lunedì 31 agosto 2015

Il Messianismo ebraico dalle origini al II secolo d.C. - di Paolo Sacchi

Per messianismo si intende la credenza ebraica che Dio garantisca la venuta di un uomo o di una serie di uomini, dotato o dotati di particolari carismi, in un certo giorno e con uno scopo voluto da Dio, per instaurare un mondo migliore. In questo articolo, una panoramica storica su questa credenza.

Messianismo

Già pubblicato in E. NACAMULLI - S. ROSSO - E. TURCO, Storia di un rapporto difficile. Ebrei e Cristiani nell’età antica, Torino, Amicizia Ebraico-Cristiana, 2003, pp. 59-79.

Melchidedek compie la sua offerta. Ravenna, Mosaici di San Vitale
Melchidedek compie la sua offerta. Ravenna, Mosaici di San Vitale

La parola “messia” è la trascrizione italiana della parola ebraica mashìah, che significa “unto”. Naturalmente l’unzione deve essere intesa in senso sacrale. Il rito dell’unzione non esisteva solo in Israele. E’ documentato anche presso gli egiziani e presso gli ittiti. In Egitto soggetto del rito era soltanto il faraone, dio sulla terra, che ungeva alti funzionari e vassalli. Quindi l’unzione sembra l’atto con cui il faraone conferiva in certi casi una certa autorità, faceva entrare l’unto nella propria sfera.

In Hatti invece il rito dell’unzione poteva variare sia quanto al soggetto, sia quanto all’oggetto. Unto era il re e non è chiaro chi fosse il soggetto del rito. Ma l’unzione poteva farsi anche per privati. Per esempio, poteva riguardare una schiava liberata o una fidanzata al momento del matrimonio. Anche oggetti di culto potevano essere unti. Probabilmente l’unzione marcava il passaggio da una sfera sociale a un’altra. Nel caso del re o di un oggetto destinato al culto, l’unzione gli conferiva la sacralità1.

Nell’Israele preesilico l’unzione riguardava soltanto il re. Pertanto il termine di “unto” indicava il re nel suo aspetto sacrale. Il re al momento dell’incoronazione, cioè quando assumeva la pienezza del potere, entrava in qualche modo nella sfera del divino. Un salmista in occasione di una intronizzazione si rivolge al nuovo re dicendo: «Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia» (Sal 45, 8). Il vero re d’Israele era YHWH e l’unto era colui che lo rappresentava sulla terra.

Il termine “messianismo”, come tutti i nomi astratti di questo tipo, non esiste nell’ebraico biblico. E’ stato coniato dagli studiosi per indicare una funzione di salvezza che alle origini era legata alla funzione del re in quanto rappresentante di Dio sulla terra, cioè Suo unto. Si può dire che il messianismo è una categoria costruita su due elementi fondamentali. Il primo consiste nel credere che Dio garantisca che ci sarà un uomo o una serie di uomini, dotato o dotati di parti­colari carismi, il quale o i quali verranno in un certo giorno con uno scopo voluto da Dio. Il secondo punto della cate­goria è dato dal contenuto di questo scopo che in linea generale può essere definito come l'instaurazione di un mondo buono. Ma le caratteristiche di questo mondo buono possono variare, e di fatto variarono moltissimo, fra una situazione storica e ideologica e l'altra.

Seguendo la logica di questa definizione, per illustrare il messianismo sceglierò passi, presi un po' da tutte le epoche, il cui testo sia sufficientemente chiaro per permettere una rico­struzione della storia su basi le più sicure possibile.

Prima dell’esilio

E’ idea comune che il passo che fonda il messianismo ebraico sia la profezia di Natan2, quale è narrata in 2Sam 7: "la tua casa e il tuo regno staranno saldi per sempre davanti a me3 : il tuo trono sarà stabile per sempre". A me sembra però che il testo abbia un valore essenzialmente politico, in quanto la profezia fonda una dinastia. Inoltre si tratta di un testo che, almeno nella forma in cui ci è giunto, è certamente molto poste­riore al fatto narrato e rispecchia essenzialmente l'ideolo­gia di salvezza del redattore dei libri storici4, che era un monarchico convinto.

Ha invece carattere prevalentemente religioso - ma in una società arcaica distinguere il religioso dal politico è molto più difficile che nella società odierna - il testo di Isaia 11, che inoltre ha il vantaggio di essere databile in maniera suffi­cientemente precisa: siamo intorno all'anno 700 a.C.5 Se al mes­sianismo ebraico vogliamo trovare un punto di partenza, a me sembra questo.

In questo passo Isaia afferma che verrà un "tempo buono" e che questo tempo buono sarà legato alla figura di un discendente di David dotato di particolari carismi. Abbiamo pertanto i due elementi fondamentali di ogni messianismo: il mondo buono del futuro e lo strumento umano, in questo caso un discendente della casa di David. Si parla perciò di messianismo davidico. Alle sue origini il messianismo fu regale e davidico.

"Un virgulto spunterà dal tronco di Yesse,
un virgulto spunterà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento;
con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.
Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,
cintura dei suoi fianchi la fedeltà"
(traduzione C.E.I.).

