venerdì 1 agosto 2014

L’Impero dei Khazari e le origini dimenticate

Articolo a firma di Nicola Bizzi tratto dal link posto in fondo

Un pagina di storia volutamente rimossa e dimenticata ci insegna quanto sia assurdo e insensato definirsi oggi “antisemiti”. Chi oggi, stupidamente, si definisce “antisemita” e predica l’”antisemitismo” si dimostra profondamente ignorante dal punto di vista storico.

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A prescindere dalla versione mitologica biblica (Genesi X-XI) che indica come discendenti di Sem, figlio del patriarca Noé, tutta una serie di nazioni dell’area del Vicino Oriente Antico, e dalle analisi scientifiche che mostrano come i popoli genericamente indicati come “semiti” condividano una notevole affinità che confermerebbe la discendenza da antenati comuni, quello semita viene generalmente riconosciuto dagli storici come un vasto ceppo linguistico che comprende l’Arabo, l’Ebraico, l’Aramaico e le antiche lingue ugaritico-cananee (da cui discesero gli idiomi parlati dai Fenici e dai Cartaginesi), l’Amarico, l’Accadico, l’Assiro e l’Amorreo. Quindi anche i Cananei e gli Amorrei parlavano lingue appartenenti a questo gruppo, benché nella Genesi vengano descritti come “figli di Cam”. Al ceppo semita sono inoltre riconducibili gli idiomi parlati a Malta e a Socotra, nell’Oceano Indiano. Non erano invece assolutamente semiti, dal punto di vista linguistico, i Sumeri, i Filistei, gli Hittiti ed i popoli egeo-lelegici della costa anatolica quali i Misi-Troiani, i Lidi, i Lici, i Cari, etc.

Ritengo quindi, personalmente, che il concetto di “semita” sia da intendersi prevalentemente dal punto di vista linguistico, come dovrebbe essere del resto per il concetto di “indo-europeo”, per quanto alcuni archeologi la pensino diversamente. Quello indo-europeo è infatti un ceppo puramente linguistico. Non sono esistiti nell’antichità popoli indo-europei, ma popoli che parlavano o che adottarono idiomi del ceppo indo-europeo.

Dirsi oggi “antisemiti” sarebbe un po’ quindi come dirsi anti-fenici, anti-assiri o anti-maltesi, oppure anti-arabi o anti-ebrei, anche se, volgarmente, questo concetto viene comunemente applicato all’ultima di queste accezioni.

Altra cosa è invece l’anti-sionismo, ovvero l’opposizione ad una ideologia relativamente giovane (è nata infatti nel 1887). Non si deve quindi assolutamente confondere l’anti-sionismo con l’anti-semitismo. Mentre il secondo rappresenta già di per sé una contraddizione dal punto di vista semantico e viene generalmente perpetrato con finalità razzistiche o discriminatorie, l’anti-sionismo rappresenta invece la legittima opposizione ad una ideologia nazionalista e dai connotati razzisti. 

Tanto per fare un esempio, il Partito Comunista Italiano, di cui l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato uno dei massimi dirigenti, si è sempre apertamente dichiarato, nella sua linea politica, anti-sionista. Lo stesso Napolitano che oggi confonde volutamente, nei suoi discorsi pubblici, i due termini, arrivando addirittura ad accumunarli nel medesimo significato. Eppure sono moltissimi, non solo in Israele ma anche negli Stati Uniti, gli Ebrei che rifiutano il Sionismo e che si oppongono strenuamente a questa ideologia.

Per poter comprendere cosa sia in realtà il Sionismo e quali ne siano i reali scopi ed obiettivi, è necessario fare un passo indietro nella storia e prendere atto di una verità “scomoda” e troppo a lungo taciuta.

Il Sionismo è stato ufficialmente fondato nel 1897 da Teodor Herzl, un giornalista ebreo ashkenazita con cittadinanza austriaca, con l’obiettivo di instaurare in Palestina un prosaico stato ebraico. Si è però fin dall’inizio dimostrato nei fatti un pericoloso movimento nazionalista ashkenazita, caratterizzato da un marcato razzismo verso le culture dei popoli e delle nazioni non appartenenti al suo modello di “civiltà”.

