Lo shamir, secondo la mitologia ebraica, fu forse, quindi senza certezza per la traduzione, una sorta di "verme" leggendario che tagliava le pietre per il Santuario. Altre fonti ebraiche indicano con quel nome un mistico strumento usato da re Salomone per la costruzione del tempio, al posto degli strumenti di ferro. Nel dizionario ebraico, shamir vuol dire: diamante, finocchio o paliuro.
Negli stessi testi ebraici troviamo anche precisi riferimenti a rivelazioni di conoscenze impossibili e a tecnologie sconosciute. Un esempio è il misterioso Shamir, il "laser di Mosè", al quale nel 1995 lo scienziato russo Matest Agrest ha dedicato un libro intitolato L’antico miracoloso meccanismo Shamir. Si tratta di un misterioso congegno che il profeta Geremia (17, 1) descrive come un diamante; il Talmud lo definisce un "verme tagliante, un tarlo capace di forare i minerali più duri"; lo Zoar "un tarlo metallico divisore".
L’errata traduzione del suo nome, ritiene Agrest, ne ha falsato la reale natura. L’identificazione in un insetto che produce fori è difatti dovuta ad un’errata traduzione della parola latina "insectator", tagliatore. Shamir sarebbe, per lo studioso italiano Mauro Paoletti, un "raggio laser ricavato utilizzando un diamante". Ed è assai probabile che sia così. Il "verme divino" era considerato un attrezzo di origine celeste; raramente veniva affidato agli umani; ad essi il Signore "dovette trasmettere saggezza e conoscenza perché fossero in grado di eseguire i lavori".
Di esso il trattato Abot, che fa parte del Talmud babilonese, ci dice che fu creato da Dio nei sei giorni della creazione del mondo e che venne portato dal cielo agli uomini dal "guardiano del cielo Ashmedai" (un Vegliante poi demonizzato con il nome di Asmodeo), e che Mosè lo utilizzò nel deserto per costruire l’Efod, il pettorale di Aronne (munito dei misteriosi Urim e Tummim di cui si parla nel secondo capitolo). Lo Shamir era custodito nel Tempio di Gerusalemme (e prima, prevedibilmente, nell’arca dell’alleanza); secondo lo Zoar, spaccava e tagliava ogni cosa, tant’è che "per la costruzione del Tempio di Gerusalemme, grazie al suo utilizzo, durante i lavori, non si udì rumore di martelli, scalpelli, picconi o di altri utensili (1 Re 6,7 e Talmud babilonese).
Come un moderno strumento laser, effettivamente, non produceva rumore; adoperato per tagliare e forare, se ne conoscevano di diverse grandezze. Re Salomone ne cita uno piccolo "come un chicco di grano". Questa tecnologia rivoluzionaria andò peraltro perduta. Nel trattato Mishnajot si dice che "quando il Tempio di Gerusalemme fu distrutto, lo Shamir sparì...".
E a proposito di conoscenze anacronistiche, nelle Saghe ebraiche delle origini è detto che Noè apprese tramite un libro donatogli dall’arcangelo Raffaele "tutte le vie per comprendere i pianeti, e le vie di Aldebaran, Orione e Sirio" (tre nomi, questi, spesso associati dalla moderna ufologia a possibili "patrie" di provenienza di extraterrestri; quanto ad Aldebaran, i sumeri credevano che da lì provenisse il dio Anu). "Dal libro dell’angelo Noè apprese i nomi di ogni singolo cielo, e quali sono i nomi dei servitori celesti". Questo libro di antichissima astronomia sarebbe stato passato, di mano in mano e secondo la leggenda, alle varie stirpi ebraiche, da Abramo sino a Salomone.
Lo stesso era avvenuto, secondo Le antiche leggende degli ebrei, con Adamo. Durante la sua permanenza nell’Eden "un angelo scese e lo istruì. Scrisse per lui un libro su ciò che doveva e non doveva fare. Gli mostrò com’erano disposti i pianeti e lo condusse in giro per il mondo...".
Ben altre conoscenze sarebbero poi nascoste nei testi Zohar, secondo un articolo pubblicato sul prestigioso New Scientist nel 1976 dal glottologo George Sassoon e dal biologo Rodney Dale, inglesi. Studiando un testo ebraico intitolato Hadrazuta Odisha ("La piccola santa glorificazione"), che descriveva il miracolo della manna, prodotta per mano dell’Altissimo, i due giunsero alla conclusione che l’epiteto divino fosse un errore di traduzione (o di interpretazione); l’Altissimo altro non era che una macchina, tecnologica e sofistica, in grado di produrre la manna ("pane", nel Pentateuco; una coltura di alghe per Sassoon e Dale); appoggiandosi al progettista tecnico Martin Riches e seguendo le indicazioni del testo ebraico, ne ricostruirono la forma, giungendo alla conclusione che si trattava di una macchina portata sulla Terra dagli alieni tremila anni fa (ed in seguito occultata, secondo il profeta Samuele - 1 Sam. 4,3 - nella città di Silo).
