"Se Basilide avesse fatto un film", assicura Eric G. Wilson, "sarebbe stato eXistenZ, un non-film sulla non-esistenza".
Basilide, maestro gnostico vissuto ad Alessandria d’Egitto nel Secondo Secolo dopo Cristo, non ebbe ahinoi la chance di imbarcarsi alla volta di Hollywood, per comprensibili ragioni d’anagrafe; fortuna che ci ha pensato, un paio di millenni più tardi, il canadese David Cronenberg.
Cosa accomuna, secondo Wilson, l’antica eresia e certo cinema moderno, soprattutto di fantascienza? È presto detto: gli gnostici credevano che il mondo materiale non fosse altro che una messinscena allestita da un funesto demiurgo, una trama di illusioni da cui occorreva disbrigliarsi per giungere alla conoscenza e all’illuminazione.
L’iniziato che avesse intuito la natura ingannevole di questo mondo poteva accedere alla pienezza e rammemorarsi della sua origine e destinazione divina; laddove tutti gli altri, gli uomini "ilici" intrappolati nell’illusione della materia, perivano nell’ignoranza. Allo stesso modo, la fantascienza moderna è ossessionata dall’idea che la realtà quale la conosciamo sia una simulazione elettronica ordita da qualche potere cospiratorio – oscure multinazionali, potenze aliene o società segrete.
Alcuni film recenti, suggerisce Wilson, hanno dato forma a questa ossessione: The Matrix (1999) anzitutto, ma anche Vanilla Sky (2001), Donnie Darko (2001) o Dark City (1998).
L’autore individua inoltre altre due grandi famiglie, che ripropongono in veste cinematografica concezioni che furono proprie delle principali derivazioni moderne della gnosi: la cabala e l’alchimia.
Film cabalistici, dove il superamento della corruzione del mondo materiale è ottenuto tramite la costruzione di un nuovo Adamo immarcescibile e immortale – il Golem – sono per esempio Blade Runner (1982), Robocop (1987) o A.I. (2001); film imperniati sulla trasmutazione alchemica della materia in spirito sarebbero invece, tra gli altri, Blue Velvet (1986), American Beauty (1999) o Altered States (1980).
Molto si potrebbe eccepire sulla legittimità di questa cornice teorica, e non vogliamo tediare il lettore sul perché e il percome una categoria nata nell’ambito della storia delle religioni, quella di gnosi, sia stata tanto abusata negli ultimi decenni. Tutto, all’incirca, è stato etichettato come "gnostico" da qualcuno; tanto che, ironizzava il grande studioso dello gnosticismo Ioan Petru Couliano, gli antichi eresiarchi sarebbero stupiti e lusingati ad apprendere quale strabiliante successo postumo hanno ottenuto le loro scuolette per happy few.
Sarebbe però riduttivo negare qualunque valore euristico al richiamo di Wilson allo gnosticismo. Film apertamente gnostici, che si rifanno in modo diretto alle concezioni dell’antica eresia, ce ne sono senz’altro – basti pensare a Stigmate (1999) o a Mary (2005), che pure Wilson non cita. E tra quelli che cita, sarebbe difficile, per esempio, negare a The Truman Show (1998) la patente di gnosticismo.
Il film di Peter Weir riprende punto per punto il capovolgimento, in chiave anti-jahvista, che alcune scuole gnostiche come la Naassena operavano sul racconto biblico del Paradiso Terrestre: il malvagio creatore tiene schiava la sua creatura in un Eden fasullo impedendogli l’accesso al frutto della conoscenza – dunque il serpente è il vero liberatore.
Non per caso il film trae ispirazione da Tempo fuor di sesto di Philip K. Dick; il quale fu divoratore di testi gnostici, data la naturale consonanza tra le sue personali paranoie e le antiche concezioni esoteriche.
Non bisognerà stupirsi, allora, di trovare elementi gnostici in tutti i film ispirati a Dick – cioè in metà del grande cinema di fantascienza degli ultimi trent’anni. A questo proposito, le pagine dedicate a Blade Runner sono tra le migliori del libro. E convince anche la rilettura gnostica di un film come The Matrix, che a Dick deve molto.
Il film dei Wachowski, per Wilson, addita all’abissale divinità anteriore a tutti i nomi e le forme, al vero dio superiore al demiurgo ingannatore: "Vedere The Matrix in un cinema porta a cogliere di sfuggita questa divinità gnostica, non nelle immagini in movimento impresse sulla celluloide ma nello schermo bianco, assenza di ogni colore e fondo di tutte le tonalità. The Matrix è un film che elimina il film".
Altre volte Wilson s’imbarca in analogie meno felici. Annoverare l’innocuo EdTV (1999) tra i film "apertamente gnostici" è un grossolano abbaglio; definire Blow-up (1966) "un’esplorazione gnostica di come una cultura consumata dall’apparenza sconfigge il reale" è poco più che una boutade.
O ancora: la lettura che Wilson offre di Blue Velvet è tra le cose migliori del libro, ma parlarne come di un film "alchemico", con tanto di corrispondenze tra l’evoluzione del protagonista e le fasi dell’opus – nigredo, albedo, rubedo – è una forzatura. Una forzatura di cui, peraltro, non v’era necessità: non tutti i film sulla trasformazione interiore devono essere "alchemici", non tutti i film sui robot sono ipso facto "cabalistici", e soprattutto, non tutti i film che esplorano il rapporto tra realtà e apparenza vanno messi in conto all’antica eresia… A meno di voler riconoscere il primo maestro gnostico, o protoeresiarca, in Georges Méliès.
Eric G. Wilson, studioso del romanticismo angloamericano e dei suoi rapporti con l’immaginario scientifico, insegna alla Wake Forest University, in North Carolina. Tra i suoi libri, The Spiritual History of Ice: Romanticism, Science, and the Imagination (2003) e The Melancholy Android: On the Psychology of Sacred Machines (2006).
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