giovedì 21 giugno 2012

Introduzione ad Atlantide


Facendo riferimento al post precedente dedicato all'eredità di Thoth e di Horus, riteniamo molto plausibile che la Biblioteca di Alessandria contenesse una considerevole mole di documentazione relativa lla storicità del mito di Atlantide e agli eventi storici umani precedenti al diluvio.

E' difficile dare un senso logico alla "mitologia" senza andare incontro alla derisione della scienza ufficiale e senza offendere il clero, tuttavia i ricercatori che da sempre rincorrono le risposte non esitano un attimo a prendere in considerazione un qualche riferimento esoterico, allo stesso modo in cui accettano la possibilità di una razza precedente e fortemente progredita. Atlantide?

Ci sono abbastanza testimonianze e riferimenti per credere che non si tratti di un mito, ma di una civiltà molto avanzata, le cui conoscenze tecnologiche, con ogni probabilità, erano di gran lunga superiori a quelle attuali. Prendendo atto di questa possibilità, i cosiddetti "Libri di Thot" o "Libri della Conoscenza Nascosta" non possono essere degli scritti, ma una ben diversa forma di documentazione, in grado di resistere millenni dopo millenni, fino al giorno in cui ci fossero persone in grado di capirla e usarla.

Atlantide è molto più che una leggenda: è la sopravvivenza mnemonica dei nostri antenati, così evoluti e così "grandi" da riuscire a lasciare traccia di sé anche dopo l'evento catastrofico (qualunque esso sia stato) che distrusse gran parte della civiltà che ci ha preceduti e dei cui superstiti siamo i discendenti ingrati.

Esiste anche l'ipotesi, sempre più realistica, di visitatori venuti in vari momenti da altri mondi: e dato che l'ipotesi atlantidea non esclude quest'ultima, sia chiaro che per "mondi" non si intendono esclusivamente i pianeti...

Se una parte dei superstiti di Atlantide avesse trovato scampo approdando in quella loro colonia che ancora non si chiamava Egitto, è ragionevole pensare che questo sia avvenuto intorno al 10.400 a.C. ; se la Grande Piramide di Giza e la Sfinge (che si trovavano già sul posto) erano sopravvissute (insieme al loro contenuto) alla catastrofe, significava che quello doveva essere il luogo più sicuro dove mettere al riparo le cose più importanti che avevano portato da Atlantide.

Osiride a capo del gruppo di superstiti, la moglie Iside, il figlio Horus erano accompagnati da Thot e da pochi altri: i seguaci di Horus.

E' logico pensare che per arrivare abbiano usato mezzi aerei, o comunque in grado di spostarsi nel cielo. Dopo essere rimasti per mesi e forse per anni a bordo di un'astronave in orbita intorno alla Terra, non appena le condizioni atmosferiche lo avessero reso possibile, sarebbero atterrati per ricominciare.

Oppure, dopo una partenza strategica - in vista dell'imminente sciagura globale - verso il pianeta d'origine, Zeta Orionis nella Cintura di Orione, ritornarono appena ristabilita la quasi-normalità. Poco importa quale delle due ipotesi sia quella giusta, restando il fatto innegabile dell'arrivo degli dèi dal cielo, la partenza a bordo della "barca solare"... la stessa che poi fa ritorno con Osiride e tutto l'equipaggio. La memoria di questi avvenimenti straordinari è narrata con ingenuità quasi disarmante sulle pareti delle tombe e dei templi.

E nel "Per-em-Ra", tradotto assurdamente con "Libro dei Morti", mentre la giusta traduzione sarebbe "Libro dell'uscita verso la luce"... o meglio ancora "Uscita di Ra dalla Piramide"... Dunque, la domanda è: chi o cosa è Ra? Poteva trattarsi del nome di un velivolo spaziale che veniva "posteggiato" e alimentato nella parte superiore della Grande Piramide?

Ed è proprio attraverso le loro cronache, che abbiamo la certezza che il "Corpus Hermeticum" latino, prima ancora di essere tradotto " dal" greco, fu tradotto "in" greco. Questo perché gli egiziani erano semplicemente in possesso degli scritti antecedenti. In ogni caso, il fatto di possedere la copia in greco di un testo scritto da un dio, faceva di esso un testo sacro dai poteri demiurgici come il suo autore, e quindi il greci, associando Ermete con Thot, ne fecero un testo sacro greco.

Sètte

La parola sètta, che viene erroneamente e tanto spesso interpretata in senso dispregiativo, è il termine con cui viene definita una cerchia di persone con il comune interesse di mantenere viva una tradizione, un culto, o anche la conoscenza di una verità.

A questo proposito, merita ricordare che lo stesso Gesù faceva parte della sètta degli Essèni; quegli stessi Essèni che nascosero i famosi rotoli di papiro nelle giare ritrovate casualmente a Qmram e noti come i "Rotoli del Mar Morto". Se dunque le sètte erano custodi di grandi segreti misterici, doveva assolutamente esisterne una all'interno della casta sacerdotale egiziana, con il compito di preservare i Libri della Conoscenza nascosta, noti anche come Libri di Thot. Non sappiamo se il "Corpus Hermeticum" originale - quello tradotto dal nipote di Ermete, rappresenti davvero la traduzione dei Libri di Thot, ma è verosimile l'ipotesi che la sètta di sacerdoti preposti alla salvaguardia della Conoscenza Nascosta avessero deciso di tradurre i "Libri di Thot" per farli giungere integri alle generazioni successive.

Con questa ipotesi, come ho spiegato nel libro "Alla Ricerca dei Libri di Thot", a capo di questa sètta ci doveva essere un Gran Sacerdote in possesso di grandi conoscenze, e tutte le piste investigate mi hanno portato a ipotizzare che si trattasse proprio di Imhotep...

