venerdì 6 dicembre 2013

Alla Ricerca dello Shamir

I racconti talmudici e la tradizione midrashidica ci ricordano che 
"...Il dèmone Asmodeo il quale conosce l’ubicazione di tutti i tesori nascosti, fu costretto a rivelare al re (Salomone) che Dio aveva consegnato lo Shamìr a Rahav, l'Angelo (o il Principe) del Mare, il quale non lo affidava mai a nessuno se non, raramente e solo a fin di bene, al gallo selvatico *, il quale viveva lontano, ai piedi di montagne mai esplorate dall'uomo. Questi se ne serviva per "forestare" intere colline nude e pietrose, producendovi - per mezzo dello Shamìr - innumerevoli forellini, nei quali poi piantava semi di varie piante e di alberi. Ciò veniva fatto nell'imminenza della migrazione di gruppi tribali divenuti troppo numerosi, che più tardi, arrivando sul posto, avrebbero trovato un ambiente vivibile..."
A fronte di questo sappiamo che migliaia di buche delle dimensioni di un uomo sono state scavate nella nuda roccia vicino a Valle Pisco, Perù, su una pianura chiamata Cajamarquilla. Questi strani buchi (pare 6900), si estendono per circa 1450 mt in una banda larga approssimativamente 20 mt di terreno montuoso e irregolare e sono stati qui da così tanto tempo che le persone non hanno idea di chi li ha fatti e perché. Strano e divertente e il fatto che nessuno ha visto l’ immagine nella sua interezza, finché la superficie forata non è stata vista dal cielo.


In alcune sezioni ci sono buchi   fatti con perfetta precisione, alcuni allineamenti funzionano in curva ad arco, in alcune linee sono senza ordine alcuno. Variano nella profondità, da circa 6-7 metri a quelli che sembrano solo accennati.A tutt’oggi, nessuno ha idea del perché sono qui, chi li fece e che cosa avessero significato. 

Erich von Däniken (il noto scrittore svizzero fautore della teoria del paleocontatto) studiò i fori, trovando conferme sulla loro esistenza, prima di visitarli di persona, su di un vecchio National Geographic del 1933. Naturalmente ipotizzò tracce di raggi laser, prove di perforazione per la ricerca di metalli misteriosi ed interventi extraterrestri nelle realizzazione di questa striscia di fori che avanza per centinaia di metri per poi scomparire nel nebbioso Perù andino.

Queste buche possono rappresentare la prova dell’utilizzo del prodigioso strumento chiamato Shamir in un tempo indefinito. Alcuni indizi ci permetteranno di tentare di seguire il percorso seguito da questo incredibile manufatto tecnologico la cui origine si perde nella notte dei tempi, durante l’era in cui la terra era governata dagli “dei”.

Presso il porto di Pisco c’è la selvaggia penisola di Paracas, nella provincia di Ica, luogo di grandissimo interesse naturalistico ed archeologico, a sole due ore di auto dalle famose “Linee di Nazca”. Tutta la penisola fa parte del parco naturale della Reserva Nacional de Paracas. Qui, fra i fenicotteri e i pellicani, i pinguini peruviani e le rumorose (e non proprio profumate) colonie di leoni marini, sorge uno dei più enigmatici manufatti che ci siano pervenuti dal passato: il cosiddetto “Candelabro” (o “Tridente”, in virtù della sua forma… capiremo successivamente il perché di questa puntualizzazione).

Giovanni Pelosini ci descrive con dovizia di particolari lo spettacolare e misterioso manufatto. Si tratta di un gigantesco bassorilievo evidenziato sull’arido pendio di una grande collina sabbiosa che finisce ripida sulla scogliera settentrionale della penisola, ottenuto asportando lo strato più superficiale del terreno per 50-60 centimetri.