Come hanno avuto il coraggio di ammettere nei loro studi alcuni intellettuali di fede ebraica, tra cui Arthur Koestler, la stragrande maggioranza di quella che oggi viene considerata la popolazione “ebraica” mondiale non ha alcun legame storico con la terra di Israele. 

Essa non discenderebbe, infatti, dall’Israele biblico, bensì dall’antico popolo dei Khazari, stanziato già attorno al VII° secolo in quella grande regione oggi corrispondente alla Russia meridionale e all’Ukraina, fino alle montagne del Caucaso. Si tratta di una grande verità storica sempre accuratamente taciuta dai vertici sionisti, in quanto, come ha apertamente sottolineato Alfred M. Lilienthal, ex funzionario del Dipartimento di Stato U.S.A., essa rappresenta di fatto “il tallone di Achille di Israele”, perché dimostrerebbe come le rivendicazioni territoriali dei sionisti sul territorio della Palestina non avrebbero in realtà alcun fondamento storico oggettivo.

La maggior parte delle informazioni sui Khazari in nostro possesso deriva dall’antica storiografia araba, ebraica, armena e bizantina, da antiche leggende slave e, soprattutto, dalla notevole quantità di reperti archeologici che questo popolo ci ha lasciato e che ci fornisce molte informazioni sul suo sistema socio-economico e sulle sue credenze religiose. 

Sappiamo, ad esempio, che veneravano il fallo e che celebravano riti che prevedevano sacrifici umani. Come gran parte dei popoli originari delle steppe, i Khazari professavano una religione sciamanica basata sul culto di Tingri, il Dio creatore della natura, con alcuni influssi chiaramente derivanti dal confucianesimo. La loro area di stanziamento, però, soprattutto nelle città greche sul Mar Nero e nella zona della Crimea era, fin dal periodo precedente alla Diaspora, fortemente abitata da popolazioni ebraiche, tanto che in alcuni distretti, già alla fine del VII° secolo, gli Ebrei formavano la maggioranza della popolazione.

Il  nome “Khazar” sembrerebbe derivare dalla radice turca “qaz”, che significa “vagabondare”. Come sottolinea Lawrence M. F. Sudbury, come per le loro origini nomadiche, anche per quanto riguarda tutta la iniziale storia khazara di stanziamento nell’area a sud dell’odierna Russia, le certezze sono molto poche. Certamente i Khazari dovevano essere parte dell’impero Göktürk, fondato dal clan Ashina dopo la loro vittoria contro gli Juan nel 552. Molto probabilmente, quando le guerre tribali portarono alla frantumazione di tale impero e allo sviluppo di numerose confederazioni minori, i Khazari rimasero fedeli agli Ashina, tanto che nel 670 li troviamo in guerra contro i Bulgari, della cui migrazione verso occidente furono probabilmente causa.

É in questo periodo che i Khazari divengono indipendenti (pur mantenendo molte delle istituzioni del vecchio impero) e fondano un loro khanato con capitale prima a Balanjar (oggi identificata con il sito archeologico di Verkhneye Chir-Yurt), poi, intorno al 720, a Samandar, città costiera del Caucaso settentrionale, infine, verso il 750, a Itil (oggi Atil), ai margini del Volga, che rimase il cento amministrativo del loro regno per più di 200 anni.

I Khazari arrivarono a controllare un impero esteso e potente che si estendeva per buona parte della Russia e che aveva come naturali confini il Mar Nero, il Mar Caspio, i Monti Urali e la Catena del Caucaso, confinando a Sud-Ovest con l’Impero Bizantino, a Nord-Ovest con la Rus’ di Kiev, a Nord con le terre abitate dai Bulgari del Volga ed a Sud-Est con la Persia. Erano per lo più commercianti e “mediatori” e riscuotevano le tasse sulle merci che attraversavano le loro terre, beneficiando della posizione strategica del loro territorio, attraverso il quale passavano le rotte fluviali che dal Mar Nero conducevano sul Mar Baltico. Il Khanato di Khazaria era così continuamente attraversato da mercanti norreni, greci, arabi, bulgari e persiani diretti a Nord e a Ovest e divenne un importante centro economico e politico, luogo di incontro e di reciproco influsso tra lingue, culture e religioni diverse (Islam, Cristianesimo, Animismo, Ebraismo).

