Molte delle informazioni concernenti la costruzione delle piramidi egizie della piana di Giza che la storia e l'archeologia ufficiale considerano come rispondenti a realtà o comunque sulle quali si sono basate per l'elaborazione delle teorie più accreditate in merito provengono dalla narrazione di Erodoto e di Diodoro Siculo.
Erodoto di Alicarnasso in realta' fu infatti il primo a dar vita a una raccolta di fonti e notizie sul mondo antico a cui fu dato il nome di "Storie". Una delle sue passioni erano i viaggi tanto che la sua opera viene definita etnografica: una miniera di notizie su usi e costumi delle civiltà mediterranee, tra cui quella egizia. Al popolo dei Faraoni è dedicato un libro e tra le varie notizie quelle sulla costruzione delle piramidi, la prima grande opera d' ingegneria umana così come da lui stesso definita.
"Fu ordinato di prendere le pietre trasportate con imbarcazioni attraverso il fiume e di trascinarle verso il monte detto Libico. Lavorarono a centomila uomini per volta continuamente, ciascun gruppo per tre mesi. Per la piramide di Cheope dicono che passarono venti anni finche' non fu costruita”
“Padre della storia” secondo Cicerone, “mitologo” per Aristotele il giudizio su Erodoto rimane incerto, soprattutto considerato il fatto che lo stesso Erodoto ci ricorda di come la sua opera 'storiografica' nasca sulla base di tre principi ben definiti:
– vista
– ascolto
– criterio (con il quale lui stesso seleziona i dati raccolti nel caso in cui essi siano in contraddizione)
Poiché l'osservazione dello storico greco delle piramidi avviene solo nel V secolo a.C. ovvero migliaia di anni dopo la costruzione delle piramidi è comprensibile che la storia narrataci da Erodoto sia solo l'interpretazione di ciò che ha visto (le piramidi) e di ciò che ha ascoltato dalla tradizione orale e dalle informazioni ottenuti dalla casta sacerdotale filtrate attraverso il proprio personale criterio.
Erodoto, nelle sue Storie, riferisce che il faraone Cheope costrinse 100.000 dei suoi sudditi a lavorare come schiavi alla costruzione della sua tomba, durante il periodo di 3 mesi all’anno di inondazione del Nilo. Il lavoro durò 30 anni (di cui 20 per la messa in opera dei blocchi) e venne svolto con sistemi di armature in forma di gradinate, utilizzando macchine formate da travi corte.
Gli egittologi considerano queste affermazioni come verità assolute, quando in realtà, sono voci riferite oralmente allo storico greco da sacerdoti vissuti ben 2000 anni dopo omettendo in più il paradosso matematico della collocazione di un blocco circa ogni 8 minuti scaturente da un banale calcolo matematico assumendo come base il numero di blocchi (2,5 milioni circa) costituenti la grande piramide.
Inoltre in altri brani, i sacerdoti di Eliopoli raccontano ad Erodoto che il periodo predinastico egizio era durato quanto il tempo che impiega il sole a sorgere due volte dal posto in cui tramonta, il che interpretato alla luce del fenomeno della precessione degli equinozi, significa circa 40.000 anni e ciò, dagli storici moderni, non viene preso in considerazione, così come non vengono prese in considerazione altri elementi degni di nota come la Stele dell'Inventario scoperta dall'egittologo Auguste Mariette, scavando nei pressi della Grande Piramide in un tempietto detto la "Casa di Iside".
La traduzione di quel documento riservò una sorpresa perché nella stele Iside veniva indicata come "la Signora della Piramide" e vi si affermava che al tempo di Cheope, una piramide, la Sfinge, il Tempio a valle della Seconda piramide ed altre strutture erano già presenti sulla piana di Giza.