Imbarcandosi verso le aride isole Ballestas si può osservare il geoglifo dall’oceano in un’atmosfera davvero surreale; dal mare il Candelabro appare in tutta la sua imponenza: 183 metri di altezza, più di 100 di larghezza ed un “fossato” centrale largo 5-6 metri. Occorre prima aver percorso la Carretera Panamericana da Lima verso Sud-Est, lungo la costa peruviana con la Cordigliera delle Ande a sinistra e l’Oceano Pacifico a destra per circa 250 chilometri. In queste zone, a pochi gradi di latitudine dall’Equatore, il clima è caldo ed arido per quasi tutto l’anno, con temperature medie invernali che si aggirano intorno ai 18°C. Il paesaggio appare deserto, eppure ci troviamo nei luoghi, abitati da almeno 5000 anni, che videro fiorire la grande civiltà degli Inca ed altre culture, ancora più antiche e sconosciute. 


Il mistero sull’origine e sullo scopo del manufatto è totale, non essendo chiara neanche la sua antichità. Per molti il manufatto è da porre in relazione con le vicine Linee di Nazca, spesso interpretate come segnali di antichissime “piste di atterraggio” per misteriosi mezzi volanti di origine forse aliena. In tal caso il Candelabro, orientato verso Nord-Ovest, sarebbe servito come indicatore di direzione per i mezzi spaziali.

Altri archeologi preferiscono considerarlo un simbolo antico dei Cabeza Larga, i misteriosi costruttori delle numerose camere funerarie sotterranee della necropoli di Paracas, le cui inquietanti mummie con corredo funebre si sono incredibilmente conservate fino ad oggi grazie al clima straordinariamente secco: in questo caso il Candelabro sarebbe una misteriosa testimonianza delle scomparse e poco conosciute culture sviluppatesi dalla prima metà del III millennio a.C. fino al X secolo della nostra era. Queste popolazioni praticavano la deformazione e la trapanazione del cranio già migliaia di anni fa, non sappiamo se a scopo religioso o terapeutico, né con quali strumenti.

Per altri ricercatori e studiosi dell’insolito il Candelabro sarebbe solo il simbolo della conquista di quel territorio da parte delle forze armate dello scomparso continente Mu, all’epoca del massimo espansionismo di questo mitico impero, che già tendeva a dominare il mondo circa 17000 anni prima di Cristo. In altri termini si sarebbe trattato di una sorta di emblema militare tracciato per celebrare una vittoria o per segnalare un confine. Per i seguaci delle affermazioni di James Churchward l’attuale Perù sarebbe stato terra di conquista per le armate di Atlantide e di Mu, in guerra per ottenere il predominio del pianeta.


Superpotenze globali in guerra tra di loro per il controllo del mondo governate da antichi dei. A supporto di questa incredibile ipotesi viene in aiuto la leggenda dei misteriosi visitatori Viracochas; leggenda che apre sempre più affascinanti scenari e contribuisce ad alimentare i misteri della zona.

Come ricordato da Piergiorgio Lepori nel suo articolo “Le Urla del Silenzio” il pantheon degli déi sud amerindi, molto vasto, si arricchisce di una figura in particolare che esula dalla morfologia delle razze pre-colombiane e anche l’alone che circonda questa divinità spicca sui canoni classici di divinizzazione.

Grazie all’opera di alcuni viaggiatori spagnoli, chierici e non, i quali si adoperarono per salvaguardare la cultura, o parte di questa - degli autoctoni contro i trent’anni orribili che seguirono l’arrivo dei conquistadores - siamo venuti a conoscenza di un fatto particolare, raccontato dagli indios stessi. Si narra di una grande civiltà, vissuta migliaia di anni prima degli Incas, fondata dai viracochas, esseri straordinari e misteriosi cui furono attribuite le linee di Nazca. Allora, come oggi, nessuno sembrò farci caso.

La capitale del regno inca era Cuzco e la sua origine leggendaria la voleva fondata da due figli del dio Sole (Inti); accanto ad Inti una divinità, sancta sanctis, era adorata: Viracocha, in inca "spuma di mare".

L’antichità di questo culto è impossibile da stabilire ad oggi, ma analisi effettuate su alcune documentazioni rivelano che il sommo dio Viracocha, preesistente alla cosmogonia incas, fu adorato da tutte le civiltà susseguitesi sul territorio nel corso della lunga storia peruviana.

