Nel 1958 il prof. Morton Smith della Columbia University rinvenne una lettera contenente un frammento del Vangelo di Marco presso un monastero in Gerusalemme.
Tale frammento non era stato perso ma volutamente celato dal vescovo Clemente di Alessandria, uno tra i più venerati Padri della Chiesa delle origini, che sembra avesse ricevuto notizia da un tal Teodoro, suo discepolo, circa il diffondersi dell'eresia promossa dalla setta dei Carpocraziani.
Tale setta sembra interpretasse il Vangelo di Marco, secondo propri principi non in linea con l'ortodossia del tempo.
Di ciò Teodoro si lamentò con Clemente che, nella lettera rinvenuta, così rispose:
"Bene hai fatto a ridurre al silenzio gli innominabili insegnamenti dei carpocraziani. Perchè essi sono le stelle vagabonde di cui parla la profezia, che si allontanano dalla stretta via dei comandamenti e sprofondano nell'abisso sconfinato dei peccati della carne e del corpo. Perchè gloriandosi della conoscenza, come essi dicono, delle cose profonde di Satana, essi non sanno che così si gettano nel mondo infero delle tenebre della falsità e, vantandosi di essere liberi, sono divenuti schiavi di desideri servili. A costoro ci si deve opporre in ogni modo e interamente. Perchè se dicessero qualcosa di vero, chi ama la verità non deve, neppure in tal caso, essere d'accordo con loro. Perchè non tutte le cose vere sono la verità, e la verità che non sembra vera, secondo le opinioni umane, non deve essere preferita alla verità vera, quella in armonia con la fede."
In poche parole Clemente afferma che, nonostante gli avversari dicano la verità, essa deve essere smentita in nome della stabilità dell'impianto teologico faticosamente costruito!
Tale apologia della falsificazione (perfettamente coerente con i “santi principi” sostenuti dal già menzionato Eusebio di Cesarea) ben si concilia con l’implicito sostegno dato dallo stesso all’Evangelista Marco, del quale, come detto in precedenza, riferì che aveva trascritto nel suo Vangelo soltanto ciò che avrebbe potuto favorire lo sviluppo della fede aggiungendo altre cose.
La lettera continua trattando il Vangelo di Marco e l'abuso che di esso ne avrebbero fatto i carpocraziani.
"In quanto a Marco, dunque, durante il soggiorno di Pietro a Roma, scrisse una cronaca dei fatti del Signore, non già, tuttavia, narrandoli tutti, e neppure accennando a quelli segreti, bensì scegliendo quelli che giudicava più utili per accrescere la fede di coloro che venivano istruiti.
Ma quando Pietro morì martire, Marco venne ad Alessandria portando i suoi scritti e quelli di Pietro, e da essi trasferì nel suo libro preesistente le cose adatte a favorire il progresso verso la conoscenza. Egli, perciò, compose un Vangelo più spirituale a uso di coloro che venivano perfezionati. Tuttavia non divulgò ancora le cose che non dovevano essere dette, nè mise per iscritto gli insegnamenti gerofantici del Signore; ma alle storie già scritte altre ne aggiunse e inoltre introdusse certi detti dei quali, come mistagogo, sapeva che l'interpretazione avrebbe guidato gli ascoltatori nell'intimo santuario della verità celata dai sette (veli). Così, insomma, egli preordinò le cose, nè malvolentieri nè incautamente, secondo il mio giudizio, e morendo lasciò la sua composizione alla chiesa di Alessandria, dove è tutt'ora scrupolosamente custodita, e viene letta soltanto a coloro che vengono iniziati ai grandi misteri.
Ma poichè i demoni immondi tramano sempre la distruzione della razza degli uomini, Carpocrate, da loro istruito e usando arti ingannevoli, a tal punto asservì un diacono della Chiesa di Alessandria che ottenne da lui una copia del Vangelo segreto e lo interpretò secondo la sua dottrina blasfema e carnale e inoltre lo inquinò, mescolando alle parole immacolate e sante menzogne spudorate."
Clemente, dunque, ammette che esiste un Vangelo segreto ed autentico di Marco ma, nella parte della lettera che segue, ordina a Teodoro di negarlo!
"Perciò, come ho detto più sopra, non si deve cedere a loro, e quando propugnano le loro falsificazioni non si deve ammettere che il Vangelo segreto è di Marco, bensì lo si deve negare per giuramento. Perchè non tutto il vero deve essere detto a tutti gli uomini"
A questo punto Clemente, sempre nella lettera, riferisce parola per parola un passo del Vangelo segreto che Teodoro aveva il compito di negare per screditare i carpocraziani che ne stavano facendo un uso improprio con i principi imposti.
"A te, quindi, non esiterò a rispondere a ciò che mi hai chiesto, confutando le falsificazioni mediante le stesse parole del Vangelo, ad esempio, dopo "ed essi erano per via diretti a Gerusalemme" e ciò che segue, fino a "dopo tre giorni egli risorgerà", (il Vangelo segreto) contiene quanto segue parola per parola: "Ed essi giunsero a Betania dove era una certa donna, il cui fratello era morto. Ed ella venne, si prosternò davanti a Gesù e gli disse" figlio di Davide, abbi pietà di me". Ma i discepoli la rimproverarono. E Gesù, incollerito, andò con lei nel giardino dove era la tomba, e subito dalla tomba si udì giungere una grande grido. E avvicinandosi Gesù rimosse la pietra che chiudeva la porta del sepolcro. E subito, andando dove giaceva il giovane, tese la mano e lo fece levare, prendendolo per mano. Ma il giovane, vedendolo, subito lo amò e gli chiese di poter rimanere con lui. E uscendo dalla tomba entrarono nella casa del giovane, poichè egli era ricco. E dopo sei giorni, Gesù gli disse ciò che doveva fare, e la sera il giovane venne a lui portando un drappo di lino sulle sue nudità. E quella notte rimase con lui, perchè Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio. E lasciato quel luogo, ritornò sull'altra sponda del Giordano."