In questa prima “fase nazionale” i Khazari dovevano essere già divisi nelle due caste dei Khazari bianchi, guerrieri e nobili con supremazia territoriale e dei Khazari neri, artigiani e commercianti sottomessi ai primi, dovevano aver già adottato il sistema turcomanno di successione monarchica, che prevedeva la presenza di un potere dualistico, con un re supremo (kargan) e un comandante dell’esercito (bek), e stavano per compiere quello stranissimo processo storico-religioso che li avrebbe resi un unicum nella storia: la conversione di massa all’Ebraismo.

Attorno al 740 d.C., infatti, il Khan khazaro Bulan si convertì all’Ebraismo, imponendo tale religione a tutte le popolazioni dei suoi domini. Ciò determinò una brusca rottura con il passato, in quanto, sino ad allora, il khanato khazaro, oltre ad essere rinomato per la sua ricchezza, era noto per la sua tolleranza religiosa. I kargan del khanato, infatti, intrattenevano relazioni commerciali e politiche con tutti i paesi circostanti e permettevano libero culto a chiunque, addirittura lasciando che ogni gruppo religioso basasse il proprio sistema giuridico sui propri dettami religiosi.

Narrano le leggende che Bulan fu spinto a compiere la propria conversione da alcuni sogni e rivelazioni “divine”, ma si trattò più verosimilmente, come concordano molti storici, di una mossa politica tesa a evitare che il suo regno venisse assorbito dal mondo cristiano da una parte e da quello islamico dall’altra. Non dobbiamo dimenticare che l’impero khazaro si trovava chiuso tra due grandi popolazioni in costante crescita: i Mussulmani a Est ed i Cristiani ad Ovest. Entrambe le religioni, pur con numerosi esempi di intolleranza interna, vedevano nell’Ebraismo un predecessore dei propri culti e l’istituzione di uno stato ebraico poteva dunque rappresentare, agli occhi di Bulan, anche un buon espediente per mantenere una specie di neutralità nel grande scontro che stava sviluppandosi.

Per meglio comprendere i motivi alla radice della “conversione” khazara, dobbiamo anche tener presente la situazione delle comunità ebraiche che a quel tempo vivevano in quella regione. Gli Ebrei, perseguitati a Bisanzio da Eraclio, Giustiniano I°, Giustiniano II°, Leone III° e Romano I°, in Persia dai Sassanidi (soprattutto dopo la rivolta di Mazdak) e, successivamente, anche se in forme minori, dagli islamici, cercarono rifugio in massa laddove già esistevano ricche comunità di loro correligionari e notevoli possibilità di instaurare fiorenti commerci. 

Questi esuli finirono ben presto per formare, nel contesto del Khanato di Khazaria, una sorta di elite mercantile che si trovò ad avere stretti contatti con l’aristocrazia locale, favorendone così la conversione. Sicuramente verso la fine dell’VIII° secolo, le famiglie reali khazare e la nobiltà si erano già convertite in massa all’Ebraismo, seguite da buona parte della popolazione. Le proporzioni di tale conversione popolare rimangono tuttora incerte: lo storico arabo Ibn Al-Faqih riporta, nel X° secolo, che tutti i Khazari erano ebrei, ma è più probabile che il fenomeno avesse interessato particolarmente i Khazari bianchi, sebbene le odierne indagini archeologiche sulle sepolture tendano a mostrare che tra l’850 e il 950 almeno il 70% della popolazione utilizzasse inumazioni israelitiche.