"Macchine come questa dovrebbero essere in dotazione sulle astronavi, giacché servono ad un duplice scopo, producendo l’ossigeno indispensabile alla respirazione ed il cibo. Una abbastanza simile è stata costruita dai sovietici per la Saljut". Le sconvolgenti conclusioni cui giunsero i due scienziati avrebbero dovuto, di regola, mettere in subbuglio gli ambienti accademici. Ma poiché l’articolo uscì sulla rivista il 1° aprile 1976, la scienza ufficiale pensò ad una burla, e la storia non ebbe più un seguito; né glielo si volle dare, nonostante le dichiarazioni rilasciate in conferenza dai due e nonostante l’uscita di due libri ben documentati, The Lord of the Manna e The Manna-Machine, nel quale gli studiosi ribadivano l’eccezionalità della scoperta e la sua veridicità.
I CARRI CHERUBINICI
Nei jewish files si parla anche della bella Esther, che aveva "una carnagione verde, come la scorza di un mirto" (riferisce il Megilla o Talmud babilonese) e che ricorda lo stereotipo dei moderni "marziani". Verde-azzurro è anche Lucifero, raffigurato in un mosaico del XII° secolo, che illustra il Giudizio Universale, nella Chiesa di S.Maria Assunta ad Isola di Torcello (VE). Ciò che stupisce è che l’angelo caduto, lungi dall’essere rappresentato come di consueto come un serpente, un drago o un mostro, è un vecchio vigoroso con barba e capelli bianchi, seduto su un trono: una vera e propria controfigura di Dio.
Non meno misteriosa è, nei jewish files, Tamar, antenata di re Davide, che partorisce Zerah; i testi antichi ci dicono che, come molti figli degli dèi, "brillava" (tale è il significato del suo nome). Sempre nei jewish files ci imbattiamo nei misteriosi "giganti" (divenuti demoni nelle versioni musulmane, e sinonimo di alieni perfidi per alcuni studiosi coranici moderni), termine che inizialmente indicava una stirpe di figli degli dèi non necessariamente alti di statura (e difatti inizialmente il termine significava "gli irruenti" o i "caduti dal cielo") e che in seguito svilupparono stature elevate; le loro descrizioni combaciano con la moderna iconografia sugli extraterrestri; ad essi si fa riferimento anche nel Pentateuco, ovvero nei cinque libri della Bibbia più vicini alla tradizione ebraica che non alla cristiana (che attinge ad essi per la costruzione storica e simbolica, ma che, per la parte dottrinale, si concentra maggiormente sul Nuovo Testamento).
Ad essi l’Antico Testamento riserva un accenno in Genesi 6,4, allorché si parla degli incroci tra le figlie degli uomini ed i figli di Dio; in Numeri (13,34) essi sono diventati enormi: "Noi vedemmo lì anche i giganti, gli Enachiti della stirpe dei giganti, paragonati ai quali noi sembravamo delle locuste"; ed anche in Deuteronomio, che cita "Og, re di Bashan, superstite della razza dei giganti", il cui letto, nell’attuale Amman, era lungo quattro metri e mezzo per due. Il territorio di Bashan comprende le alture del Golan, ove è stato di recente scoperto un antico monumento chiamato Gilgal Refaim, ovvero il cerchio dei giganti.
Il sito è composto da cinque anelli concentrici di pietre, il più ampio dei quali è di 159 metri di diametro; sarebbe servito a calcolare il solstizio d’estate ed il sorgere di Sirio nel 3000 a.C. Il Gilgal Refaim sconcerta gli archeologi sia perché non è mai stato costruito nulla di simile in tutto il Medioriente, sia perché esso precede le piramidi di almeno 500 anni. Gli abitatori di quelle terre, all’epoca, erano quasi esclusivamente nomadi e non avrebbero mai affrontato la costruzione di un simile complesso. E secondo la Bibbia, gli unici stranieri che abbiano mai abitato le alture del Golan erano i giganti.
Sempre nella Bibbia troviamo il Signore che dice a Mosè di non avvicinarsi alla città di Ar, in possesso dei figli di Lot, e che in questa terra abitava in passato un popolo assai numeroso e di statura molto alta, tanto che il luogo conservò il nome di "paese dei giganti". Per gli ammoniti essi erano gli zamzummei, cioè "gli scellerati"; anakim per gli ebrei, e per i moabiti emei o emin, che vuol dire "terribili".
Esistono poi vangeli apocrifi di origine ebraica, ripresi in parte anche dai primi cristiani, che presentano spunti ufologici, presumibilmente posteriori ed inseriti in un contesto mitico-religioso. Come nel trentatreesimo capitolo della Apocalisse di Mosè, nella quale si racconta del "carro di luce, guidato da quattro aquile splendenti" apparso a Eva. "Nessun essere umano avrebbe potuto descriverne lo splendore", afferma lo pseudo Mosè, aggiungendo che dalle ruote dal carro, avvicinatosi nel frattempo ad Adamo, "era uscito del fumo". E nell’Apocrifo di Abramo (18, 11-12) che chiaramente ricalca la biblica visione di una macchina da parte di Ezechiele nel deserto, si parla di esseri celesti "dietro ai quali era un carro che aveva ruote di fuoco; e ogni ruota era tutt’intorno piena di occhi, e sulle ruote v’era un trono; e questo era coperto da fuoco che scorreva tutt’intorno". La storia è confermata anche dal successivo apocrifo La vita di Adamo ed Eva del 730 d.C., ove si precisa che a bordo del carro celeste era assiso nientemeno che Dio in persona.
