La distruzione del pianeta e l'autodistruzione dell'Uomo... la paura del Player A e, forse, il motivo del perché certi segreti non devono essere rivelati e certe tecnologie ancora non possono essere di dominio pubblico.
Ciò spiegherebbe perché il Player A (Enlil), da non confondere con il Player C (Yahweh il "rettiliano"), abbia da sempre cercato di evitare che l'Uomo post-diluviano tornasse ad avere certe capacità/potenzialità prima che fosse davvero pronto a gestire queste incredibili forze...
Ciò spiegherebbe perché il Player A (Enlil), da non confondere con il Player C (Yahweh il "rettiliano"), abbia da sempre cercato di evitare che l'Uomo post-diluviano tornasse ad avere certe capacità/potenzialità prima che fosse davvero pronto a gestire queste incredibili forze...
Non siamo pronti... E rischieremmo di provocare i disastri che furono già decine di migliaia di anni fa...
Il concetto dell’atomo ha origine in un’antichità sconosciuta. Lo studioso romano Lucrezio, nel sec. I a.C., scrisse di particelle di materia “che si nmuovono in ogni direzione attraverso tutto lo spazio”. Epicuro (sec. IV a.C.) e Leucippo (sec. V a.C.) accettarono entrambi la teoria atomica, che attribuirono al greco Democrito. Egli parlò di un’organizzazione della materia che solo nel corso dell’ultimo secolo è stata accettata veramente dai fisici moderni.
“Non esiste null’altro che gli atomi e il vuoto”.
Ma il filosofo greco creò una confusione, dichiarando che gli atomi fossero l’essenza più piccola e indivisibile della materia. Democrito riprese la propria concezione dal fenicio Mosco, che a sua volta riportò una tradizione ancor più antica, nella quale si affermava in modo più preciso che gli atomi, base della materia, erano a loro volta divisibili, il che è stato provato solo nell’ultima metà dello scorso secolo, con la scoperta d’una miriade di particelle subatomiche.
La tradizione di Mosco può essere derivata dall’India, ove si trova il più profondo studio della teoria atomica, ricordato da fonti antiche. Il saggio indù Uluka, oltre 2500 anni fa, affermava che ogni cosa è composta di paramanu ossia “semi di materia”. La Tavola Varahamira, datata al 550 a.C., cercò di misurare i singoli atomi e la figura che propose è simile a quella che oggi conosciamo per l’atomo d’idrogeno.
Alcuni testi sanscriti contengono riferimenti a unità di misura temporali che coprono uno spettro molto ampio. Ad un’estremità, secondo i testi cosmologici indù, c’è il kalpa o “giorno di Brahma”, che equivale a 4,32 miliardi di anni.
All’altro estremo, come si dice nel Brihath Sathaka, troviamo il kashta, e quando operiamo sui vari rapporti di multipli e sottomultipli ci rendiamo conto che corrisponde a 300 milionesimi di un secondo.
Gli studiosi moderni del Sanscrito non hanno idea del perché nell’antichità si ricorresse a tali suddivisioni del tempo, tanto grandi e tanto minuscole. Tutti loro però sanno che quelle suddivisioni erano in uso e sono obbligati a conservarne la tradizione.
Ogni tipo di divisione del tempo presuppone però che la durata di un’unità potesse essere misurata. La sola cosa che esista in Natura, che possa essere misurata in tempi di miliardi di anni ad un estremo o di qualche centinaio di milionesimi di secondo all’altro estremo, è il dimezzamento di disintegrazione dei radio–isotopi atomici. Questi intervalli spaziano dall’uranio 238, che ha un dimezzamento di 4,51 miliardi di anni, alle particelle sub–atomiche, come i mesoni K e gli iperioni, il cui dimezzamento si misura in centinaia di milionesimi di secondo.
Lo spettro della divisione del tempo presso gli antichi Indù coincide con i periodi di disintegrazione degli isotopi radioattivi. Se gli antichi Indù, o una civiltà ancor più antica della loro, dalla quale essi poterono ereditare la misura del tempo, possedevano una tecnologia che poteva scoprire e misurare la materia nucleare e sub–atomica, ciò significa che avevano accesso all’energia nucleare.
Ci sono molti indizi che la radioattività fosse non solo misurata, ma usata per fini pratici che possiamo solamente supporre. Robert Charroux scoprì che la collina piramidale di epoca megalitica di Couhard, in Francia, era stata costruita con malta radioattiva. La struttura era alta in origine una trentina di metri ed era composta di grandi blocchi di pietra (fillite). L’intonaco, ortase o argilla e soda caustica, agisce sulla roccia come un elettrolito alcalino, e la reazione causa l’emissione di raggi gamma K41, che possono ancor oggi essere misurati. Un corridoio conduce all’interno della massa piramidale, dove esisteva una camera, come un accumulatore. Forse gli uomini preistorici venivano qui a ricevere le radiazioni per curarsi dalle malattie?
L’uranio radioattivo e il torio esistono in piccole quantità nei giacimenti d’oro, e gli antichi Egizi erano ben familiari con tali elementi nelle loro miniere d’oro in Nubia, il moderno Sudan. Lo scienziato nucleare Professor Luis Bulgani era convinto che gli Egizi utilizzassero i materiali radioattivi come una forma di protezione. Egli scrisse nel 1949:
“Credo che gli antichi Egizi afferrassero le leggi del decadimento atomico. I loro sacerdoti e i loro saggi erano familiarizzati con l’uranio. Infine, è possibile che usassero le radiazioni per proteggere i loro luoghi sacri. I pavimenti delle tombe potevano essere stati rifiniti con roccia radioattiva, capace di uccidere un uomo o almeno di danneggiarne la salute”.