Funzione di questo re del futuro sarà quella di giudicare con giustizia i dallim "i miseri, oggi diremmo gli emarginati". Quindi stabilirà un regno dove ci sarà la giustizia, da intender­si in termini umani, ancora lontani dal mondo buono dell'apoca­littica, che avrà le caratteristiche della perfezione e dell'as­senza assoluta del male.

Più tardi, verso la fine del VII sec, troviamo affermazioni messianiche in Geremia e di un messianismo ancora davidico. In Geremia 23, 5 si legge: "Ecco, verranno giorni, oracolo del Signore, in cui farò sorgere a David un germoglio giusto. Egli governerà come re, sarà saggio ed eserciterà giudizio e giustizia sulla terra. Ai suoi giorni Giuda sarà salvo e Israele abiterà nella sicurezza". Anche in questo passo troviamo i due elementi fondamentali della categoria messianica: il futuro radioso e il personaggio che lo instaurerà sulla terra.

Durante e dopo l’esilio

Con Ezechiele (prima metà del VI sec. a.C.) cominciano le reinterpretazioni, le riletture delle profezie messianiche: il messianismo resta regale, ma non è più davidico. Il regno indipendente di David è finito: è pur vero che resta la speranza del ritorno ed Ezechiele di questa speranza è portatore vivace; è pur vero che esi­stono anche in Babilonia discendenti di David, quelli che Ezechiele spera che tornino sul trono; ma Ezechiele non è favorevole a una restaurazione pura e semplice del passato. Egli condanna in blocco il passato monarchico di Israele (45, 9) e vede, sia per motivi politici contingenti - Israele è sottomesso a Babilonia - sia e soprattutto per convinci­mento personale, l'Israele del futuro organizzato sotto due guide, due unti, il principe e il Sommo Sacerdote.

Il David storico diventa così pura figura del re ideale che verrà un giorno a salvare Israele: sarà questo il vero David. Si legge in 34, 23-24 "Farò sorgere su di loro un pastore, il quale li pascerà, il mio servo David: egli li pascerà e sarà per loro un pastore". Dunque, David, quello vero, deve ancora venire e sarà il pastore di Israele. Prima David era l'antenato del re-messia. Ora ne è diventato figura.

E ancora in 37, 24: "Il mio servo David sarà re su di essi; un solo pastore sarà per tutti loro; seguiranno i miei comanda­men­ti, osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica... Da­vid, mio servo, sarà loro re per sempre. Farò con loro un patto di pace, che sarà per loro un patto eterno.. .". Di dina­stia davidica non si parla più: Ezechiele attende un nuovo David che realizzi quelle spe­ranze che ci si aspettava una volta da un discendente storico della casa davidica. La speranza messianica comincia a trasformarsi. Questo primo passo va dal discendente di David a un David ideale non necessariamente discendente di quello storico. In seguito i passi si faranno sempre più audaci.

E' luogo comune citare come passo messianico anche Isaia, 60,17 (appartenente a Isaia Terzo o Tritoisaia - fine del VI secolo)."Invece di bronzo, porterò oro; invece di ferro, porterò argento;...renderò il tuo governo pace e i tuoi governanti giusti­zia." A questo proposito qualcuno parla di messia­nismo senza messia7. Ma dato il modo con cui ho definito il mes­sianismo, eviterò di parlare di questo tipo di messianismo, che corre il rischio di rendere il discorso così largo, da invadere tutta la religione di Israele: in questo caso alla categoria "messianismo" viene a mancare il primo dei due elementi fondamen­tali: il personaggio che sta di mezzo fra Dio e l'uomo. In questo passo è Dio che interviene in prima persona per portare la giu­stizia a Israele. In questo caso mi sembra che messianismo ed escatologia vengano a coincidere.

Intorno agli anni 20 del VI secolo Israele ebbe l'impres­sione che le sue speranze messianiche si stessero realizzando. Nel 521 arrivò a Gerusalemme una grossa carovana di esuli, guida­ta da due capi, uno laico e uno sacerdotale: Zorobabele e Giosuè. Zorobabele era discendente di David, e pur amministrando la Giudea come governatore (péhah) nominato dal Gran Re di Babilonia, si poteva presentare agli ebrei col titolo di nasì’ cioè di “re vassallo”. Gli ebrei stavano cercando di realizzare, nei limiti della dipendenza dal potere persiano, la costi­tuzione di Ezechiele, che voleva il popolo ebraico sotto la guida di due capi: il re e il Sacerdote; e il re era un discendente di David. Il profeta Zaccaria che visse in quel periodo poteva dichiarare al popolo: "Questi sono i due figli dell'olio che stanno alla presenza del Signore di tutta la terra" (4, 12.14). I due capi sono manifestamente entrati entram­bi nella sfera sacra della regalità: sono entrambi "unti".

Ma governare in due è difficile. In un primo momento ebbe il predominio Zorobabele, come si può evincere da Zaccaria 3, 6: "Ecco, io mando il mio servo, il Germoglio" con indubbio riferi­mento al capo laico. E' lo stesso appella­tivo che aveva usato Geremia per indicare il grande re del futuro che avrebbe stabili­to la giusti­zia in Israele; le speranze del profeta e di una parte del popolo si dovevano appuntare su Zorobabele proprio in questa prospetti­va. Da Aggeo, un altro contemporaneo, sappiamo che la rifonda­zione del tempio fu iniziata effettivamen­te dai due, ma Zoroba­bele è sempre nominato al primo posto.

