sabato 24 maggio 2014

Eli, Eli, lama sabactàni

Il Grande Segreto del Messia e dei suoi Viaggi in India


“… È esistito da sempre e sarà ancora dopo la fine di tutte le cose”
(La vita di San Issa, 8:6)

Nel suo Vangelo, Giovanni affermò che Gesù viaggiò molto e fece moltissime cose che se fossero tutte trascritte, questo mondo non avrebbe lo spazio per contenere tutti questi libri…

Tuttavia è sufficiente andare a svolgere ricerche in Tibet e in India per saperlo; esiste, infatti, una grande documentazione letteraria e molte testimonianze della permanenza di Gesù, che lì è molto più conosciuto di quanto si creda...

Dove visse Yeshua ben Yosef tra i 13 e i 29 anni, prima di tornare in Palestina (per concludere la sua Missione)? 

Ci sono molte documentazioni antiche, sia in Tibet che in India, che testimoniano che lasciò la Palestina a 13 anni per visitare i grandi centri religiosi nella Valle dell’Indo, nel Tibet e nell’India. Imparò lo Yoga in India e lesse i testi sacri nella regione del Lama Hemis in Ladakh. Fu egli stesso un Bodhisattva del Buddismo. I suoi spostamenti sono documentati e risulta che visse molti anni in questi luoghi mistici, a contatto con i monaci e con gli insegnamenti degli “illuminati” vissuti prima di lui, come Buddha e Krishna. 

Conducendo una serie d’investigazioni su questi “anni oscuri”, svanisce finalmente il mistero delle ultime parole di Gesù sulla croce: “Eli, Eli, lama sabactàni”, il cui significato “sconosciuto” è chiarissimo per i buddisti, dal momento che hanno senso nel loro linguaggio rituale.

Il primo traduttore greco dei Vangeli non tradusse queste parole; il termine la - in arabo - ha significato negativo e se accettiamo questa traduzione, il significato sarebbe: “Dio, Dio, non mi hai abbandonato”.

Prendendo in esame il linguaggio segreto rituale (non comprensibile per gli altri) usato dai sacerdoti egiziani, pensando che forse Gesù lo conosceva, sarebbe stato: “Eli, Eli, tu mi liberi.”

“Heli Lamah Zabac Tani” è un’invocazione a Dio, anche nell’idioma “rituale” maya usato in Tibet… equivalente al sanscrito o al latino (il termine “sacro” Eli fu pronunciato anche da Krishna durante la guerra del Mahabharata e da Buddha quando dovette affrontare i nemici).

Insomma, la frase gridata da Gesù sulla croce, che in giudaico non ha alcun significato, ne ha uno logico in una lingua cerimoniale che Gesù aveva imparato a usare nei luoghi dov’era stato prima di tornare a “casa”. E questa “casa”… dove si trovava?

Era chiamato Gesù di Nazareth, ma nacque a Betlemme. Non c’era alcuna Nazareth da quelle parti…

E non si tenti di dimostrare che la Nazareth odierna è la stessa del primo secolo! Non ne parla mai lo storico Giuseppe Flavio, che conosceva come le sue tasche tutta la Galilea (possibile che abbia scritto i nomi di tutte le altre 45 località conosciute, saltando proprio questa?). Ma soprattutto non è mai menzionata nel Talmud!

Vorrei aggiungere un aneddoto tratto dal quarto capitolo del Vangelo di Luca, perché descrive un fatto che conferma ancora una volta (se ce ne fosse ancora bisogno):

1. che la città dove viveva Gesù in Galilea non poteva essere la Nazareth odierna;
2. che il Vangelo di Luca fu scritto secoli più tardi;
3. che questo Vangelo dovrebbe essere considerato apocrifo.

