Francia, 1920: Marcel Griaule è un giovane molto ben avviato negli studi, soprattutto in matematica, ha da poco prestato servizio come volontario nell’aeronautica francese e aspira al prestigioso Lycée Louis le Grande. Anche se il suo futuro sembra già segnato, il destino ha ben altri progetti per lui, una nuova strada che inizia a delinearsi quando, nello stesso anno, decide di partecipare a una conferenza. I relatori sono Marcel Mauss, antropologo, sociologo e storico delle religioni, e Marcel Cohen, linguista. Griaule rimane letteralmente folgorato e decide seduta stante di dedicarsi interamente allo studio dell’antropologia; tra il 1928 e il 1933 partecipa a due spedizioni etnografiche, e proprio in questo periodo (1930), entra in contatto con una misteriosa tribù africana: i Dogon.
L’occasione gli viene fornita durante un soggiorno di studio nel Mali insieme alla sua allieva Germaine Dieterlen, a sua volta allieva di Mauss e profondamente interessata allo studio dei miti antichi. Da quel momento nasce il mistero del Nommo, un antico retaggio del quale non possiamo approfondire le caratteristiche senza aver prima parlato del popolo Dogon.
Un popolo - molti misteri
I Dogon sono una tribù che vive in una landa desertica del Mali, in prossimità del confine con il Burkina Faso, luogo che li accolse dopo la loro fuga per sottrarsi alle pressioni espansionistiche dei grandi imperi medievali; ci troviamo quindi intorno all’anno 1000, durante le feroci battaglie sulle sponde del fiume Niger. Dei tanti misteri che circondano questo popolo si è già ampiamente discusso, quello che però ci interessa particolarmente ai fini dello sviluppo delle ipotesi contenute in questo libro, è la loro complessa cosmogonia, basata sulla fede in un dio creatore, Amma, e in una creazione prodotta dai movimenti dell’Uovo del Mondo. In base a queste credenze, i “Nommo”, gli otto progenitori dei Dogon, portarono sulla terra una cesta con dentro l'argilla necessaria per costruire i depositi di grano dei loro villaggi. Questa immagine, che a prima vista appare abbastanza semplice e priva di particolare significato, nasconde in realtà una conoscenza assai profonda dell’universo e dei corpi celesti.
Il granaio rappresenta l’universo, le sue scale simboleggiano sia le coppie di maschi e femmine che generarono i Dogon, sia le varie stelle e costellazioni: in tal senso troveremo le Pleiadi a nord, Orione a sud, la stella cometa a ovest. Tutto ebbe quindi inizio da una “cesta”, ovvero un contenitore che trasportava la vita. Ma la cosa che colpì maggiormente i due studiosi fu la constatazione che, nonostante i Dogon fossero entrati in contatto con la nostra civiltà in tempi abbastanza recenti (circa all’inizio del secolo), possedevano delle incredibili conoscenze di carattere scientifico ed astronomico. Alcune di queste conoscenze erano sicuramente frutto di un retaggio culturale vecchio di millenni, ma una, in particolare, presenta caratteristiche decisamente attuali, la dettagliata conoscenza riguardante la stella Sirio.
I Dogon erano infatti al corrente del fatto che Sirio è un sistema binario (cioè un sistema composto da due stelle, Sirio A e Sirio B); erano a conoscenza del fatto che Sirio B ruota intorno a Sirio A con un’orbita ellittica e in un periodo di tempo corrispondente a 50 anni; ma la scoperta sconcertante fu che i Dogon conoscevano l’esatta posizione di Sirio A all’interno dell’ellisse. Molti potrebbero chiedersi, cosa c’è di così sconcertante in tutto questo? Lo stupore nasce dal fatto che soltanto nel 1862 l’astronomo americano Alvan Clark dedusse l’esistenza di Sirio B utilizzando un telescopio, tra i più evoluti per quell’epoca, e non prima del 1970 si ebbe la conferma dell’esistenza di questa stella e si riuscì anche a fotografarla. Eppure i Dogon, già centinaia d’anni prima, ne erano a conoscenza, e non solo questo, chiamavano Sirio B con il nome di “Po Tolo”; questo nome è sicuramente il modo più azzeccato e sconvolgente per descrivere questo sistema, il termine Tolo, infatti, significa stella, mentre Po è riferito ad un cereale tipico del luogo che presenta la caratteristica di essere estremamente pesante nonostante le piccole dimensioni; espressione, quindi, quanto mai vicina alla realtà visto che Sirio B è una nana bianca e, in quanto tale, possiede una densità molta elevata.
