giovedì 29 settembre 2016

Religione, Etica e Metafisica in Star Wars

I grandi che hanno visto da piccoli la prima trilogia, tornano ad appassionarsene, mentre i più piccoli iniziano con trepidazione a immergersi per la prima volta in questo fantastico universo immaginario. Certo, perché si tratta un’ ottima saga, una delle più famose della storia del cinema, con una storia avvincente ed una trama intrigante; è certamente un’ ottimo prodotto culturale, ma non solo.
 
 
Star Wars è anche la riproposizione futuristica dell’onnipresente scontro tra il bene ed il male, e sicuramente è per questo che ha avuto un così grande successo: oltre che alle magistrali prestazioni dei grandi attori della serie (quali Harrison Ford, Liam Neeson, Christopher Lee, Evan McGregor, Alec Guinnes, Natalie Portman), e la sfrenata fantasia di George Lucas, ciò che tanto ci appassiona della serie è la mostra favolistica e affascinante di ciò che più da vicino ci riguarda: la irriducibile tensione tra il bene ed il male, vecchia come la vita stessa.
 
Nell’ universo di Guerre Stellari questi concetti (“bene” e “male”) sono espressi nella Forza, il potere salvifico che conferisce forza e saggezza ai cavalieri jedi , e nel suo lato negativo, chiamato appunto Lato Oscuro della Forza, da cui deriva il malvagio e degenerato, ma immenso, potere dei sith, i nemici naturali dei jedi.
 
Già questa piccola introduzione alle basi concettuali della storia è ricchissima di possibili collegamenti con la filosofia. Bisogna notare che il Lato Oscuro non sussiste di per sé stesso, come una forza altra, generata da una diversa sorgente, dalla Forza che assiste i Jedi, pur mantenendo con questa il più  acerrimo antagonismo.
 
Queste sono piuttosto da interpretare come la medesima forza (e infatti i poteri di jedi e sith sono perlopiù gli stessi). Non si tratta di un conflitto tra due istanza separate nello stile dello Zoroastrismo, ad esempio, o dello gnosticismo e del manicheismo.
 
Qui il male si staglia solo come degenerazione del bene, non è una forza propria, non ha una propria sussistenza indipendente, e si configura sempre in antitesi al bene che pure gli è necessario per istanziarsi. Il bene ha senso di per sé  stesso, il male no.
 
Qua si rende chiaro che il Bene, il Bene come tale, ha una supremazia inattaccabile e costituisce una destinazione salvifica certa per la vita tutta.
 
Questa è una delle risposte più belle della filosofia, che già avevano individuato grandi filosofi come Plotino ed Agostino.
 
A riprova della validità di questa chiave interpretativa, basterà rilevare che il male , nella serie, porta esso stesso il nome della Forza: è chiamato infatti Lato Oscuro della Forza; non accade invece il contrario. Il male ha senso solo sullo sfondo del bene e non viceversa: il Bene ha un potere quindi infinito e trascendente il male.
 
Ma cerchiamo di indagare più a fondo questa misteriosa Forza.
 
Non è certo facile, visto il misticismo che caratterizza il rapporto tra di questa ed i jedi , i quali ne parlano quasi solo per massime e aforismi; potremmo dire che la Forza è una qualche forma di tessuto cosmico, sospesa, come in bilico tra il fisico ed il metafisico: dal lato puramente fisico-scientifico, sappiamo grazie alle parole del maestro jedi Qui-Gon Jinn ne “La minaccia fantasma”, che la Forza “parla” ai jedi attraverso delle non meglio precisate cellule chiamate Midi-chlorian, organismi simbiotici che pervadono il sangue dei jedi e mediano una strana forma di comunicazione tra di loro e la Forza.
 
Anakin Skywalker fu scelto dal maestro proprio per la sua elevatissima concentrazione sanguigna di Midi-chlorian. Dal lato mistico-metafisico invece, la Forza manifesta un carattere onnisciente, è infatti capace di prevedere ogni fenomeno e conosce qualsiasi cosa, ed è la fonte della grande saggezza dei jedi; inoltre, suggerisce loro l’avvenire futuro od immediato di pericoli e tensioni; quando Anakin perde la madre ne L’attacco dei cloni Yoda percepisce il suo dolore nonostante si trovi addirittura in un altro pianeta. Infine, la Forza permette di interagire col mondo fenomenico in modo sovrumano: infatti jedi e sith sono in grado di far levitare gli oggetti, compreso il loro stesso corpo. Per gestire queste qualità sovrumane i jedi si allenano fin da piccoli nel controllo del corpo e della mente.
 
