Le montagne sono sempre state rivestite di miti e leggende. Già nell’antichità, con la sua forma protesa verso il cielo, il monte era visto come il simbolo di una elevazione spirituale che si protendeva verso l’Assoluto.
Presso i cinesi c’era la credenza che vi fossero cinque vette sacre, nel nord, sud, est, ovest e centro della Cina, collegate direttamente al paradiso.
Grazie alla loro speciale energia si pensava che le montagne nutrissero erbe e funghi magici usati per elisir d’immortalità ed erano considerate luoghi ideali per il ritiro e la meditazione.
In quasi tutte le tradizioni il monte, per la sua altezza e il mistero di cui è circondato, è ritenuto il punto in cui il cielo incontra la terra. Ogni cultura ha il suo monte sacro, dove abitano le divinità che custodiscono le tradizioni ancestrali. Fin dai tempi più remoti, in quasi tutte le civiltà si credeva che l’altitudine possedesse attributi sacri, che i territori superiori fossero saturi di energia spirituale.
La montagna veniva associata al trascendente, simbolo della presenza del sacro e dell’ascesi individuale.
Presso i Popoli nativi le montagne sono la dimora delle loro divinità. Con nomi diversi ma con similitudini nei significati, le montagne per i Nativi sono i luoghi che custodiscono segreti ancestrali ed esseri che proteggono le loro tradizioni. Riferimenti spirituali e dispensatori di energia terapeutica.
Dzill Nchaa Si’An, la montagna sacra degli Apache dell’Arizona, è la dimora del messaggero spirituale Apache Ga’an. Ngog Lituba, la montagna sacra del Popolo Bassa del Camerun, custodisce i segreti delle tradizioni africane. Gli indiani Hopi credono che le loro divinità, i Katchina, dimorino nel cuore di St. Francisco Peak. E così via.
Anche l’Europa non sfugge a queste tradizioni, e sono numerosissime le vette ammantate di attributi sacri e misteriosi, come il Croagh Patrick in Irlanda o il Ben Nevis scozzese.
Il Musiné domina sulla Valle di Susa
Nella valle di Susa, in Piemonte, esistono due monti particolarmente riconosciuti come “sacri” per via di tutte le leggende e le tradizioni ad essi associate: il monte Rocciamelone e il monte Musiné. Il Rocciamelone si porta dietro un nome celtico con cui ancora oggi viene identificato dalle culture autoctone: Roc Maol. La montagna oggigiorno è tristemente venuta alla ribalta delle cronache per via del discusso progetto TAV (Treno ad Alta Velocità), che ha fatto insorgere la popolazione locale la quale ha creato il vastissimo movimento NO-TAV, per contrastare quella che viene considerata una profanazione e una decisione antidemocratica che non tiene conto delle esigenze e delle ragioni degli abitanti.
Il monte Musiné, l’altra montagna sacra della valle di Susa, è da molti anni al centro di credenze, superstizioni, culti, avvistamenti UFO. Il fatto di essere stato adottato come luogo di ritrovo per gli occultisti del territorio ha creato confusione sulle origini delle sue tradizioni, e non sempre è facile distinguere ciò che ha un valore reale dalle mistificazioni.
Andando a ritroso nel tempo, scopriamo che il Musiné in epoche remote, oltre 50 milioni di anni fa, probabilmente doveva essere un vulcano attivo.
Nel neolitico la valle intera e il Musiné erano popolati da tribù sparse e famiglie nomadi. Sono state trovate tracce di insediamenti celtici del secondo millennio a.C. e le indagini archeologiche hanno segnalato il Musiné come area di presenze pre e protostoriche: nel territorio di Caselette, il paese ai piedi del monte, vi sono tracce di una capanna di fine Età del Bronzo Antico (circa 1700 a.C.)
Nel territorio di Almese, altro paesino alle pendici del Musiné, sono stati ritrovati numerosi reperti preistorici e un probabile sito rituale in un punto poco sotto la vetta del monte.