E ancora:
1) Christopher Dunn ha dimostrato, con strumenti moderni, che diverse superfici in granito lavorate nell’antichità sono lisce al 1/50 di millimetro, e che gli strumenti utilizzati nella perforazione erano più efficienti di quelli odierni. Analizzando la spirale del taglio su alcune "carote" (cilindri prodotti dalla trivellazione) di granito rinvenute a Giza, si può calcolare la velocità di penetrazione del trapano rotante nella roccia: 2,5 mm a giro, contro i 2/1000 di mm a giro scavati da un trapano moderno, che funziona a 900 giri/minuto. Ciò non può essere ottenuto, ovviamente, con un cilindro di rame azionato a mano e sabbia di quarzo, come vorrebbero gli egittologi ufficiali. Dunn suggerisce una tecnologia basata sulle vibrazioni ad alta frequenza (una specie di martello pneumatico che vibra alla frequenza degli ultrasuoni), compatibile con l’indagine microscopica condotta su un foro praticato nel granito: il trapano aveva tagliato più velocemente il quarzo, rispetto al feldspato (minerale più tenero). Ovviamente, una simile tecnologia non è raggiungibile con i mezzi di 4500 anni fa.
2) Il professor David Bowen del Dipartimento di scienze della terra dell’Università del Galles ha elaborato un metodo di datazione basato sull’isotopo radioattivo Cloro-36, che può fornire una stima del tempo trascorso da quando una roccia fu esposta per la prima volta all’atmosfera. Dei test preliminari, eseguiti sulle "pietre azzurre" di Stonehenge nel ‘94, fornirono un’età superiore ai 14.000 anni, contro i 4000 normalmente accettati.
3) Lontano dai consueti preconcetti sulla preistoria dell’uomo, il buon senso suggerisce che popolazioni come gli Egizi dinastici e gli Incas si stabilirono nei pressi delle vestigia di una civiltà precedente, scientificamente e tecnologicamente avanzata, a cui loro davano un significato magico-religioso. Sia le tradizioni orali riferite dagli indigeni peruviani ai cronisti spagnoli del XVI secolo che le fonti storiche egizie definiscono i giganti di pietra come l’opera degli Dei civilizzatori, della perduta Età dell’oro: un ricordo trasfigurato del passato, tramandato oralmente di generazione in generazione.
4) La Pietra di Palermo (V dinastia, 2500 a.C.), il Papiro di Torino e l’Elenco dei Re di Abido, scolpito da Seti I (XIX dinastia, 1300 a.C.), la storia d’Egitto redatta da Manetone, sacerdote di Eliopoli (III a.C.), gli scritti degli storici greci Erodoto (V a.C.) e Diodoro Siculo (I a.C.) sono tutti considerati fonti attendibili della storia egizia dinastica, mentre vengono ignorati quando parlano della lunghissima era predinastica, il Primo Tempo, durata 30.000 o 40.000 anni.
Sulle piramidi sono state scritte fiumi di parole sia dalla archeologia ufficiale ortodossa sia da quella 'alternativa' proprio in virtù che l'ortodossia accademica non è stata in grado di fornire risposte certe alle modalità di costruzione delle stesse, della loro funzione e neppure alla paternità dei progetti.
Sarebbe oltremodo pretestuoso cercare noi di offrire nuove teorie e ipotesi a quelle già previste nel panorama della ricerca. Ciò che vogliamo fare è perlomeno ipotizzare che possa esistere una storia parallela a quella studiata sui libri di scuola e che non viene menzionata dagli autori legati al mondo accademico poiché altamente, concedetemi il termine, rivoluzionaria.
Una storia che affonda le sue radici decine di migliaia di anni fa, prima di ciò che viene ricordato come Diluvio Universale.
In questo percorso ci vengono in soccorso alcuni documenti come il Papiro di Torino, la Pietra di Palermo, la lista reale di Berosso e la lista reale sumerica di cui abbiamo già parlato nell'articolo “Le Città degli Elohim” e che ci raccontano di una serie di re, sovrani dei, che governarono nel mondo diverse decine di migliaia di anni prima.
Da qui vogliamo partire per raccontare la nostra personale interpretazione dei fatti parallelamente a quanto l'archeologia e la paleoantropologia ci hanno abituato a credere.
E per farlo dobbiamo partire da molto lontano e dalle ultime scoperte in campo astronomico relativamente alla storia del pianeta a cui ci sentiamo più vicini e che da sempre ha suscitato interesse e curiosità come se un antico legame ci collegasse ad esso: Marte.
