martedì 8 marzo 2016

Individui predinastici dolicocefali a Saqqara

Nei primi decenni del secolo scorso la maggior parte degli studiosi era propensa a credere che l’iniziale processo evolutivo della civiltà egizia fosse stato influenzato da individui culturalmente e socialmente più eruditi arrivati da regioni del Vicino Oriente che si sarebbero imposti come casta elitaria sulle genti locali meno organizzate[i]. Con il passare degli anni, invece, nuove scoperte hanno evidenziato per alcuni aspetti della tradizione culturale egizia una linearità millenaria che ne avrebbe plasmato una graduale evoluzione.
 
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Le teorie invasionistiche e sulla casta dominante, così, vennero a poco a poco abbandonate e ormai, per la maggioranza degli studiosi, le origini della cultura egizia sarebbero autoctone perché da ricercare soltanto nella Valle del Nilo e negli immediati territori circostanti. Gli Egizi, infatti, vivendo in un contesto geografico circoscritto dal mare, inospitali deserti e cateratte del Nilo, avrebbero elaborato un loro particolare modo di pensare che li avrebbe portati a un isolamento culturale che avrebbe favorito anche un innato tradizionalismo.
 
Nonostante questa nuova convinzione dell’archeologia moderna, però, numerosi indizi e prove tangibili parrebbero ancora avvalorare le teorie abbandonate perché i molti “doni” degli dei del Primo Tempo delle antiche tradizioni (in cui sono facilmente ravvisabili apporti di nuove idee che avrebbero potuto fornire un grosso contribuito alla nascita della civiltà egizia) suggerirebbero ancora oggi che l’evoluzione di questa civiltà, anche se graduale, potrebbe aver ricevuto un forte impulso iniziale esterno. Come spiegare, inoltre, la statura imponente e i capelli chiari dei numerosi resti umani pre e protodinastici trovati nel paese incompatibili con lo stereotipo dell’egiziano?
 
Negli anni Trenta del secolo scorso, l’egittologo Walter Bryan Emery scoprì a Saqqara resti di individui predinastici dolicocefali con chiome chiare, corporatura massiccia e molto più alti delle genti locali che associò agli Shemsw Hor[ii]. Per lo studioso non sarebbero stati originari dell’Egitto, avrebbero avuto una forte autorità politica e religiosa, avrebbero costituito un gruppo sociale a sé stante e nel suo studio “Archaic Egypt” evidenziò l’improvviso balzo culturale del paese intorno alla metà del IV millennio a.C. spiegandolo con un probabile impulso esterno dovuto a infiltrazioni di nuove popolazioni nella Valle del Nilo.

L’Egitto, infatti, da una condizione di cultura neolitica a carattere tribale, anche se abbastanza complessa, sarebbe passato in un tempo relativamente breve a due monarchie organizzate e a uno straordinario grado di sviluppo della scrittura e dell’architettura monumentale perché un sostrato di queste evoluzioni si era rivelato molto limitato se non addirittura inesistente.
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Inspiegabilmente, però, con l’abbandono delle teorie invasionistiche e della casta dominante che nei primi decenni del Novecento avevano diviso le opinioni, gli egittologi moderni hanno del tutto “dimenticato” questi numerosi “atipici” Egizi predinastici trovati in molte località del paese mentre un’altra testimonianza di remoti personaggi con le stesse caratteristiche fisiche non esiste più.
 
All’inizio del secolo scorso, infatti, Quibel e Green riportarono alla luce a Hierakonpolis una tomba dipinta che si ritiene risalente alla metà del IV millennio a.C. (Tomba n. 100 loc. 33), l’unica di quell’epoca finora scoperta, affrescata con una processione di imbarcazioni, animali e uomini, alcuni dei quali con capigliature chiare.
 
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La famosa illustrazione che riproduce in toto la pittura originaria.
 