Tornando nella sua “città natale” per tenere alcune lezioni nella sinagoga, Gesù fu accusato di blasfemia dalle persone “che erano venute per ascoltarlo” e lo sdegno fu tanto negli “abitanti del luogo” che decisero di condannarlo a morte. Benché il “crimine” prevedesse la lapidazione, essi decisero di gettarlo dal precipizio vicino alla sinagoga. A questo punto è descritto un “salto” miracoloso che salvò la vita al Messia…

Dunque, la “città natale” era su una collina e doveva esserci un precipizio molto alto, se una caduta da quell’altezza doveva provocare la morte! L’odierna Nazareth ha occupato per oltre un millennio la valle ai piedi d’una collina, ed effettivamente una serie di scavi archeologici ha rilevato i resti di alcuni edifici sulla sua sommità. Solo che gli scavi hanno confermato che prima del XX secolo non era mai stato costruito nulla in alto, e gli edifici messi alla luce furono tutti costruiti dopo tale data… e non ci sono precipizi come quello descritto da Luca! 

Analizzando l’odierno sito di Nazareth, non si riscontrano né i resti di una sinagoga di duemila anni fa, né quelli di una sinagoga sulla cima d’una collina, né d’una collina con un precipizio mortale. Vorrei aggiungere che Luca non nomina Nazareth, ma si riferisce a questo luogo come “città natale”. Qualunque fosse stato il nome di questa città, gli ebrei che si sdegnarono per le parole del Maestro, erano venuti lì “per ascoltare le sue lezioni”. 

Gesù era tornato nella sua città natale per un ciclo di lezioni in sinagoga. Sembra quasi che non lo conoscessero di persona (di fama?) e fosse arrivato da un viaggio che l’aveva tenuto lontano molti anni… dov’era stato?


Oltre tutto, la moderna Nazareth si trova sopra un’antica necropoli. Infatti, l’area ai piedi della collina pullula di grotte che furono usate per oltre un millennio per seppellire i morti, aggiungendo un altro elemento a favore della mia tesi: essendo proibito dalle leggi ebraiche costruire tombe in mezzo ai luoghi abitati, è impossibile che lì ci fosse una città. Gli scavi archeologici eseguiti nella cosiddetta Nazareth, non hanno messo alla luce alcuna rovina databile a duemila anni fa, nonostante nell’ultimo secolo abbia avuto luogo una quantità immensa di ricerche in tal senso e anche di nuove costruzioni. L’unica cosa trovata è un numero incredibile di grotte e cavità usate come sepolture, a confermare che l’odierna “Città Santa” era un cimitero. O per lo meno che lo fu fino alla fondazione di un primo villaggio, dopo che gli Ebrei furono espulsi da Gerusalemme nel 135 d.C. Probabilmente la cosiddetta Nazareth era il cimitero degli abitanti di Giaffa, un’importante città distante solo un paio di chilometri da lì…

Nazareth secondo Eusebio

Il primo a parlare di Nazareth come località geografica, indicandone anche l’ubicazione, fu il Padre della Chiesa Eusebio di Cesarea, nella sua opera “Onomasticon”, il “Libro dei Nomi”, un manuale in cui elencò e descrisse tutti i nomi delle località sante. Proprio questo particolare sarebbe la prova dell’esistenza di Nazareth nel sito attuale fin dal terzo secolo; tuttavia, l’esame attento del testo originale greco, ha portato alla conclusione che il luogo citato così sommariamente e confusamente, non fosse stato mai visitato di persona (come neppure da un altro Padre della Chiesa prima di lui, Origene). Entrambi erano di Cesarea, un porto distante una cinquantina di chilometri dalla moderna Nazareth; una distanza relativa, dunque, che avrebbe consentito d’andare a controllare di persona la località evitando d’ipotizzarne il nome. 


Origene era incerto sull’esistenza stessa della città, ma tuttavia la nominò spesso nel tentativo di conciliare il IV capitolo di Luca con alcuni altri racconti evangelici. Citando una città dal nome “forse” di Nazara (che non aveva mai visto e di cui dubitava l’esistenza), creò tuttavia i presupposti per Eusebio e altri che scrissero dopo di lui. 

