martedì 29 aprile 2014

L'Imp€uroNazista...

Poveri "euristi" ingannati dal sistema... Questa in estrema sintesi il nesso di causa-effetto che sta dietro la moneta unica... ognuno ne tragga le conseguenze che vuole... io la mia decisione l'ho presa e a Maggio eserciterò il mio diritto di voto!

Checché ne dicano gli economisti di regime, anche gli angloamericani temono il disfacimento dell'euro, perché apprezzerebbe il dollaro sul mercato riducendo l'appeal economico da parte dei grandi acquirenti dello stesso (Cina in primis)... se l'euro svaluta, il dollaro apprezza... se il dollaro apprezza Cina e Russia non comprano più debito americano interrompendo un meccanismo che va avanti da decenni.

Per questo l'euro rimane artificiosamente vicino alla soglia di cambio a 1,40 che danneggia tutte le economie dell'Unione, quando sappiamo bene tutti che un euro a un tasso di cambio più basso sul dollaro (tipo 1,15 - 1,20) sarebbe un toccasana per l'economia italiana e anche francese. Si legga a tal proposito uno studio della Deutsche Bank sulle soglie del dolore sopportate dalle economie nazionali della UE.

E per questo che Obama ha fretta di premere contro la Russia ... prima che la UE salti!!!

E per tenere l'euro a 1,40 sul dollaro è necessario proteggere la moneta, svalutando il lavoro, e garantendo i finanziatori del grande capitale (ed ecco perché fiscal compact, patto di stabilità, soglie del 3%) e conseguente morte delle economie reali nazionali...

Sembra che la Grande Germania, ritornata soggetto geopolitico egemone in Europa, stia realizzando attualmente la prospettiva immaginata dai politici e dagli economisti nazisti per il loro dopoguerra vittorioso: di rendersi esportatrice netta di merci verso una periferia monetariamente subalterna ad una moneta unica che allora sarebbe stato il marco e adesso è l’euro.


Alla metà degli anni ’30 la stabilità degli scambi commerciali con l’estero era stata raggiunta in Germania mediante accordi bilaterali di clearing che consentivano di scambiare le merci senza “consumare” moneta perché le importazioni, non coperte da esportazioni, venivano contabilizzate in una “stanza di compensazione” e rinviate al futuro, senza interessi, in attesa d’essere saldate con esportazioni a venire.

A seguito dei successi militari del 1940 una sua evoluzione venne ritrovata nella compensazione multilaterale tra le nazioni progressivamente alleate o conquistate, così che se la Germania si trovava con un debito verso A ma pure con un credito verso B, B pagava A e la Germania era libera dal debito senza nessun movimento di valuta.

Nasceva in questo modo l’idea di costituire un Grande Spazio di scambi commerciali europei di cui la Germania sarebbe stata il centro, come nel 1940 spiegava una nota della Cancelleria del Reich: «i grandi successi della Wehrmacht tedesca hanno creato i fondamenti per il Nuovo Ordine Economico Europeo sotto il dominio tedesco. La Germania, dopo aver concentrato negli ultimi anni le proprie forze principalmente sul riarmo militare, potrà seguire in futuro anche la strada della crescita economica e dello sviluppo delle proprie forze produttive su ampia base e una grossa crescita del tenore di vita ne sarà la conseguenza»[1].

Questo Nuovo Ordine Economico Europeo sarebbe però nato asimmetrico perché gli stati aderenti si sarebbero collocati in due diversi gironi d’importanza: un «cerchio interno» composto dalla Germania allora impinguata dell’Austria e dei Sudeti, dal Protettorato di Boemia e Moravia, dal Governatorato Generale polacco e da Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Lussemburgo in quanto nazioni razzialmente affini ma pure economicamente omogenee, tanto da potersi pensare   ad un unico livello dei prezzi, dei redditi e dei salari; ed un «cerchio esterno» in cui avrebbero gravitato Svezia, Svizzera e poi Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (i PIGS, i paesi “maiali” già previsti!) con estensione all’Unione Sovietica (quando sconfitta), alla Turchia e all’Iran per proiettare il Grande Spazio fino al Pacifico e al Golfo Persico. Qui però prezzi e salari sarebbero stati mantenuti più bassi per favorire le esportazioni verso il cerchio interno. Il marco avrebbe dovuto diventare la moneta comune (in mancanza, «la fissazione di tassi di cambio stabili sarebbe assolutamente necessaria»), mentre sarebbe stata istituita una Banca Centrale Europea con sede a Vienna, che allora era tedesca, per il conteggio incrociato dei saldi tra i paesi associati «in cui, naturalmente, la Germania deve essere predominante».