Non è facile proporre una qualsiasi ipotetica interpretazione filosofica di questo rapporto che lega uomini (e alieni, ovviamente) alla Forza. Essa li libra al di là dei fenomeni, è oltre lo spazio ed il tempo, eppure si occupa di “parlare” agli jedi che soli sanno ascoltarla; “Ci circonda, ci penetra, e tiene unita tutta la galassia” diceva Obi Wan a Luke nel quarto episodio. È una sorta di connessione, un intreccio, una compenetrazione appunto, tra un’intelligenza cosmica onnipresente e gli esseri finiti.
 
La Forza, somiglierebbe, in virtù di questi suoi specifici caratteri, e del suo rapporto benevolo col mondo fenomenico, simile al Dio dei cristiani. Infatti anche Esso è onnisciente e, pur avendo la perfezione completa e non necessitando di nulla, intrattiene rapporti coi mortali; anzi, la Bibbia è piena di casi in cui questo Dio, specie di ponte tra l’Essere e gli esseri, “parla” agli uomini, in modo assai simile alla Forza che ‘parla’ agli jedi. In effetti non mancano nella saga vari indizi che fanno sembrare quella degli jedi una vera e propria religione. Nel quarto episodio della saga uno degli alti ufficiali dell’Impero si riferisce ad un’ “antica religione” jedi prima di essere soffocato da Darth Vader attraverso la Forza.
 
È proprio questa figura oscura, quella di Darth Vader, ad aver caratterizzato maggiormente tutta la saga; la sua è una storia tristissima, quasi in linea con la tragedia greca piuttosto che con il cinema futuristico: Vader, prima conosciuto come Anakin Skywalker, è dapprima il più promettente tra gli allievi padawan dei jedi.
 
Dopo una giovinezza di confusione e tribolazione sentimentale, passerà al Lato Oscuro e arriverà ad uccidere il suo stesso maestro, Obi Wan Kenobi, nel quarto film della serie (il primo della prima trilogia). La figura di Anakin è ricchissima di spunti di riflessione filosofica sui temi della moralità e dell’etica: il giovane jedi, passionale e fortemente innamorato della moglie Padmé, inizia nel terzo episodio ad avere visioni della morte della sua sposa.
 
Tradisce i jedi, diventando allievo del signore oscuro dei Sith, che gli promette un potere tale da impedirne l’imminente morte. Anakin non controlla l’enorme potere della sua passione amorosa che lo porta a massacrare i jedi su ordine del suo nuovo maestro;  così si compie la sua trasformazione da eroe del bene a campione del male, da cavaliere jedi, a signore di sith. Tutto questo rovinerà la sua vita come quella di sua moglie, che morirà nonostante il suo nuovo potere; la morale di questa storia ha chiaramente a che fare con la lezione etico-morale di Aristotele.
 
Il ragazzo non controlla la sua passione, non la guida con la ragione, ma si lascia trasportare da essa fino alla totale malvagità. Non realizza il sinolo aristotelico di ragione e passione, che si chiama virtù. 
 
Proprio lo stesso Anakin, discutendo dei sith con il cancelliere della Repubblica, diceva, nel terzo episodio, che essi traggono potere dalle passioni, e si abbandonano all’egoismo; i jedi invece, continuava, usano il potere solo per il bene, senza farsi accecare dalle brama, e agiscono sempre con altruismo. Il rimando di tutto ciò alla filosofia morale è evidente.
 
Chi non controlla le sue passioni, anche quelle positive come l’amore, sconfinerà nel male; ciò purtroppo non accade raramente.
 
Ma questo è solo uno dei molti temi filosofici, di eccezionale rilevanza e portata, che ho intravisto in questa magnifica storia. Sicuramente è una delle saghe più memorabili e belle, in grado di appassionare sia grandi che piccoli, recando loro un importante messaggio.

http://www.lachiavedisophia.com/blog/religione-etica-e-metafisica-in-star-wars/

giovedì 22 settembre 2016

L'Autunno dell'Anima

Per alcuni l’autunno, con il suo meraviglioso foliage (fogliame), è una stagione che apporta un mood emotivo pregno di tristezza, nostalgia, malinconia. Per altri è invece la magia più alta che la natura possa esprimere nella sua circolarità. Anche nell’autunno c’è una gioia sommessa. Presto cercheremo di descriverla.
 