Dopo l’830, comunque, l’Ebraismo divenne sicuramente religione di stato dal momento che numerosi ritrovamenti numismatici riportano nomi ebraici (Zaccaria, Isacco, Sabriele, Obadiah, etc.) scelti dai re al momento della loro incoronazione. É difficile dire di che tipo di Ebraismo si trattasse, ma alcuni ritrovamenti a Rostov fanno pensare ad un ruolo centrale esercitato dall’istituzione del Tabernacolo e ad un culto molto prossimo a quello descritto nell’Esodo. Sicuramente i Khazari instaurarono strette relazioni con tutte le comunità ebraiche del Levante e della Persia (tanto che gli ebrei persiani chiesero espressamente ai kangan khazari di occupare il Califfato, insorgendo per “distruggere Babilonia”) ma anche con comunità più lontane, come testimoniano carteggi tra ebrei khazari ed ebrei spagnoli.

É probabile che i governanti khazari si vedessero come una sorta di protettori internazionali dell’Ebraismo, spesso compiendo ritorsioni sui Musulmani e i Cristiani dei loro territori qualora le persecuzioni anti-ebraiche all’estero raggiungessero picchi troppo elevati. Sappiamo, ad esempio, dallo storico persiano Ibn Fadlan che quando gli islamici, intorno al 920, distrussero una sinagoga in Persia, il re Samuele II° fece abbattere il minareto di Itil e lapidare il muezzin, dicendo che, in caso di ulteriori danni alla comunità ebraica, avrebbe fatto radere al suolo la moschea della città. Allo stesso modo, durante la persecuzione di Romano I°, il governo khazaro si vendicò attaccando e distruggendo i possessi bizantini in Crimea.Veniamo così alla complessa questione delle relazioni internazionali del khanato ed al suo ruolo di “scudo” contro la penetrazione islamica in Occidente.

La prima importante apparizione della Khazaria sulla scena internazionale si ha in una campagna di supporto del kangan Ziebel a Bisanzio contro i Sassanidi persiani per il predominio in Georgia, a metà circa del VII° secolo. 

Da quel momento in poi, il conflitto con i regni orientali divenne praticamente una costante della storia khazara. Per tutto il VII° e l’VIII° secolo i Khazari combatterono una serie di guerre conto il Califfato Omayyade che tentava di espandere la sua influenza verso il Caucaso, risultando quasi sempre vincitori. I raid contro il Kurdistan e l’Iran divennero sempre più frequenti e numerose risultanze provano che, probabilmente in alleanza con i Turcomanni, i Khazari riuscirono ad allargare notevolmente i confini del khanato. Già verso la fine del VII° secolo tutta la Crimea era stata occupata, tanto che vi sono prove della presenza di un governatore (tundun) khazaro a Cherso già nel 690, nonostante la città fosse nominalmente sotto il dominio bizantino e che verso la metà dell’VIII° secolo anche i Goti della penisola vennero sottomessi e la loro capitale, Doron, occupata.

L’alleanza con Bisanzio divenne sempre più stretta, tanto che quando Giustiniano II°, nel 704, venne esiliato a Cherso, scappò in Khazaria e sposò la sorella del kagan Busir (sebbene poi, per l’appoggio fornito da questi all’usurpatore Tiberio III°, dovette rifugiarsi in Bulgaria), mentre nel 711 l’imperatore Filippico ebbe proprio i Khazari come maggiori sponsor per la sua ascesa al trono. L’imperatore Leone III° arrivò addirittura a dare in moglie suo figlio Costantino (poi Costantino V° Copronimo) alla principessa khazara Tzitzak e, non a caso, loro figlio Leone IV° passò alla storia con il soprannome di “Leone il khazaro”.

Nel frattempo le ostilità con il Califfato continuavano: il principe khazaro Barjik invase l’Iran nord-occidentale e, nel 730, sbaragliò le forze omayyadi a Ardabil, per poi venire ucciso sette anni più tardi nella disfatta di Itil, che venne occupata brevemente (l’instabilità politica del Califfato non permetteva occupazioni di lunga durata) ma venne poi liberata nel 740 (e alcuni storici ritengono che l’idea dell’assunzione dell’Ebraismo come religione di stato cominciasse in questo periodo e fosse, in qualche modo, legata all’asserzione di indipendenza del khanato).