L'episodio è, senza dubbio, quello della Resurrezione di Lazzaro, altrove narrata soltanto nel quarto Vangelo!
In questa versione, tuttavia, ci sono alcune significative variazioni:
- il "grande grido" che proviene dalla tomba prima che Gesù rimuova la pietra: il giovane, dunque, non era morto e, di conseguenza, non è stato resuscitato, a meno di non riconoscere alla morte ed alla resurrezione un valore meramente simbolico e rituale;
- l'episodio evidenzia uno speciale rapporto tra Gesù e Lazzaro. Ciò può aver indotto i carpocraziani, inclini, come asserito da Clemente, alla soddisfazione dei sensi, a leggere tale rapporto in una chiave omosessuale.
In realtà come afferma lo stesso prof. Smith, è probabile che l'episodio si riferisca ad una vera e propria iniziazione misterica: morte e rinascita ritualizzate e simboliche secondo principi piuttosto comuni a quel tempo in Medio Oriente e, più in particolare, pienamente presenti nella fede e nelle liturgie degli esseni, mentre lo stretto legame di Gesù con Lazzaro deve essere visto in un probabile rapporto di stretta parentela.
Ma quale senso potrebbe avere la simulazione di una morte e di una resurrezione?
Del significato spirituale nascosto dietro le apparenze dei racconti degli Evangelisti non è possibile capire molto, e, se vogliamo prescindere dalla interpretazione storica di comodo dell’ortodossia cristiana, dobbiamo fare leva sulla conoscenza di linguaggi simbolici e, talvolta, di espressioni iniziatiche.
Abbiamo visto che il raggiungimento di quella che in oriente è chiamata illuminazione spirituale diventa spesso, nel linguaggio dei Vangeli, una rinascita o il passaggio dalla condizione di morte a quella di vita, cioè una resurrezione.
Sono da rammentare, a tale proposito, le molte frasi come "Non è un Dio dei morti ma dei viventi", "Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti", e le esplicite dichiarazioni che troviamo nei Vangeli gnostici sul significato della resurrezione: "Coloro che dicono che il Signore prima è morto e poi è risuscitato, si sbagliano, perché egli prima è risuscitato e poi è morto. Se uno non consegue prima la resurrezione non morirà, perché, come è vero che Dio vive, egli sarà già morto", oppure "Mentre siamo in questo mondo, è necessario per noi acquistare la resurrezione, cosicché, quando ci spogliamo della carne, possiamo essere trovati nella Quiete".
Assai spesso, nelle confraternite spirituali, il discepolo riceveva dal maestro un tipo di iniziazione che simulava una sorta di resurrezione.
Veniva realizzata in tutto e per tutto una scenografia funebre: l'adepto poteva essere avvolto in un panno funebre, poteva essere posto all'interno di una cripta, poteva trascorrervi tre giorni nel buio e nel silenzio, senza bere e senza mangiare (ma si trattava in realtà di non più di 36 ore, perché veniva seppellito la sera del primo giorno e riesumato all'alba… del terzo giorno).
Ciò era comune in Egitto, come in Palestina, in Caldea, in Persia, in India.
In alcuni circoli iniziatici orientali, ancora oggi la morte e la resurrezione non sono semplici esteriorità liturgiche, ma complesse e pericolose acrobazie associate ad uno stato di profonda catalessi e ad uno straordinario abbassamento del metabolismo basale, documentato anche dagli scienziati.
Tutto questo ci illumina sulla morte di Lazzaro: si trattò di qualcosa che, almeno in gran parte, ebbe a che fare con una simile cerimonia di iniziazione, comune all'interno della confraternita essena e riservata agli adepti avanzati.
Alla luce di questa interpretazione, trova spiegazione la noncuranza di Gesù quando, venendo a sapere della malattia di Lazzaro, invece di precipitarsi a Betania, si trattiene per due giorni sulle rive del Giordano. Trovano altresì spiegazione le parole dei discepoli (altrimenti oscure) "andiamo anche noi a morire con lui".
Il consiglio (anzi l'ordine) di Clemente fu accolto non solo da Teodoro ma da tutti coloro che vennero dopo. L'intero episodio di Lazzaro, inizialmente occultato e in seguito pericolosamente riapparso, è definitivamente sparito dal Vangelo di Marco e resta testimoniato soltanto nel quarto Vangelo, nel contesto del quale viene interpretato in chiave letterale.
Tale fatto è un significativo esempio di come, a fronte di esigenze teologiche e dogmatiche, anticamente si sacrificasse la verità a vantaggio della falsificazione opportunistica per motivi mistici.
Interessante questa eresia -
RispondiEliminamentre cercavo ulteriori notizie sulla setta dei Carpocraziani mi è tornata alla memoria , trovandovi molte analogie , quanto riporta Sinjavskij Andrej in" Ivan Lo Scemo"
http://books.google.it/books?hl=it&id=ezRTG7Z0S78C&q=Chlysty#v=snippet&q=Chlysty&f=false
Anche questa forma di religiosita fu perseguitata dalla chiesa ortodossa-
Ma personaggi come Tolstoy , Rasputin ,Gurdjieff hanno avuto modo di conoscerla -