Molti famosi egittologi e archeologi, che esplorarono per primi le antiche tombe lungo la valle del Nilo, morirono di mali misteriosi. Essi furono colti da improvvisi collassi circolatori, con sintomi di affaticamento estremo, difficoltà respiratorie o danni cerebrali e sintomi di follia, tutti sintomi di possibili avvelenamenti da radiazioni.
Gli antichi Egizi possono aver conosciuto ciò che Madame Joliot–Curie riscoprì solamente nel 1934, che il bombardamento di particelle di materiali non–radioattivi può renderli radioattivi. Potrebbe essere stupefacente, ma diversi amuleti e altri gioielli curiosi, avvolti tra le mende delle mummie, fossero più che simbolici, e costituissero invece veri e propri guardiani, che contaminavano in modo fatale coloro che avessero disturbato la quiete delle mummie.
Spesso, leggende criptiche o antichi testi nascondevano possibili allusioni ad armi nucleari e ai loro effetti. In Cina, l’opera letteraria Feng–Shen–I conteneva il racconto d’una guerra dei Quattro Giganti Celesti di Ching–chang con Chiang–Tzu–ya e il Generale Huang–fei–hu di Hsich’I. E. T. C. Werner riferisce come, durante la guerra, uno dei Giganti, Mo–li ch’ing, usasse una lancia magica chiamata “Nuvola Blu”, e quali fossero le conseguenze.
“Generò un vento nero che produsse decine di migliaia di lance che perforarono i corpi degli uomini e li trasformarono in polvere. Il vento fu seguito dalla ruota di fuoco, che riempì l’aria di feroci serpenti. Il denso fumo si chiuse sugli uomini bruciati e nessuno poté sfuggire”.
Non appare questa, in un racconto mitizzato, come la descrizione di un’esplosione nucleare?
I Pangive, una tribù bantu dell’Africa, raccontano questa strana storia:
“Il fulmine della vita è avvolto in un uovo speciale. La prima madre ne ricevette il fuoco. Quando l’uovo si ruppe e si aprì, ne uscirono tutte le cose visibili. La metà superiore si aprì in una grande albero a forma di fungo, che salì alto nel cielo”.
O.E. Gurney riferì un’antica iscrizione degli Hittiti, che diceva:
“Nubi di polvere salgono alla finestra celeste, le case s’incollano come ceneri ardenti d’un cuore. Gli dèi sono soffocati nei loro templi. Le pecore muoiono negli ovili, i buoi nelle stalle. La pecora abortisce l’agnello, la vacca il vitello. L’orzo e il grano non crescono più. Buoi, pecore, uomini cessano di concepire, e le femmine pregnanti abortiscono”.
Si trova una delle testimonianze letterarie più sorprendenti della distruzione compiuta dall’uomo, presso le antiche culture tibetane, nelle Stanze di Dzyan, tradotte alla fine del sec. XIX. Le Stanze raffigurano un olocausto che coinvolge due nazioni in guerra, con l’uso di veicoli volanti e di terribili armi.
“Il Gran Re delle Facce Risplendenti, il capo di tutte le Facce Gialle, si adirò nel comprendere le malvagie intenzioni delle Facce Scure. Mandò i suoi mezzi volanti con persone animate da buone intenzioni a tutti i capi, suoi fratelli, per dire loro: preparatevi e muovetevi, uomini di legge, e scappate prima che la terra non sia travolta dal crescere delle acque”.
“I Signori della Tempesta stavano pure arrivando. I loro veicoli di guerra si avvicinavano alla terra. Entro una notte e due giorni, il Signore delle Facce Scure sarebbe arrivato, ma la terra era stata protetta prima che le acque scendessero a coprirla. I Signori dagli Occhi Oscuri avevano predisposto le loro armi magiche. Erano esperti nell’alta magia Ashtar, e volevano usarla”.
“Che ciascun Signore delle Facce Risplendenti investa l’aereo di ciascun Signore delle Facce Scure e alla fine tutti loro fuggiranno”.
“Il Gran Re cadde sopra la sua Faccia Risplendente e pianse. Quando i re erano riuniti, le acque della terra erano già state disturbate. Le nazioni attraversarono le terre asciutte. Si mossero davanti al fronte d’acqua. I re allora raggiunsero le terre sicure con i loro aerei e arrivarono nella terra del Fuoco e dei Metalli”.
“Missili stellari esplosero sulle terre delle Facce Scure mentre essi dormivano. Le bestie parlanti rimasero silenziose. I Signori aspettavano ordini, che non vennero, perché i loro comandanti dormivano. Le acque crebbero a coprire le vallate. Nelle terre alte si rifugiarono i sopravvissuti, gli uomini dalle facce gialle e dall’occhio diritto”.
Anche se la traduzione di questi testi risale a più d’un secolo fa, essi descrivono forme di distruzione nucleare che ci sono divenute familiari solo negli ultimi cinquant’anni. È significativo anche la distruzione attuata da mani umane qui descritta sia accoppiata a movimenti cataclismici delle acque oceaniche. Le inondazioni massicce possono essere state casualmente coincidenti con l’olocausto, ma appare più probabile che l’inondazione sia stata il risultato di un improvviso cambiamento del livello del mare, causato dall’improvviso sciogliersi dei ghiacciai dell’Età Glaciale. Se i Signori delle Facce Gialle” fossero stati Mongoli preistorici, abitanti della regione del Gobi, il diluvio descritto potrebbe essere stato una grande onda di marea che spazzò l’Asia orientale e la Siberia alla fine del Pleistocene. Se ciò è vero, tuttavia, significa che la dimenticata guerra nucleare e la distruzione causata dall’acqua avvennero oltre dodicimila anni fa.
