La teoria dell’origine africana dell’Homo Sapiens – conosciuta come Out of Africa II negli ambienti accademici – ovvero la teoria secondo cui tutta l’umanità discenderebbe da un unico antenato comune vissuto in Africa circa 200.000 anni fa, è da qualche anno divenuta la nuova verità dogmatica per quanto riguarda le origini dell’uomo.
La valenza politica di una teoria che vede anche gli antenati delle popolazioni europee arrivare dall’Africa in un periodo stimato di circa 50 mila anni fa, viene spesso utilizzata soprattutto nell’ultimo periodo di invasioni di profughi per dimostrare che in realtà siamo tutti originariamente dei “profughi Africani” e che quindi ora si sta solo ripetendo quello che è successo decine di migliaia di anni fa e soprattutto che noi Europei non abbiamo nessun diritto di sentire l’Europa più “nostra” di un qualunque Africano che sbarca nelle nostre coste.
Il fatto poi che questa teoria veda l’umanità discendere da una linea femminile che risale fino ad un unico antenato comune che di fatto è una sorta di “Grande Madre” africana, la cosiddetta “Eva mitocondriale”, fa assumere a questo dogma scientifico anche altre valenze che sembrano voler volontariamente contrastare le basi della spiritualità virile e guerriera europea. Eppure, benché media e politici la sbandierino come una specie di verità assoluta e indiscutibile, la teoria dell’origine africana resta appunto pur sempre una teoria.
Di certo è attualmente la più seguita dai paleoantropologi – e tutti sappiamo quanta resistenza ci sia negli ambienti accademici ad abbandonare o intaccare le teorie “ufficiali” più accreditate – ma chi la sbandiera come un dogma inappellabile spesso dimentica di dire che ha anche molti “buchi” e soprattutto che alcune recenti scoperte la stiano mettendo a durissima prova.
Il primo fortissimo colpo di piccone alla teoria dell’origine africana era già arrivato con gli studi sul dna di alcuni fossili trovati in Australia che dimostrerebbero come il ceppo ominide aborigeno abbia circa 400 mila anni – quindi molto più vecchio anche dell’Eva africana – e che tra l’altro presenti caratteristiche genetiche molto diverse da quelle del ceppo africano ritenuto “originario”.
Ma altri studi, partendo da presupposti e ricerche diverse, hanno minato il dogma africano. Una recente ricerca con un notevole contributo arrivato dai ricercatori del dipartimento di biologia della Sapienza e i cui risultati sono apparsi sulla rivista scientifica Pnas, avrebbe indebolito il ruolo prevalentemente africano dell’origine umana. Secondo questo studio il ceppo originario sarebbe invece eurasiatico e il primo popolamento delle terre europee sarebbe frutto di un complicato mix di migrazioni proveniente dall’Asia e dall’Europa stessa, da cui sarebbe partita la migrazione verso l’Africa e quindi un ritorno verso l’Europa avvenuto per l’appunto circa 50 mila anni fa.
Ma un altro recentissimo studio europeo pone grossi interrogativi sull’origine unica e africana dei nostri antenati. Un gruppo di ricerca europeo a cui hanno partecipato le università di Firenze e Siena avrebbe ricostruito il genoma di 35 cacciatori vissuti in Europa tra 35 mila e 7 mila anni fa e sarebbe giunto a una scoperta rivoluzionaria. Viene confermata la migrazione avvenuta 50 mila anni fa in Europa dall’Africa ma pare che 14 mila anni fa, ovvero dopo la fine dell’ultima era glaciale, ci sia stato un avvicendamento di popolazioni che prima di questo studio era del tutto sconosciuto.
Inoltre nessuno sa da dove venga questa nuova popolazione che ha sostituito quella venuta dall’Africa – o forse tornata dopo una migrazione in Africa, stando agli studi usciti su Pnas – ma l’unica cosa che si sa è che avesse un patrimonio genetico totalmente diverso da quello delle popolazioni precedenti.
Certo, la scoperta di una popolazione “misteriosa” che giunge in Europa alla fine dell’Era Glaciale a qualcuno può ricordare il mito dei popoli indoeuropei che vengono da un nord oramai invivibile per colpa delle variazioni climatiche che hanno appunto glaciato le terre iperboree, loro origine mitica.
Mito che ovviamente è stato scartato e bocciato dagli scienziati a partire dal secondo dopoguerra, tanto che oramai la storia degli indoeuropei venuti dal nord viene spesso tacciata di razzismo per aver influenzato le teorie antropologiche del nazionalsocialismo. Ma siamo sicuri che sia soltanto un mito?
Un’altra recente scoperta dai risvolti rivoluzionari avrebbe rivelato che il circolo polare artico era abitato dal cosiddetto Homo Sapiens molto prima di quanto avessero ipotizzato finora gli scienziati.
Si parla di circa 75 mila anni fa, un periodo decisamente molto più antico quindi di quello dell’ondata “africana” avvenuta 50 mila anni fa, tra l’altro avvenuta a latitudini molti inferiori rispetto a quelle polari. Lo studio fatto sulle ferite riportate da un mammut morto 45 mila anni fa nelle zone polari avrebbe fatto notare che in quelle terre viveva una popolazione molto evoluta, forse anche più di quelle che avrebbero raggiunto l’Europa dal sud, visto che aveva a disposizione armi piuttosto avanzate per poter uccidere un giovane e grosso esemplare.
Lo studio sulle ossa fossili ha poi evidenziato segni di macellazione e asportazione del grasso oltre che segni di ferite che dimostrano una organizzazione di caccia molto avanzata, fatti che presuppongono una struttura sociale molto più complessa di quanto abbiano mai ipotizzato i paleoantropologi per le popolazioni “originarie” venute dal sud.
Che siano proprio questi cacciatori nordici primordiali gli antenati della “misteriosa” popolazione che avrebbe sostituito il ceppo africano – o forse anch’esso eurasiatico stando agli studi del Pnas – 14 mila anni fa? Per ora siamo solo nel campo delle teorie, di certo c’è solo che più si va avanti più le scoperte scientifiche sembrano confermare i vecchi miti ancestrali.
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