Nonostante una famosa illustrazione a colori riproduca in toto la pittura originaria e molti egittologi ne abbiano interpretato la tematica dando specifici significati ad ogni suo più piccolo dettaglio, però, nella “fedele” ricostruzione al Museo del Cairo si è molto giostrato con stucco e colore al punto che degli insoliti individui con capigliature chiare non rimane più alcuna traccia. Forse si è così abbondato con stucco e colore per non far chiedere al grande pubblico del museo chi sarebbero potuti essere quegli antichissimi “Egizi” dai capelli chiari?
 
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A sinistra un particolare della “fedele” ricostruzione della pittura muraria della Tomba n. 100 esposta al Museo del Cairo e a destra lo stesso particolare nell’illustrazione della pittura originaria.
 
Quanto raffigurato in questa tomba è molto interessante perché, oltre agli insoliti personaggi con capelli chiari, offre altri due importantissimi spunti di riflessione. Il primo porterebbe a indebolire molto la convinzione che gli antichi Egizi conobbero la ruota solo in un periodo relativamente tardo perché in alto a sinistra sono raffigurate due intriganti forme circolari (diverse dalla trappola, nella ricostruzione coperta dallo stucco, riprodotta tra la prima e la seconda imbarcazione in basso da sinistra), inglobate in due strutture che sembrerebbero essere arcaici carri.
 
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Il secondo spunto di riflessione, invece, è offerto da un altro uomo con capelli chiari, in basso a sinistra vicino la trappola, che afferra per la gola due felini perché raffigurazioni similari di figure eroiche che affrontano e sottomettono a mani nude due animali selvatici compaiono anche in altre culture. Le più antiche potrebbero risalire alla metà del VI millennio a.C. e sono state trovate nella città di Catal Höyük (Anatolia). Alcune mostrano eroi al centro di due avvoltoi (o aquile) tenuti per il collo mentre in un’altra un uomo al centro di due felini maculati li solleva per il dorso del collo[iii].
 
Sull’impugnatura d’avorio di un coltello con lama in selce, rinvenuto a Gebel el-Arak (Alto Egitto 3500/3300 a.C.) e ora al Louvre, invece, compare un eroe barbuto con lunga veste e turbante in testa (stile prettamente sumerico) che afferra per la gola due leoni mentre in sigilli della civiltà Indo-Sarasvati appaiono figure che strangolano due tigri (a Harappa figura probabilmente femminile perché con seno pronunciato mentre a Mohenjodaro figure maschili). Questo insolito motivo dell’eroe che domina due animali selvatici è soltanto una coincidenza culturale o è frutto di contatti tra queste culture?
 
 Particolare dell’impugnatura del coltello di Gebel el-Arak
Particolare dell’impugnatura del coltello di Gebel el-Arak
 
È interessante notare, però, che lo stesso motivo è stato trovato anche a Tiahuanaco in Bolivia (un uomo tra due felini maculati con le mani sotto la loro gola[iv]). È solamente una coincidenza culturale o, visto che antiche leggende andine e messicane parlano di un uomo alto, barbuto, con pelle e capelli chiari portatore della civilizzazione (per gli Andini Viracocha, per i Maya Cuculcan, per i Maya Quiché Gucumatz, per gli Aztechi Quetzalcoatl etc.), è il retaggio di un mito giunto nel Nuovo Mondo al seguito di remoti individui che, per seguire le migrazioni degli animali marini, non esitarono ad affrontare i flutti oceanici per sbarcare poi, grazie alle correnti, sulle coste orientali del Centroamerica?
 
Le caratteristiche degli insoliti personaggi raffigurati nella Tomba 100 (come del resto quelle degli individui predinastici scoperti a Saqqara e in altre parti dell’Egitto, ovverosia dolicocefali e con chiome chiare di cui probabilmente il più noto al grande pubblico è Ginger, così soprannominato per il color zenzero dei suoi riccioli, trovato insieme ad altri 5 individui a Gebelein e conservato al British Museum[v]) non appartengono al cosiddetto tipo “mediterraneo” ma hanno affinità con quelle di popolazioni nord europee così come incredibilmente simili a tumuli funerari neolitici europei sono tre strutture funerarie circolari, delimitate da lastre di arenaria e un tempo sovrastate da tumuli, scoperte pochi anni fa a Elkab[vi], nota per la necropoli predinastica che si estende per chilometri.
 