Visto il tipo di reperti, la datazione e l’origine dei nomi dei paesi della zona, sembra evidente che tutto il territorio fosse anticamente abitato da insediamenti celtici. Il nome Caselette, ad esempio, è una desinenza celtica, così come per molti altri paesi della zona.
Le origini del nome Musiné sono incerte. La tesi più accreditata è che si tratti di una contrazione dal medievale “mons vicinea” (montagna del villaggio) perché era presso un villaggio.
Almeno da età medievale (ma forse già da epoca romana) il Musiné ha rappresentato per le comunità insediate ai suoi piedi un “territorio di usi comuni” quale segnalato dal suo stesso nome: preziosa riserva di legname, terreno da pascolo, luogo di raccolta di frutti selvatici, erba e fogliame; il tutto non come proprietà privata ma come terra comune.
Per secoli il pascolo e la raccolta di erba e foglie fu un diritto di uso civico che la comunità di Caselette cercò sempre di tutelare. Dalla montagna si raccoglievano le acque delle fontane, che erano incanalate ad alimentare il paese.
Le coppelle preistoriche incise nella roccia
La cava di opale, alle pendici del Musiné, è sempre stata tra le più ambite per i ricercatori e gli appassionati. Il minerale, considerato sacro da molti popoli nativi (tra cui gli aborigeni australiani) ha certamente contribuito ad alimentare la fama di montagna sacra.
I Megaliti
Il monte Musiné è ricco di reperti megalitici, altro particolare che indica non solo l’insediamento celtico della zona ma anche la sacralità attribuita al monte. Infatti la montagna è disseminata di numerosissime “coppelle” preistoriche, scavate nella roccia, tipiche dei luoghi usati dagli antichi druidi per cerimonie rituali.
Le coppelle del Musiné si trovano facilmente inerpicandosi sul ripido sentiero che porta alla cima. Su alcune rocce ne sono state contate fino a 70. C’è chi ha interpretato i disegni formati dalle coppelle come la rappresentazione delle costellazioni visibili nel cielo boreale.
All’inizio del sentiero si può trovare il “seme di mela”, un menhir di notevoli dimensioni che presenta una lavorazione artificiale.
Un altro menhir si trova a metà del sentiero che porta alla cima. Su questo menhir sono incisi dei graffiti preistorici con disegni che possono ricordare degli astri nel cielo o addirittura dei veicoli spaziali. Disegni che ricordano altri graffiti preistorici, come quelli della Valcamonica o del monte Bego nella valle delle Meraviglie, o i graffiti degli aborigeni australiani e dei Nativi americani.
Sulla stele, ancora ben visibile e raggiungibile su uno dei sentieri che si aggrovigliano lungo le pendici del monte, sono impressi graffiti, simboli e oggetti: al centro è inciso quello che sembra un monte, alla sua sinistra un cerchio che sembra rappresentare il Sole e poco più a destra un oggetto discoidale che ricorda un UFO, sospeso nell’aria. Alla base, cinque sagome stilizzate. Lo scrittore e ricercatore Peter Kolosimo avanzò l’ipotesi che il disegno riproducesse un incontro ravvicinato con un velivolo spaziale da parte degli abitanti della valle.
Il menhir “seme di mela”
Questo menhir è stato oggetto di discussioni sulla sua autenticità da quando la rivista Famiglia Cristiana, nel n. 13 del 1988, affermò che si trattava di “un falso degli anni Settanta, di esecuzione contemporanea e goliardica”. Il “Gruppo Ricerche Cultura Montana” ha sostenuto questa tesi, riprendendo l’affermazione di Famiglia Cristiana, senza tuttavia procedere a nessuno studio sul reperto.
Tuttavia i ricercatori indipendenti sostengono che sia evidente la differenza tra i graffiti “recenti” e quelli preistorici, e tendono ad annoverare il menhir tra i reperti preistorici autentici.