Una delle peculiarità di Viracocha sta proprio, come abbiamo detto, nei suoi tratti somatici, un europoide a detta di Hancock. Un testo dell’epoca ("Relacion anonima de los costumbres antiquos de los naturales del Piru") lo descrive con fattezze similari a San Bartolomeo. La fisionomia della divinità è stata ricostruita grazie alle testimonianze raccolte sull’osservazione della statua del dio collocata nel Coricancha, l’antico tempio di Cuzco dedicato a Viracocha. Abbigliamento in tunica bianca, sandali, carnagione chiara, lunghi capelli sulle spalle...

Viracocha fu un illuminato che approdò nelle terre amerinde dopo un terribile periodo di caos; egli apparve dal mare (viracocha="spuma di mare") con portamento autoritario e grande carisma. I racconti mitologici del luogo narrano di una dottrina condita di scienza e morale "dando istruzioni agli uomini su come dovevano vivere, parlando con amore e gentilezza... amarsi a vicenda e mostrarsi caritatevoli con tutti..." (Josè de Acosta, South American Mithology).

I nomi con cui fu appellato erano molti: Huaracocha, Con Ticci, Kon Tiki, Tupaca, Taapac, Ticci Viracocha, Illa; insegnante, scultore e guaritore. De Acosta riporta un brano dei racconti precolombiani: "...dovunque passasse guariva tutti i malati e ridava la vista ai ciechi..."

Secondo un’altra leggenda, Viracocha era accompagnato dai messaggeri o "soldati fedeli", "gli illuminati" o "gli Splendenti" (hayhuaypanti); essi avevano il compito di portare il messaggio del loro signore in tutto il mondo.

Sempre Lepori ci ricorda che sul lago Titicaca, nei pressi di Tiahuanaco, Viracocha era conosciuto con il nome di Thunupa e si narra di lui che, ucciso da cospiratori, il suo corpo fu deposto su una barca che misteriosamente, senza correnti, corse sul lago fino a Cochamarca, cozzò contro la riva creando il fiume Desguardero. Il suo santo corpo fu portato dalle acque del fiume fino ad Arica.

Vi è un parallelismo con la storia di Osiride ma non è tutto.

Seppure le due storie presentino diversità palesi, vi sono dei punti comuni fondamentali che accomunano civiltà solo apparentemente diverse tra loro; e infatti entrambi i protagonisti sono civilizzatori, vittime di cospirazione, assaliti e uccisi, chiusi dentro un contenitore o imbarcazione, gettato in acqua, trascinati da corrente e giunti in mare; entrambi sono stati divinizzati.

E poi? E poi sull’isola Suriqui, vicina a Tiahuanaco, i nativi costruiscono imbarcazioni con rami di giunco totora, secondo ciò che insegna la tradizione. Le barche hanno una forma allungata, larghe al centro, strette e a punta alta sia a prora che a poppa. Il giunco viene tenuto stretto da corde intrecciate sapientemente lungo tutta la chiglia e tra i rami di totora. Queste barche sono identiche sia nella forma che nella tecnica di realizzazione a quelle egizie, su cui entrambi popoli hanno trasportato materiale destinato alla realizzazione di opera megalitiche (da Abydo in Egitto alla stessa Tihahuanaco in Perù). Gli indios sostenevano di aver ricevuto i disegni originali dalla "gente di Viracocha". 

Hancock prosegue e affronta il mistero della città portuale che noi abbiamo già descritto ne "Il Killer Stellare", dove si sostiene che Tiahuanaco si trovasse sulle rive del lago Titicaca e non 90 metri al di sotto. Altre prove, di un disastro naturale avvenuto sul pianeta intorno a 15.000 anni fa, sono riportate nelle sculture presenti a Tiahuanaco stessa, dove una fauna e un’ittiofauna scomparse da tempo in realtà erano attive in quel periodo.