Dei carri celesti era però proibito parlare, ai tempi del Talmud. Le considerazioni sulla struttura dell’universo erano chiamate ma’asse merkavhah, "ciò che riguardava il carro", perché pertinenti al carro divino descritto dal profeta Ezechiele. I farisei consideravano pericolosi questi studi a seguito di una serie di leggende circa incidenti e morti misteriose fra gli studiosi che avevano cercato di capire cosa fossero in realtà i carri celesti: dal rabbino Ben Azzay, deceduto all’improvviso, a Ben Zoma, impazzito, sino ad Elisha ben Abuya, divenuto eretico (e dunque dannato); soltanto il rabbino Akiba, noto per la sua "circospezione", riuscì a studiare i carri celesti restando in vita. Ma cosa scoprì, non ci è dato di saperlo.
Che i resoconti sui carri celesti non siano semplici leggende è dimostrabile. Le apparizioni UFO sui cieli di Israele sono documentate, anche da fonti indipendenti, sin dall’antichità. Lo storico Flavio Giuseppe (37-95 d.C.), nelle Guerre giudaiche, segnala la comparsa di una stella simile ad una spada, immobile sopra Gerusalemme nell’anno 65 a.C., ed una strana luce nel Tempio. Più tardi, al tramonto, vennero visti in cielo dei soldati in l’armatura muoversi tra le nubi; l’insolito "miraggio" ne ricorda uno analogo del 167 a.C., durante la ribellione guidata da Giuda Maccabeo. Cinque soldati con armature dorate apparvero nel cielo, secondo le fonti latine.
Un UFO sarebbe apparso in occasione della nascita di Abramo. Riporta la tradizione ebraica: "Abramo nacque a Ur nel mese di tishri, intorno all’anno 1948 dopo la creazione. La notte in cui Abramo vide la luce, gli amici di suo padre Tare stavano banchettando. In quel momento essi videro una stella straordinaria nella parte orientale del cielo; sembrava correre per divorare altre quattro stelle dirette ai quattro alti del firmamento. Tutti ne rimasero meravigliati". Non meno inquietante l’Apocalisse di Abramo del secondo secolo d.C., in cui viene così descritto l’improvviso rapimento al cielo del patriarca ad opera di uno straniero misterioso: "Avvenne all’ora del tramonto. C’era fumo, fumo come quello che esce da una stufa. Mi condusse fino al limite delle fiamme. Quindi salimmo, come trasportati da molti venti, verso il cielo, che là pareva poggiare sopra il firmamento. Nell’aria, dall’altezza che avevamo raggiunto, vidi una luce fortissima, impossibile da descrivere, e nella luce un fuoco violento e all’interno una schiera di figure poderose, che gridavano parole ch’io non avevo mai udito" (sembra proprio la moderna descrizione dell’incontro ravvicinato con i piloti di un disco volante). Della strana macchina volante Abramo commentava: "A volte se ne stava dritta, a volte si rigirava, capovolgendosi".
Il patriarca incontrò ancora i visitatori. Nel Testamento di Abramo i visitatori comparsi all’improvviso dinanzi al patriarca vengono definiti non già angeli ma "uomini celesti, scesi dal cielo, dove sono tornati e scomparsi". Anche nel Rotolo di Lamech si parla di insolite presenze: quella di uno "strano bambino" dai capelli bianchi che dall’aspetto pareva del tutto estraneo alla famiglia, partorito dalla moglie di Lamech, Bat-Enosh (che si affrettava a giurare che non lo aveva avuto da "uno dei Figli del Cielo"). Al bambino venne dato nome Noè.
Anche del re-sacerdote Melchisedec le Leggende degli antichi ebrei raccontano che era "nato dal cielo"; il "Signore" stesso aveva inseminato sua madre Sopranima, con un procedimento che lo scrittore svizzero Erich Von Daeniken assimila alla fecondazione in vitro. Non meno curiosa la storia presente nel Resto delle parole di Baruc, un profeta amico di Geremia, vissuto nel 604 a.C. che racconta dell’improvviso "sonno con vertigini" dell’amico Abimelec, che si risveglia nella città di Gerusalemme...sessantasei anni dopo. La città è cambiata, le persone pure; solo Abimelec è rimasto tale e quale, come se per lui il tempo si fosse contratto, nelle brevi ore in cui era stato privo di incoscienza. Proprio come se avesse viaggiato nello spazio, seguendo le leggi del paradosso temporale di Einstein!
L'immagine di Salomone qui sopra è contraffatta.
RispondiEliminaSembra il verme-parassita di STARGATE 2