All’interno furono trovati manufatti ceramici, vasi di pietra, perline di faience, collane di pietra e braccialetti di osso e, sebbene ci fossero anche resti di individui adulti, la maggior parte erano di bimbi deceduti appena nati o in tenera età. Basti pensare che solo nella seconda struttura, molto danneggiata dall’erosione e scavata solamente per circa la metà, furono portati alla luce una dozzina di bambini molto probabilmente nati morti[vii].
 
Potrebbero, perciò, non essere soltanto coincidenze anche le numerose pitture policrome rupestri sahariane raffiguranti alti cacciatori con lunghi capelli biondi e pelle chiara, le popolazioni con capelli, carnagione e occhi chiari che in epoche remote caratterizzavano regioni libiche prospicienti il Mediterraneo e oasi ad ovest del Nilo e gli individui con le medesime caratteristiche fisiche immortalati nella Tomba 100, chiaramente appartenuta a un personaggio dell’elite al potere.
 
Ma sono solamente ingannevoli coincidenze che le stesse peculiarità contraddistinguessero anche i Cro-Magnons, il tipo umano che deve il nome all’omonima località nella Dordogna[viii], e che Lascaux e altri similari complessi sacrali magdaleniani, strettamente correlati con i raggi del Sole nascente o calante agli equinozi e ai solstizi, si trovino proprio in questa regione francese?
 
Oltre ad avere una cultura ben articolata e una vita sociale molto organizzata, i Cro-Magnons avevano anche delle specifiche particolarità: cranio dolicocefalo, corporatura robusta e, mediamente, una statura intorno ai 185/195 centimetri. Nel Paleolitico Superiore erano insediati nell’Europa e nel Mediterraneo occidentale dove un gruppo, raggiunta l’Africa del Nord, divenne i Berberi dell’Atlante, i Kabili dell’Algeria e i Guanci delle Canarie. Proprio quei Guanci biondi, robusti e alti che mummificavano i loro defunti seppellendoli in tombe circondate da anelli di pietre e che, con le proprie credenze religiose e le loro piramidi, abitavano al di là delle Colonne d’Ercole con il convincimento di essere l’unica popolazione della Terra sopravvissuta a un’immane catastrofe.
 
Queste caratteristiche, anche se i Guanci non fossero navigatori perché non si sono mai trovate tracce di comunicazioni tra le isole, convinsero parecchi autori ad associarli ai mitici Atlantidei ma, indubbiamente, per trovare rifugio su quelle isole vulcaniche i loro progenitori dovettero avventurarsi per mare. Sarebbe troppo audace ricollegare gli atipici Egizi predinastici a possibili lontani discendenti degli individui arrivati nella metà del VI millennio a.C. a Nabta Playa, a loro volta di probabile origine europea perché discendenti di gruppi dolicocefali arrivati nel Nord Africa, nel corso dei grandi flussi migratori preistorici, da ovest attraverso lo stretto di Gibilterra o da est attraverso la regione danubiana e in seguito il Vicino Oriente?
 
Basti pensare che analisi del DNA mitocondriale hanno evidenziato che i Berberi hanno lontani antenati comuni con i Saami (nome nazionale dei Lapponi) che al termine dell’ultima glaciazione, attraversato lo Stretto di Gibilterra, si sarebbero mescolati con popolazioni africane[ix].
 
Esami del DNA, inoltre, hanno accertato un’origine europea anche per le mummie risalenti a più di quattro millenni fa dai capelli biondi o rossi, corporatura massiccia, alta statura e con indumenti realizzati con tessuti simili a quelli celtici scoperte alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso nel deserto cinese del Taklamakan, una tra le regioni più inospitali del mondo[x].
 