Nei pressi di Tiahuanaco, come abbiamo già citato in alcuni dei nostri precedenti articoli, abbiamo ulteriori indizi di un possibile uso dello Shamir e delle sue incredibili capacità sfruttate nella lavorazione della pietra: Puma Punku e le sue misteriose pietre, lavorate con una tale maestria e precisione da essere stato impossibile realizzarle con i preistorici strumenti del tempo. Di Puma Punku e dei suoi incredibili resti abbiamo già parlato in alcuni nostri precedenti articoli e principalmente nel n.14 intitolato “I blocchi H di Puma Punku”.

Ora, per meglio capire quali collegamenti ci siano tra le civiltà mesopotamiche e quelle sudamericane, vale la pena riprendere il lavoro di ricerca di Alessandro De Montis. Chi ha seguito negli ultimi anni il lavoro di Alessandro De Montis a riguardo della teoria di Sitchin sa che l'autore si è spesso occupato del contatto tra civiltà sumero-accadica e meso-sudamericana ipotizzata anche nell'ambito del Progetto Atlanticus nel periodo cosiddetto di "Rinascita". 

Più volte De Montis tocca questo tema, fornendo approfondite analisi dei reperti archeologici che mostrano i segni di questo contatto, e identificando le divinità sumere Ningishzidda e Ishkur rispettivamente nelle divinità d' oltroceano Quetzalcoatl e Viracocha.

Occasionalmente, sempre De Montis, fa notare che oltre ai soliti Machu Pichu, Titicaca, Teotihuacan e siti di questa importanza, ve ne sono alcuni meno conosciuti che rivelano quanto e forse di più su questo legame tra vecchio e nuovo mondo. Il caso più importante é costituito da un pannello presente nel tempio Inca dedicato al culto del dio solare Inti, che si ritiene essere uno dei nomi tardi di Viracocha.

Ishkur/Yahweh, secondo alcune versioni figlio minore di Enlil, secondo altre figlio di Anum, era uno dei più giovani e bellicosi Anunnaki, il cui dominio comprendeva la zona dell' Anatolia, l' Armenia, e i monti del Tauro. Era rappresentato come un gigante giovane e barbuto, con in mano una scure, e spesso in piedi su un toro simbolo della fazione di suo padre Enlil. 

Era spesso accompagnato nei sigilli da fulmini o tridenti.


Il Nome ISHKUR sembra un nome composto da una particella accadica (ISH da ISHA = Signore) e una sumera (KUR = montagna) e significherebbe "Signore delle Montagne". Questo significato sarebbe ripreso in uno dei suoi epiteti, ILU.KUR.GAL (Signore della grande montagna). Secondo un' altra analisi ISH sarebbe derivante dal termine accadico SHADDU, che significa 'Montagna' e da cui deriva il nome semitico El Shaddai (Signore delle montagne) con cui veniva chiamato Yahweh in epoca Abramitica.

Ishkur é con tutta probabilità il personaggio che é servito come modello per la nascita delle figure di altri dei successivi come Zeus o lo stesso Yahweh. Come Ishkur, anche Zeus veniva raffigurato come un gigante barbuto con in mano dei fulmini. Veniva da una zona montuosa (non tutti forse sanno che il “padre degli dei" non era infatti una divinità greca autoctona) ad est, e il mito che riguarda l' uccisione di suo padre ricorda molto il mito hurrita in cui Ishkur uccide Kumarbi.

Per gli hurriti e gli ittiti era Teshub, e per le popolazioni semite occidentali era Adad. Viene menzionato anche nella Bibbia come Bal-Hadad. Nel regno di Urartu, in Armenia, era Teisheba, e in Siria era chiamato Tahunda. Tutte queste rappresentazioni lo vedono barbuto, con una scure e un tridente in mano.

I suoi attributi e la sua iconografia hanno una sconcertante coincidenza con quelli del peruviano Viracocha, Sitchin infatti sostiene che Viracocha non fosse altro che Ishkur/Yahweh, leader in medioriente di popolazioni kenite particolarmente abili nella lavorazione dei metalli e, guarda caso, anche Viracocha guidava una popolazione abilissima nella lavorazione dei metalli.