Questo capitolo 3 di Zaccaria ci mostra un Giosuè penitente, che fa autocritica e solo dopo di ciò viene confermato Sommo Sacerdote. Sembra che ci sia stato un primo scontro fra prin­cipe e sacer­dote, ma che si sia risolto a favore del primo. Al momento però della dedicazione del nuovo tempio (515 a.C.) è presente solo Giosuè (cfr. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XI, 79). Non solo è scomparso Zoro­babele, ma al suo posto non troviamo nessuno dei suoi figli, che pure esistevano: non fu eliminata una perso­na, fu eliminata un'istituzione. Il testo di Zaccaria 6 che parlava originariamen­te di due corone preparate dal popolo per essere poste sulla testa di Zorobabele e di Giosuè fu riadat­tato per essere letto in funzione di una testa unica, quella di Gio­suè10. Era avvenuta una delle più grosse rivoluzioni di Israele sul piano politico (l'abolizione della dinastia) e si era pro­dotta la prima delusione messianica: invece della salvez­za, gli ebrei ebbero una guerra civile (cfr. Zaccaria 12, che potrebbe risalire a questo periodo11).

Ma della grande delusione restò nel pensiero di Israele qualcosa destinato a grande vitalità. Intanto il messianismo aveva perso l'unicità del personaggio salvatore: i messia erano diventati due. L'attesa del messia poteva stemperarsi nell'attesa di più messia. Non solo, ma il concetto di messia non è più legato alla figura di un re: almeno il sacerdote può essere anch'esso messia. La funzione messianica, che è funzione di salvezza, facendosi autonoma ri­spetto alla regalità, è ora più adatta a caricarsi di valenze religiose.

Un altro passo del libro di Zaccaria merita di essere ricor­dato: (9, 9) "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te sta per arrivare il tuo re. Egli è giusto e vitto­rioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina. Farò sparire da Efraim i carri da guerra, i cavalli da Gerusalemme; l'arco da guerra scomparirà, egli annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra." (Testo secondo la tradizione masoretica).

Il problema più grave per interpretare questo brano, appar­tenente alla seconda sezione del libro di Zaccaria, il cosiddetto Deuterozaccaria, è il fatto che la sua datazione è incerta e oscilla di parecchi secoli: dall'età di Geremia all'epoca macca­baica. La maggior parte dei commentatori è oggi favorevole a una datazione verso la fine del IV sec., ma altri la pongono in tempi più antichi, in quelli stessi di Zaccaria12. A me l'identifica­zione del re umile e vittorioso con lo Zorobabele dei primi anni del suo governo sembra la più naturale, almeno scegliendo fra i non numerosi personaggi del periodo postesilico che conosciamo. Anche se il passo è nato in una precisa situazione storica, con confini politici ben concre­ti, una volta che Zorobabele apparten­ne al passato, il brano non poté che essere riletto su base puramente religiosa: diventò una profezia messianica, che ripete­va e riattualizzava quella di Isaia, con in più il particolare della vittoria e dell'umiltà del re.

La traduzione greca di questo libro (ca. II sec. a.C.) sottolinea l'interpretazione messianica del passo, sostituendo a "farò spa­rire" lo stesso verbo, ma alla terza persona, con sog­getto quindi "il re". Nel II secolo la profezia era certamente letta con categorie messiani­che.

A parte l'incertezza che riguarda la cronologia di questo testo, dopo il tempo di Zorobabele l'ideologia messianica non fu più produttiva. Non già che si possa affermare che era scomparsa, se non altro, perché i testi messianici continuavano ad essere letti, ma non fu più attiva per circa tre secoli, almeno in seno alla cultura della classe predominante in Gerusalemme.

L'opera più grande nella sua complessità che illumina il periodo persiano, scritta intorno al IV sec. a.C. è il libro delle Cronache. L'autore non ha speranze messianiche, perché, in qualche modo, esse per lui sono già state realizzate. Israele godeva, sotto il dominio persiano oltre a tutto legittimato dalla parola dei profeti13 e non certo avversato dal grande legislatore Ezra14, di una discreta tranquillità. Questa pace fu interpretata come segno di un favore divino che doveva dipendere dalla giustizia di Israele15.

Interessante l'interpretazione dei "privilegi di David"16, quale il Cronista accetta, prendendola da Isaia Secondo. Essi non sono più intesi come strettamente riferiti a David, ma a tutto il popolo. Questa estensione dei "privilegi di David" a tutto il popolo può però, a sua volta, essere letta in due modi: uno antimessianico e uno messianico. Da un lato, se i privilegi di David sono passati a tutto il popolo, questo non ha più bisogno di intermediario, non ha più bisogno di un messia, dall'altro, essendo il popolo tutto erede della promessa davidi­ca, può egli stesso diventare, in qualche modo, messia. Questa interpretazione è garantita da un'antichissima glossa apparsa in uno dei canti del "Servo di YHWH" (Isaia 49, 3), che identifica il servo con Israele.

