Fin da quando Darwin ha proposto l'evoluzione come spiegazione della vita sulla Terra, il capitolo più interessante (quello che si occupa delle origini umane) ha urtato contro due frangiflutti che vedono le onde marine colpire inutilmente un litorale roccioso: per i "credenti" la sacralità dell'affermazione biblica in base alla quale l'uomo è stato creato da Dio e non dall'evoluzione; per i puristi scientifici l'incapacità di spiegare come circa 300.000 anni fa, in un lento processo evolutivo che richiede decine di milioni di anni, l'uomo sia praticamente passato dalla sera alla mattina dalla condizione di ominide che ha appena imparato a camminare a quella di uomo pensante (Homo sapiens), la nostra condizione. Più fossili ominidi ancora antecedenti vengono ritrovati e più grande si fa l'enigma del cosiddetto "anello mancante" (l'espressione sotto cui è noto il problema).
Ormai da più di trent'anni, dalla pubblicazione del mio libro "Il pianeta degli dei", ho fatto del mio meglio per dimostrare che "non ce nessun conflitto" fra Bibbia e Scienza, fede e conoscenza. "L'anello" è mancante, dichiaravo, perché qualcuno ha impresso un'accelerazione all'evoluzione e ha utilizzato una sofisticata ingegneria genetica per migliorare un "Homo erectus", o un "Homo ergaster" (come alcuni preferiscono chiamare il suo cugino africano), mescolando i suoi geni con "i propri" geni più avanzati.
Questo "qualcuno" erano gli "Elohim" biblici (chiamati "Anunnaki" dai Sumeri), che scesero sulla Terra dal pianeta Nibiru, crearono l'Adamo e poi presero come mogli le figlie degli uomini. Tutto ciò fu possibile, spiegavo, perché la vita sul loro pianeta e sul nostro si basa sul medesimo DNA, condiviso dai due pianeti al momento della loro collisione...
Mi state ancora seguendo?
Dovrebbe pur esserci un modo migliore, che non si limiti a spiegare tutto questo senza argomenti, dicendo semplicemente che le indagini sulla scena del crimine indicano che c'è stato un omicidio, dovrebbe esserci la possibilità di "mostrare il corpo e dire: et voilà!"
Ah, se solo gli Anunnaki fossero ancora in giro, se ci fosse un ragazzo, o una ragazza, di provenienza indiscutibilmente nibiruana, disposto a sollevare la manica e a dire: testate il mio DNA, decifrate il mio genoma, rendetevi conto che non appartengo al vostro pianeta! Trovate la differenza, scoprite il segreto della longevità, curate le vostre forme di cancro... Se solo ci fosse!
Ma grazie al fato e alla professionalità di archeologi dediti alloro lavoro, disponiamo di una simile prova: il corpo fisico di una Anunnaki. Si tratta dei resti dello scheletro di Nin.Puabi.
È nell'agosto del 2002 che il British Museum di Londra rivela che casse non aperte depositate nei suoi scantinati fin dai tempi di Woolley contengono teschi provenienti dalle tombe reali di Ur. Cercando di ottenere ulteriori informazioni dal museo, ho chiesto se "avessero in programma di esaminare il DNA di quei teschi". Con una gentile risposta mi è stato comunicato che "al momento non ci sono in programma analisi del DNA", tuttavia "il Dipartimento di ricerca scientifica e il Dipartimento del Vicino Oriente antico stanno effettuando ulteriori ricerche, e si spera che le prime scoperte potranno essere rese pubbliche nei primi mesi del 2003".
Dopo altri scambi relativi alle dimensioni dei teschi e dei copricapi, il curatore del Dipartimento del Vicino Oriente antico del British Museum mi ha comunicato che "è attualmente in corso una riconsiderazione di tutte le ossa umane raccolte a Ur". Il rapporto, pubblicato nel 2004, rivela che al Museo di storia naturale di Londra sono stati eseguiti test radiografici (per esempio ai raggi X) da scienziati e dichiara che "nonostante sia trascorso molto tempo dal ritrovamento dei resti degli scheletri, è possibile confermare le conclusioni tratte dagli specialisti dell'epoca". In questo caso gli "specialisti dell'epoca" erano Sir Anhur Keith e i suoi assistenti.