Nel nostro recente articolo “Marte: Storia di un antico Esodo” citiamo le conclusioni degli studi effettuati dallo scienziato Colin Pillinger sulle meteoriti marziane. Questi studi dimostrerebbero che l’acqua allo stato liquido possa essere esistita sul pianeta rosso fino a 400/600 mila anni fa, presupponendo quindi la possibilità di uno sviluppo di forme di vita in modo autonomo e parallelo rispetto al percorso seguito dal genere Homo secondo i più accreditati studi antropologici.
Studi antropologici che, in accordo all'evoluzione darwiniana fanno evolvere il genere Homo attraverso i diversi stadi dall'Australopitecus fino all'Homo Heidelbergensis intorno ai 400-500mila anni fa, passando per Habilis ed Herectus secondo gli schemi sotto riportati.
Teoria che viene messa in discussione, anche se difficilmente si viene a sapere, da diverse scoperte archeologiche, quella più rilevante forse il ritrovamento di il ritrovamento di due fossili rinvenuti non molto lontano dal lago Turkana in Kenya. La scoperta, vista la sua importanza, è stata riportata sul numero di Agosto (2007) di Nature aggiudicandosi anche la copertina della rivista scientifica.
I ritrovamento dei due fossili, uno di un Homo habilis e l'altro di un Homo erectus, proverebbe che le due specie, contrariamente a quanto creduto finora, non sono l'una l'evoluzione dell'altra. Dall'analisi dei nuovi reperti si è constatato che le due specie del genere Homo hanno convissuto, fianco a fianco, nell'Africa orientale per almeno mezzo milione di anni.
Il che significherebbe che, come peraltro teorizzato da Paolo Bolognesi, non si dovrebbero considerare le varie razze di Homo una conseguente all'altra come siamo abituati a credere, ma ciascuna coesistente all'altra quindi non ci sarebbe mai stata una evoluzione ma differenti evoluzioni parallele conclusasi con la scomparsa dei vari diversi generi Homo, escluso il Sapiens, per motivi non del tutto noti.
Inoltre il Bolognesi puntualizza il fatto che milioni di anni fa la popolazione della terra non era di miliardi di persone ma di poche miglia di persone. Ipotizzando che un'ominide fosse stato più evoluto degli altri potrebbe aver avuto una evoluzione molto superiore al resto degli altri homo, fino ad arrivare a una conoscenza tecnologica. E' probabile che un genere di ominide di poco precedente alla nostra specie, sviluppatasi in una regione ben delimitata del pianeta, con una cultura e un'evoluzione tecnologica più evoluta altre aree del pianeta si fosse mostrato, alle altre razze meno progredite e sarebbero accolti come divinità. A maggior ragione se, l'ominide di cui parla Bolognesi, invece di essere autoctono della Terra, fosse originario di Marte!
In accordo con quanto riscontrato nei testi mitologici sumeri e di molte altre culture narranti dell'arrivo (o della presenza) di dei e semi-dei in un certo punto remoto della linea del tempo storica abbiamo cercato di ipotizzare il seguente scenario che andiamo a presentare nel proseguio dell'articolo.
Così come sulla Terra il genere Homo attraversava i diversi step evolutivi (o le evoluzioni parallele di Bolognesi) che l'avrebbero portato a diventare Homo Herectus e ancora Heidelbergensis così su un pianeta Marte idoneo alla vita, una specie senziente e intelligente diversa, ma simile, faceva lo stesso. Possiamo, per comodità di comprensione chiamare costoro Anunnaki, Elohim, Giganti, Titani, mediando la terminologia dei miti sumero-babilonesi e classici della cultura ellenica.
Per motivi che non possiamo determinare il loro percorso li portò già centinaia di migliaia di anni fa ad avere raggiunto un livello tecnologico simile a quello che l'umanità 'terrestre' avrebbe raggiunto solo in tempi recenti: viaggi spaziali, manipolazioni genetiche, fisica quantistica e chissà cosa altro.
E' probabile che quando sulla terra l'Australopiteco iniziò a camminare in posizione eretta su Marte questa ipotetica specie avesse già registrato un vantaggio evolutivo di un paio di milioni di anni.
Se assumiamo questo e prendiamo per vero l'ipotesi di Dillinger questi, che io non esito a chiamare Anunnaki, furono costretti a evacuare il loro pianeta in un intorno che va da 500 a 400mila anni fa, che guarda caso riporta alla lista di Beroso e all'Enuma Elish sumero tradotto da Sitchn il quale riporta l'arrivo degli Anunnaki intorno a 450.000 anni fa.