Eppure, finché queste mummie non vennero riportate alla luce, gli storici avevano considerato soltanto leggende quanto riportato da antichi manoscritti cinesi che parlavano di antichi nomadi bianchi vissuti agli estremi confini occidentali. Racconti, invece, cui Hitler prestò una attenzione così particolare che diede incarico ad alcuni esploratori di andare a rintracciare le origini della razza ariana nel Celeste Impero. Tra questi anche lo svedese Sven Hedin che in una delle sue spedizioni riportò alla luce le rovine della città sepolta di Kroraina sulle rive del lago Lop Nur nella Cina nord-occidentale. Un’intuizione veramente perspicace quella dell’esploratore svedese perché in quella stessa località, circa mezzo secolo dopo, degli archeologi cinesi rinvennero il corpo mummificato di una giovane donna dai capelli biondi, avvolto in tessuti di lana e fasce di cuoio, risalente alla metà del V millennio a.C.[xi]
 
Ad offrire il più vasto panorama di resti umani preistorici dell’Africa Nord Occidentale è il Marocco ma, tuttora, non si è potuto ancora stabilire se le somiglianze culturali e morfologiche degli individui trovati su entrambe le sponde dello Stretto di Gibilterra possano attribuirsi a genti in stretto contatto o non collegate tra loro. Tra i suoi più importanti siti preistorici è da annoverare la Grotta di Taforalt (a circa 55 chilometri a nord-est di Oujda) in cui è stato portato alla luce un deposito stratificato con numerosi resti umani associati ad industria litica e ossea, oggetti di parure e resti animali. Gli scavi, iniziati nel 1951 dall’abate Roche e dal 1969 continuati dal Servizio Marocchino dell’Archeologia in cooperazione con la missione archeologica francese, sopra uno spesso strato di livelli ateriani e del primo Paleolitico Medio hanno mostrato 6 metri di depositi con 17 livelli iberomaurusiani (dal Paleolitico Superiore all’Epipaleolitico) in cui furono trovate circa 180 sepolture (tra cui quelle di un centinaio di bambini)[xii]. Per gli strati ateriani le datazioni evidenziarono un’epoca tra i 40.000 e i 32.000 anni fa e per quelli iberomaurusiani dal 20000 al 9000 a.C. circa mentre studi su quest’ultimo tipo umano indicarono una statura più alta dello standard perché gli individui maschili avevano un’altezza media di 170-180 cm e quelli femminili di 160-170 cm.
 
Numerose e molto controverse sono le teorie sulle origini dell’Iberomaurusiano, alto, dolicocefalo e scheletricamente robusto, scoperto da Pallary nei ripari di La Mouillah (provincia di Orano) nel 1899 che, con il nome, volle mettere in risalto le strette analogie tra questo tipo d’industria e quelle della penisola iberica[xiii]. Alcuni studiosi, infatti, propendono per un suo arrivo dall’Africa nord-orientale o dal Vicino Oriente mentre altri ritengono probabile che sia giunto sui litorali marocchini dalla Spagna, attraverso lo Stretto di Gibilterra, o dall’Italia attraverso la Sicilia.
 
Le terre di origine di questi individui alti e possenti, perciò, restano oscure ma un interessante studio del dottor Joel D. Irish ( Dipartimento d’Antropologia University of Alaska Fairbanks) basato su confronti statistici di caratteristiche dentali di Iberomaurusiani del tardo Pleistocene e dei successivi africani nord-occidentali, ha fornito alla scrivente spunti di riflessione molto intriganti. I risultati delle comparazioni dentali, pubblicati nell’ottobre del 2000 sul Journal of Human Evolution[xiv], infatti, hanno permesso allo studioso di accertare una continuità genetica tra gli Iberomaurusiani (soprattutto quelli rinvenuti a Taforalt) e i successivi individui del Maghreb e delle regioni circostanti mentre con i Nubiani dell’Africa nord-orientale coevi, anch’essi alti e di possente corporatura, ci sarebbero diversità.
 
Naturalmente lo studio di Irish non permette di stabilire se gli Iberomaurusiani giungessero dall’Africa nord-orientale o dall’Europa ma le chiome chiare degli individui dolicocefali predinastici alti e robusti rinvenuti in Egitto escluderebbero una loro possibile origine nubiana. Questi uomini sarebbero forse discendenti di Iberomaurusiani, o loro varianti, di cui capelli e occhi chiari sarebbero potuti essere una caratteristica genetica?
 
