri . Un tale Hans van Bamborg tedesco del XIV sec. e un’altra firma di incisa 50 anni più tardi di un tale Pacques. Fu Agnese di Borgogna, sposa del conte di Bourbon, a domandare al sottoposto Antoine de la Sale di verificare quello che si raccontava sui monti della Sibilla , riguardo ad un regno della regina rappresentato su un arazzo in suo possesso.
La Sale menziona, tra i visitatori della grotta, il nome di Thomin de Pons che dal cognome sembra provenire dall’Aquitania la stessa regione dei Lusignano per cui fu trascritta la leggenda di Melusina.
(Leggenda popolare raccolta da Raimondo di Arrase è collegata all’origine dei Lusignano: Melusina da Mére Lusine, è la moglie del conte Raymond de Forst, figlio del re dei Brettoni, dotata di poteri soprannaturali di veggenza e eterna giovinezza, dona l’eroico coraggio al marito. Ogni sabato però chiede al marito di lasciarla da sola, questo perchè essa si trasforma in un serpente, per altri autori in una sirena. Il marito geloso una sera la spia e vede la sua trasformazione. Melusina lascerà quindi suo marito dopo che questo ha scoperto il suo segreto, e ritornerà di tanto in tanto solo come presagio di sventure. Fu inseguito la protagonista di altri racconti come l’opera di Paracelso, la leggenda di Poitou, e Goethe.) Nel mito di Melusina si parla della sua trasformazione in serpente o in sirena. E’ interessante analizzare brevemente anche questo personaggio mitologico.
Noi le conosciamo nel mito greco in cui erano dette Nereidi, perchè figlie di Nereus e delle Oceanine. Erano ricche di fascino e bellezza, ma anticamente erano rappresentate come ragazze dal corpo di uccello che appollaiate sugli scogli ammaliavano i naviganti con il loro melodico canto, vivevano per l’eternità e possedevano poteri profetici.
Solo in seguito, circa VII sec. d.C., cambiarono aspetto, e vengono raffigurate metàdonne e metà pesce: La figura della sirena è però presente anche nelle culture antiche nordiche. Sono le Ondine, capaci di leggere il futuro, fare incantesimi e cantare con voce melodiosa e di bellezza stupefacente. Abitano in un castello sotto il mare ma bisogna passare attraverso il Maelstrom, un terribile gorgo nel mare del Nord.
Secondo il mito nordico le anime dei morti affogati in mare vanno a finire in questo reame comandato dalla regina Ran con le sue 9 figlie. Anche qui si può notare una similitudine tra le nereidi e le ondine da far pensare ad una antica contaminazione tra le civiltà classiche e le popolazioni del nord Europa. Sul monte Vettore, a poca distanza da quello della Sibilla e nella cui sommità vi si trova il lago di Pilato, vi è la cosiddetta “strada delle fate” o “sentiero delle fate”, ossia una faglia che crea una linea orizzontale chiamata così perchè percorsa dalle fate per tornare alle loro dimore dopo una notte di sfrenati balli nei paesi di Castelluccio, Colfiorito, Arquata e Pretare.
Qui esistono numerosissime leggende che parlano delle fate. Una di esse narra che gli abitanti del posto si vantano di saper ballare il saltarello marchigiano più di chiunque altro, perchè lo hanno imparato direttamente dalle fate. (si rimanda alla testo, “Folletti e fate marchigiani”). C’è chi ha ipotizzato che la grotta della Sibilla fosse un’antica tomba etrusca scavata nella roccia e decorata di affreschi con animali mitologici ed altri personaggi. Per questo motivo chi la visitava raccontava, suggestionato dalle immagini, di viaggi fantastici in mondi sconosciuti.
Che una grotta esista è confermato da particolari scandagli effettuati dagli alpinisti del C.A.I. Nel 2000 un gruppo di esperti hanno sondato il luogo scoprendo, nel sottosuolo, la presenza di un vestibolo crollato , un labirinto formato da cunicoli che sfociano in una stanza di 20 m. di lunghezza e da 4-10 m. di larghezza. Questo luogo è considerato uno dei più misteriosi d’Italia (poco distante si trova il lago di Pilato dove si diceva si davano convegno le streghe e i negromanti) e questo può essere dovuto proprio ad antiche storie e fiabe narrate e tramandate da tempo immemorabile che attingono alle antiche tradizioni di popoli passati, magari appartenenti anche ai Celti e al loro mondo magico e fatato.
Per gli amanti dell’astrologia si rende noto che nella zona dei monti Sibillini sono visibili fenomeni luminosi simili alle cosiddette “luci di Hessdalen”. Il monte Sibilla è misterioso a tal punto che la forma della montagna assume l’aspetto di una donna.
La corona del Monte Sibilla sul versante orientale guardandola a quota 1900 m. circa, assume l’aspetto di una donna semicoperta con un copricapo. Proseguendo verso la cima si nota il fatto curioso che questo unico volto, per effetto ottico, si divide in tre profili di donna: uno grassottello di una bambina, quello affilato di una giovane donna e quello che sembra di una vecchia strega. Sembra l’allegoria della “conoscenza”: la bambina che poco conosce, la donna più matura e la vecchia che ha raggiunto la conoscenza superiore.
Alla luce delle ricerche effettuate si può concludere che l’antro della Sibilla è ciò che rimane di un antico culto per la divinazione praticato da sacerdotesse che davano i loro responsi. Doveva essere un luogo lontano dai villaggi, magico, dove la gente desiderosa di conoscere il futuro doveva arrivarci dopo un lungo cammino, diremo oggi, dopo un lungo pellegrinaggio. Nel medioevo la zona era interessata da strade di comunicazione che univano il Tirreno all’Adriatico, quali la Francisca e la via Imperiale. In seguito la zona passò ad un isolamento ed abbandono, ma il ricordo della Sibilla, del suo mondo e delle sue fate è rimasto nell’immaginario collettivo di una società contadina chiusa e conservatrice.
Gli scrittori che ne parlarono non fecero altro che rielaborare i racconti tramandati dagli anziani del posto. Sicuramente l’ipogeo doveva essere imponente e il culto molto radicato se il suo eco è giunto fino a noi nel terzo millennio. E ci piace, alla luce dei fatti descritti in questo testo, immaginare la Sibilla appenninica discendente da quella veggente Vittolfa, druidessa e profetessa celtica, che ancora incanta quei luoghi con il suo antico mistero e magico fascino.
http://home.tiscali.nl/giove/sibillapp.htm
http://home.tiscali.nl/giove/sibillapp.htm
Nessun commento:
Posta un commento