Tanto progetto d’unificazione commerciale e monetaria europea non ha però mai visto la luce, travolto dal rovesciamento delle sorti della guerra dal 1942 in poi. Ma si può avanzare il legittimo sospetto che, dopo la costituzione della Unione Monetaria, la Germania post-1989 abbia ripreso con determinazione l’idea del Grande Spazio europeo partendo dall’adozione di una  politica commerciale lucidamente “mercantilistica” per compensare con l’esportazione all’estero il rigore fiscale e la moderazione salariale interne (e qualcuno ha scritto che «se non ci fossero state le robuste esportazioni verso l’Europa periferica, la Germania sarebbe scivolata dalla bassa crescita alla stagnazione»[2]). Ma il disavanzo commerciale che si veniva a formare in periferia, non più correggibile con le “svalutazioni competitive” di un tempo per il vincolo della moneta unica, come sarebbe stato coperto? A sostenere la capacità di spesa dei paesi “maiali” sono  intervenuti i prestiti di capitale dal centro per cui, se quelli s’indebitavano, questo otteneva il doppio vantaggio di guadagnare interessi sul denaro prestato assicurandosi contemporaneamente  un mercato di sbocco privilegiato perché privo di rischio di cambio.

Il gioco non è tuttavia senza difetto perché, mentre la periferia si deindustrializza per l’invasione delle merci straniere, il centro si fa partecipe della sua progressiva instabilità finanziaria  per quell’indebitamento crescente di cui è creditore. E così quando, e ai primi casi d’insolvibilità periferica (in Grecia, ma soprattutto a Cipro), il centro ha temuto che i propri crediti potessero venire “ripudiati”, è corso ai ripari richiedendone alla periferia il rientro, almeno in parte, coatto. Sta in questo il senso del Trattato per la stabilità, il coordinamento e la governance, sinteticamente noto come “Fiscal Compact”, approvato il 23 luglio 2012 dal Parlamento italiano. Con esso si sono a tal punto irrigiditi i vincoli di bilancio pubblico e di debito sovrano da poter essere giudicato, dopo il Trattato di Maastricht (1991) ed il Trattato di Lisbona (1999), come «il terzo atto della storia dell’euro che radicalizza in maniera inedita i principi neoliberisti che hanno caratterizzato fin dall’inizio la costruzione della moneta unica»[3] , anche a rischio di realizzare una forma di austerità perpetua che potrebbe fare esplodere l’Unione Monetaria Europea.

Il Fiscal Compact richiede all’articolo 3 che le spese statali vengano integralmente coperte da imposte e tasse (al netto di variazioni minimali emergenziali); in caso contrario è previsto «un meccanismo automatico di correzione» che di fatto priva i paesi colpevoli d’infrazione d’ogni potere decisionale proprio. L’articolo 4 impone invece il rientro del debito pubblico al 60% del PIL a partire dal 2015 (un impegno confermato dalla “Agenda Monti” del 24 dicembre 2013), il che significherebbe per l’Italia, che ha un debito pubblico del 134% su di un PIL di oltre 2000 miliardi di euro, un aggravio sul bilancio statale e per vent’anni di una quota di restituzione del debito di oltre 50 miliardi all’anno. Ma perché un simile provvedimento è stato introdotto? Chi l’ha pensato si è affidato a certe stime del Fondo Monetario Internazionale secondo le quali ad un punto di “contrazione fiscale” (più imposte e tasse e/o meno spesa pubblica) corrisponderebbe un calo del PIL dello 0,5%, e quindi una riduzione del rapporto Debito/PIL. Però all’inizio del 2013 lo stesso FMI ha convenuto che quella stima funziona soltanto in caso di crescita economica, perché in recessione la riduzione del PIL sale all’1,7%, aumentando (e non diminuendo) il rapporto Debito/PIL e quindi costringendo ad ulteriori interventi d’austerità che peggiorano il rapporto e così via seguitando[4] (come s’è visto in Italia con le manovre di riduzione del debito dei governi Monti e Letta che, invece di diminuirlo, lo hanno aumentato).