Poiché gli insediamenti iberomaurusiani sono stati trovati sulle coste o nelle vicinanze dei litorali, questi individui si sarebbero stanziati anche sulle coste libiche e del Delta?
 
Ovviamente, finché nelle varie analisi genetiche non saranno inclusi anche questi atipici Egizi difficilmente arriveranno risposte ma potrebbe non essere troppo audace associare questi remoti personaggi dai capelli chiari a probabili discendenti di coloro che, proprio per le loro caratteristiche fisiche (statura imponente e incarnato, chiome e occhi chiari) e il loro maggior bagaglio culturale (tra cui conoscenze astronomiche e metallurgiche) vennero identificati dalle culture autoctone meno organizzate del Delta e della Valle del Nilo con gli Dei Primigeni. Individui, tra l’altro, che avrebbero potuto continuare le loro millenarie migrazioni attraversando anche il Mar Rosso perché nelle tradizioni mesopotamiche Enlil, una delle divinità supreme sumere, sarebbe arrivato sulla Terra prima del “popolo dalla testa nera”, suggerendo quindi che avesse una chioma chiara.
 
 Come constatabile nel recente libro della scrivente “La maledizione del Sole oscurato”, cui si rimanda per approfondimenti e ulteriore bibliografia perché l’argomento vi è riccamente trattato, questa intrigante associazione, infatti, verrebbe fortemente avvalorata proprio dagli stessi Egizi con i miti, le tradizioni e i reperti predinastici giuntici che evidenziano innumerevoli parallelismi culturali che sembrerebbero retaggi di arcaiche tradizioni che affondano le radici in territori lontani anziché mere coincidenze dovute ad un processo evolutivo parallelo scaturito da archetipi similari.
 
I molteplici indizi da loro disseminati, inoltre, rendono i miti, le tradizioni, i documenti astronomici e i reperti predinastici veri e propri resoconti di avvenimenti accaduti parecchie migliaia di anni fa che aiutano a dissolvere in parte la densa patina di mistero che ancora ricopre il lungo periodo che precedette l’inizio della storia dinastica perché permettono di spiegare molte cose che risultano incompatibili con la realtà storica cristallizzata da decenni. Ad esempio il perché della linearità millenaria della tradizione culturale egizia nonostante l’evidente presenza di caste elitarie “straniere” al potere; il perché delle avanzate conoscenze astronomiche degli iniziati calendariali fin dai tempi remoti; il perché della grande influenza delle eclissi solari per tutta la storia egizia fin dal predinastico; il perché dello smembramento del dio creatore e quello della successiva riunione delle sue membra; il perché della pietosa ricerca di Iside dei resti di Osiride; il perché delle molte immagini che in epoca storica continuano ancora a immortalare molti nubiani con i capelli chiari e così via.
 