In Isaia si lascia intendere l’abbandono da parte di Yahweh del popolo ebraico lasciandolo in balia della sua arroganza:
“… Per un breve momento ti ho abbandonata (Sion)… in un impeto d’ira per un momento ho nascosto il mio volto da te…”

I capitoli 1-5 sono considerati dagli studiosi come una specie di processo che Dio, attraverso la parola del profeta, intenta nei confronti del suo popolo, in particolare nei confronti di Gerusalemme e dei suoi responsabili. In realtà in questi primi cinque capitoli si alternano accuse e condanne a motivi di speranza e di fiducia, anticipando così i contenuti fondamentali della predicazione di Isaia. 
“… Dice il Signore: Cielo e terra, fate attenzione a quel che sto per dirvi! Ho cresciuto dei figli, ma essi si sono ribellati contro di me. Ogni bue riconosce il suo padrone e ogni asino chi gli dà da mangiare: Israele, mio popolo, non comprende, non mi riconosce come suo Signore”. Guai a voi, gente malvagia, popolo carico di peccati, razza di delinquenti, figli corrotti! Avete abbandonato il Signore. Avete ripudiato il santo d’Israele, gli avete girato le spalle. Perché continuate a ribellarvi, ad accumulare punizioni su di voi? La vostra testa è malata, il vostro cuore è completamente marcio. Siete ricoperti di lividi, di ferite aperte che non sono state ripulite, né fasciate, né curate con olio. Tutta una piaga dalla testa ai piedi. La vostra terra è devastata, le città incendiate; sotto i vostri occhi gente straniera divora il raccolto dei campi; è tutta una rovina. Rimane soltanto Gerusalemme, assediata e indifesa, come una capanna in una vigna, come una baracca in un campo di cocomeri. Se il Signore, Dio dell’universo, non vi avesse lasciato qualche superstite, avremmo fatto la fine della città di Sodoma, saremmo stati distrutti come la città di Gomorra... Israele, mio popolo, non comprende, non mi riconosce come suo Signore!!!” 

Il tema del processo nei confronti del popolo infedele all’Alleanza è molto comune nei profeti di questo periodo (Amos, Osea, Michea…) e di quelli successivi, fino all’esilio (Geremia, Baruc, Lamentazioni…). Dio denuncia le infedeltà del popolo (assieme all’arroganza dei capi) e si prepara ad abbandonare Israele al castigo che gli verrà inflitto prima dagli Assiri e poi dai Babilonesi. 

Se prendiamo per valida l’equazione Ishkur=Yahweh=Viracocha le parole di Isaia potrebbero indicare il momento in cui l’Elohim ebraico Yahweh lascia la mesopotamia e Israele per andare in Sudamerica dove verrà ricordato con il nome di Viracocha, lasciando al tempo stesso il suo popolo senza una guida politico-militare e quindi facilmente succube dei popoli confinanti, governati dagli altri Elohim e quindi in vantaggio strategico nei confronti degli israeliti.

E’ ragionevole pensare che in questo viaggio verso il Sudamerica, Yahweh e i suoi fedelissimi si portarono dietro tutta la tecnologia in loro possesso, una tecnologia presumibilmente di origine prediluviana, di cui forse faceva parte anche il famoso Shamir portandolo lontano, ai piedi di montagne mai esplorate dall'uomo, oltre il grande oceano.

Esattamente là dove, secondo i racconti midrashidici e talmudici venne recuperato da Salomone, probabilmente grazie anche alla collaborazione di marinai fenici in possesso di conoscenze precise sull’esistenza di un continente oltre l’Oceano Atlantico. Conoscenze provenienti da documentazioni originarie dalla cultura sumera e precedentemente ancora da civiltà prediluviane. 

Mauro Paoletti nel suo articolo “Lo Shamir, il Laser di Mosè” effettua una analisi molto approfondita e dettagliata del prodigioso strumento, partendo dalla pubblicazione del 1995 di Matest Agrest di un volumetto dal titolo "L’antico miracoloso meccanismo Shamir", indicando con tale nome uno strumento usato per tagliare e incidere pietre durissime. 