Molti altri megaliti sono disseminati sul monte Musiné, da menhir a rocce coppellate. Alcuni di questi sono contrassegnati da segni e tracce di ceri che fanno dedurre che il luogo sia tuttora usato per cerimonie pagane.
I misteri
Il Musiné è uno dei monti più ammantati di credenze e misteri. Da sempre circolano voci di lupi mannari, di immagini spettrali che vagano nella penombra, di strani animali. Vi sarebbe una grotta nella quale, ogni primo maggio, si darebbero appuntamento streghe, maghi, e licantropi per i loro riti.
In alcuni scritti del ‘600 e ‘700 si racconta che la vallata fu spesso percorsa da “musiche demoniache”, accompagnate da urla angosciose cariche di dolore. Una antica leggenda vuole che il re Erode fosse esiliato su questa montagna, come punizione per la strage degli innocenti.
Secondo alcuni storici fu proprio in questa zona che in cielo apparvero a Costantino la croce fiammeggiante e la scritta “in hoc signo vinces”.
Stando a quanto dichiarato da molti, il luogo sarebbe un gigantesco catalizzatore di energie benefiche. Secondo altri sarebbe addirittura una sorta di “finestra” aperta su un’altra dimensione. Si parla anche di portali per viaggiatori del tempo, e i sostenitori di questa tesi portano le testimonianze di chi asserisce di aver visto strani personaggi, vestiti con abiti non appartenenti alla nostra cultura, aggirarsi per il monte.
Altri affermano di incontrare periodicamente degli uomini sempre identici nonostante il passare degli anni, vestiti sempre allo stesso modo, con abiti leggeri sia d’estate che in pieno inverno.
Il menhir con i graffiti preistorici
Il sito amplificherebbe, nel momento in cui vi si sosta, le facoltà extrasensoriali che ognuno di noi possiede, ma che solo in particolari circostanze risultano evidenti. Gli stessi rabdomanti hanno dichiarato che, in prossimità del monte, bacchette e pendolini si muovono in modo molto più accentuato del normale. Altri testimoni sostengono che le bussole, in determinate zone del Musiné, impazziscono e gli orologi smettono di funzionare.
Da sempre la zona è teatro di apparizioni di misteriosi bagliori azzurri, verdastri e fluorescenti. Queste apparizioni hanno fatto la loro comparsa fin dal lontano 966 d.C. All’epoca il vescovo Amicone si trovava in valle di Susa per consacrare la chiesa di San Michele sul monte Pirchiano, di fronte al Musiné. Durante la notte, in attesa dell’arrivo dell’alto prelato, i valligiani assistettero a uno spettacolo affascinante ma pauroso al contempo: il cielo fu percorso da travi e globi di fuoco che illuminarono la chiesa come se fosse scoppiato un incendio.
Altre storie parlano di carri di fuoco che spesso sorvolavano la vetta.
È stato anche affermato che ai piedi del Musiné esisterebbe un “cono d’ombra” cioè una zona di interferenza che oscura qualsiasi trasmissione radio. Anche gli aerei privati che si trovano a sorvolare il luogo vengono disturbati nelle loro trasmissioni radio. Questi problemi cessano nel momento in cui ci si allontana dalla montagna.
Il monte, essendo un antico vulcano spento da millenni, è ricco di gallerie e passaggi irregolari scavati dallo scorrere dell’antico magma, in gran parte però inesplorati. Questo fatto ha contribuito a creare il mito delle caverne abitate da strani esseri, i quali vi abiterebbero tuttora, fin dall’antichità.
Misteriosa è anche la distribuzione della vegetazione, particolarmente ricca ai piedi del monte, ma che poi si dirada in modo quasi repentino col crescere dell’altitudine. La Forestale ha inutilmente speso ingenti somme di denaro per rimboscare la zona, nella quale le giovani piante sembrano morire una dopo l’altra. La credenza popolare spiega il mistero con la processione continua di anime dannate che salgono e scendono il monte senza sosta. Secondo una credenza un po’ più moderna sarebbero le emanazioni radioattive di una base segreta a produrre tale sterilità.