Autunno Psicologia
 
E’ ben noto in psicologia, soprattutto nella clinica, come il mutare del tempo e delle stagioni influisca a livello psicofisiologico su ognuno di noi, a diversi livelli.
 
Ciò è dovuto a una diversa serie di fattori metereologici che sono percepiti – volenti o nolenti – dalla nostra unità corpo-psiche, quali – primo tra tutti – la variazione temporale della luce diurna, che a sua volta ha effetti a livello neurotrasmettitoriale (e ormonale) su tutto il nostro corpo-psiche. Esistono anche diversi disturbi dell’umore legati al cambio delle stagioni, la stessa depressione ha una sua peculiare modalità nel cambio stagionale.
 
Affianco a – e nonostante – tutte queste evidenze scientifiche si pone un’altra realtà tanto umana quanto anch’essa scientifica, ovvero che molte persone – incluso il sottoscritto – provano stati di immensa serenità, a volte gioia, appagamento, rilassamento, rigenerazione quando l’autunno bussa alle porte di un’estate ormai finita: è come una vera e propria ri-nascita per molti.
 
E’ come se una certa primavera (che in genere rappresenta una rinascita) possa nascere anche in autunno. E’ proprio vero ciò che scrisse Nietzsche:
 
L’autunno non è una stagione,
ma uno stato d’animo

Per quanto sia questo un sentimento e una visione del tutto soggettiva, possiamo rintracciare però un parallelo analogo anche sul piano oggettivo e fenomenologico che stesso la Natura ci fornisce, e che rintracciamo in quel bellissimo e multivariegato foliage che l’autunno apporta. Quei tappeti di foglie autunnali di variazione di colore quasi infinita, quei tappeti di foglie tanto famosi in quelle peculiari regioni dell’America quali – prime tra tutte – il Vermont, i boschi del Maine così beatamente descritti dal naturalista H.D.Thoreau, il New England, Colorado, North Carolina.

Luoghi, questi, che potremmo dire hanno in sè una spiccata Anima Autunnale, un genius loci amante dell’autunno, che era molto ben colto da poeti e scrittori americani quali Emerson, Walt Whitman e il già citato Thoreau.
 
Autunno Psicologia 1
 
Si è sempre visto il foliage autunnale e l’autunno in sè – per quanto meraviglioso – come una metafora della morte e del decadimento in accezione del tutto negativa. Ma quanti poeti e scrittori hanno intravisto in questi tappeti di foglie autunnali qualcosa che è altro, o anche qualcosa che proprio in seguito alla stessa morte, al decadimento organico, è di per sè invece carico di spazio vuoto che accoglie una nuova vita che verrà, qualcosa che sta preparando una nascita, sommessamente, nell’invisibile, negli intermezzi di quei fruscii delle foglie che si salutano, cadendo…
 
L’autunno prepara in un certo senso quei germogli che la primaverà donerà. E’ quest’ultimo un pensiero che spesso sottolinea lo psichiatra junghiano Raffaele Morelli anche in ambito psicoterapico, trasportando questa metafora all’interno delle trame di vita individuali, laddove sono presenti vissuti pregni di disagi. E’ così anche nella vita psichica di un individuo accade la stessa cosa. Noi siamo inverni, siamo primavere, siamo estati, siamo autunni.
 
Siamo stagioni psichiche che ritornano, sempre, intermittenti. Nell’autunno noi spesso viviamo una dimensione psichica che è vicina alla nostalgia, alla malinconia, ad un sentimento di caducità dell’esistenza. E’ una metafora dell’esistenza psichica: molto di noi, dentro di noi, deve morire e decadere, preparasi ad una morte per lasciar spazio ai germogli che verranno in quella primavera che è archetipicamente promessa, inevitabile, imminente…
 
Imparare a vivere l’autunno come stagione esterna e interna, con tutte le sue malinconie, con tutta la sua nostalgia, depressione, introversione, solitudine, ma anche con tutti i suoi colori, i suoi odori naturali, le sue piogge. Quella sincronistica relazione tra cosmo e psiche è ben rappresentata proprio dal succedersi naturale delle stagioni, e anche l’Anima vive di stagioni.
 