Come se non bastasse, questi indizi permettono anche di arretrare nel tempo fino alla fine dell’ultimo periodo glaciale che divenne un fattore penalizzante per molti clan ma, soprattutto, consentono di collocare nella prima metà del IX millennio a.C. gli Antenati che arrivarono da un’isola sacra (l’Isola dei Beati) e generarono gli dei primigeni citati sulle pareti del tempio di Edfu che, tra Anziani, Discendenti di Tjenen, Figli del Creatore, Gloriosi Spiriti dell’Età Primigenia, Figli dei Saggi e Augusti Shebtiu, annoveravano anche Dei Costruttori[xv]. E come dimostrato dalle testimonianze arrivate fino a noi, grazie agli insegnamenti di questi ultimi perpetuati per millenni, gli Egizi furono davvero maestri fin dal predinastico in fatto di costruzioni e non solo.
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NOTE:
[i]           Fino a pochi anni fa si credeva che le innovazioni tecnologiche del passato fossero originarie del Vicino Oriente che, attraverso la Valle del Nilo, si sarebbero poi diffuse nell’Africa sub-sahariana. I ritrovamenti in alcuni siti sahariani di cocci e macine per cereali molto più antichi di quelli mediorientali, però, hanno rimesso in discussione tutto.
[ii]          Petrie associò a Libici e Amorriti i numerosi individui predinastici con carnagione chiara e capelli biondi, rossi o castano chiari perfettamente conservati dall’aridità del clima e dalle sabbie dell’Alto Egitto.
[iii]          Vedi la ricostruzione dell’archeologo Mellaart in The Goddess from Anatolia (Vol. 1, Plate XVII, 1).
[iv]         Per la placca del pettorale di bronzo con il motivo dell’eroe vedi Tihuanacu, the cradle of the american man (Vol II) di Posnasnky.
[v]          Per un approfondimento veloce e foto molto dettagliate di Ginger basta digitare British Museum Ginger su Google e poi il link British Museum – human mummy che appare.
[vi]         Sulla sponda destra del Nilo di fronte a Hierakonpolis.
[vii]         S. Hendrix, A small Second Dynasty Cemetery at Elkab, Conferenza Internazionale “Origin of the State. Predynastic and Early Dynastic Egypt”, Cracovia 2002.
[viii]        I primi resti di questo tipo umano (cinque scheletri) furono scoperti casualmente nel 1868 durante lavori per la costruzione della linea ferroviaria Marsiglia-Bordeaux.
[ix]         J. P. Gourdine, Contribution de la biologie moléculaire du gène à l’étude du passé de l’humanité. Cas de l’Afrique ancienne et moderne, Cahiers Caribéens d’Egyptologie 9, février/mars 2006.
Per approfondimenti sulle analisi comparative delle popolazioni berbere vedi:
Achilli A., Rengo C., Battaglia V., Pala M., Olivieri A., Fornarino S., Magri C., Scozzari R., Babudri N., Santachiara-Benerecetti A.S., Bandelt H.J., Semino O., Torroni A., Saami and Berbers an unexpected mitochondrial DNA link, Am. J. Hum. Genet. 76, 2005.
Coudray C., Guitard E., Gibert M., Sevin A., Larrouy G. e Dugoujon J.M., Diversité génétique (allotypie GM et STRs) des populations Berbères et peuplement du nord de l’Afrique, Antropo 11, 2006. http://www.didac.ehu.es/antropo/11/11-10/Coudray.htm
Coudray C., Guitard E., El-Chennawi F. e Dugoujon J.M., Study of Gm Immunoglobulin Allotypes in Berbers from Egypt (Siwa Oasis), Conferenza Internazionale “Predynastic and Early Dynastic Egypt. Origin of the State”, Tolosa, 2005.
[x]          Queste misteriose mummie vennero imbalsamate naturalmente dall’aria asciutta del deserto e si ritiene che alcune potessero essere state vittime di sacrifici rituali. Le loro caratteristiche fisiche, inoltre, così diverse dalle etnie cinesi, hanno portato molti ricercatori a credere che quest’antica e sconosciuta popolazione vivesse tra l’Europa e la Cina, alla confluenza della Via della Seta, e che, in base ad alcuni reperti rinvenuti insieme alle mummie, avesse introdotto nel Celeste Impero la lavorazione del ferro, manufatti di base come la ruota e conoscenze mediche.
[xi]         R. Grilletto, Il mistero delle mummie, Newton Compton Editori, Roma 1996.
[xii]        Bruzek J., Sefcakova A. e Cerny V., Révision du sexe des squelettes épipaléolithiques de Taforalt et d’Afalou-bou-Rhoummel par une approche probabiliste, Antropo 2004.
[xiii]        P. Pallary, Instructions pour le recherches préhistoriques dans le Nord-Ouest de l’Afrique, Algeri 1909.
[xiv]        J.D. Irish, The Iberomaurusian enigma: North African progenitor or dead end?, Journal of Human Evolution, vol. 39, 2000.
[xv]        Per approfondimenti delle iscrizioni sulle pareti di Edfu vedi i testi di Eve Reymond, già Jelinkova, egittologa specializzata di Edfu:
            E.A.E. Jelinkova, The Shebtiu in the temple at Edfu, ZAS 87, 1962
            E.A.E. Reymond, The Mythical Origin of the Egyptian Temple, New York 1969).

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