Anche se i Khazari furono in grado bloccare per qualche anno l’espansione araba verso l’Europa Orientale, furono poi costretti dal soverchiante numero delle truppe nemiche a ritirarsi a ovest del Caucaso, in un’area delimitata dal Mar Caspio a est, dalle steppe del Mar Nero a nord e dal Dnieper a ovest, dove, però, riuscirono a fortificarsi, tanto che gli Abbasidi, subentrati agli Omayyadi, decisero di porre fine alle ostilità (sebbene qualche attacco in territorio nord-iraniano continuasse ad essere portato da milizie khazare anche negli anni successivi) con un matrimonio tra una principessa khazara ed il governatore militare abbaside dell’Armenia nel 758.

Da quel momento in poi, le relazioni con la Persia furono sempre più cordiali e il khanato visse una costante ascesa, tanto che, nel momento del suo massimo apogeo, nel IX° secolo, Slavi orientali, Magiari, Peceneghi, Burti, Nord Caucasici, Unni e numerose altre tribù erano tributari diretti dei Khazari e che il Caspio veniva denominato geograficamente come “Mare khazaro” (termine che rimane a tutt’oggi in lingua araba).

Nel suo ruolo di “stato cuscinetto”, in questo periodo, la Khazaria diventa sempre più importante ed internazionalmente riconosciuta per la sua ricchezza, produttività (manufatti khazari sono stati trovati in tutte le aree mediorientali e in numerosi siti archeologici balcanici) e tolleranza verso qualunque popolazione, tanto da instaurare in tutta l’area caspica quella che passò alla storia come “Pax khazarica”.

Come poté, dunque, accadere che in brevissimo tempo uno stato così potente sparisse praticamente nel nulla?

Le ragioni furono molteplici. In primo luogo, già alla fine del IX° secolo, una guerra civile interna, mossa da tre clan detti “dei Kabari” in alleanza con alcuni clan magiari e in rivolta contro il bek dell’epoca devastò intere aree del paese prima di essere sedata.

Successivamente, una guerra contro i Peceneghi che si erano ribellati al vassallaggio, pur vinta, mosse questa popolazione verso Nord-Ovest, spingendo i Magiari fuori dai confini del regno e creando una pericolosa “zona vuota” nelle steppe a nord del Mar Nero.

Nel frattempo, le relazioni diplomatiche con Bisanzio si erano lentamente ma costantemente indebolite, tanto che le cronache arabe di inizio X° secolo ci parlano di una ribellione di alcune popolazioni sottomesse “appoggiate e aiutate” dai “Mqdwn” (cioè i Macedoni, come venivano spesso chiamati i Bizantini in arabo) e di una invasione alana non bloccata, come era accaduto fino a quel momento, dall’Impero d’Oriente.

Ma la vera causa della morte del khanato ha un nome ben preciso: Rus. Originariamente i Khazari erano alleati di varie fazioni norrene stanziate nella zona di Novgorod ed è piuttosto certo che la politica dei Rus venisse fortemente influenzata dai Khazari, con cui i Norreni condividevano traffici commerciali (in particolare per quanto riguarda il diritto di navigazione sul Volga) e l’ostilità più o meno latente verso le popolazioni arabe.

Intorno al 960, la connivenza piuttosto esplicita del governo khazaro con i continui saccheggi dei Variaghi contro le città musulmane del Caucaso meridionale portò ad una rivolta interna da parte della minoranza islamica del khanato, evidentemente ancora piuttosto numerosa. Per far fronte a questa emergenza e sedare la rivolta, la nobiltà ebraica decise un mutamento radicale di alleanze e chiuse le rotte di navigazione sul Volga per tutti i Rus, tentando di forzare un intervento degli Arabi (tanto che il kangan Giuseppe I° scrisse al governatore Hasdai Ibn Shaprut: “Devo per forza muovere guerra [ai Rus], perché se dessi loro la minima possibilità, devasterebbero ogni lembo di terra fino a Baghdad”) che però non arrivò mai.

A questo punto, Oleg di Novgorod (che già aveva tentato incursioni in Khazaria intorno al 940, risultando sempre sconfitto) e Sviatoslav di Kiev cominciarono una serie impressionante di attacchi ai domini khazari, spesso portati con l’assenso e l’aiuto di Bisanzio.