Mi permetto qui di riportare un ampio stralcio del lavoro di Paoletti in quanto lo considero un elemento imprescindibile nella nostra ricerca dello Shamir.

Lo Shamir viene descritto nel Talmud (Pesachim 54°) come un "verme tagliente" e nello Zoar (74 a,b) come un "tarlo metallico divisore". Nel Talmud (Mischna Avot 5/9) si parla di una creatura di origine minerale che gli Ebrei indicano come un "verme", un "tarlo capace di forare i minerali più duri". Nella Bibbia, Geremia 17/1, viene descritto come un "diamante": "il peccato di Giuda è scritto con uno stilo (la penna usata all’epoca per incidere sulle tavolette di cera), e con una punta di diamante". 

Quindi una penna di diamante; particolare importante poiché, come vedremo avanti, si prospetta l’uso di un raggio laser ricavato utilizzando proprio un diamante. Questo "verme di diamante" veniva adoperato per tagliare e forare; considerato un "attrezzo divino" veniva affidato raramente agli umani. Se ne conoscevano diverse grandezze, Salomone ne aveva scoperto uno piccolo come un chicco di grano, tutti conosciuti con il nome di "Shamir". Come specificato da Agrest, può essere stato descritto come un insetto a causa dell’errata traduzione della parola latina "insectator": tagliatore. Scambiato quindi con un "tarlo", dal momento che praticava fori come il noto animaletto.

Leggendo i testi lo studioso realizzò che lo Shamir in pratica possedeva tutte le caratteristiche del laser. Il primo antenato del laser fu ideato da T.H. Maiman solo nel 1960. Chi costruì lo Shamir 3.000 anni fa? Da chi e dove Mosè ne entrò in possesso? Secondo le notizie storiche gli Israeliti si trovavano in Egitto dopo che le piramidi erano già state costruite. Agrest, in seguito agli studi condotti sulla Bibbia e su altri testi antichi, si è convinto che Mosè avesse uno strumento capace di generare raggi laser, andato distrutto insieme al secondo tempio di Gerusalemme. 

Come infatti testimonierebbe il capitolo 9 del trattato Mishnajot: "(...) quando il tempio fu distrutto, lo Shamir sparì". Sull’origine non terrestre dello strumento vi sono riferimenti chiari. Nel capitolo 5 del trattato Abot, che fa parte del Talmud babilonese, è scritto che lo Shamir fu creato nei sei giorni della creazione del mondo. Sempre nel Talmud, sotah 486, si dice che Mosè portò lo Shamir nel deserto per costruire l’Efod, il pettorale destinato ad Aaron, come stabilito nel patto col Signore cui si fa riferimento nella Bibbia - Esodo 28,9: "prenderai due pietre di onice (durissime) e inciderai su di esse i nomi degli israeliti, seguendo l’arte dell’intagliatore di pietre per l’incisione di un sigillo". Occorre precisare che era proibito scrivere e conservare i nomi degli Israeliti con l’inchiostro, nonché usare qualsiasi attrezzo di ferro per eseguire tali lavori. Ecco spuntare quindi lo Shamir: "In un primo tempo i nomi erano stati scritti con l’inchiostro, allora fu mostrato loro lo Shamir e furono incisi sulla pietra al posto di quelli scritti con l’inchiostro". (Talmud babilonese Sotah 48,b). Mosè per far ciò istruì due tagliatori di pietra, Bezaleel della tribù di Giuda e Ooliab, figlio di Achisamach, della tribù di Dan. La conferma si trova anche nella Bibbia, Esodo 36,2.

L’Efod continuò a esistere per più di mille anni dopo il tempo di Mosè, milioni di Ebrei ebbero modo di vederlo; come videro certamente i Templi di Gerusalemme costruiti senza usare utensili di ferro. "Per la costruzione del tempio si usarono pietre già squadrate altrove, così, durante i lavori, nel tempio non si udì rumore di martelli, scalpelli, picconi o di altri utensili metallici" (Bibbia I° Re 6/7 - Talmud babilonese). Come consigliarono i rabbini, Salomone certamente usò lo Shamir, che ottenne da un "guardiano del cielo", Ashmedai, al quale si attribuisce il titolo di "principe dei demoni"; indicato dal lessico giudaico, vol. IV, 1982, come Asmodai. 

