In un orizzonte storico che vuole dirsi epoca post moderna e che sempre più si configura come ére du vide, stagione narcotica in cui i più disparati modelli e linguaggi coesistono e si sovrappongono senza parlarsi, azzerandosi reciprocamente nel brusio di un onnivoro spettacolo massmediatico, per chi è più forte delle parvenze catodiche che cancellano ogni dimensione autenticamente interrogante e viatoria, assai preziosi si fanno i superstiti spazi sottratti all'inquinamento dell'effimero, quasi riserve dello spirito in cui siano ancora possibili percorsi d'anima che, riconnettendoci alle nostre prime profonde radici, ci permettono dì ritrovare il senso stesso della nostra presenza nell'oggi, del nostro essere in rivolta contro la morte.
Una di queste riserve sono gli scritti di Plutarco sul inondo animale; scritti sepolti, chiusi nel dimenticatoio. Sarebbe interessante far conoscere al lettore i perché di questo lungo, forzato oblio, ma non è questa l'occasione
Ho curato la prima edizione critica e organica degli scritti sugli animali di Plutarco non solo per recuperare Testi antichi di venti secoli, ma perché quei Testi costituiscono un buon fondamento, o se sì vuole, una buona tappa, un buon ancoraggio nel nostro navigare in questo plumbeo presente.
Credo con Plutarco che la filosofia abbia il compito di prendersi cura dell'umanità; che la pietà sia aurora della conoscenza e insieme porta dello giustizia. La giustizia non ha altre entrate.
Ha scritto di lui Montaigne: "È bastato clic vi gettassi uno sguardo perché mi crescesse una gamba o un'ala". Tempo fa cercavo un pensatore che potesse costituire una chiara indicazione utile al dibattito tra chi vuole davvero che la vita cambi (non per la chatterng class, la classe delle chiacchiere, il grande Circo Barnum degli ìntellettuali-in-servizio-permanente-effettivo), esca dal labirinto di sangue tappezzato di giustificazioni false, fatto di mattatoi e guerre. Affrontando seriamente lo studio del passato si conoscono compagni di secoli passati come amici, si scoprono scritti che non perdono mai la loro fertilità e il loro fascino, scritti che è bene possano percorrere la terra come un vento.
Delle superstiti Opere di Plutarco, tre costituiscono la prima alta difesa degli animali giuntaci, pressoché integra, dal mondo antico: Del mangiar carne, Le bestie sono logiche, L'intelligenza degli animali. Ho raccolto per la prima volta organicamente queste tre Opere straordinarie, insieme ad un altro importante scritto di Plutarco sul tema della giustizia verso gli animali.
Ho ricostruito il rapporto uomo-animale nel mondo antico chiarito il profondo significato filosofico della protesta di Plutarco e la viva attualità del suo appello, pensando di aiutare ogni movimento che lotta per l'ingentilimento del mondo. Anche la riflessione filosofica può aiutare a dissolvere la funerea barbarie, cancellare l'acefalo strapotere dell'esistente contro gli animali, gli uomini, la terra stessa. Vorrei che questa fatica fosse adeguatamente compresa.
Scrive Plutarco:
'Quando si vede un gran numero di uomini, vuoti d'intelletto e di ragione, e un numero ancora più grande superare in crudeltà, collera e avidità le più terribili bestie feroci tiranni assassini dei loro figli o dei loro genitori, esecutori di basse opere dì re, non è follia pensare che abbiamo dei doveri di giustizia verso questa gente, mentre non ne avremmo alcuno verso il bue da lavoro, il cane familiare, le pecore che ci danno il latte per nutrirci, la lana per venirci? Tutto c'o non è contrario alla ragione?
Plutarco è un tenace difensore dell'intelligenza degli animali nella stessa epoca in cui vissuto il Cristo. Egli afferma che tutta la vita intelligente per sua intrinseca natura: "Non vi può essere sensazione senza intelligenza. Se è vero che la natura ha posto in noi l'intendimento. come condizione necessaria della sensazione, non può esistere un essere capace di sentire, che non abbia nello stesso tempo la facoltà dì comprendere".