Si trova un interessante riscontro di un olocausto nucleare nella remota antichità sull’isola di Rapa Nui in mezzo al Pacifico, conosciuta anche come Isola di Pasqua. A parte le sue grandi statue monolitiche e la strana forma di scrittura, questa terra isolata è famosa anche per l’esclusiva forma di sculture in legno chiamate maoi–kavakava. Esse raffigurano sempre uomini menomati, con una cura inusuale per riprodurre raccontarono che gli indigeni consideravano quelle statuette come se non appartenessero alla loro cultura. Anche oggi, gli uomini in miniatura sono considerati dagli isolani come qualcosa di spaventoso e di alieno, un ricordo di qualcosa che non appartiene alla loro esperienza, ma che tuttavia incute orrore.
La leggenda locale attribuisce quelle statuette al Re Tu–ukoiho. Una notte, il re ricevette la visita di due piccoli esseri come sirene, metà uomini e metà pesci, ritenuti gli spiriti degli ultimi membri d’una razza che aveva abitato l’isola in tempi antichi, molto prima dei Polinesiani. Egli li vide solo per un momento e poi scomparvero per sempre, ma fu tanto forte l’effetto che quegli esseri deformi fecero sul re, che immediatamente li volle fare raffigurare in immagini scolpite.
Le moderne statue kavakava sono copie fedeli degli originali di quel Re. Lo stile di queste sculture non è proprio dei Polinesiani, e le fattezze delle immagini (naso adunco, occhi sbarrati e barbette quadrate) li fanno apparire di razza semitica. Le peculiarità più interessanti, però, sono nell’aspetto del corpo, emaciato, con gozzi e tumori, la bocca deformata, vertebre cervicali collassate e una frattura ben evidente tra le vertebre lombari e quelle dorsali. Si tratta in ogni caso di sintomi medici di un’esposizione ad un alto livello di radiazioni.
Leggende di grandi battaglie con armi terribili, avvenute in una remota antichità, si trovano attraverso tutto il mondo. I mitologi dell’antica Grecia raccontavano la storia di una guerra durata dieci anni tra i Titani e gli Dèi dell’Olimpo, conclusasi con una gran violenza. Allora Zeus “non trattenne più la propria anima, la sua mente divenne furiosa ed egli mostrò tutta la propria forza”. Egli fece uso delle sue “armi divine”, prese ai Ciclopi e agli Hekatoncheires. Innanzitutto il Re degli Dèi “avvolse nelle proprie mani la sacra fiamma”, e infine “i fulmini scaturirono dalle sue mani”. La terra che dava la vita “si ruppe e si bruciò, e tutte le foreste bruciarono nel fuoco”. Gli oceani bollirono e i vulcani urlarono, eruttando migliaia di massi. I Titani furono presto sconfitti, fatti prigionieri per sempre e confinati nel Tartaro.
L’etnologo R. Baker, in uno studio sul folklore dell’antico popolo canadese dei Piute, raccolse una leggenda dal capo Mezzaluma, che parla d’un tempo “prima che il freddo scendesse dal Nord”, quando la tundra canadese era ricca di vegetazione.
“Nei giorni in cui qui c’erano grandi foreste e verdeggianti paludi, vennero i demoni e resero schiava la nostra gente e mandarono i giovani a morire tra le rocce sotto terra (nelle miniere?). Ma allora arrivò il tuono e la nostra gente fu liberata. Imparammo che esistevano città meravigliose del tuono, sotto i grandi laghi e i fiumi del sud. Molti della nostra gente partirono per andare in quelle scintillanti città e testimoniarono delle grandi case e del mistero degli uomini che stavano lassù nei cieli. Poi però i demoni ritornarono e ci fu una terribile distruzione. Coloro dei nostri che erano andati a sud, ritornarono a dichiarere che tutta la vita nelle città era morta, e non rimaneva altro che silenzio”.
Questo è ciò che sapevano i Piute. Non conoscevano altri dettagli riguardo a tali eventi, sapevano solo questa storia, ripetuta per generazioni. In modo significativo, la citazione di “foreste e paludi” che crescevano sugli attuali territori di tundra del Canada, al tempo in cui questi eventi accaddero, punta ad un’epoca precedente l’ultima Era Glaciale, oltre 50.000 anni fa.
Gli Hopi del sud–ovest degli attuali USA hanno una tradizione molto simile, che offre un altro scorcio di storia non documentata. La storia si chiama Kuskurza, la Terza Era del Mondo degli Anziani Perduti, ed è stata raccolta da Frank Waters:
“Alcuni, nel Terzo Mondo, fecero un potuwvotas, o scudo volante, e con i loro poteri magici lo fecero volare attraverso il cielo. Molti di loro volarono su di esso verso la grande città, l’attaccarono e poi ritornarono con una tale velocità che non si ricordavano neppure dove fossero stati. Presto altri, di altre nazioni, si misero a fare altri potuwvotas, e volarono e si attaccarono gli uni contro gli altri. Così la corruzione e la distruzione colpirono la gente del Terzo Mondo, come era accaduto agli stranieri. Nell’antica India, il testo del Karna Parva raccontava la storia della “Guerra degli Dèi e degli Asura” con il gran condottiero Sankara Mahadeva che combatté contro i suoi nemici, i Daitya e i Danava. Il condottiero si spostava nel suo “raggiante veicolo celestiale” e attaccò la tripla città di Tripura, distruggendola completamente con la sua “arma divina” e mandando “tutte le razze ribelli a bruciare, in fondo all’Oceano d’Occidente”.