Le cose più essenziali e durature crescono nel buio, nel silenzio, nell’invisibile. L’autunno prepara quella primavera che verrà.
 
Ma cosa ha a che fare un fenomeno naturale, come quello dell’autunno, di una stagione, con il mondo della psiche umana? Innanzitutto dobbiamo sempre tenere in mente che psiche è mondo, e mondo è psiche. Come disse Jung – e come sottolinea fortemente Hillman – noi tutti siamo realmente immersi nella psiche, più che averne una nostra è lei che ha noi, contenendoci.
 
Autunno Psicologia 2
 
Vi è dunque un autunno psichico, un autunno interiore. Vi è sempre un rapporto di sincronicità tra mondo e psiche individuale. Così come la vegetazione, gli alberi con le loro foglie, vivono un processo di maturazione durante l’autunno, così in noi qualcosa vive lo stesso processo, con lo stesso ritmo. Lo intuì già il poeta e filosofo Thoreau in Tinte Autunnali, quando scrisse:
 
Gli olmi…le loro foglie sono perfettamente mature. Mi chiedo se c’è qualche maturazione corrispondente nella vita degli uomini che vivono sotto di essi.
Così come nell’autunno inteso come stagione, analogamente anche nell’autunno interiore di ognuno di noi, possiamo notare che – sommessamente – qualcosa sembra che muoia, qualcosa sembra stia per andare via, qualcosa sembra stia per cadere, cade, proprio come le foglie si staccano dal proprio albero, così da noi cadono parti e frutti maturi che ormai non hanno più motivo di persistere nella loro forma, cade ciò che ha raggiunto la sua massima maturazione e che quindi deve mutare, morire, trasformarsi. E’ qui presente un antico mitologema che ci vive.
Ma questa caduta e questo morire è un cedere posto -a.
In questa caduta non vi è soltanto morte e fine.
 
L’autunno interiore è una trasformazione silenziosa e sommessa.
 
Thoreau Tinte Autunnali
 
E’ da qui che quasi sicuramente, io credo, nasce la gioia e quella dimensione di positività dell’autunno, una dimensione che sembra attraversare e farsi sentire maggiormente da alcuni individui con una certa tipologia psicologica[2] orientata all’introversione.
 
Vi è una certa magia inconfutabile in questa stagione, testimoniata da quei meravigliosi tappeti di foglie autunnali. Albert Camus colse bene questo aspetto altro dell’autunno e delle sue foglie, quando scrisse che:
L’autunno è una seconda primavera, quando ogni foglia è un fiore.
E’ questo vedere in ogni foglia un fiore che ci da testimonianza che, in fondo, qualcosa mentre muore sta anche preparando una rinascita, e quale miglior simbolo di quel qualcosa che ha da venire, se non quello del fiore? Quel fiore mistico dell’anima…
 
Noi dovremmo percepire profondamente che lo spirito dell’autunno porta in se la magia della morte che fa spazio al nuovo, soprattutto in termini psicologici. Dovremmo armonizzarci – come facevano gli antichi – a questi ritmi stagionali e conviverci parallelamente in termini psicologici, di stati interiori, quegli stati interiori tipici dell’autunno che abbiamo succitato, che molto spesso allontaniamo e rifiutiamo esclamando stupidi clichè come “Oh no! L’estate è finita”, “Il caldo se ne andrà ora arriva l’autunno!”, “Oh che noia e immobilità l’autunno”.
 
La psiche ha bisogno dei doni di questa stagione, quali l’introversione, la lentezza del tempo, un certo silenzio nell’aria, una certo focus alla caducità e all’impermanenza dell’inessenziale.
 