Gli avvistamenti UFO
Particolare dei graffiti con i disegni evidenziati
Innumerevoli sono le testimonianze di avvistamenti di oggetti volanti non identificati, sia notturni che diurni. Numerosi testimoni ricordano inoltre le apparizioni sulla sommità di globi sferici fiammeggianti. Si racconta di strane luci avvistate nel cielo, attribuite dagli ufologi a visitatori alieni; questo ha portato a credere che il monte sia meta di extraterrestri. Campioni di terra bruciata testimonierebbero il passaggio di astronavi avvistate da alcuni contadini locali.
L’otto dicembre 1978 due giovani escursionisti vedono sul monte Musiné una luce bianca accecante sopra gli alberi. Uno dei due si avvicina, scomparendo alla vista del compagno, mentre la luce si alza in cielo; l’amico comincia allora a cercarlo e incrocia altri escursionisti. Tutti si sparpagliano a ventaglio per cercare il primo. Lo trovano svenuto, infreddolito, incapace di tollerare la luce ed in evidente stato di shock, con il battito cardiaco irregolare. Il ragazzo è come in trance e si sveglia solo dopo molti tentativi. Dopo l’esperienza, i due testimoni soffriranno di congiuntivite. Il rapito ha una cicatrice sulla gamba e ricorda di essersi avvicinato all’UFO, che aveva forma di pera e che in quell’istante era diventato più grande. Erano comparsi 3-4 uomini con la testa “a melone”, che si stagliavano tenebrosamente nella luce. L’uomo si sentì paralizzato e fu in grado di avvertire solo luci e suoni, sentendosi inoltre toccato e sollevato.
L’otto marzo 1996 un oggetto luminoso veniva osservato per oltre un quarto d’ora da due escursionisti mentre scendevano dal monte Musiné. Secondo il racconto dei due testimoni, l’oggetto aveva una forma simile a un cilindro dai riflessi giallo-verdi con le estremità arrotondate e sembrava sostenersi, oscillando leggermente, su un cuscino di luce bianco-gialla. Alle estremità dell’oggetto c’erano due grosse calotte trasparenti attraverso le quali si intravedevano muoversi delle sagome apparentemente umanoidi.
Le leggende
Una leggenda legata a questa montagna è quella della caverna del Mago. Le tradizioni valligiane narrano che in una grotta posta nel cuore del Musiné vivrebbe un mago che si era nascosto per compiere indisturbato i suoi esperimenti con gli strumenti rimasti della mitica città di Rama. A difesa del luogo ci sarebbe un enorme dragone tutto d’oro pronto a distruggere con il suo fiato infuocato ogni intruso che tentasse di avventurarsi all’interno delle grande caverna. In una piccola cripta esisterebbe uno smeraldo di immenso valore mistico, grande quanto il pugno di una mano d’adulto, da cui si diffonde una intensa e limpidissima luce verde che illumina tutto intorno. La leggenda riporta che un signorotto del luogo, un certo Gualtiero, cercò di penetrarvi con degli uomini armati per appropriarsi dei tesori che sarebbero stati nascosti in questa caverna.
Il “pian delle masche”
Entrarono in una sala illuminata dove sembrava che la luce venisse emanata dalle pareti stesse. Trovarono il mago seduto davanti ad una fontana d’acqua che sgorgava dalla roccia. Il mago invitò gli intrusi a guardare nell’acqua del laghetto che all’improvviso divenne lattea e mostrò delle immagini che andavano formandosi.
Gualtiero e i suoi armati videro così apparire in sequenza soldati con armature che si combattevano, soldati vestiti solo con abiti blu e cappelli a tricorno che sciamavano con archibugi in pugno, quindi grandi uccelli di metallo che lasciavano cadere oggetti che distruggevano una grande città e infine bruchi metallici che si muovevano tra le rovine della stessa città.