Il testo del cap. XXXIV del Karna Parva dice:
“L’illustre divinità partì veloce, e il suo mezzo, che rappresentava il centro dell’intero universo, penetrò nella tripla città. Grandi urla di dolore furono lanciate da tutti quelli colpiti, che cominciavano a cadere. Allora la tripla città fu bruciara e gli Asura furono bruciati, e i Danava sterminati dagli Dèi”.
Altri due antichi testi indiani, il Drona Bhisheka (cap. XI) e lo Harivamsa (cap. LVI), offrono descrizioni di altre terribili distruzioni avvenute durante la stessa guerra, in cui città intere furono “consumate in un inferno che tutto abbracciava“ e “mandate giù nelle acque profonde”.
Nei poemi epici indù del Mahabharata e del Ramayana vi sono descrizioni ancor più dettagliate, di migliaia d’anni fa, quando grandi re–dèi si spostavano nei loro Vimana (macchine volanti) e guerreggiavano lanciando armi micidiali contro i loro nemici. Le descrizioni di quelle armi negli antichi versi — la loro forza, le loro caratteristiche distruttive e gli effetti — suonano incredibilmente moderni.
I testi affermano:
*L’arma fulminante di Indra era dotata della forza del tuono di Indra dai mille occhi.
*La mortale arma lancia–saette misurava tre cubiti per sei. Era l’arma sconosciuta, di ferro, di Indra, il messaggero di morte.
*Il proiettile era carico dell’energia di tutto l’Universo.
*All’arma Agneya nessuno poteva resistere, neppure gli stessi dèi.
*Il Brahma–danda o bastone di Brahma era ancor più potente.
*Benché potesse colpire una volta sola, sterminava interi paesi e intere razze, da una generazione all’altra.
*Adwattan perse un missile splendente dal fuoco fumante.
*Il missile bruciava con l’energia d’un fulmine.
*Il missile giunse volando e distrusse intere città con tutte le loro difese.
*Le tre città dei Vrishni e degli Andhaka furono distrutte tutte insieme, in un solo istante.
*Una colonna di fumo e fuoco incandescente, brillante come diecimila soli, si innalzò in tutto il suo splendore.
*Le nubi lassù roteavano facendo piovere polvere e ghiaia.
*Dense frecce di fiamma, come una gran pioggia, generata dalla stessa creazione, circondarono il nemico da ogni parte.
*Il cielo scintillò e i dieci punti dell’orizzonte si riempirono di fumo.
*Meteore esplosero lampeggiando giù dal cielo.
*Venti fortissimi cominciarono a soffiare e disturbarono tutti gli elementi.
*Il sole sembrò vacillare nei cieli.
*La terra e tutte le sue montagne e i mari e le foreste presero a tremare.
*Il vento soffiò come un fiero uragano e la terra s’incendiò.
*Nessuno vide il fuoco, perché era invisibile, ma consumò ogni cosa.
*Cadde una specie di pioggia, che si asciugava a mezz’aria per l’intenso calore.
*Gli uccelli impazzirono e gli animali furono sterminati dalla distruzione.
*Gli animali caddero a terra, con le teste rotte, e morirono tutti su una vasta regione.
*Gli elefanti bruciarono tra le fiamme, correndo impazziti qua e là per cercare una protezione.
*Le acque dei fiumi e dei laghi bollirono e le creature che vivevano in esse perirono.
*Migliaia di macchine da guerra caddero da entrambe le parti.
*Interi eserciti furono abbattuti come alberi in una foresta che brucia, quando furono investiti dal fuoco rabbioso.
*I corpi erano talmente bruciati da non essere più riconoscibili.
*Lo sguardo dell’arma Kapilla era talmente potente da bruciare e ridurre in cenere migliaia di uomini.
*Il fulmine ridusse in venere le intere razze dei Vrishni e degli Ankhaka.
*Per sfuggire al respiro di morte, i guerrieri si gettarono nei fiumi per lavarsi e seppellire le loro armature.
*Capelli e unghie caddero.
*I bambini che dovevano nascere morirono nel ventre della madre.
*Gli uccelli nacquero con piumaggio bianco e zampe rosse, a forma di testuggini.
*La ceramica si ruppe senza causa apparente.
*Tutti i cibi si avvelenarono e rimasero non commestibili.
*La terra fu afflitta da siccità, che durò per dieci lunghi anni.
Ci sono troppi dettagli simili, in modo impressionante, al racconto d’un testimone oculare di un’esplosione nucleare: la brillantezza dell’esplosione, la colonna di fumo e di fuoco che sale, il fallout, calore intenso e onde d’urto, l’aspetto delle vittime e gli effetti velenosi della radiazione. Sino a settant’anni fa queste antiche descrizioni erano considerate mera fantasia, ma con l’avvento dell’era nucleare, nel 1945, improvvisamente i testi dell’antica India poterono essere compresi nel loro pieno significato.
Ci sono tracce che suggeriscono con forza che guerre nucleari possano essere avvenute in un lontano passato. Secondo il Mahabharata, durante la Grande Guerra Bharata i Vimana volanti e terribili armamenti furono usati, coinvolgendo gli abitanti dell’India settentrionale, lungo il fiume Gange, nel periodo preistorico. Nella regione tra il Gange e le montagne di Rajmahal, ci sono numerose rovine carbonizzate, che aspettano ancora d’essere esplorate e scavate.
Le osservazioni svolte nel sec. XIX indicarono che le rovine non erano stata bruciate da un fuoco ordinario. In molti casi apparivano come grandi masse fuse insieme, con superfici profondamente bucherellate, come stagno colpito da acciaio temprato.