Figure messianiche

In pieno contrasto con l'atteggiamento della cultura dominante in Gerusalemme, nel pensiero ebraico comincia­rono ad apparire durante il periodo persiano delle figure che avevano tratti superumani: queste non erano dei messia nel senso che la parola aveva avuto fino a quel momento, ma poiché adem­pivano a funzioni che erano state tipiche del messia, rappre­sentavano bene un qualche sviluppo dell'idea messia­nica. Anche queste fi­gure aiutavano a realizzare piani di Dio sulla terra, rivelavano strumenti di grazia prima ignoti, avevano in defi­nitiva funzioni di salvezza. Oggi sono note quattro di queste figure superumane: due di queste risalgono al periodo per­siano, le altre due sono posteriori.

Cerchiamo di presentarle nei loro tratti essenziali. Nel­l'ultima parte del libro di Malachia, che viene conside­rata normalmente aggiunta posteriore, anche se non è chiaro di quanto, compare la figura del profeta Elia, come destinata a tornare sulla terra in un giorno futuro. (3, 23-24) "Ecco, io manderò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile di YHWH , perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; affinché io non venga e colpisca il paese di sterminio (herem)".

Dunque, Elia è un uomo con caratteristiche decisamente particolari, perché non è morto e vive ancora in qualche parte del cielo. Un giorno tornerà dal cielo sulla terra per sanare le discordie interne di Israele, affinché Dio, nella sua ira, non abbia a sterminarlo. Egli non stabilirà il regno buono futuro, ma collaborerà in qualche modo alla salvezza di Israele. Ha le funzioni salvifiche del messia, pur non essendo né re né sacer­dote. Ma forse è qualcosa di più.

Un altro personaggio dalle caratteristiche superumane è Enoc. La Bibbia canonica accenna appena al fatto che non morì (Genesi 5, 24: "non fu più, scil. sulla terra, perché Dio l'aveva preso"); poi non ne parla più17. Egli è invece figura centrale di una vasta letteratura, che dal suo nome può essere definita enochica e che appartiene a quel gruppo di testi che, non essendo stati accolti in nessun canone18, sono detti apocrifi. Nel Libro dei Vigilanti19 Enoc si trova in una posi­zione addirittura supe­riore a quella degli angeli, con funzioni che possono essere definite di mediazione e di rivelazione (più che di salvezza vera e propria). Egli porta messaggi da parte degli angeli peccatori a Dio, del quale invocano il perdo­no: porta la risposta negativa di Dio.

Enoc conosce tutta la struttura celeste (Libro dell'Astrono­mia [Sigla LA] = 1H, 72-82), i movimenti degli astri e la natura dei venti; conosce il vero calendario (secondo la Bibbia visse 365 anni!); dunque, era riconosciuto come il fondatore dell'a­stronomia da tutti, anche da coloro che appartene­vano a quella parte del giudaismo, da cui sono derivati i testi diventati canonici. E' anche il primo che fa un viaggio agli inferi (1H [LV], 22), dove visita all'estremo occidente il luogo in cui stanno le anime dei de­funti, già giudicate singolarmente e in attesa del Grande Giudi­zio collettivo e finale, i buoni separati dai malvagi20.

Proseguo questa presentazione delle figure superumane della mitologia giudaica, per darne un quadro completo, anche se le due seguenti sono più tarde del periodo persiano. Riprenderemo in seguito il discorso storico, seguendo la cronologia dei documen­ti.

Un terzo personaggio superumano è Melchisedek. Fino a poco tempo fa non conoscevamo l'esistenza di questo Melchisedek supe­rumano, e credevamo che si trattasse di un fenomeno molto tardo da porsi in relazione alle origini cri­stiane. Della sua esistenza sapevamo soltanto da due testi: uno è l'Epistola agli Ebrei 7,3: "Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni, né fine di vita, fatto simile al figlio di Dio, e rimane sacerdote in eterno”. L'altro testo è l'apocrifo contemporaneo dell'Epistola agli Ebrei noto come Enoc Slavo21, dove si narra che fu figlio di Nir, personaggio altrimenti ignoto alla tradizione ebraica, fi­glio di Matusalemme, figlio di Enoc. Si tratta perciò di un personaggio prediluviano, che nacque, secondo questo testo, verginalmente da Sofonim, moglie di Nir, quando questi era già stato proclamato dal popolo Sommo Sacerdote. Il bambino nacque avendo già le insegne sacerdo­tali e capace di parlare come un adulto. Egli è "Sacerdote dei sacerdoti per sempre" (2H, 71, 29). Quando il tempo del diluvio si avvicinò, l'arcangelo Michele scese dal cielo, prese il bambino e lo portò in salvo nell'Eden, dove vive ancora e per sempre.

Ora abbiamo trovato un frammento di Qumràn, 11QMelch, scrit­to materialmente verso la metà del I sec. a.C., il quale attesta che il mito di Melchisedek era già attivo assai prima di quanto pensassimo. Anzi, sia pure con un indizio negativo, ma piuttosto forte, possiamo risalire fino al II sec.: il libro apocrifo dei Giubilei, risalente al II sec. a.C., che è un midrash della Genesi, pur avendo l'abitudine di ampliare il testo con numerosi particolari, tuttavia omette completamente l'episodio di Melchi­sedek, quale è narrato in Genesi 14, 17-20. Evidentemente Melchi­sedek era una figura, della quale l'autore preferiva tacere o addirittura lasciar credere che non fosse mai esistita22.