Ma se tutto questo succede in periferia, che capita al centro? Di fronte ad un eventuale collasso economico periferico, esso vedrebbe restringersi l’area privilegiata d’esportazione dovendo ricercare altri sbocchi fuori dalla zona-euro, dove però il rischio di cambio esiste. E qui, a fronte di un euro troppo rivalutato, la sostituzione delle esportazioni potrebbe non risultare “a somma zero”, come sta già succedendo alla Germania: calano le esportazioni verso i paesi UE, ma «Berlino sbaglierebbe davvero molto se d’ora in poi potesse pensasse di poter puntare tutte le sue carte solo sul resto del mondo. Con una domanda interna tendenzialmente debole e senza la vecchia Europa che torni a comprare il “made in Germany”, il suo attivo rischia di non correre più come quello di un tempo, sicché nel 2012 la somma del saldo complessivo UE ed extra-UE ha fatto segnare soltanto quota 185 miliardi, un livello ancora lontano, dopo cinque anni, dal record storico di 194 miliardi toccato nel 2007»[5].

Quale soluzione allora ci sarebbe per il centro se non quella di una svalutazione competitiva dell’euro per guadagnare maggiori quote di mercato? Ma questa decisione, favorevole agli industriali, danneggerebbe il sistema finanziario, che vedrebbe minacciato quell’euro forte difeso fino ad ora a spada tratta. Ecco perché non è da escludere l’alternativa di un arroccamento su di un euro del nord che abbandoni al proprio destino i paesi “maiali” per riciclare il centro come luogo privilegiato d’importazione di capitali invece che di esportazione di merci.

E’ quest’ultima una soluzione praticabile? L’antagonismo tra finanza e industria è un tema ricorrente nella storia economica.


I partiti e i media, del sistema creato dalla grande finanza, ci dicono che l’uscita dall’Euro e dall’Europa delle banche sarebbe una sciagura, ma sanno benissimo di mentire; sono costretti a farlo perché questa è ormai la loro natura. La loro esistenza, funzione, organizzazione e finanziamento sono indissolubilmente legati ai servizi che sono chiamati a svolgere su input politico-culturale dei centri decisionali quali la Trilaterale, il Bilderberg, il CFR, l’Aspen …

Loro sanno benissimo che è tragicamente folle e suicida una ‘competizione’ con sistemi paese europei ed extraeuropei, politicamente e finanziariamente controllati dalla stessa grande finanza che ora ha in mano l’Europa e la BCE, in cui ci sono condizioni più ‘competitive’ (su costo del lavoro e dell’energia, nonché per via delle varie ‘regalie’ insediative, tributarie e ambientali, concesse loro da governi da loro gestiti) .

Il ‘divenuto’ Segretario del PD e Presidente del Consiglio che prima, tra le seconde e terze file, stava al gioco, è ora stato promosso per sostituire chi, essendo da tempo in prima linea, toglieva efficacia alle invenzioni mediatiche ed alle cortine fumogene con cui hanno programmato di condurci fiduciosi e speranzosi, verso il baratro.

Renzi, uscito dalla riunione in cui la BCE ha deciso di accreditarci altri miliardi di € di debito, che noi non vedremo nemmeno, poiché andranno al fondo necessario per coprire le spese del colpo di Stato in Ucraina (e per finanziare il banchiere messo alla sua Presidenza), ha avuto un incontro con Obama, l’Amministratore Delegato di USraele, che è la struttura istituzionale formalmente incaricata dalla grande finanza di gestire il disbrigo delle questioni politico-militari, e non ha battuto ciglio quando si è sentito dire che la “loro” libertà ha un costo.

Da ubbidiente scolaretto si è infatti impegnato a pagare quel costo ed a continuare con nuove Contro-riforme.

Avrebbe potuto dire che abbiamo già milioni di disoccupati e imprese chiuse o fallite, che milioni di italiani non avranno la pensione poiché non riusciranno mai ad avere 40 anni di contributi lavorativi, ecc., ecc., invece ha sorriso ed annuito. Avrebbe potuto dire che come servi fedeli, già paghiamo la metà dei costi delle 113 basi militari con cui loro occupano il nostro paese, che da quasi 70 anni compriamo le loro armi e facciamo tutte le loro guerre o che non è chiaro da quale ‘terrorismo’ ci dobbiamo difendere se è USraele, utilizzando anche la sua NATO e la sua Arabia Saudita, ad istruire, armare e finanziare le organizzazioni terroristiche salafite, di Al Qaeda e di al Nussra che loro hanno inviato in Siria per rovesciare un paese la cui banca centrale ha la colpa di essere della Siria e non dei Rothschild. Avrebbe potuto dire che sono la ‘loro’ globalizzazione e la ‘loro’ moneta debito che ci stanno strangolando e ci impediscono di avere la risorse pubbliche necessarie per difendere ed estendere l’occupazione e l’imprenditoria italiana.

