venerdì 3 maggio 2013

Lo Z-E-D di Orione

Non tutti gli studiosi sono convinti che le Piramidi di Giza siano edifici funebri; secondo R. Bauval, sono parte di un progetto unitario che riproduce sulla Terra la Cintura di Orione; secondo l’italiano M. Pincherle, Cheope cela al suo interno un pilastro di granito alto 60 metri, lo Zed. Queste ipotesi, mai prese in considerazione dagli egittologi, trovano in questo libro una conferma straordinaria.

Perché le tre piramidi riprodurrebbero la Cintura di Orione? Perché i tre sarcofagi sono collocati ad altezze diverse? E la costellazione di Orione riproduce davvero una figura maschile?

Sono solo alcune delle domande che trovano risposta nel libro di Pietro Magaletti, un appassionante viaggio tra i misteri dell’Antico Egitto che, unendo archeologia, astronomia, filologia, linguistica, mitologia e simbolismo esoterico, rivela l’autentico scopo delle tre piramidi: garantire l’immortalità all’anima del sovrano.

Il sospetto che la Piana di Giza nascondesse dell’altro è vivo ormai da decenni; ciò che mancava è la spiegazione definitiva di cosa avvenisse. Nel 1603, l’Uranometria di J. Bayer, uno dei padri dell’astronomia moderna, assegnava a ogni stella una lettera dell’alfabeto greco; le tre lettere delle stelle della Cintura di Orione formano il nome Z E D: un richiamo esplicito al pilastro che secondo Mario Pincherle è custodito nella piramide di Cheope.

L’esatta etimologia di Piramide e di Medjedu, il nome egizio di Cheope, è per entrambi “dimora del membro maschile”; lo Zed è quindi il membro di Osiride e il suo scopo era condurre l’anima del faraone nel grembo della costellazione di Orione, che non raffigura un uomo, ma la dea Iside.

La prova che le piramidi costituissero tre livelli di un percorso iniziatico di passaggio dalla morte alla vita deriva dall’osservazione dell’altezza crescente delle tre camere che contengono i sarcofagi, da Micerino a Cheope.

E non è tutto.

L’inizio del rito necessitava di un sacrificio umano, quello del faraone; la complessa cerimonia era scandita da due importanti fenomeni astrali; la sua conclusione suggellava la rinascita del re defunto nelle sembianze di una stella in cielo e l’incoronazione del nuovo Horus sulla Terra.

Qualcuno, nei secoli, è sempre stato a conoscenza di questo segreto e ne ha nascosto le prove nei luoghi più impensabili: atlanti stellari, monumenti, dipinti... Ora, per la per la prima volta, questo libro svela e commenta questi messaggi e ricostruisce dettagliatamente i passaggi della Cerimonia della Rinascita. La divulgazione di questa scoperta, frutto di 15 anni di lavoro, cambierà per sempre il nostro modo di intendere l’Antico Egitto e i suoi misteri.

Un estratto del libro: Le nebulose di Orione

Orione, il fiero gigante che domina il firmamento, sembra aver subito, nel corso dei millenni, una radicale distorsione della propria natura originaria: tutto lascia intendere che non si tratti affatto di un personaggio maschile. Il sospetto che possa riprodurre un soggetto femminile è alimentato da numerosi indizi: Paul Kunitzsch, esperto di fama mondiale di nomenclatura stellare, notò che gli Arabi si riferivano ad Orione con attributi femminili; l’analisi dei nomi delle stelle che la delimitano forniscono una prova ulteriore: Betelgeuse, che deriva dall’arabo Yad al-Jawzā, significa spalla, ascella o mano (Yad) di colei che sta al centro (al-Jawzā è un termine inequivocabilmente femminile); Bellatrix, la cui traduzione è la Guerriera, deriva dall’arabo Al Najid ed è anche conosciuta col nome di Amazzone.

Ma la caratteristica più rilevante è la presenza nel suo perimetro delle nebulose più grandi e spettacolari finora scoperte: raggruppate in una immensa formazione che oggi chiamiamo Spada di Orione, la M42 (Grande Nebulosa di Orione), la M43 (Nebulosa De Mairan), la NGC 1977 e la B33 (nota anche come Testa di Cavallo) si trovano poco al di sotto di Alnitak o Z Orionis, la più orientale delle tre stelle della Cintura, e sono così grandi da essere visibili ad occhio nudo anche nei centri abitati penalizzati da un forte inquinamento luminoso.

Le nebulose sono considerate i grembi materni dell’universo, vere e proprie fucine cosmiche in grado di generare un numero infinito di stelle (è stato stimato che la sola M42 contenga materia sufficiente a dar vita a ben 10.000 stelle identiche al sole, da Stella per stella. Guida turistica all’universo, di Piero Bianucci, Giunti Editore, pag. 222). La soluzione dell’enigma è finalmente vicina: l’identificazione della costellazione di Orione con un essere di sesso maschile ha impedito un’interpretazione logica del legame tra terra e cielo che le piramidi esprimono.

Dobbiamo invece accettare una conclusione rivoluzionaria: dopo millenni di fraintendimenti, abbiamo dimostrato che la costellazione più grande e nota del cielo rappresenta una figura femminile; non un dio, non un cacciatore, ma la madre delle stelle… La trasmissione dell’anima del faraone nel cielo attraverso lo Zed di Cheope è senza dubbio la simulazione metaforica dell’atto del concepimento e il personaggio che, secondo il mito, riceve il seme maschile attraverso un fallo artificiale è Iside.

Ricapitolando: secondo gli antichi Egizi, il cielo è un’entità femminile; gli Arabi si riferivano a Orione e le sue stelle con una terminologia tutta femminile; all’interno della costellazione di Orione ci sono delle nebulose, gli uteri del cosmo; lo Zed nella Piramide di Cheope rappresenta il fallo artificiale di Osiride; le tre piramidi e in particolare lo Zed hanno rivelato una manifesta relazione con le tre stelle della Cintura di Orione.

Ormai non vi sono più dubbi: la costellazione di Orione è la dea Iside.



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