Una quarta figura superumana, ancora più tarda, ma la più grande di tutte, è quella del "Figlio dell'Uomo" del Libro delle Parabole23. Questi personaggi agiscono tutti per ordine diretto di Dio e la loro opera ha funzione salvifica per Israele: in qualche modo, dunque, hanno le stesse funzioni che una volta aveva il re unto: è giusto parlare di funzioni messianiche.

Epoca asmonea

Ma torniamo al racconto storico. Col II secolo assistiamo a una netta ripresa del messianismo. Essa è legata alla tristezza del periodo storico attraversato da Israele, che si trovò a vivere in mezzo alle tensioni fra Tolomei d'Egitto e Seleucidi di Siria, diviso in se stesso fra partigiani degli uni e degli altri, sul piano politico, e sul piano ideologico frammentato in un numerose sette rivali. Fu periodo di prove e di guerre, per­durato con brevi pause fino alla distruzione del tempio e oltre. In questo periodo l'utopia e il messianismo trovarono facile alimen­to. Quanto più la "salvezza" appariva lontana, tanto più il popolo era portato ad attenderla da qualche intervento di Dio. Quando quest'attesa dell'intervento di Dio si unisce all'idea che Dio avrà uno strumento storico per realizzarla, abbiamo una forma di messianismo.

Tralascio di parlare del cap. 7 del libro di Daniele, perché non credo che abbia carattere messianico. La figura del Figlio dell'Uomo che vi appare è solo figura del popolo eletto, come è chiaramente dichiarato dall'autore stesso.

C'è però un libro contemporaneo, il Libro dei Sogni (LS)24, databile con certezza agli anni immediatamente successivi al 164, perché l'ultimo avvenimento che conosce è la morte di Antioco IV25. Esso contiene una storia di Israele che l'autore immagina narrata da Enoc al figlio Matusalemme per averla letta nelle tavole celesti e riguardante quindi il futuro. Si tratta di un futuro che l'autore naturalmente conosce bene fino al suo tempo; dopo non conosce più nulla. Ciò non toglie che il suo discorso proceda anche oltre il 164, ma fino a quel tempo riguarda cose note; dopo il 164 diventa vera e propria profezia, perché l'au­tore attende qualcosa, nella cui venuta crede con la massima certezza. Egli attende che Dio, sceso sulla terra, faccia il giudizio 1) degli angeli peccatori, 2) delle pecore cieche (gli ebrei "cattivi", che la pensano diversamente da lui), 3) di tutti i popoli.

Fatto questo giudizio, Dio farà scomparire il tempio, ne costruirà uno nuovo e questo nuovo tempio (1H[LS], 90, 29) segne­rà l'inizio di un mondo nuovo, dove comparirà un bue dalle grandi corna. Nel linguaggio metaforico del nostro autore, gli ebrei sono sempre detti pecore, gli angeli uomini, i popoli stranieri sono raffigurati come animali feroci o immondi. Di mezzo, fra gli angeli e gli uomini, nel suo linguaggio fra gli uomini e le pecore, ci sono i buoi, cioè figure della tradizione biblica particolarmente benedette da Dio, come Adamo (che sulla terra fu un giusto) o Noè, che, unico fra gli esseri viventi diventò addirit­tura un uomo, cioè un angelo (1H[LS], 89, 1. 9); sono ancora buoi Sem, Abramo e Isacco, ma Giacobbe è già simboleggiato in una pecora, come pecore sono i dodici capostipiti delle dodici tribù d'Is­raele. Sono pecore e non buoi anche Mosè e Aronne (1H[LS], 89, 17 e 18)26.

Il bue atteso è evidentemente un uomo che riavrà la stessa benedi­zione che ebbero Adamo e i patriarchi fino ad Isacco. Egli governerà tutti i popoli, che lo temeranno e pregheranno (1H [LS], 90, 37). Con­viene non badare al verbo "pregare", che ci è arrivato in una traduzione etiopica di un testo greco tradotto dall'aramaico. Preferisco limitarmi ad osservare la struttura dello schema men­tale: la storia è destina­ta ad andare sempre peggio, finché non interverrà Dio (schema analogo a quello del libro di Daniele) per punire tutti gli empi, ebrei o non ebrei che siano. Dopo il Grande Giudizio Dio farà un nuovo tempio e finalmente avremo un regno di giustizia governato da questo essere eccezionale, che torna ad essere messia nel senso di "re", ma senza essere legato alla casa di David. Il messia verrà dopo il Giudizio e avrà la funzione di amministrare sulla terra l'or­dine e la giustizia voluti da Dio.

Messianismo essenico

Veniamo adesso al libro dei Giubilei, un apocrifo di tipo essenico27 databile verso la fine del II secolo. Esso, come abbiamo già visto, ha una forte antipatia per la figura di Mel­chisedek, che cancella dal suo racconto, per quanto normalmente abbondi in aggiunte. Prima si poteva pensare che questa antipatia fosse dovuta al fatto che la figura di Melchisedek potesse ser­vire a giustificare la condotta degli Asmonei, che furono insieme re e sacerdoti, contrariamente alla tradizione ebraica. Ma la scoperta del frammento qumranico 11Qmelch mostra che l'autore dei Giubilei poteva avere motivi più precisi e più gravi per far scomparire dalla sua storia la figura di Melchisedek. Questi era un antagonista di Enoc con caratteri di salvatore decisamente marcati.