Alcuni studiosi sono dell’opinione che l’orribile guerra scoppiasse nel periodo alla caduta dell’impero preistorico Rama, in India, e fosse dapprima combattuta nella regione dell’attuale Kashmir.
Appena fuori di Srinagar ci sono le massicce rovine d’un complesso di templi chiamato Parshaspur, i cui blocchi di pietra, pesanti diverse tonnellate, sono sparsi su una grande superficie. La configurazione dei blocchi suggerisce che una tremenda esplosione abbia distrutto il sito. Non è privo di significato karmico il fatto che oggi le due potenze nucleari dell’Asia meridionale, India e Pakistan, siano accanite rivali, e che uno degli elementi della loro contesa sia proprio la disputa sulla regione del Kashmir.
Più lontano, verso il Sud, le dense foreste del Deccan contengono molte rovine simili che possono anche essere più antiche, e suggeriscono una guerra precedente quella del Mahabharata, e che può aver coinvolto un’area ben più ampia. I muri sono vetrificati, corrosi e sciolti da un tremendo calore. Alcuni edifici rimasti in piedi presentano le pietre dei muri vetrificate, come se la loro superficie si fosse fusa e poi solidificata di nuovo.
Nessuna fiamma d’origine naturale, nessuna eruzione vulcanica avrebbe potuto produrre un calore abbastanza intenso da causare un tale fenomeno. Solo un forte calore radiante potrebbe aver causato un tale danno. Nella stessa regione di questo secondo gruppo di rovine, il ricercatore russo Alexander Gorbovsky riferì nel 1966 di avere scoperto uno scheletro umano contaminato da radiazioni cinquanta volte superiori all’ordinario.
Nel gennaio del 1992 fu pubblicata la notizia della scoperta nel Rajasthan di un’area di tre miglia quadrate di ceneri radioattive, dieci miglia ad ovest di Jodhpur. Un progetto di urbanizzazione in quest’area fu abbandonato a causa dell’alta incidenza di casi di cancro e di malattie alla nascita.
Una centrale nucleare, costruita recentemente nella regione, fu ritenuta la causa di tutto ciò, ma una commissione di cinque scienziati, diretta dal presidente del progetto Lee Hundley, inviata a studiare il mistero, identificò una fonte ben diversa. Essi disseppellirono i resti carbonizzati di edifici che risalivano almeno a 12000 anni fa, ed erano stati abitati un tempo da circa mezzo milione di persone.
La città preistorica, oltre alla quantità di radiazioni residue, rivelava nel suo aspetto una distruzione causata dall’esplosione di un’arma nucleare e gli scienziati stimarono che l’ordigno dovesse avere la stessa potenza di quello che distrusse Hiroshima nel 1945.
L’archeologo Francis Taylor, in una prosecuzione di questa iniziale scoperta, trovò muri storici scolpiti, recanti testi iscritti, in un tempio vicino. Essi mostravano la gente del luogo che pregava d’essere risparmiata dalla “gran luce” che veniva a distruggere la città. Sembra che le iscrizioni siano state ricopiate da fonti più antiche, che risalgono a parecchie migliaia d’anni fa. È stata citata questa espressione di Taylor:
“E’ molto sconvolgente immaginare che qualche civiltà possedesse una tecnologia nucleare, tanto prima di noi. La cenere radioattiva aggiunge credibilità agli antichi racconti indiani che descrivono una guerra atomica”.
Per proteggere la popolazione locale, la cenere e le rovine sono stata accuratamente coperte e schermate contro la diffusione delle radiazioni residue, e oggi si può vedere soltanto una lunga striscia di calcestruzzo che attraversa l’area.
Può non essere soltanto una coincidenza il fatto che, al tempo in cui la misteriosa città del Rajasthan fu distrutta, circa 12000 anni fa, ci fosse anche un incremento delle tracce di rame, stagno e piombo nei ghiacciai che circondavano il mondo, indici di una gran massa di prodotti inquinanti liberata di colpo nell’atmosfera e circolati con le alte correnti d’aria intorno al globo, così come un incremento drammatico delle concentrazioni d’uranio nel corallo che cresceva, da 1,5 parti per milione sino ad oltre 4 parti per milione. I paleo–climatologi non sono mai stati capaci di spiegare questi eventi con eventi di origine naturale.
Se gli Antichi usarono l’energia nucleare a scopi distruttivi, la usarono anche per scopi pacifici, come si usa oggi?
Il 25 settembre del 1972, il Dr. Francis Perrin, ex presidente dell’Alta Commissione francese per l’energia nucleare, presentò un rapporto all’Accademia Francese delle Scienze sulla scoperta di resti di un impianto nucleare preistorico.
Le prime constatazioni di Perrin risalgono a quando i lavoratori del centro francese per l’arricchimento dell’uranio osservarono che il giacimento d’uranio di una miniera ad Oklo, 70 km ad ovest di Franceville nel Gabon, in Africa occidentale, era sensibilmente povero di uranio 235. Tutti i giacimenti d’uranio nel mondo contengono oggi 0,715 per cento di U235, mentre la miniera di Oklo mostrava livelli notevolmente più bassi: 0,621 per cento.
L’unica spiegazione possibile poteva essere che esso fosse stato “bruciato” in una reazione a catena. L’evidenza a favore di tale supposizione emerse quando i ricercatori del Centro Atomico di Cadarache trovarono quattro elementi rari—neodimio, samario, europio e cesio—in forme tipiche dei residui di una fissione nucleare dell’uranio.