In uno scenario apocalittico come quello descritto nel film “2012” di Roland Emmerich è ragionevole pensare che il 95% della popolazione autoctona di Marte possa essere perita nella morte del loro mondo e che solo pochi esemplari di quella specie riuscì a giungere sul nostro pianeta.
Uno sparuto gruppo di individui ricordati come Anunnaki (successivamente Elohim, quando assumeranno caratteristiche 'divine' e di comando) arriva sulla Terra e, come riportato in diversi miti cosmogonici, opererà una manipolazione genetica sul DNA degli Heidelbergensis per creare un essere senziente utile a svolgere attività lavorative per loro conto in sostituzione degli igigi (la classe lavoratrice Anunnaka).
Di questo abbiamo già trattato nell'articolo “Il Seme degli Dei”, ma soprattutto nella conferenza tenuta dal Progetto Atlanticus durante il 2° Memorial Carlo Sabadin durante il quale è stato presentato il nostro lavoro "Manipolazioni genetiche all'alba del genere umano" nel quale citiamo ciò che riteniamo ragionevoli prove di un intervento esogeno alla comparsa dell'Homo Sapiens facendo riferimento a ricerche genetiche come quelle di K.Pollard e alle 'anomalie' difficilmente spiegabili dalla teoria di Darwin come a titolo esemplificativo, tutta una serie di mutazioni e di delezioni di alcune tracce genetiche così come la scomparsa di una coppia di cromosomi nel confronto con i nostri parenti più stretti, i primati.
I primi esemplari di Sapiens compaiono all'incirca 300.000 anni fa per essere destinati a popolare e civilizzare l'intero globo terracqueo secondo lo schema accreditato della Out of Africa II il quale si fonda su evidenze archeologiche e genetiche.
Ma anche nel caso della Out of Africa, non me ne vogliano i puristi accademici, non c'è uniformità di vedute né certezza.
Prove linguistiche, genetiche, geografiche e di altro tipo continuano a confermare per il popolamento delle Americhe lo schema tradizionalmente accettato delle “tre ondate” di migrazione. Sulle date, invece, c'è una profonda incertezza: la cronologia ricavata dai dati genetici è compatibile con migrazioni avvenute durante fasi in cui i ghiacci si erano un po' ritirati, ma da un punto di vista archeologico si sa ancora veramente poco.
Riassumendolo in breve e senza addentrarsi in particolari, con la terza migrazione sono arrivati gli Inuit dell'Alaska e delle Aleutine, con la seconda i Na-dene (Apaches, Navajos e gli abitanti della costa pacifica a nord della California) e con la prima tutti gli altri, gli Amerindi propriamente detti.
Qualche anno fa fu scoperto a Kennewick, una località dello stato americano di Washington uno scheletro vecchio di 9000 anni che presentava delle caratteristiche un po' strane: le fattezze del volto sono caucasoidi e non amerinde e il suo DNA mitocondriale contiene l'aploguppo X, tipicamente euroasiatico. Cominciamo a dire subito che “caucasoide” non significa molto: ordinariamente con questo termine si intende un europeo, un nordafricano o un mediorientale, in contrasto con altri “tipi” come il negroide o l'orientale (il tipico aspetto degli asiatici nordorientali). In realtà caucasoide significa tutto e nulla: probabilmente erano somaticamente caucasoidi i primi uomini anatomicamente moderni usciti dall'Africa e quindi, semmai, sono gli orientali che si sono successivamente differenziati a partire da antenati caucasoidi. La stessa cosa è successa nelle Americhe, dove i primi nativi assomigliavano davvero poco ai loro discendenti attuali.
La presenza dell'aplogruppo X pone altri interrogativi. Fino ad allora era stato notato solo in Europa ed in Medio Oriente. La sua è comunque una distribuzione strana: gli aplogruppi hanno solitamente una elevata frequenza in una zona geograficamente ben delimitata. Invece X è debomente presente in molte aree: medio oriente (con particolare frequenza fra i drusi del Libano), nordafrica, Italia, Isole Orcadi, paesi nordici a lingue uraliche (ma solo Finlandia ed Estonia: è molto più raro nei popoli geneticamente e linguisticamente a loro connessi nelle steppe russe). Ed è sempre in percentuali inferiori al 5%, tranne che nei drusi, nelle Orcadi e in Georgia. Fra i nativi americani lo troviamo fra Na-dene e Algonchini (gli Amerindi del nordest, tra Canada e USA settentrionali),sia in popolazioni viventi che in sepolture. La percentule è tipicamente il 3 %, con alcuni picchi oltre il 10% in alcune tribù. In Sudamerica è presente negli Yanomami.