11QMelch è molto frammentario e non sempre il senso appare chiaro, ma qualche frase, qualunque sia il contesto, ci lascia sconcertati ed è in ogni caso del massimo interesse. Si legge alle ll. 5-6: "Melchise]dek che li farà ritornare in sé e pro­clame­rà per loro la liberazione, affrancandoli da[l peso di] tutte le loro iniquità"...e alla l. 8: "quando sarà compiuta l'espiazione per tutti i figli [della luce] e per gli uomi[ni] del partito di Mel[chi]sedek". A lui viene riferito il salmo 82, 1 dove si legge "Elohim ha preso posto nell'assemblea di El" (l. 10). Alla l. 13: "Melchisedek eseguirà la vende[tta] dei giudizi di El". A lui è riferito Isaia 52, 7 "Il tuo elohim regna". Sembra essere detto anche "[un]to dello spiri[to] (l. 18). E alla fine avrà la funzione di liberare gli ebrei dalla mano di Belial.

In un altro testo qumranico (4Qamram b) appare il grande antagonista di Dio col nome di Mlkrsh`: è difficile non leggere sotto questo nome, altrimenti ignoto, un nome composto alla rovescia su quello di Melchisedek, per indicare il diavolo.

Dal testo 11Qmelch si deducono alcune cose: 1) Melkisedek è un essere sovrumano, un ’elohim 28. 2) Ha il compito di riportare gli ebrei sulla retta via, di farli convertire. 3) Ha il compito di ricondurli in patria dall'esilio. 4) Ha il compito, se non di eseguire il Giudizio (il testo non è chiaro), certamente di eseguire la vendetta di Dio. Queste funzioni sono tipicamente messianiche, perché funzioni salvifiche. Va però notato che l'im­portanza di queste funzioni è enormemente cresciuta rispetto al messianismo più antico. E alla crescita dell'importanza delle funzioni si accompagna, se così può dirsi, la crescita della natura del personaggio messianico, che assume connotati via via sempre più superiori all'umano. Se il messia futuro del Libro dei Sogni avrà la natura dei patriarchi, Elia, Enoc e ora Melchisedek sono decisamente al di sopra dell'umano.

Intanto fra il II e il I sec. a.C. nell’ambiente essenico di Qumràn si andava sviluppando un tipo nuovo di messianismo, che derivava da quello duplice di Zaccaria, sia pure per via letteraria e non storica. E' quello che possiamo chiamare messianismo "duplice", o forse meglio "sacerdotale" per i motivi che vedremo. Gli unti sono due, quello di Aronne e quello di Israele. Non si parla né di David, né di Sadoq, ma si cerca un denominatore più vasto; ciò che è fondamentale è la netta distinzione fra le due funzioni, quella civile e quella reli­giosa; due funzioni salvifiche proiet­tate nel futuro. I due messia devono ancora venire e, quando verranno, si disporranno gerarchicamente in modo che la posizione più alta tocchi al messia di Aronne. E' un messianismo duplice, che può pertanto essere definito anche sacerdotale, dato il prima­to del Messia sacerdote su quello laico. Si veda Regola della Comunità 9, 1129, Testamento di Ruben, 6, 830 e soprat­tutto Test. di Giuda, 21, 4: "Come il cielo è più alto della terra, così il sacerdozio di Dio è più alto del regno terreno".

Il messia sacerdotale avrà il compito di dare l'interpreta­zione definitiva della Legge in tutti i casi di incertezza sulla halakhah31, avrà il compito di legare Satana ("Beliar sarà legato da lui" [Test. di Levi, 18, 12]). Satana ha qui un’ importanza che non ha nei testi canonici. Siamo in ambiente essenico. Il mondo è diviso in due grandi partiti, due goralìm, quello della luce e quello delle tenebre; uno sotto la guida dell'angelo della luce, generalmente interpretato come Michele, e uno sotto la guida dell'angelo delle tenebre, che può essere indicato coi nomi più diversi, ma è sempre il diavolo (cfr. Regola della Comunità, 3, 15-21). Il sommo sacerdote avrà funzione altissima e salvifi­ca, culminante nella liberazione del mondo da Satana, cioè dal male (Vedi Test. di Levi, citato sopra).

Ma questo sacerdote del futuro non ha nulla a che fare col sacerdozio storico di Israele, nemmeno con quello più autentico. Sarà un sacerdozio di natura eccezionale. Si legge nel Test. di Levi, 18, 1-7:

"Quando il Signore avrà fatto vendetta di loro,
Allora il Signore farà sorgere un sacerdote nuovo, 
al quale tutte le parole del Signore saranno rivelate.
Egli farà sulla terra un giudizio di verità, durante molti giorni.
Questi brillerà come il sole sulla terra
e farà scomparire ogni tenebra di sotto il cielo;
vi sarà pace su tutta la terra.
Ai suoi giorni i cieli esulteranno,
e le nubi si rallegreranno...
La gloria dell'Altissimo sarà pronunciata sopra di lui,
e lo spirito di intelligenza e di santità riposerà sopra di lui...
Egli darà la maestà del Signore ai suoi figli, in verità e per sempre. 
Egli non avrà successori, di generazione in generazione e per sempre...
Sotto il suo sacerdozio scomparirà il peccato...
Darà da mangiare dell'albero della vita ai santi... 
Beliar sarà legato da lui...".