Il Dr. Perrin concluse il suo rapporto con l’ipotesi che l’uranio di Oklo avesse subito una reazione nucleare, scatenata spontaneamente da cause naturali. Poiché l’antichità dei depositi d’uranio di Oklo è databile a 1,7 miliardi di anni, il Dr. Perrin suggerì che la reazione fosse avvenuta in quel periodo, e che in quel periodo l’uranio dovesse essere puro.
A seguito della pubblicazione del rapporto del Dr. Perrin, tuttavia, serie questioni sulle conclusioni sono state sollevate da altri esperti. Glenn T. Seaborg, ex capo della United States Atomic Energy Commission e premio Nobel, sottolineò che, perché l’uranio “bruci” in una reazione, occorrono condizioni esattamente dosate. Occorre acqua per rallentare la velocità dei neutroni rilasciati e far proseguire la reazione a catena in modo non esplosivo. L’acqua deve essere estremamente pura. Bastano poche parti per milione di qualsiasi agente contaminante per “avvelenare” la reazione e interromperla. Ebbene, l’acqua pura non esiste in natura da nessuna parte, in tutto il mondo. Una seconda obiezione riguardava l’uranio stesso. Diversi specialisti nell’ingegneria dei reattori notarono che mai, nella storia geologica dei depositi di Oklo, il giacimento era stato abbastanza ricco di U235 per potere scatenare una reazione spontanea.
Anche quanto si suppone che il giacimento si formasse, considerando il basso tasso di disintegrazione radioattiva dell’U235, il materiale disponibile per una fissione avrebbe costituito solamente il 3% del giacimento, ben lontano da un livello di “autoincendio”. Eppure la reazione c’è stata, il che suggerisce che l’uranio fosse in origine ben più ricco di quanto avvenga in una formazione naturale.
Quanto rimane è evidente prova di una reazione nucleare che non può essere spiegata con cause naturali. Se la natura non ne è stata responsabile, la reazione può solo essere stata prodotta in maniera artificiale. È possibile che l’uranio di Oklo sia il residuo di un reattore nucleare preistorico, prodotto da una civiltà sconosciuta, che seppellì in modo deliberato i propri rifiuti nell’Africa occidentale, molto tempo fa?
In modo significativo, l’uranio “bruciato” di Oklo non si trova in nessuna delle tredici diverse “zone” o giacimenti posti alla distanza di un miglio, con una configurazione che suggerisce che qualcuno, in un ignoto passato, abbia seppellito il materiale di scarto con un progetto specifico. Il sito stesso è bene scelto per una discarica di materiale di scarto perché, per quanto possa essere estremamente antico, il sedimento non si è mai mosso ed è stato contenuto saldamente dalla disposizione geologica degli strati circostanti.
Il fisico Frederick Soddy ha fatto questa significativa constatazione nel 1920 sull’uso pacifico della fisica atomica, come può trasparir dagli antichi miti e leggende:
“Si è tentati di chiedersi quanto lontano l’insospettabile attitudine ad alcune scoperte che riteniamo recenti sia il risultato del caso o pura coincidenza, e quanto lontano possa spingersi l’evidenza di un’antica civiltà, del tutto sconosciuta e insospettabile, della quale siano scomparse tutte le testimonianze. E’ curioso per esempio riflettere sulle importanti leggende sulla pietra filosofale, una delle più antiche ed universali credenze, l’origine della quale, tuttavia, è penetrata da molto lontano nei rcocndi del passato, e probabilmente non troveremo mai nessuna testimonianza reale di essa”.
“Alla pietra filosofale si attribuiva il potere non solo di trasmutare i metalli, ma di agire come elisir di vita. Ora, qualunque possa essere stata l’origine di questa leggenda apparentemente insensata, si tratta di una perfetta e solo lievemente allegorica espressione delle attuali opinioni e dei punti di vista della fisica atomica. Non si richiede molto sforzo d’immaginazione per vedere nell’energia la vita dell’universo fisico e la chiave della fonte primaria di tutto l’universo, come la fisica attuale lo conosce, è la trasmutazione. Questa antica associazione del potere di trasmutazione con l’elisir, può allora essere una mera coincidenza? Preferisco credere che possa essere stata un’eco proveniente da una o più epoche antiche, nella storia non scritta del mondo, di un’epoca dell’uomo che già percorse la via che noi siamo percorrendo oggi, in un passato forse talmente remoto che persino i più minuscoli atomi di quella civiltà abbiano letteralmente avuto il tempo di disintegrarsi”.
Ogni scienza ha i suoi aspetti oscuri, e Soddy ha aggiunto queste parole:
“Non possiamo leggere in quelle leggende una certa giustificazione per la credenza che qualche antica dimenticata razza di uomini abbia raggiunto non solo le conoscenze che per noi sono recenti, ma anche la potenza che non è ancora stata raggiunta? Credo che possano esserci state civiltà nel passato che avevano familiarità con l’energia atomica, e che usandola malamente si possano essere totalmente distrutte”.
La differenza fra due tipi di eventi e l’epoca in cui si sono verificati.
Una certa confusione fatta da certi ricercatori, che hanno confuso vari siti che sono stati colpiti da distruzioni nucleari in un lontano passato, deriva dal fatto che, in realtà l’evidenza di roccia fusa e rivetrificata può derivare da due tipi diversi di cause, di due nature ben distinte.
La prima, intorno all’undicesimo millennio a.C., corrisponde al conflitto globale nucleare che pose fine a un certo numero di antiche civiltà progredite, e sconosciute, in un terribile olocausto.
La seconda, verso la fine del quarto e l’inizio del terzo millennio a.C., fu quando qualcuno cercò di attivare un accumulatore di energia solare, il che causò un grave incidente elettrico tra la ionosfera e la superficie terrestre, bruciando letteralmente e fondendo parte della griglia energetica del pianeta, in punti geometricamente ben identificabili.