Per Plutarco intelligenza e conoscenza sono intrinsecamente, strutturalmente necessarie al vivente; esso infatti, senza intelligenza e conoscenza, non può neppure sopravvivere o semplicemente accorgersi di se stesso, riconoscersi nelle sue possibilità. Intelligenza e conoscenza costituiscono una sorta di costrizione biologica essenziale in ogni essere vivente. Contro quelli che negavano tutto questo, come gli Stoici, Plutarco usa toni aspri.
'Bisogna essere gente alquanto stupida per affermare che gli animali non provano né piacere né collera né paura, che ignorano sia l'anticipazione che il ricordo: seconda costoro, tutto accade come se l' ape avesse memoria, come se il leone diventasse collerico, come se la cerva avesse paura. Cosa risponderebbero se dicessimo a questa gente che non vedono e non intendono niente, ma che tutto avviene come se essi vedessero e intendessero, come se gridassero, come se, infine, vivessero, mentre di fatto sono morti?".
Dura e magnifica contestazione ante litteram di Descartes e del pio Malebranche che, sedici secoli dopo nella sua ponderosa quanto povera Recherche de la Vérité giunge a fare, sulla scorta dei santi Padri e della scienza cartesiana, una straordinaria scoperta: "Gli animali mangiano senza piacere, gridano senza dolore, crescono senza saperlo, non desiderano niente, non temono niente, non conoscono niente".
Plutarco scrive che il togliere la ragione, la memoria, il sentimento agli animali è funzionale alla riduzione di questi ultimi a cose, a strumenti creati dalla natura o da dio per l'uomo. Quanti degli argomenti che non riconoscono che la vita è vita che vuole vivere non sono tratti dal pensiero, ma dalle cucine e dalle cantine! Scrive Plutarco:
"Io mi chiedo stupito con quale sentimento, con quale stato d 'animo o in base a quale ragionamento il primo uomo abbia toccato con la bocca ciò che era frutto di un assassinio, abbia accostato alle labbra la carne di un animale morto e, poste dinanzi a sé tavole di corpi morti e corrotti, abbia chiamato pietanze e nutrimento quelle partì che poco prima muggivano, emettevano voci, si muovevano, vedevano il mondo. Come riuscì la sua vista a sopportare l'uccisione dì animali sgozzati, scorticati, fatti a pezzi, come il suo olfatto tollerò le esalazioni, come la contaminazione non dissuase il palato, quando egli toccò piaghe di altri esseri ricevendo umori e sieri putrefatti di ferite mortali?".
A quanti affermano che l'estensione della giustizia agli animali rende degradata la vita umana, Plutarco risponde che è piuttosto il mancato riconoscimento del loro diritto alla vita e alla giustizia a degradarla.
"Perché pensiamo di avere obblighi di giustizia verso uomini brutali e volgari, mentre non ne avremmo verso il bue da lavoro, il cane che ci aiuta a portare gli animali al pascolo, le pecore che ci danno il latte e la lana per nutrirci e vestirci ?".
Marguerite Yourcenar sembra ricordare proprio questo passo di Plutarco quando scrive:
"Se non avessimo accettato, nei corso delle generazioni, di veder soffocare gli animali nei vagoni-bestiame, o spezzarvisi le zampe, come succede a tante mucche e cavalli mandati al mattatoio in condizioni assolutamente infernali, nessuno, neppure i soldati addetti alla scorta, avrebbe sopportato i vagoni piombati degli anni 1940- 1945".
Con ciò il senso del recupero di Plutarco (e di altri) è palesato: legare con qualche spiga splendente il covone della memoria, della pietà, della giustizia; trasformare le rovine archeologiche in giardini, i frammenti e i Testi dimenticati dei filosofi in fiori di struggente bellezza. Che resti solo il passato che dà speranza.
Nessun commento:
Posta un commento