L'aploguppo X americano fu facilmente correlarlo a incroci con bianchi dopo la venuta degli europei (a cominciare dai Vichinghi nel IX secolo), ma la distanza genetica tra il tipo nordamericano e quello europeo è troppo alta per dare validità all'idea. Contemporaneamente era stata notata un'altra stranezza: le punte delle lance della cultura Clovis, la più antica documentata in Nordamerica, sono simili a quelle che venivano fabbricate in Francia dai Solutreani qualche migliaio di anni prima. Punte del genere si trovano soltanto in Francia, penisola iberica e Nordamerica.
Partendo dagli interrogativi che la presenza dell'aplogruppo X pone ai genetisti e alla paleoantropologia noi del Progetto Atlanticus andiamo a ipotizzare una visione azzardata e che richiama in causa quegli Elohim/Anunnaki che avevano lasciato alcune pagine fa dopo avere creato l'homo sapiens attraverso l'ibridazione tra il loro DNA e quello di un Herectus, o di un Heidelbergensis e che Progetto Atlanticus chiama “Out of Atlantis”.
Ma prima è interessante osservare alcuni dettagli che sono stati presentati dal Progetto Atlanticus nel lavoro “Il Cammino del Sapere”, disponibile in formato PDF gratuitamente nel sito blog degli autori “Le Stanze di Atlanticus”.
Questi dettagli corrispondono ad alcune caratteristiche fenotipiche che quasi sempre gli antichi testi associavano alle divinità, o ai semi-dei. Sto parlando del fenomeno del biondismo e del rutilismo, meglio ancora se associati dal colore chiaro di occhi.
Diverse mummie disseminate in ogni luogo del pianeta mostrano caratteristiche comuni appartenenti alle famiglie reali o divine di ogni tempo. Come ad esempio la nonna di Tutankhamon, nella immagine sottostante, risulta avere i capelli biondi e chiari lineamenti caucasici.
Oppure ancora l'Uomo di Cherchen, in Cina che presenta tratti caucasici del tutto inattesi in estremo oriente.
Come scrive Adriano Romualdi nel suo articolo “I Capelli Biondi nella Grecia Antica” la stragrande maggioranza degli eroi e degli dei di Omero sono biondi: Achille, modello dell’eroe acheo, è biondo come Sigfrido, biondi sono detti Menelao, Radamante, Briseide, Meleagro, Agamede, Ermione. Elena, per cui si combatte a Troia, è bionda, e bionda è Penelope nell’Odissea. Peisandro, commentando un passo dell’Iliade (IV, 147), descrive Menelao xanthokòmes, mégas én glaukòmmatos “biondo, alto e con gli occhi azzurri”. Karl Jax ha osservato che tra le dee e le eroine d’Omero non ce n’è una che abbia i capelli neri.
Che un certo ideale nordico contrassegnasse il vero elleno fino ai tempi più tardi, potrebbe confermarlo questa notizia del medico ebreo Adimanto, vissuto all’epoca dell’Impero Romano. Egli scrive (Physiognomikà, 11, 32): “Quegli uomini di stirpe ellenica o ionica che si son conservati puri, sono di statura abbastanza alta, robusti, di corporatura solida e dritta, con pelle chiara e biondi.
Ma moltissime altre civiltà associano capelli biondi o rossi e occhi azzurri a una caratteristica divina: egizi, sumeri, indiani e mesoamericani.
E non dimentichiamo che anche il Quetzalcoatl dei Maya era ricordato come di carnagione chiara con capelli e barba rossa, soggetto quindi al fenomeno del rutilismo ovvero quella caratteristica delle persone che hanno peli e capelli rossi o castano ramato.