Il solo modo per distinguere tra i due tipi di siti consiste nelle risposte a tre questioni, relative alle sue caratteristiche:
1. Il residuo radioattivo era presente, o no?
2. Può il sito essere datato come preistorico (decimo millennio a.C.) o antico (quarto millennio a.C.)?
3. Come si poneva il sito geografico in coordinazione con la griglia planetaria di Cristallo icosa–dodecaedrica?
Per cominciare con un valido esempio, ricorderemo quei siti dell’India centrale e meridionale che presentano elevati livelli di radioattività. Quei luoghi erano indicati nel Mahabharata come luoghi coinvolti in un grande conflitto, chiamato la Grande Guerra Bharata, in cui era descritto l’uso di armi nucleari, un evento che dovrebbe risalire a 12000 anni fa.
In contrasto, le rovine semifuse nel Nord della cittadella di Mohenjo–Daro, nell’attuale Pakistan, non furono il risultato d’un conflitto nucleare, ma furono causate da violente scariche elettriche, durante la guerra che ebbe luogo settemila anni dopo la Guerra Bharata.
Sappiamo ciò, innanzitutto, perché le rovine fuse della cittadella della città harappana sono datate agli anni compresi tra il 3200 e il 2800 a.C. In secondo luogo, Mohenjo–Daro è un punto nodale fondamentale nella griglia energetica del Cristallo della Terra. Terzo, nonostante ciò che alcuni ricercatori hanno erroneamente riferito, non ci sono tracce di radioattività residue in questo sito. Sembrerebbe che taluni autori abbiano confuso per errore Mohenjo–Daro con le località veramente radioattive dell’India preistorica, che sono ben diverse, visti i millenni che intercorrono tra l’una e le altre.
Lop Nor e altri siti fusi o ricoperti di vetro, nell’Asia centrale, sono estremamente antichi e mostrano segni di residui radioattivi. Se si dà credito alla guerra devastante e alle conseguenze di distruzione totale di alcune razze, descritte nel Libro di Dzyan, quei siti furono coinvolti nel conflitto nucleare preistorico.
Nella stessa regione vi sono i resti della città di Khora–Khota, circa mille km ad ovest di Hohot, la capitale della Mongolia Interna, presso i margini del Deserto di Gobi, dove si trova un altro nodo energetico maggiore. I muri di questa città sono rimasti vetrificati e di color blu, a causa di qualche forma tremenda di calore radiante, ma non si riscontra nessun livello di radiazione.
Le leggende locali specificano che questo fenomeno fu causato non da un lampo accecante, né da un’esplosione ma piuttosto da “una corrente continua di lampi luminosi, che cadeva dal cielo”.
Questa barriera di lampi fu tanto lunga e tanto intensa che gli effetti vetrificanti si sono diffusi in profondità, con una specie di maglia, nel terreno, su un’area col raggio di diverse centinaia di metri. L’effetto è diverso da quelli di un’esplosione nucleare, il cui calore colpisce la superficie e rimbalza immediatamente su una grande superficie, ma rimane superficiale. Invece, come un singolo fulmine, che colpisce insieme un albero e il suolo, l’antica cascata elettrica è penetrata in profondità ed ha lasciato una traccia creata dall’elettricità, aprendosi il cammino attraverso le masse a più bassa resistenza.
In modo simile, i resti fusi trovati nel Medio Oriente, nell’area dell’Egeo, nella Piramide bruciata di Meidun in Egitto, i forti vetrificati della Scozia, le superfici rocciose fuse scoperte della Valle della More e a Kenko e Sacsayhuaman in Perù, tutti questi possono essere datati intorno al quarto millennio a.C., e sono collegati con punti nodali, disposti geometricamente nella maglia dell’energia planetaria, e sono privi di qualsiasi traccia radioattiva.
Non fu un evento nucleare ma piuttosto una valanga elettrica globale, come si legge nell’Antico Testamento e nella più antica versione sumerica dell’Epica di Gilgamesh, in cui la distruzione è così descritta:
“I cieli ruggivano e scricchiolavano [rumori scricchiolanti e forti schiocchi accompagnavano lo sbarramento di fulmini], la terra era percorsa da sordi boati [il tuono continuo è un effetto conseguente, come avviene nelle tempeste con molti fulmini]. Improvvisi lampi di luce [in catena, gli uni dietro gli altri] come se piovesse una gragnuola di morte. Poi l’esplosione di fuoco celeste si fermò e tutto ciò che era stato ridotto in cenere si trasformò in croste [fuso, vetrificato, e solidificato quando la superficie della pietra di raffreddava].”
Il secondo più famoso racconto babilonese era la storia della Torre di Babele, nel corso della quale, secondo il libro ebraico della Genesi, si ebbe la “confusione delle lingue”. Essa fu il risultato della valanga di fulmini elettrici, che distrusse i centri della parola nei cervelli di tutti i costruttori della Torre, i quali potevano soltanto “balbettare” in modo incoerente e temporaneamente avevano perduto la comunicazione verbale, degli uni con gli altri. Abbiamo qui un’altra evidenza che questo fenomeno avvenne verso il quarto millennio a.C.
In contrasto, altri resti diffusi, come il grande campo di rocce vetrificate nel deserto egiziano occidentale, o le rovine fortemente vetrificate di Sete Cidades in Brasile, sono impregnati di radioattività e indicano riferimenti a distruzioni nucleari avvenute in tempi remoti.