Corpus Hermeticum e Asclepius

Verosimilmente una sètta egiziana si tramandò - generazione dopo generazione - il segreto di un nascondiglio che stiamo ancora cercando, e che si trova quasi certamente nella Grande Piramide, in una delle stanze ancora da individuare.

Contemporaneamente, un'altra sètta greca fece altrettanto con il materiale affidatole, che riteneva la traduzione fedele di Ermete dei codici segreti di Thot.

Con il passare dei secoli e dei millenni, mentre la prima era riuscita a far perdere le proprie tracce, la seconda aveva continuato in sordina a diffondere il contenuto del manoscritto, che era composto da vari logoi (trattati) e che, opportunamente raccolti e classificati, hanno preso il nome di "Corpus Hermeticum", dopo la traduzione parziale dal greco al latino del manoscritto di Asclepio che Marsilio Ficino eseguì nel 1463 per commissione di Cosimo de' Medici che l'aveva acquistato per la sua biblioteca da un monaco macedone. Ficino (1433-1499), filosofo e letterato italiano, è considerato il massimo esponente dell’Umanesimo; tradusse moltissimi testi classici, alcuni dei quali in particolare (i "Dialoghi" di Platone, gli inni attribuiti a Orfeo e a Omero, la "Teogonia" di Esiodo, tanto per citarne alcuni) lo portarono a coniugare la filosofia classica con la religione cristiana in una visuale "armonica" di un Universo in cui l'uomo è il centro assoluto e allo stesso tempo funge da intermediario tra l’Uno (Dio) e la pluralità delle Sue manifestazioni.

Il manoscritto greco arrivò dunque in Italia dopo la caduta di Costantinopoli, e attualmente esiste solo la parziale traduzione latina, essendo andato perso l'originale. Il Corpus Hermeticum entrò così a far parte della filosofia occidentale durante il Rinascimento, influenzandola moltissimo, e secondo la versione ufficiale impiegò cinque secoli (durante i quali prese spessore sotto l'influenza di alcune correnti filosofiche tra cui il platonismo, l'aristotelismo, lo stoicismo e altre tra cui anche il giudaismo) prima di prendere la forma definita con un proprio spessore intorno al 200 d.C. Una data così relativamente "recente" ha ben poco a che fare con le conoscenze tardo-elleniche dell'epoca, visto che la figura di Ermete si verrebbe a collocare temporalmente a prima dell'arrivo in Egitto di Alessandro il Macedone.

Una certa confusione, del resto prevedibile, deve averla creata lo spuntare di molti altri scritti ermetici, talvolta conglobati con il corpus che veniva così nuovamente rimaneggiato.

Dopo i riferimenti, nei loro scritti, alla letteratura ermetica, resi da molti filosofi e perfino dai Padri della Chiesa, nell'ambito filosofico-religioso si venne a creare uno scalpore tale che alla fine il Cristianesimo definì l'ermetismo una dottrina eretica, mettendo al bando definitivamente ogni tipo di trattato di matrice ermetica.

Passò quindi molto tempo prima che si sentisse ancora parlare di ermetismo, tanto più essendo sparito tutto il corpus dei trattati. Fu Michele Psello, uno studioso bizantino vissuto a cavallo del XI secolo, a dare nuova vita alla dottrina ermetica e al Corpus Hermeticum; lo stesso corpus che Leonardo di Macedonia consegnò a Cosimo de' Medici nel 1460.

La raccolta dei 17 trattati (logoi) che formano il "Corpus Hermeticum" rimase così fino al momento in cui alcuni editori del XVI secolo decisero di metterci mano; il primo, nel 1554, fu Turnèbe che pensò di aggiungere alla fine del XIV logos altri tre brani (in realtà si trattava solo di frammenti) ermetici scritti da Stobeo. Vent'anni dopo fu la volta di Flussas che aggiunse a sua volta un brano tratto dalla "Suda"; per staccare questi ultimi quattro logoi del corpus originale, ne fece un logos a parte ordinando il Corpus Ermeticum in 18 trattati - da a I a XVIII - dei quali l'aggiunta era il XIV. In seguito i logoi tornarono a essere 17, ma senza che fosse rimaneggiato il contenuto: fu semplicemente deciso di escludere dalle successive pubblicazioni il XIV, così da passare direttamente dal XIII al XV. Esistono tuttavia molti altri trattati ermetici che non fanno parte del Corpus; col passare del tempo, infatti, prese corpo una raccolta di testi e riferimenti a opere note agli eruditi, scritti in varie epoche.

Si venne così a delineare una vera e propria raccolta secondaria di trattati ermetici, la cui origine affondava nelle radici nel medioevo, lasciando traccia di sé ferfino negli scritti dell'imperatore Giuliano "L'Apostata" e di S. Agostino. Tra le opere ermetiche di Giovanni Stobeo vanno ricordate "La Vergine del Mondo" e il "Florilegium" (un'antologia dove Stobeo aveva inserito ben 27 brani ermetici raccolti negli anni). L"Asclepius" - tra tutti - è considerato di grande rilevanza, secondo solo al Corpus Hermeticum, tanto da venire considerato una sua appendice letteraria.

Sparito in Occidente dopo la morte di Sant'Agostino, l'Asclepius riapparve solo verso il XII secolo; ma durante questo lungo periodo la sua esistenza era fuori discussione, essendo documentata da tutti gli autori che ne parlavano nei loro trattati (alimentando la corrente ermetica durante il Medioevo). Inoltre, essendo stato aggiunto alla raccolta di scritti del III secolo d.C. di Lucio Apuleio - il "Corpus Apuleianum" - l'Asclepius veniva considerato - alla stessa stregua - una letteratura fondamentale della tradizione ermetica.

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