Tutte queste informazioni sono praticamente inaccessibili senza una adeguata strumentazione astronomica, ed è inutile specificare che i Dogon non sono mai venuti in possesso di alcuno strumento del genere, ne ignorano addirittura l’esistenza. Ma il mistero non si esaurisce qui, i Dogon, infatti, sono soliti rappresentare il pianeta Saturno come circondato da una sorta di alone, dimostrando in tal modo che ne conoscevano gli anelli; in più erano a conoscenza che il pianeta Giove aveva intorno a se “quattro compagne”, che corrispondono esattamente alle sue quattro principali lune. Come se ciò non bastasse, raffiguravano la Terra come una sfera e dimostravano di sapere che questa sfera gira intorno al proprio asse ed allo stesso tempo, insieme ad altre sfere (i pianeti), intorno al sole; ultimo particolare a dir poco sorprendente è che i Dogon, o comunque gli anziani del villaggio, descrivevano la nostra galassia come una immensa forma a spirale, sappiamo benissimo che questo concetto iniziò ad essere divulgato dagli astronomi occidentali solo all’inizio di questo secolo. Per i Dogon Sirio B fu la prima stella creata da Dio e rappresenta il fulcro dell’Universo.
Da essa si sviluppò tutta la materia, comprese le anime, in seguito a un complesso moto a spirale, lo stesso che viene simboleggiato nei canestri intrecciati. Saturno è circondato da anelli, Giove ha quattro lune principali, così come quattro sono i calendari utilizzati: uno per il Sole, uno per la Luna, uno per Sirio e uno per Venere. Inutile dire che i Dogon ritengono una verità attestata da tempi remoti il fatto che i pianeti orbitano attorno al Sole. I Dogon, quindi, sanno ciò che, a rigor di logica, non dovrebbero sapere; le loro conoscenze non sono il frutto di antichi retaggi acquisiti osservando ad occhio nudo il cielo e le stelle come avveniva in altre civiltà, essi semplicemente “sanno”; questa è la parte più inquietante del mistero dei Dogon.
Il culto del Nommo
Una vecchia leggenda Dogon narra di quando il Dio dell’universo, Amma, inviò sulla terra il Nommo. Si trattava di una creatura metà uomo e metà anfibio, che atterrò nella terra della Volpe, un territorio a nord-est di Bandiagara, nella regione di Mopti; il Nommo era di colore rosso ma quando toccò terra divenne bianco.
Il nome Nommo deriva da una parola Dogon che tradotta letteralmente significa “far bene”; molto più spesso però questo essere viene ricordato come “Il Maestro dell’Acqua”, l’Ammonitore o il Distruttore. Questo forse in ricordo del fatto che il Nommo non poteva sopravvivere fuori dall’acqua. Non sappiamo esattamente come possa essere collocata questa figura nelle varie vicende che caratterizzarono la crescita di questo popolo, non è però altrettanto difficile identificare altre creature molto simili in diverse culture lontane non soltanto geograficamente ma anche rispetto ai vari momenti storici. Lo stesso tipo di creatura è infatti presente in una Storia della Mesopotamia scritta durante il III Secolo A.C. dal sacerdote Beroso; il suo nome era Oannes, il suo corpo era simile a quello di un pesce, viveva soltanto nell’acqua e aveva piedi simili a quelli dell’uomo. Si tratta forse di immagini riferite allo stesso evento?
Comunque sia, questa antica, quasi primordiale figura, occupa un posto di rilievo in tutta la cultura africana; non di rado, ad esempio, nelle zone più interne dell’Africa, persone appartenenti alle grandi religioni monoteiste si rivolgono ai sacerdoti dei vari villaggi perché, in situazioni di estrema difficoltà, invochino l’assistenza del Nommo. Non dimentichiamo infine il Dio pesce Dagon dei Filistei, e lo stesso simbolo del pesce con il quale i primi cristiani erano soliti rappresentare la divinità. Chiunque o qualunque cosa fosse, il Nommo continua ancora oggi ad allungare la sua ombra sul territorio africano, forse messaggero in attesa di poter svelare antiche verità a chi avrà il coraggio e la predisposizione d’animo per ascoltarle.
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