In egual modo veniva descritto Viracocha, il colonizzatore secondo la civiltà Inca, proveniente da est. Si ha notizia che un disegno rinvenuto a Palenque somiglia ad un Semita.
Scrittori come Taylor Hansen, Cieza de Leon, De La Vega, Simone Waisbarg, Kolosimo ed altri, che hanno indagato su quanto raccontato dagli spagnoli durante la loro invasione nelle Americhe, ci presentano un gigante bianco, barbuto, con un tridente, che regge una catena alla quale è legato un serpente mostruoso. Identificato dagli Iberici con San Bartolomeo, simile al Nettuno di Platone (Poseidonis di Atlantide); che raffigura il "dio bianco" Viracocha, il creatore del mondo, al quale era consacrato il tempio di Tiahuanaco (città chiamata Chuquiyutu da Diego D’Alcobada), palazzo definito la vera ottava meraviglia del mondo per le sue dimensioni. La sola sala del trono era 48 metri per 39.
Gli spagnoli parlano di sessanta giorni e sessanta notti di pioggia incessante. Dopo il Diluvio, Viracocha si stabilì nell'isola sul lago Titicaca e plasmò gli uomini d'argilla e vi soffiò dentro la vita, insegnò loro il linguaggio e le scienze, i costumi e li distribuì nel mondo volando da un continente all'altro. Si diresse poi a Tiahuanaco; da qui inviò due emissari a ovest e a nord. Lui prese la strada per Cuzco. Sopra una carta geografica possiamo tracciare la cosiddetta "Rotta di Viracocha" che passa da Pukara, città distrutta dalla caduta di un fuoco dal cielo, come avvenne per Sodoma e Gomorra. Pukara è equidistante sia da Tiahuanaco che da Cuzco.
Questa caratteristica è occasionale nelle popolazioni caucasiche e si crede relazionata con una pigmentazione più chiara e la presenza di lentiggini ed un'alta propensione al melanoma e ad altri problemi cutanei; tuttavia pur non sembrando essere relazionata con una pigmentazione oculare alcuni la mettono in relazione con il colore verde.
Oggi il rutilismo è diffuso in Europa occidentale, in particolare sulle coste dell'Atlantico. E' ritenuto dai genetisti "un carattere residuale, ereditato da una popolazione in cui era presente nella totalità o quasi degli individui e conservatosi in quelle zone dove l'ibridazione è stata più lenta". Circa 20 mila anni fa, sebbene già esistente come mutazione individuale nei Sapiens Sapiens, il rutilismo è diventato il tratto fenotipico dominante degli abitanti della paleo-Europa. Secondo i genetisti si è trattato di una risposta fisiologica al clima glaciale, freddo e scarsamente illuminato.
Si è imposto in questo tipo di ambiente perché la pelle chiara favorisce l'assunzione della vitamina D e soprattutto perché i rossi trattengono meglio il calore e quindi risultano meno esposti al congelamento, caratteristica fisica ideale per sopravvivere in un periodo di freddo rigido, oppure su un pianeta più lontano dal Sole e quindi meno 'caldo' della Terra.
Attualmente i rossi sono concentrati soprattutto nel nord Europa, alla fine dell'era glaciale, invece, il rutilismo doveva risultare assai indicato anche a latitudini mediterranee. Basta considerare che la linea degli alberi ad alto fusto durante il massimo glaciale del Wurm era situata sulla direttrice Mar Nero-Liguria-Spagna (45° parallelo), mentre oggi la troviamo al circolo polare. Anche l'uomo di Neanderthal, che abitava le stesse zone in tempi precedenti, aveva i capelli rossi. La scoperta è stata fatta analizzando due soggetti vissuti tra i 40 e i 50 mila anni fa, uno in Spagna e uno in Italia. Ma si tratta di una convergenza evolutiva. L’attuale rutilismo dei Sapiens Sapiens, infatti, nonostante il provato incrocio tra le due specie, non è un'eredità neanderthaliana, è dovuto a un'espressione diversa dello stesso gene MC1r mutato. Evidenza che naturalmente punta i riflettori sull'adattamento alle condizioni climatiche: le popolazioni presenti in Europa durante l’era glaciale hanno assunto questo connotato fenotipico, che era già presente a livello individuale nei loro antenati, ma che solo per ragioni ambientali è diventato patrimonio genetico della generalità degli individui.