Rimasti soli, con continue rivolte di tutti gli alleati e i tributari che si andavano via via affrancando, i Khazari tentarono una disperata resistenza contro le numerosissime bande Rus, ma Sviatoslav riuscì a conquistare le fortezze di Sarkel e Tematarkha nel 965 e ad occupare Itil nel 969, ponendo fine all’impero khazaro.
Un viaggiatore scrisse che ad Itil, dopo l’attacco dei Rus, “non rimase neppure un acino d’uva, né una sola foglia sugli alberi”.

 In breve i Khazari si dispersero lungo tutta l’area caspico-caucasica e vennero assorbiti dalle altre popolazioni fino a quel momento loro sottomesse. Così ebbe fine una esperienza di governo, di diplomazia (spesso “armata”) e di tolleranza politico-religiosa (pur nel quadro di un imperialismo normale per l’epoca) che non ebbe paragone nel mondo mediorientale nei secoli successivi.

Ci siamo chiesti, poc’anzi, com’è possibile che uno stato così potente possa essere scomparso, nel giro di pochi anni, praticamente nel nulla. E, con dati storici alla mano, abbiamo tentato di risolvere questo interrogativo, fornendo delle risposte plausibili ed obiettive.

Ma vi è un secondo interrogativo, per certi versi molto più inquietante ed emblematico del primo, al quale è nostro dovere cercare di trovare delle risposte: è possibile per la storia dimenticare quasi completamente l’esistenza di un popolo? Sembrerebbe incredibile, ma per quanto si provi a sfogliare l’indice di un qualsiasi testo scolastico alla ricerca delle vicende del popolo khazaro e della storia di un impero che, per oltre due secoli, ha influenzato le vicende di Europa, Asia e Medio-Oriente, non se ne trova traccia. Sembra quasi che, al di fuori di ristrettissimi ambiti accademici e universitari (prevalentemente dell’Europa dell’Est), non si debba parlare della storia dei Khazari. Benché esista una fiorente letteratura a riguardo (per chi ha la volontà e la pazienza di consultarla), certi fatti storici sono sempre stati volutamente fatti passare sotto silenzio, soprattutto sui libri di scuola, perfino in ambito universitario. Perchè si può parlare liberamente dell’Impero Macedone, dell’Impero Romano, dell’Impero Bizantino, dell’Impero Ottomano, e non dell’Impero Khazaro?

La risposta a questo e a molti altri interrogativi sta probabilmente nel fatto che le popolazioni del dissolto impero khazaro, per quanto molte di esse vennero assorbite dall’Orda d’Oro, iniziarono a migrare, diffondendosi principalmente nelle terre slave dell’Europa centro-orientale, gettando le basi di quelle che diverranno le principali comunità ebraiche di quelle regioni.

Ciò che storicamente accadde in quel periodo è che il popolo conosciuto da secoli come “Khazaro” divenne il popolo “Ebreo”, e da lì iniziò una vera e propria operazione di occultamento della vera origine degli Ebrei europei, e venne diffusa una storia artefatta, basata sull’idea che essi fossero gli Ebrei biblici. E questa credenza erronea vige ancora oggi agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, trovando sorprendentemente più critiche e opposizioni in ambito ebraico, piuttosto che nell’ambito della cultura dei “Gentili”, ovverosia dei non Ebrei.

Vi sono tutti gli elementi per dimostrare che gli Ebrei conosciuti come Ashkenaziti (oltre il 90% degli Ebrei del mondo) discendono dai Khazari, mentre gli Ebrei Sefarditi, esigua minoranza, sarebbero gli unici ad avere un’origine semitica e medio-orientale.

É paradossale quindi constatare come il Sionismo, un movimento ebraico a forti connotati nazionalistici e razzisti, non sia stato creato dai legittimi eredi di Re Salomone, bensì dagli eredi ashkenaziti di tribù turcomanne, la cui patria non era il Mar Morto, bensì il Mar Caspio.

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