Sappiamo anche che l’uso di tale attrezzo non era facile, perché i testi ci raccontano che fu necessario istruire i preposti al suo impiego, come si farebbe oggi nell’esecuzione di un lavoro specializzato. Difatti il Signore dovette trasmettere "saggezza e conoscenza" negli uomini "perché fossero in grado di eseguire i lavori". è facile dedurre che si trattava di una tecnologia avanzata sconosciuta in quell’epoca. Lo Zoar 74 a,b, ci mette al corrente che lo Shamir fu in grado di spaccare e tagliare ogni cosa, tanto che non fu necessario impiegare altri attrezzi di metallo per eseguire il lavoro.

Tutto questo porterebbe una valida spiegazione ai misteri che circondano le pietre di Tiahuanaco, Puma Punku, Sacsayhuaman, Giza, ecc. Nei miti egiziani il Dio Seth tagliò le rocce ad Abuzir (casa di Osiride) con qualcosa di simile. Intorno al tempio di Sahura, ad Abuzir, vi sono infatti molte pietre di diorite che presentano fori di trivellazione spiegabili solo facendo riferimento a moderni trapani diamantati. A Tula vi sono alcune statue con arnesi chiamati "Xiuhcoatl", "serpenti di fuoco", simili a quelli che impugnano gli idoli di Kalasasaya a Tiahuanaco. 

Si racconta che fossero strumenti che emettevano "raggi infuocati" capaci di perforare corpi umani. "Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul Sinai, gli diede due tavole della Testimonianza, due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio". (Esodo 31,18): lo Shamir? La Bibbia, citando Ooliab, lo indica come appartenente alla tribù di Dan. Dan è anche l’antico nome bretone del gaelico Dana e del gallese Don. 

Con Llys Don, la corte di Don, si usa indicare la costellazione Cassiopea. Quindi, menzionando la Corte di Don, Dan o Dana, si indica anche la costellazione e il suo maggior pianeta, appunto Dana, dal quale giunsero i Tuatha de Danann, 5.000 anni fa per rimettere ordine sulla Terra, come narrano le saghe irlandesi e celtiche. Il dottor John Kenny, del dipartimento di fisica e astronomia dell’università di Bradley (Peoria, U.S.A.), ha accertato che i Tuatha erano i figli di Anu, Dio sumero, assimilato al pianeta Nettuno, uno dei protagonisti principali dell’Epica della Creazione.

Il misterioso Shamir scomparve, insieme alla menorah, all'Arca dell'Alleanza e chissà cos'altro, nella distruzione del Tempio di Salomone avvenuta nel 597 a.C. ad opera del sovrano babilonese e non se ne seppe più nulla.

Sappiamo però che gli arredi sacri del tempio, al termine dell'esilio babilonese, furono restituiti agli ebrei da Ciro il Grande. Nel 538 a.C. Ciro emanò un editto che consentiva agli ebrei non solo di fare ritorno in patria, ma di ricostruire il tempio di Gerusalemme. In questo modo il sovrano ottenne anche il controllo dell'area fenicio-palestinese. Non sappiamo se lo Shamir ritornò in patria al seguito degli esuli ebrei. In verità potrebbe essere stato trattenuto alla corte del re persiano o peggio ancora essere andato irrimediabilmente distrutto e quindi perduto per sempre.

Ma a noi piace pensare che la storia dello Shamir sia proseguita nei secoli successivi, rimasto celato per anni e infine riscoperto durante il periodo delle crociate, da un manipolo di soldati, di cavalieri, partiti dall’Europa per liberare il Santo Sepolcro, e quindi venuti a contatto con gli ambienti esoterici, gnostici, manichei del vicino oriente custodi di un antico sapere: i Templari. 

I Templari, che tornati in Europa divennero in breve tempo estremamente ricchi e potenti, fino alla loro persecuzione e sterminio da cui avrebbero avuto origine implicazioni socio-politiche che determineranno profondi mutamenti nella vita medioevale e che ancora oggi influenzano la società contemporanea.