Una cosa interessante è la leggenda della tribù ancestrale dei Si-Te-Cah ricordata dalla tradizione orale degli indiani Paiute del Nevada... si parla di uomini bianchi di alta statura con i capelli rossi. Siamo intorno al 45° parallelo, quindi alla stessa latitudine dell’area che in Europa ha ospitato la cultura cromagnoide il che farebbe pensare che anche dall’altra parte dell’oceano ci fossero condizioni climatiche tali da determinare la diffusione del rutilismo.
Pure gli "uomini del mare", invasori dell'Egitto, vengono indicati come "rossi" e addirittura nelle leggende Cinesi troviamo un popolo dai capelli rossi. La parola Rutennu o Rotennu deriva da Rut o Rot che significa rosso. Di tale colore il mare che bagnava l'Egitto, "il mare dei Rossi".
Rut deriva da Rute che con Daytia era una delle due isole superstiti di Atlantide; punto di partenza della razza che soggiogò quella che dimorava sulle sponde del Nilo originando i Rutennu: gli uomini del mare di Rute.
Il popolo degli Yxsos veniva definito una razza più rossa di quella egizia e, per loro stessa ammissione, proveniva da quella terra che si stendeva fra il Pacifico e il Sud atlantico chiamata "Oceano Ethiopicus", nota come Etiopia, notoriamente popolata da "neri". Terra che formava una sorta di ponte fra i popoli dell'Atlantico, del Mediterraneo e del Pacifico.
Significativo che il vocabolo "Kush", trasformazione del nome Cuzco (un collegamento con le Ande?), sia un vocabolo non ebraico tramandatoci dalla Bibbia, che si ritrova nel nome degli Etruschi, Etr-ush e definisca gli Etiopi e la loro terra; quella di Koshu. Inoltre l'antico nome di Ur era Kish.
Quindi l'origine di molti popoli sembra si trovasse nel mezzo dell'Atlantico, in quella Rute che apparteneva ad Atlantide.
Rossi erano tutti i popoli sulle sponde delle terre intorno a quest'ultimo perduto continente: i Maya, gli Incas, gli Aztechi, gli Indios americani, i Pellirosse; razze che affermavano di provenire da una terra chiamata Aztlan o Atlan naufragata nell'Oceano Atlantico in seguito a cataclismi e terremoti.
Vivo è il ricordo fra il popolo rosso americano. I Delaware ricordano l'età dell'oro e quella della distruzione di una grande isola oltre l'oceano; i Mandan conservano un'immagine dell'Arca; i Dakota raccontano che gli avi salparono da un'isola sprofondata a oriente.
Gli Okanocan parlano di giganti bianchi su di un'isola in mezzo all'oceano che venne distrutta; i superstiti divennero rossi in seguito alle scottature del sole per aver navigato per giorni su di una canoa.
Ad uno dei più antichi ceppi della razza rossa appartengono anche i Guanci delle isole Canarie; individui con occhi azzurri, capigliatura bionda come alcuni Incas e Chimù.
Gli antichi ebrei avevano i capelli biondi e crespi non comuni ai popoli orientali, orgogliosi della loro cultura monoteista da considerarsi gli "eletti".
Seguendo le tracce di questo colore giungiamo fino al Pianeta Rosso: "Marte". Secondo Brinsley Le Poer Trench, il libro di Enoch proverebbe che l'Eden si trovava su quel pianeta. Enoc nel terzo cielo, quello di Marte, appunto, contemplò il giardino del Paradiso e al centro vide l'albero della Vita.
Perchè queste caratteristiche venivano associate al 'divino'? E come mai troviamo tratti caucasici, indoeuropei presso culture che, secondo la storia e la genetica, non dovrebbero avere avuto contatti fino al XVI secolo? E perchè tutti parlano di una origine di queste divinità da un luogo sconvolto da un cataclisma e quindi sede e origine di queste caratteristiche fisiche?
Per cercare di rispondere alle sopraccitate domande dobbiamo tornare all'ibridazione e chiamare in causa un noto passo biblico.
"quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sopra la faccia della Terra e nacquero loro delle figliole avvenne che i figli di Dio videro che le figliole degli uomini erano belle e se ne presero per mogli tra tutte quelle che più loro piacquero e queste partorirono loro dei figli. Sono questi i famosi eroi dell'antichità”
Quali uomini? I Sapiens, nati dall'esperimento genetico degli Anunnaki promosso da Enki come narrato nell'Inuma ilu Awilum e anche nella Genesi biblica se vogliamo.
Quali figli di dio? I figli appunto degli Anunnaki arrivati da Marte.
Quali famosi eroi dell'antichità? Coloro che saranno ricordati come 'Giganti', uomini famosi, probabilmente caratterizzati da biondismo e/o rutilismo. I cosiddetti Nephilim e che si collegano alla figura e al ruolo di Atlantide non tanto quale culla non del genere umano, che rimane l'Africa e la teoria dell'Out of Africa, tanto quanto punto di origine di quelle caratteristiche fenotipiche attribuite a quelle divinità civilizzatrici che effettivamente dopo il diluvio riportarono la civiltà nel mondo secondo l'ipotesi Out Of Atlantis.
Un parallelismo tra le teorie Out of Africa II e Out of Atlantis dove una non sostituisce l'altra ma si integrano armoniosamente.
Non sto parlando di razze secondo i tradizionali canoni. Sto parlando di eredità genetiche, alberi genealogici che hanno avuto origine da diversi punti di partenza e dove, per qualche motivo, alcune caratteristiche fisiche (occhi azzurri+capelli biondi oppure occhi verdi+capelli rossi) rappresentavano un elemento identificativo di coloro che appartenevano a delle stirpi divine.
I punti di partenza genealogici possono essere L'Homo Heidelbergensis (H.Erectus/Ergaster) da cui ha avuto origine il fenotipo negroide e gli aplogruppi ad esso collegati derivanti dalla prima ibridazione.
Il Neanderthal da cui ha avuto origine il fenotipo del rutilismo (capelli rossi e pelle chiara) tratto fenotipico dominante degli abitanti della paleo-Europa. Fenotipo che ragionevolmente mi fa pensare agli individui selezionati per portare la civiltà nel mondo dopo il Diluvio, gli Enkiliti, gli Elohim.
Il Cro-Magnon, biondo con gli occhi azzurri, alto tra 1,80 e 1,90 m, antagonisti dei Neanderthal come peraltro ricordato nel passo biblico in cui si parla di Esaù e Giacobbe. Tra l'altro una statura di quel livello significava apparire come 'Gigante' rispetto all'altezza media del Sapiens.
Il successivo incrocio tra tutti questi fenotipi nel corso dei millenni ha portato all'uomo moderno con la diversità di caratteristiche evidenziata dai numerosissimi rami genetici chiamati aplogruppi.
Possiamo allora giungere al seguente schema che descrive sinotticamente le riflessioni fin qui fatte per cercare insieme di definire una conclusione a questo percorso storico.
Il mito classico ci racconta di una violenta guerra tra Titani e Dei con la vittoria di questi ultimi. Guerre incredibili sono citate anche nei testi sanscriti Veda come il Mahabarata dove vengono descritte armi che ricordano i più moderni arsenali bellici e anche più avanzate. La Bibbia stessa ricorda la cura con cui Yahweh procede all'annientamento del popolo degli Anakiti (notare l'assonanza con Anunnaki) e lo sterminio di Giganti viene più o meno raccontato in molte leggende di diverse culture un po' ovunque nel mondo.
Come se a un certo punto, nella storia remota, forse ancor prima del Diluvio Universale, in quella che fu la utopica età dell'oro, l'Atlantide, i Nephilim si fossero ribellati al potere dei 'padri' Titani in una sorta di guerra civile pro-tempore in cui i Sapiens diventavano eserciti, pedoni di una ipotetica scacchiera.
Zeus che combatte contro Crono. Davide (biondo) che combatte contro Golia (titanico gigante anakita). Thor (il rosso) e Odino (il biondo) che combattono contro l'equivalente dei Titani greci nella mitologia norrena.
I biondi (o rossi) Nephilim contro i 'vecchi' Titani Anunnaki in guerra tra di loro per diventare gli Elohim, gli Dei e regnare incontrastati sugli Uomini Sapiens Sapiens nei millenni a venire.
Fonti
Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni, Edizioni di Ar, Padova 1978.
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