Gli intrusi, terrorizzati per quello che avevano visto, fuggirono dalla grotta. Ebbero modo di vedere dietro di loro il mago che saliva verso il cielo scortato da due grifoni in un rumore assordante. Poi dei massi caddero dall’alto della montagna e chiusero l’ingresso della grotta che non verrà mai più ritrovata.
C’è un’altra leggenda legata alla zona del Musiné, che viene ancora oggi tramandata dalle popolazioni autoctone: la leggenda di Rama.
Le antiche cronache della valle di Susa riportano l’esistenza in epoche remote della città ciclopica di Rama, che dalle descrizioni sembrerebbe assomigliare alle città delle fortezze megalitiche peruviane e dell’Oceania.
Le leggende dei secoli successivi aggiungono che questa mitica città era il luogo dove veniva conservato il Graal.
La città di Rama rappresenta un importante mito dei primi abitanti dell’Europa: una città megalitica situata in Piemonte che secondo la leggenda sarebbe all’origine della tradizione celtica dell’Europa e custodirebbe il segreto del Graal.
L’antica leggenda si riferisce al mito della caduta di Fetonte. Narra di un dio disceso dal cielo che si avvaleva dell’aiuto di assistenti di metallo dorato. Durante la sua permanenza tra gli uomini insegnò loro l’arte dell’Alchimia e della fusione dei metalli. In seguito provvide a fondere una grande ruota d’oro forata, ricavandola dal metallo del carro divino con cui trasmettere la sua conoscenza all’umanità. Quando il dio ritornò in cielo lasciò uno dei suoi aiutanti dorati che assistesse gli uomini che avevano raccolto i suoi insegnamenti.
La grande roccia denominata la “roccia del diavolo”
Le leggende riportano che una delle proprietà della creatura di metallo dorato era quella di assumere varie forme a suo piacimento. Una sua traccia è collegabile alla leggenda della caverna del drago, all’interno del monte Musiné, in cui questa creatura “mutaforma”, con l’aspetto di un grande drago d’oro, proteggeva una luminosa gemma verde dagli immensi poteri.
Il mito della città di Rama è sopravvissuto ai secoli per via delle tradizioni orali del druidismo locale e grazie ai ricercatori di inizio secolo che hanno raccolto dati di prima mano e conferme documentate della sua esistenza.
È difficile fare luce sulle credenze legate al monte Musiné, e sulla validità di tutto il folklore che si è creato, nel tempo, attorno a questa montagna.
Le impressioni rimangono necessariamente personali, basate sulla sperimentazione diretta.
Passeggiando per il “pian delle masche”, il grande pianoro alla base del monte, si ha l’impressione di non essere mai completamente soli. Il silenzio che si respira in quel punto particolare avvolge tutti coloro che vi si recano. Il “pian delle masche” è un luogo che secondo le tradizioni locali un tempo era ritrovo di maghi e “streghe”, appunto le masche. Va precisato che le “masche” erano una categoria di sciamani locali, sia donne che uomini. Il nome è stato trasformato in un termine negativo dalla religione subentrata alla cultura druidica. Era necessario trasformare queste sciamane guaritrici in qualcosa di estremamente negativo, per giustificare i roghi in cui vennero bruciate dall’Inquisizione migliaia e migliaia di “streghe”.
Il pian delle masche, e le radure nei suoi pressi, sono ancora oggi ritrovo di personaggi strani, cultori di esoterismo, occultisti, e molti altri personaggi di difficile catalogazione. C’è chi ha voluto vedere in quel pianoro anche un ritrovo per viaggiatori del tempo o un portale aperto su altre dimensioni.
Tradizioni, leggende, fatti strani, tutto si mescola senza un confine preciso.
E se per una volta proviamo a smettere di misurare tutto con la razionalità, forse riusciamo a cogliere il vero spirito del monte Musiné.
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