Invece, triplo salto mortale e rieccolo blaterare di Jobs act, che,  manco a dirlo, sotto la terminologia anglosassone nasconde la solita ricetta globalizzatrice: precariato, contratti a termine, apprendistato e flessibilità, per ridurre diritti e costo del lavoro.

Poi vengono a dirci che uscire all’Euro e dall’Europa globalizzata dalla banche sarebbe un guaio per gli italiani.

Il dramma è che la loro potenza mediatica e clientelare, gli consente di ‘imbambolare’ e ‘ipnotizzare’ delegati sindacali in buona fede, attivisti politici di destra, centro e sinistra, in buona fede…che, come nella storiella della rana nella pentola…gli avessero detto nel 1993 che le loro famiglie e l’Italia si sarebbero ridotte nella attuale situazione avrebbero riso in faccia all’indovino, prendendolo per pazzo, mentre ora se ne stanno allineati e coperti dietro i loro capi partito, sindacato, associazione di CENTRODESTRASINISTRA, che ogni tanto allungano un ‘biscottino politico’.

Il ‘biscottino’ che ora va per la maggiore, essendo all’orizzonte l’appuntamento con le elezioni del parlamento europeo (sovrastruttura che non conta nulla in termini di potere politico, economico, finanziario e militare, ma che rischia di far emergere dalle urne un risultato contro l’€ e la ‘loro’ Europa, che potrebbe aprire nuovi scenari e/o complicare le ulteriori tappe globalizzatrici), è quello del cambiamento, “ora ci impegniamo davvero e vedrete che cambiamento”!

Ma poi a Obama, Draghi, Schultz e Merkel (che di recente ha fatto lo stesso giochino nelle elezioni in Germania), chiariscono che non va preso sul serio quello che stanno dicendo in campagna elettorale e che possono stare tranquilli e continuare a confidare sulla loro fedeltà.

Diranno “Le condizioni categoriche che porremo alla BCE , alle multinazionali della ERT e alla Commissione Europea, non potranno essere rifiutate perché noi siamo un paese europeista, che ha fondato l’Europa e siamo ancora una delle 20 economie più forti del mondo. Se le nostre richieste non verranno esaudite, allora si che usciremo dall’€ e dall’Europa , o autorizzeremo gli italiani a dirci, con un referendum, se dobbiamo star dentro o uscire!”, ma lo faranno perché siamo in campagna elettorale e se loro non catturano i voti delle vittime dell’Euro e dell’Europa delle banche c’è il rischio che il giochino si rompa.

Quando i partiti che governano e hanno governato (Renzi o Berlusconi, Tsipras o Fratelli d’Italia, Lega o Casini), vanno in TV e negli altri media a dire che ‘le cose in Europa debbono cambiare’ , che ‘loro lavoreranno per cambiarle’ .. nella migliore delle ipotesi ciò che hanno in mente per l’Italia è solo un guinzaglio più lungo, un riparo di fortuna e qualche osso, o i resti della tavola dei banchieri … almeno la domenica !

Quando CgilCislUil, tutti gestiti da persone del PD & complici, fingono di ‘difendere’ i posti di lavoro, le conquiste salariali ed i diritti acquisiti dai lavoratori italiani (salute, previdenza, normative rispettose dei diritti civili), sanno di svolgere una parte in commedia e che la china in cui ci hanno messo aderendo alla globalizzazione, all’Euro ed all’Europa delle banche ci porterà tutti sulle orme della Grecia, che è il primo paese europeo occupato e destrutturato dalla finanza globalizzatrice.

Tratto da un articolo di Giorgio Gattei
e

2 commenti:

  1. ottima analisi !! l'armageddon d'altronde và pure organizzato!non trovi??
    nel 2016 saranno 7gli anni di crisi.
    Giuseppe Buonamico 75'.

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  2. Grazie, sì... ed è una organizzazione che va avanti da secoli, forse da millenni, atta a mantenere il potere, ma quello con la P maiuscola, a una piccolissima elite di persone il cui albero genealogico sale a ritroso fino alle origini della nostra storia.

    Interessante poi la correlazione che fai tra l'anno 2016 e i 7 anni di crisi... molto sagace.

    RispondiElimina

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