Bando ai presupposti, rimane tuttavia da chiarire in maniera inoppugnabile come sia finito nella Bibbia il nome di Nazareth. Abbiamo appena scoperto che fino al IV secolo non c’erano accenni a questo nome, nei Vangeli… e dunque?

Nazareth secondo Marco

Dopo aver investigato a lungo, ho riscontrato che l’unico a nominare Nazareth di Galilea è stato Marco, il cui Vangelo è ritenuto il più antico. Nel versetto 9 del capitolo 1, infatti, leggiamo: “Gesù giunse da Nazareth di Galilea”; questa affermazione toglierebbe ogni dubbio… se gli studiosi non dubitassero fortemente sulla paternità del versetto. Per essere precisi, essi sono propensi a un’aggiunta al testo in epoca successiva, alla stregua di altri dodici versetti di questo medesimo Vangelo (gli ultimi).

Dal momento che il Vangelo di Marco è il più antico, è evidente che fu in qualche modo il punto di riferimento per quelli successivi, tanto che Gesù il Nazireo divenne un po’ alla volta Gesù di Nazareth. Ma attenzione: s’è sempre parlato di Gesù nato a Betlemme da Maria di Nazareth. Maria era Nazirea e questo la fece cambiare in Maria di Nazareth. E alla nascita del figlio fece su di lui il voto nazireo, usanza non rara all’epoca. 

Ecco che il nome della Madre creò la collocazione geografica anche per il Figlio…

All’epoca era consuetudine avere un attributo che fungesse da identificativo, un po’ come il successivo cognome. Gesù (Yeshua) era forse un nome insolito, ma divenne molto popolare in seguito: significa Salvatore. Gesù di Nazareth è la traduzione ebraica di Yeshua Netser, letteralmente Yeshua (Salvatore) e Netser (germoglio). A questo punto Gesù-Yeshua era il germoglio-Netser predetto da Isaia, ossia l’Unto-Messia.

“Ma un rampollo uscirà dal tronco di Iesse e un germoglio spunterà dalle sue radici [...]” (Isaia, 11,1). 

I primi Cristiani erano, infatti, chiamati anche Iesseani.

Se ai dati appena esposti aggiungiamo anche la successiva traduzione dall’aramaico al greco, appare chiaro che “Iesous Nazarenos”, in origine presumibilmente più attributi che nomi, diventeranno definitivamente (una volta “latinizzati” in Gesù il Nazareno o di Nazareth) un nome e la sua identificazione geografica. 

Mentre NZRT è la forma ebraica usata per Nazareth (Nazrat o Nazeret), quella greca “o Nazoraios” deriva dall’aramaico Nazorai. Nella versione aramaica del seguente brano, la radice NZR (senza T finale, che corrisponde alla forma ebraica usata per “santità”) si presenta, invece, nel termine “Emunim” (fede): “Aprite le porte: entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà”. (Isaia 26: 2)

La parola “Emunim” ha mantenuto fino ad oggi il significato di “Fede”. Attualmente esiste un movimento fondamentalista pacifista chiamato “Gush Emunim” (Blocco di Fede), nato nel 1967 tra le frange tradizionaliste della società ebraica e uno dei movimenti più studiati dell’ultimo secolo.

Gesù secondo Luca

“Il bambino cresceva e si rinforzava colmo di saggezza e la grazia di Dio stava su di lui. I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando contava 12 anni parteciparono, come era usanza, alla festa, e passati i giorni, quando ritornarono, il Bambino Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che fosse nella carovana, attesero il termine della giornata e lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Siccome non lo trovarono, ritornarono a Gerusalemme per cercarlo. Dopo tre giorni lo trovarono al Tempio, seduto davanti ai Maestri che lo ascoltavano e gli facevano domande. 

Tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano della sua intelligenza e delle sue risposte. Al vederlo restarono sorpresi e sua madre gli disse: ‘Figlio, perché ti sei comportato così con noi? Tuo padre e io ti abbiamo cercato con ansia’. Allora Egli disse: ‘Perché mi avete cercato? Non sapevate che io devo stare nella casa di mio Padre?’ Ma essi non compresero ciò che egli diceva loro. In seguito Egli parlò con loro, ritornò a Nazareth e fu obbediente, e sua madre lo teneva nel suo cuore. In quanto a Gesù, faceva progressi nella saggezza, cresceva e aumentava in grazia tanto davanti a Dio che davanti agli uomini.” (Lc, 2, 40-59)

Luca scrisse questi versetti nel terzo Vangelo “sinottico” ed è ritenuto anche l’autore degli “Atti” degli Apostoli. È descritto come medico e compagno di Paolo nelle sue peregrinazioni (di conseguenza è citato spesso da lui nelle “lettere”). Tuttavia ci sono molti elementi, come spiegato in precedenza, per ritenere che il Vangelo di Luca, scritto almeno due secoli dopo la crocifissione di Gesù, sarebbe da considerare apocrifo alla luce delle conoscenze odierne. Molti studiosi sono anche scettici circa la sua amicizia con Paolo e di conseguenza sulla possibilità che abbiano viaggiato insieme (del resto, le “lettere” attribuite a Paolo vengono considerate a loro volta una raccolta di brani scritti da più mani, mettendo in dubbio la loro paternità Paolina). 

La cosa più stupefacente, nel Vangelo di Luca (qualunque fosse la vera identità dell’autore) è che la narrazione riparla di Gesù, saltando dall’episodio sopraccitato, successo a dodici anni, a quando ne aveva una trentina: “Quando Gesù cominciò, aveva circa 30 anni.”. (Luca, 3, 23) Cos’aveva fatto Gesù nei diciott’anni di cui non si parla?

Gesù in Tibet

Come spiegavo all’inizio, non è vero che mancano le testimonianze degli anni “bui” della vita di Gesù. È vero solo che non se ne parla nelle Sacre Scritture. E non ne parla il clero occidentale…


Eppure del Cristo si descrive la storia, la vita e perfino la morte, in numerosi rotoli conservati in alcuni monasteri tibetani e nella regione del Kashmir, a nord dell’India. Ci sono infatti stupefacenti testimonianze del passaggio d’un certo Yesuf ben Yusef (Gesù figlio di Giuseppe), proveniente dalla Palestina, che era stato molti anni della sua adolescenza presso i monasteri per apprendere le Verità e i Grandi Misteri del Buddismo, prima di tornare in “patria” per rivelarle agli ebrei e al mondo.

Sto per raccontare una storia stupefacente e priva di qualsivoglia dogma. Gesù aveva viaggiato attraversando la regione del Sinai e da lì aveva continuato verso il Tibet, l’Afghanistan e il nord dell’India. Aveva vissuto nei monasteri per apprendere gli antichi Sastra e aveva visitato molte città sante dell’India. 

Dopo i trent’anni, intraprese il viaggio di ritorno per iniziare la sua missione rivoluzionaria e insegnare i Grandi Misteri nelle sinagoghe. La cosa più sconcertante è che la religione Cristiana è completamente diversa da quella Buddista…

Il Buddismo fu indubbiamente la matrice delle predicazioni di Gesù; se all’inizio, quand’era un bambino, veniva ascoltato con ammirazione, al suo ritorno dopo diciott’anni era diventato un pericolo per la religione ebraica. Non essendo gradito nelle sinagoghe, iniziò a predicare all’aperto attirando folle di persone. Ovunque si stava spargendo la voce d’un Maestro che parlava alla gente, portando nuove verità e parole d’amore che arrivavano al cuore.

Gesù aveva in mente un grande progetto, altrimenti non si spiega il suo ritorno in quella che egli stesso non definiva la “sua casa”. Qualcosa d’imprevisto ostacolò però i suoi piani e fu allora che gli eventi precipitarono trasformando il progetto iniziale in un altro ben più ampio, che sarebbe stato epocale.

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