Tutti noi potremmo essere meno umani di quanto pensiamo. Quantomeno è ciò che suggerisce una nuova ricerca, rivelando che il genoma umano è in parte un virus, per la precisione il Bornavirus, portatore di morte per cavalli e pecore.
Sembra che 40 milioni di anni fa, questo virus abbia inserito parte del suo materiale genetico nel nostro DNA. La scoperta, pubblicata su Nature del 7 gennaio, dimostra come questi virus di tipo RNA possono comportarsi come i retrovirus (ad esempio HIV) ed integrarsi stabilmente come ospiti dei nostri geni. Questo lavoro di ricerca potrebbe consentire di capirne molto di più sulla nostra evoluzione, rivelando come il mondo attuale sia anche il frutto del lavoro di un virus contenuto in ognuno di noi.
“La conoscenza di noi stessi come specie è stata leggermente mal interpretata” afferma Robert Gifford, paleo virologo presso Aaron Diamond AIDS Research Center. Insomma non abbiamo tento conto che il DNA umano si evoluto anche grazie al contributo di batteri ed altri microrganismi e che le nostre difese immunitarie hanno fatto ricorso a quel materiale genetico per difendersi dalle infezioni.
Sembra che fino all’8% del nostro genoma potrebbe ospitare materiale genetico dei virus.
Nello studio, ricercatori Giapponesi hanno trovato copie di un gene del Bornavirus inserite in almeno quattro zone diverse del nostro genoma. Ricerche condotte su altri mammiferi hanno rivelato la sua presenza in una vasta quantità di specie per milioni di anni. “Hanno fornito le prove di un reperto fossile con tracce del Bornavirus”, afferma John Coffin, virologo alla Tufts University School of Medicine di Boston e coautore dello studio “Questo ci dice anche che l’evoluzione dei virus non è andata come pensavamo”.
Nei risultati dello studio, i ricercatori guidati da Keizo Tomonaga della Osaka University, hanno scoperto che due geni umani sono molto simile al gene del Bornavirus. Anche altri mammiferi come scimmie, gorilla, orango, macaco, lemure, elefante africano e molti scoiattoli hanno quel gene nel loro genoma.
Non tutti i geni del nostro Dna sono propriamente “nostri”. Una parte considerevole – circa l’8 per cento – sono infatti “pezzetti” di virus. In particolare, questi geni appertengono a un’antica classe di retrovirus che hanno “invaso” il nostro genoma milioni di anni fa. Uno studio pubblicato su Nature rivela ora, però, un’altra inaspettata fonte di diversità genetica: sempre di virus si tratta, ma di altro tipo, noto come bornavirus.
È la prima volta che elementi virali – e non retrovirali – sono stati rintracciati nel genoma di mammiferi. Autori della scoperta sono i ricercatori dell’Università di Osaka, in Giappone, guidati da Masayuki Horie, che ha studiato campioni di Dna di esseri umani, altri primati non umani, elefanti e roditori.
L’assimilazione di sequenze genetiche estranee nel genoma ospite è detta “endogenizzazione” e avviene quando i geni virali sono integrati nei cromosomi delle cellule riproduttive (quelle che danno origine alla prole). Il Dna alieno può, in questo modo, trasmettersi da genitori a figli, a tutti gli effetti incorporato al genoma. Il virus di Borna (ordine dei Mononegavirales) deve il suo nome all’omonima città tedesca, dove, nel 1885, scatenò un’epidemia che decimò il reggimento di cavalleria. Questo virus colpisce infatti il cervello di alcuni uccelli e i mammiferi (soprattutto cavalli e pecore) e può infettare anche l’essere umano. Il suo codice genetico è stato decodificato di recente. I ricercatori hanno passato al setaccio 234 genomi trovando sequenze simili a quelle del bornavirus in diversi mammiferi. I dati raccolti mostrano che l’endogenizzazione è avvenuta in più linee mammaliane e in diversi momenti, tra 40 milioni di anni (nei primati antropomorfi) a meno di dieci milioni (negli scoiattoli).
Gli studiosi hanno riscontrato forti somiglianze tra il gene per le nucleoproteine (N) virale e due geni umani, chiamati EBLN-1 e EBLN-2. In un esperimento, dopo aver infettato cellule umane per trenta giorni, Horie e colleghi hanno trovato, nei cromosomi, integrazioni del Dna virale che ricordano gli elementi EBLN. Non si sa ancora se e quale ruolo abbiano giocato nell’evoluzione questi due geni, ma è stato dimostrato che le inserzioni sono una fonte di mutazione; la scoperta dimostra anche una coevoluzione di lunga data tra le due specie, tanto che questi frammenti rappresentano importanti “reperti fossili” dei bornavirus. La scoperta potrebbe anche fornire nuovi dati a sostegno dell’ipotesi che malattie come la schizofrenia abbiano avuto origine da un’antica “invasione virale”.
Gli scienziati sostengono che il Bornavirus potrebbe essere una fonte di mutazione umana, specialmente nei nostri neuroni. Questa “infezione preistorica” potrebbe però non essere solo un fatto antico, ma un evento in grado di ripetersi anche con i moderni Bornavirus, capaci di inserirsi nel nostro DNA e creare mutazioni, malattie come la schizofrenia o, più incredibilmente, anche cambiamenti nel nostro percorso evolutivo.
Insomma, il nostro futuro potrebbe essere un percorso da fare a braccetto con i virus. A questo punto non si può che dare ragione all’Agente Smith di Matrix nella sua convinzione che soltanto un altro organismo sul pianeta si comporta come l’uomo: il virus.
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