Dopo aver ottenuto una copia del rapporto, sono rimasto sbalordito nel rendermi conto che, settant'anni dopo le scoperte di Woolley, un museo di Londra "possedeva ancora i resti intatti degli scheletri della regina Puabi e del principe Meskalamdug"!
Ho chiesto conferma e il l0 gennaio 2005 il British Museum mi ha risposto: "Lo scheletro di Puabi è al Museo di storia naturale, insieme ad altri provenienti dagli scavi di Leonard Woolley a Ur".
Era una scoperta sensazionale: i resti dello scheletro di una dea nibiruana (e di un re semidio), seppelliti circa 4.500 anni fa, erano inaspettatamente a disposizione e intatti!
Si può discutere su chi abbia realmente costruito le grandi piramidi, essere in disaccordo sul significato di un testo sumero o liquidare come un falso un reperto imbarazzante, ma qui c'è una prova fisica inconfutabile la cui provenienza, data e luogo di ritrovamento, ecc. sono fuori di dubbio. Quindi, se la mia identificazione di Puabi come dea Anunnaki e non come regina e di Mes.kalam.dug come semidio e non come principe "sumero" è corretta, abbiamo a disposizione due genomi di individui che provengono completamente o in parte da un altro pianeta!
In seguito alle mie richieste insistenti per sapere se erano o sarebbero stati fatti i test del DNA, sono stato invitato a rivolgermi alla dottoressa Theya Mollenson, la scienziata a capo delle operazioni di riconsiderazione dei reperti. Quando sono riuscito a raggiungerla, era già andata in pensione. Altri tentativi di aprirne di più con l'aiuto di amici residenti a Londra non hanno condotto da nessuna parte.
La necessità di occuparmi di questioni più urgenti mi ha portato ad accantonare questa, finché la recente notizia secondo cui alcuni biologi sono riusciti a decifrare e a confrontare il DNA dell'uomo di Neanderthal di 38.000 anni fa con quello dell'uomo moderno mi ha colpito come un fulmine: se le cose stanno così, perché non decifrare e confrontare con il nostro il DNA di una Anunnaki morta appena 4.400 anni fa?
Nel febbraio del 2009 ho scritto di nuovo al Museo di storia naturale di Londra. Una cortese risposta, firmata dalla dottoressa Margaret Clegg, direttrice della Sezione resti umani del Museo, ha confermato che la loro dotazione comprendeva sia "Nin Puabi, elencata anche come regina Shubad, sia il re Mes-Kalam-dug". Aggiungendo che "su questi resti non sono mai state eseguite analisi del DNA", mi ha spiegato che "di routine il Museo non effettua analisi sui resti della collezione e che non ha in programma di farlo in un prossimo futuro". Questa posizione è stata ribadita dal Museo nel marzo del 2010.
Malgrado il DNA di Nin.Puabi non sia anunnaki al cento per cento dato che suo padre Lugalbanda era solo un semidio, il suo DNA mitocondriale, proveniente solo da sua madre, è puro DNA anunnaki e, attraverso Ninsun e Bau, porta alle antiche madri su Nibiru. Se venissero analizzate, le sue ossa potrebbero rivelare le differenze fra il DNA e il DNA mitocondriale che rappresentano il nostro anello mancante genetico, quel piccolo ma fondamentale gruppo di "geni alieni" (223?) che circa 300.000 anni fa ci ha fatti passare dalla condizione di ominidi selvaggi a quella di uomini moderni.
Spero ardentemente che, dimostrando che i resti di NIN-Puabi non sono una questione "di routine", questo libro possa convincere il Museo a fare qualcosa d'insolito e a eseguire i test, che potrebbero fornire una spiegazione di vitale importanza alla risposta data a Gilgamesh:
Quando gli dèi crearono l'uomo,
perfezionarono per lui una vasta comprensione,
gli avevano dato la saggezza,
gli avevano dato la conoscenza,
ma non gli avevano dato la vita eterna.
Cos'è che gli "dèi" nel Giardino dell'Eden hanno deliberatamente evitato di darci?
Forse il Creatore di tutto ha voluto che la dea che non se ne è mai andata rimanesse qui affinché noi potessimo finalmente trovare la risposta.
Zecharia Sitchin
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