Nell'insieme si ha l'impressione che l'autore dei Testamenti dei Dodici Patriarchi attendesse un mondo diverso che sarebbe stato istituito dagli unti di Levi e di Giuda. Interessante che scompaia il nome di David, per essere sostituito da quello più ampio di Giuda. L'autore non attende più il regno davidico, ma nella restaurazione del regno di Israele crede ancora sulla base delle profezie dell'antico messianismo davidico. Si legge in Test. di Giuda, 22, 2-3:

"Il mio regno finirà per opera di stra­nieri, 
finché non giunga la salvezza di Israele,
fino alla parusia del Dio di giustizia, cosicché Giacobbe e tutti i popoli vivranno in pace.
Egli (il discendente di Giuda) custodirà la forza del mio regno per sempre,
perché con giuramento il Signore mi ha giurato 
di non togliere il regno alla mia discendenza, per sempre”.

C'è però un testo del I sec. a.C., nel quale ricompare anche il messianismo davidico. Si tratta dei Salmi di Salomone, un'opera composta verso la metà del I sec. a.C., perché conosce sia la conquista di Gerusalemme da parte dei Romani (63 a.C.), sia verisimilmente la morte di Pompeo, il profanatore del tempio.

L'autore se la prende violentemente contro gli Asmonei, perché li considera degli usurpatori: il trono di Gerusalemme non può che appartenere, per volere divino, ai discendenti di David.

"Tu, Signore, scegliesti David, come re su Israele, giurasti a lui per sempre a proposito della sua progenie di non far cessare il suo potere regale...
...ci hanno cacciati via (chi scrive è evidentemente un profugo) loro ai quali non l'avevi promesso...
Hanno devastato il trono di David con tracotante cambiamen­to. Ma tu, o Dio, abbattili ed elimina la loro progenie dalla terra, facendo sorgere contro di loro un uomo estraneo alla nostra stirpe...
Guarda, Signore, e fa' sorgere per loro (scil. gli ebrei) il loro re, il figlio di David, per l'occasione che hai scelto, o Dio, perché il tuo servo regni su Israele." 
(Salmo 17 passim, traduzione Maurizio Lana).

Da un lato, in questo testo cogliamo la fede nell'eternità del regno davidico, dall'altro si ha l'impressione che la ten­sione escatologica si sia allentata. L'autore del Libro dei Sogni sembrava attendere il Grande Giudizio che avrebbe instaurato il regno del messia per un tempo ormai prossimo; sperava di vederlo. L'autore dei Salmi di Salomone vive la sua speranza con un certo distacco. Sa di non conoscere i tempi e usa una formula che lascia molto spazio alla pazienza di Dio: "All'epoca che tu sceglierai".

Ma il punto d'arrivo della storia non può che essere questo. E la funzione del discendente di David, quando verrà, sarà quella di realizzare la giustizia sulla terra, giustizia intesa nel senso di uguaglianza sociale, secondo un tipo di pensiero docu­mentato anche nel non molto posteriore Libro delle Parabole: " Tu li guiderai nell'uguaglianza" si legge nello stesso Salmo (17, 46). E' il secondo elemento della categoria messia­nica: la rea­lizzazione di un regno di giustizia.

La mediazione

Parallelo al problema messianico è quello della mediazione; anzi, più che parallelo è solo un risvolto del primo. Abbiamo visto che Enoc aveva avuto anche funzioni di mediatore in quanto, stando fra Dio e gli angeli peccatori, portava messaggi in en­trambe le direzioni. D'altra parte il discorso sulla mediazione è indispensabile per introdurre l'ultima grande figura di salvezza, quella del Figlio dell'Uomo, quale appare nel Libro delle Parabole". Lasceremo da parte il problema neotestamentario, anche se mi par chiaro che, quando nei Vangeli si parla del Figlio del­l'Uomo, la gente capisce bene di chi si parli e quali funzioni eserciti. Vedi Marco 2, 10.

Nell'Epistola di Enoc32 (EE) si trova scritto (1H [EE], 91, 15) che il Grande Giudizio non sarà fatto da Dio direttamente, ma dagli angeli Vigilanti: è una novità all'interno del pensiero ebraico33. E gli angeli che faranno il Giudizio saranno i Vigi­lanti, cioè quegli stessi angeli che nella tradizione enochica più antica avevano peccato e avevano fatto peccare. E' chiaro che all'interno della tradi­zione apocalittica stessa c'era qualcuno che protestava contro certe idee della sua stessa tradizione. Gli ripugnava che esi­stessero angeli peccatori e che il peccato fosse stato portato in qualche modo sulla terra da fuori. "Come un monte non è mai diventato, né mai diventerà un servo...così il peccato non fu mandato sulla terra, ma sono gli uomini che lo hanno creato da se stessi e quelli che lo hanno fatto sono destinati alla grande maledizione" (1H [EE], 98, 4).