Riguardo poi le foglie autunnali (autumun leaves), in toni molto particolari, ce ne parla lo scrittore naturalista Thoreau, che – ricordiamolo – oltre ad essere un appassionato e profondo conoscitore della botanica, era un grande amante di quella ampia e vasta natura americana, dei suoi paesaggi (landscape), dei suoi boschi del Maine. Così ne parla nel suo Tinte Autunnali:
 
«E’ piacevole passeggiare sopra i letti di queste foglie fresche, croccanti, e fruscianti. Come vanno splendidamente alle loro tombe! Con quanta delicatezza si sdraiano e diventano terriccio! Dipinte di mille colori, e adatte a diventare i letti di noi che viviamo. Così marciano alla loro ultima dimora, leggere e vivaci. (…)
Esse ci insegnano come morire. Ci si chiede se potrà mai venire un tempo in cui gli uomini, con la loro vantata fede nell’immortalità, giaceranno con altrettanta grazia e maturità. (…)
Quando le foglie cadono, tutta la terra è un cimitero piacevole in cui passeggiare. Amo vagare e meditare su di esse nelle loro tombe. Qui non ci sono epitaffi mendaci o vani. Che importa se non possiedi un posto al Mount Auburn? Il tuo posto è sicuramente gettato da qualche parte in questo vasto cimitero, che è stato consacrato nei tempi antichi. Non hai bisogno di partecipare all’asta per assicurarti un posto. C’è abbastanza spazio qui…»

 
Thoreau aveva visto in quelle foglie dei veri e propri insegnanti naturali di vita, soprattutto quando scrive che esse ci insegnano a morire. E’ proprio ciò che finora abbiamo scritto sulla dimensione psichica dell’autunno, quel morire in termini psicologici, che come la clinica e la dinamica dell’inconscio ci insegna, è necessario e assolutamente vitale per far spazio e rinnovarsi, per far emergere il mondo sorgivo interiore che si prepara ad esistere, nostre nuove dimensioni vitali.

Per nascere veramente, occorre rinascere ci ricordava Aldo Carotenuto[3], e questa rinascita sembra – paradossalmente – incominciare già nell’autunno.
 
Queste stagioni di mezzo, autunno e primavera, che stanno per così dire tra inverno ed estate, sembrano essere – per l’occhio comune – nient’altro che stagioni preparatorie, ritualistiche, preludi fugaci all’inverno e all’estate che verranno, e per quanto nella nostra cultura contemporanea la dimensione del passaggio a qualcos’altro sia sempre meno vissuta, percepita, intuita, amata, dobbiamo invece realizzare che proprio in queste due stagioni – autunno e primavera – si cela forse – e timidamente – la vita tutta quanta.
 
Come un albero d’autunno cosi è l’uomo quando entra nell’autunno della sua vita: seppure a volte il freddo che la stagione comincia a portare sia inevitabile, a volte persistente, l’albero continua a vivere della sua linfa e con le sue radici, producendo foglie di una tinta meravigliosamente variegata, tinte che solo in quel periodo possono vedersi. Thoreau ricorda come sia davvero strano e curioso che proprio l’ultimo momento di vita della foglia che si stacca dall’albero, proprio questo momento di forte caducità, doni alla foglia matura il suo colore più bello che in natura si possa ammirare. Così anche l’uomo, quando entra nel suo autunno interiore, viene investito da un freddo sempre più crescente, e una strana solitudine lo obbliga a volgere l’occhio dentro.
 
autunno
 
Nonostante il freddo, quell’uomo, come l’albero fa con le sue foglie, produrrà sul suo volto i segni di un tumulto epico interiore – ma sommesso -, che proprio come le foglie d’autunno, avranno una loro storia e un loro futuro, segni che avranno una caratteristica del tutto particolare.
 
Cosi come l’albero in autunno anche alcuni uomini, nel loro autunno interiore, possono rilucere con una più peculiare intensità, con dei colori che presagiscono una rinascita imminente. L’autunno prepara quei frutti che verranno. Ognuno deve vivere il proprio autunno seppure gli sembrerà di un freddo e di una solitudine sempre crescente.
 
Ma come gli alberi toccano con i loro rami e le loro foglie quelli degli altri alberi, cosi noi, nel nostro autunno psichico, potremmo toccare e sfiorare l’autunno in un altro. L’autunno può essere anche romantico, vi si può accendere un piccolo fuoco dal quale proviene un pò di calore
 
autumn autunno
 
Bibliografia generale:
◾Henry David Thoreau. Tinte autunnali
◾Henry David Thoreau. Camminare
◾Henry David Thoreau.  La vita nei boschi
◾Henry David Thoreau. I boshci del Maine
◾G. Jung. Tipi Psicologici
◾G. Jung. Simboli della trasformazione
◾Aldo Carotenuto. Eros e Pathos
◾Walt Whitman. Foglie d’erba
 

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