Nel Nord America, scienziati associati al Lawrence Berkeley Nuclear Laboratory in California hanno scoperto evidenze geologiche che molti depositi sedimentari, che coprono l’intera regione dei Grandi Laghi, erano stati sottoposti ad una breve bruciatura derivata da una forte irradiazione nucleare e ad un bombardamento di particelle, correlati con la presenza di quantità anomale di uranio e di plutonio, che si trovano in abbondanza nella zona. Qual era la data di tale improvviso e drammatico evento? Circa 12500 anni fa, quando anche in altre parti del mondo ebbe luogo il conflitto nucleare, lasciando residui simili a questi.
Ci sono casi in cui le poche tracce rimaste possono essere interpretate in entrambi i modi. Per esempio, troviamo tracce di fusione in alcuni luoghi di Rapa Nui, persino tra le superfici di pietra delle piattaforme sacre (ahu) sulle quali sorgono gli enigmatici giganti di pietra. Sappiamo che la data delle statue è piuttosto recente, e inoltre l’Isola di Pasqua è un nodo maggiore nella griglia d’energia del pianeta.
Inoltre, poiché nessuna radioattività si trova associata, l’evidenza della distruzione da parte di radiazioni di calore deve essere attribuita alla valanga elettrica avvenuta 6000 anni fa.
Tuttavia, l’unica anomalia è la presenza delle figurine maoi–kavakava, che ritraggono accuratamente uomini sofferenti degli effetti dell’avvelenamento da radiazioni.
Può trattarsi d’una memoria singolare, rimasta dopo una prima distruzione causata da una guerra nucleare, che abbia coinvolto anche una popolazione molto antica dell’isola?
Occorre considerare un altro aspetto sorprendente. Circa 400 km a nord–est di Mumbai (Bombay) c’è un lago quasi circolare, che riempie un cratere del diametro di 2,5 km e di 700 m di profondità, chiamato Cratere Lonar. È l’unica traccia conosciuta d’impatto in una formazione basaltica, con eiezione dei frammenti rocciosi sino a 1,5 km di distanza, e contiene diverse colate di roccia fusa, spesse sino a 30 m. Il fondo del lago contiene noduli vetrificati di basalto, effetto di una pressione che deve aver superato le 600000 atmosfere.
Il vero mistero consiste nell’assenza di ferro meteoritico o di tracce di nickel, in tutta l’area, il che suggerisce che il forte impatto non fosse di origini naturali o celesti, oltre il fatto che diverse fonti indipendenti datano l’evento a 50000 anni fa.
Inoltre, la regione del Lonar presenta differenze stridenti per l’acidità delle acque e per la flora e la fauna che le distinguono, con piccole anomalie genetiche, e tutto ciò indica che un tempo la regione deve essere stata sottoposta ad un breve ma intenso effetto di radioattività.
Stiamo considerando la possibile conseguenza di un ancor più antico conflitto nucleare, che risale a 40 millenni prima di tutte le precedenti tracce?
In modo molto significativo, nella storia esoterica–occulta, il 50000 a.C. corrisponde alla fine della perduta civiltà di Mw nel Pacifico e alla fine della Prima Fase della civiltà di Atlantide nella regione dell’Atlantico. Potrebbero i due antichi popoli progrediti aver combattuto una primitiva guerra mondiale, nella quale entrambi soccombettero alla catastrofe, e tale guerra potrebbe aver coinvolto l’attuale India nel fuoco incrociato nucleare?
È degno di nota il fatto che gli Hopi ed altri Popoli Nativi degli USA e del Canada abbiano conservato leggende sull’esistenza di un’antica Età del mondo, in cui gli antenati costruirono grandi città attraverso l’emisfero occidentale e conoscevano come volare per superare grandi distanze.
Le divisioni e la guerra, però, spinsero quei popoli preistorici ad attaccarsi l’un l’altro nei cieli, distruggendo tutto il loro ambiente e costringendo i sopravvissuti alla schiaviù e all’esilio, senza che mai più potessero ricostruire le loro civiltà.
È notevole il fatto che queste vecchie leggende concordino sul periodo in cui si verificarono gli eventi: “prima che ci fossero le montagne di ghiaccio, quando invece le terre dell’estremo Nord erano coperte da grandi foreste”.
Ora sappiamo, su basi geologiche, che ci furono tra distinti periodi in cui si ebbero tali condizioni di libertà dal ghiaccio alle latitudini boreali, quando le vaste foreste crescevano al di sopra del circolo polare artico: durante il periodo interglaciale Sangamoniano, tra 110000 e 138000 anni fa, nel periodo interglaciale Yarmouth tra 200000 e 380000 anni fa, e nel periodo interglaciale Aftoniano tra 455000 e 620000 anni fa.
Forse i Nativi Americani hanno un ricordo di tempi in cui una civiltà scomparsa si distrusse da sola, centinaia di migliaia d’anni fa, in un’!epoca incredibilmente remota?
Come altri esempi, alcuni ricercatori stanno cominciando a mettere in dubbio l’asserzione che molti estesi giacimenti di tektiti (piccoli noduli vetrosi di silicati terrestri misti) ritrovati in vari luoghi e di diverse epoche, fossero il puro risultato di impatti meteoritici naturali. Essi potrebbero essere l’opera artificiale dell’azione umana, il risultato di mega–guerre combattute da civiltà sconosciute in lontanissime epoche?
Alcuni di questi campi di tektiti sono stati geologicamente a 750.000 anni fa, e anche di più. La loro presenza fornisce forse la testimonianza di diversi cicli di cataclismi nucleari, nel lontano passato?
Quante volte i conflitti totali possono avere imperversato e distrutto l’umanità nel remoto passato? Possiamo noi, oggi, commettere nuovamente lo stesso terribile errore?
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