I Templari che portarono in Europa quelle conoscenza perdute ritrovate tra le rovine del Tempio di Salomone e approfondite con gli intensi contatti con le sette esoteriche della regione mediorientale anche appartenenti ai nemici giurati musulmani.

I Templari che forse, dopo l’annientamento ad opera di Filippo il Bello, alcuni teorizzano riuscirono a raggiungere il nordamerica, secoli prima di Cristoforo Colombo, proprio in virtù di quelle stesse mappe che il marinaio genovese utilizzerà nel XV secolo per supportare la propria spedizione nell’Atlantico.

Quando la notte del venerdì 13 ottobre 1307 la maggior parte dei Templari furono arrestati in Francia, si dice che dal porto di La Rochelle una nave salpò carica dell’oro prelevato dalla Tesoreria di Parigi, lo stesso che Filippo il Bello tanto aveva bramato per se stesso. Queste ricchezze erano state accumulate dal Tempio in due secoli di attività non solo come cavalieri crociati ma come primi banchieri del mondo.

Di questo tesoro non si seppe mai nulla; alcuni sostengono che le navi partite approdarono in Scozia, dove la famiglia Sinclair accolse con favore i Templari rifugiati, ma che il tesoro non avrebbe potuto restare in quelle terre. Cosi lo trasferirono sull’isola di Nuova Scozia, terra all’epoca sconosciuta secondo la storia ufficiale.   Ma anche se il mondo accademico non lo ammette, è oramai piuttosto evidente che le Americhe furono scoperte molto prima di Cristoforo Colombo. Il caso vuole che una delle isole vicino alla Nuova Scozia sia l’Isola della Maddalena, santa veneratissima dei Templari. Strana coincidenza.

Il pozzo di Oak Island quindi potrebbe essere il nascondiglio segreto di questo tesoro di cui si sono perse le tracce sin dal lontano 1300.

Un tesoro che alcuni collegano alla massoneria. La massoneria, società segreta fondata nel 1717 a Londra su principi come l'uguaglianza sociale, la libertà di pensiero ed ispirata agli ideali illuministici, compie fondamentali riferimenti al Tempio di Salomone e talvolta ad un presunto tesoro nascosto sotto la sacra struttura.

La leggenda fa addirittura risalire la nascita della Massoneria all’epoca della costruzione dello stesso Tempio di Salomone nella persona di Hiram Abif. Una di queste leggende parla di una cripta segreta, nella quale Salomone avrebbe fatto custodire delle preziose reliquie come l’Arca dell’Alleanza, anche essa scomparsa nel nulla. Molti scrittori fanno riferimento a questa stanza segreta, tra cui il “padre” di Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle, Massone dichiarato. In alcuni racconti egli cita la cripta segreta dando una descrizione molto simile a quello del pozzo di Oak Island. Si dice che sulla quercia accanto al pozzo furono ritrovate delle iscrizioni molto simili a simboli massonici.


A conferma di questa teoria si narra che negli ultimi anni, il proprietario di buona parte dell'isola, dopo alcune ricerche, abbia individuato 4 pietre di forma conica in diverse aree del territorio; ricongiungendo questi punti su una mappa tramite una retta, sembrano formare una croce.

Forse il pozzo di Oak Island non contiene realmente il Santo Graal o l’Arca dell’Alleanza come molti ipotizzano, ma un altrettanto incredibile reperto, la cui scoperta probabilmente permetterebbe di fornire molte risposte ai nostri enigmi.

Fonti:


*(Notare che, in uno dei disegni attribuiti a Nostradamus, il "veggente" sopra quella sembra essere una Ruota Ciclica o del Tempo, oltre al Pavone (o Pavona visto che sotto alla Ruota c'è un'umile donna in disgrazia che se la rapportiamo a ciò che forse voleva suggerirci il “veggente” e quanto scritto nell'apocalisse di Giovanni Costanza potrebbe essere la "Vestita di Sole"..) il “veggente” ha disegnato proprio un Gallo!)

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