Queste funzioni di mediatore e di messia si trovano cumulate nella figura del Figlio dell'Uomo del Libro delle Parabole. Qui compare una strana figura di Figlio dell'Uomo che certamente deriva da Daniele 734. Ma nel libro di Daniele il Figlio dell'Uomo era simbolo del popolo dei santi di Dio; invece nel Libro delle Parabole diventa una figura autonoma vera e propria, che viene identificata con Enoc (1H [LP], 71, 14) e dichiarata Messia (1H [LP], 52, 4). Quindi Il Figlio dell'Uomo sembra un titolo che spetta a una figura superumana che ha funzioni messianiche e che il Libro delle Parabole identifica con Enoc.

Esso è creato prima del tempo (1H [LP], 48, 2-3); questo personaggio assume nel libro tre titoli diversi: prima è il "Giusto", poi l’Eletto", infine è il "Figlio dell'Uomo". Dio lo rivelerà al momento opportuno ed avrà il compito di travolgere tutti i malvagi, che per l'autore sono essenzialmente i politici e coloro che comunque detengono il potere, mentre buoni sono per definizione i poveri, gli umili e gli emarginati in genere. Rovescerà i re dai loro troni, spezzerà i denti dei peccatori; sarà lui quello che eseguirà il Grande Giudizio e sarà lui quello che condannerà i malvagi. Il suo giudizio sarà durissimo. Egli eseguirà da solo la funzione che l’Epistola di Enoc aveva attri­buita all'insieme degli angeli Vigilanti. Instaurerà così il regno di Dio sulla terra.

Messianismo più recente

Vorrei ancora presentare due apocrifi, entrambi del I sec. d.C.: l'Apocalisse Siriaca di Baruc detto comunemente 2 Baruc, e il Quarto libro di Ezra, detto comunemente 4 Ezra. Baruc dovrebbe essere anteriore al 100 e 4 Ezra dovrebbe essere un po' poste­riore. Sono le datazioni secondo le edizioni più recenti: fino a qualche tempo fa i due apocrifi erano considerati entrambi della fine del I secolo e 4 Ezra anteriore magari a 2 Baruc. Comunque la cosa ha un'importanza relativa per il nostro discorso.

In 2 Baruc assistiamo alla diminuzione dell'importanza del messia. Nell'insieme della sua ideologia il ruolo del Messia è limitato assai di più di quanto non appaia da questa esposizione. Compito del Messia sarà quello di preparare il mondo per il Grande Giudizio. Questo Messia è un uomo, di cui però si dice che è rivelato (29, 3; 39, 7) da Dio e che alla fine del suo compito ritornerà (30, 1), sembra, al cielo. Questo testo è incerto. Tuttavia egli farà giustizia dei pagani, darà stabilità ad Israele: il suo ultimo atto consisterà nel giudicare e giustiziare sul monte Sion l'ultimo re delle genti (40, 2). Dopo ciò il suo compito sarà finito e il suo regno durerà fino alla fine del mondo, fino al momento in cui "il mondo della corruttibilità sarà finito" (40, 3). Allora avremo il regno dell’incorruttibilità.

In 4 Ezra la funzione del Messia è simile a questa. Ma mentre in 2 Baruc il Messia ha tratti superumani, sia pure non accentua­ti, in 4 Ezra ha tratti più umani, sia pure di un'umanità supe­riore a quella dei comuni mortali: sembra che l'idea che il messia debba essere al di sopra dell'umano sia completamente affermata in questo primo secolo della nostra era. Anzi, il Messia di 4 Ezra torna ad essere di stirpe davidica (12, 32). Egli presiederà al Grande Giudizio e farà giustizia dei pagani. Ma la sua vita durerà ben quattrocento anni. Alla fine di questi quat­trocento anni morirà e con la sua morte finirà il mondo della storia. Da questo momento il mondo ritornerà al silenzio primor­diale: per sette giorni, tanti quanti quelli della prima crea­zione, ci sarà silenzio assoluto. Poi avremo la nuova creazione, il nuovo mondo, quello finalmente senza male.

Non ho toccato il problema cristiano; è chiaro che per me deve essere inserito in questo tema storico. Credo, comunque, che il mistero di Gesù, la sua meravigliosa convinzione di prendere su di sé il peccato del mondo per liberare gli uomini dal male, debba essere indagato sulla linea del Figlio dell'Uomo, non su quella del messianismo classico. I testi neotestamentari stessi mi sem­brano respingere l'interpretazione di Gesù messia regale, nel senso umano del termine. Se fu re, non fu re di questo mondo. Gesù evitò di applicare a sé il termine “Messia”, perché poteva avere troppi significati e quello di “re storico” era uno di questi. Comunque, al tempo di Gesù la figura messianica tendeva a caricarsi di valenze prete­rumane. Il termine "messia", se riferito a Gesù, va inteso in questa accezione più alta, non in quella tradizionale del messia regale. L'attesa di un giudice escatologico, di un salva­tore, di un Figlio dell'Uomo non è documentata solo nei vangeli: è patrimonio giudaico del tempo di Gesù già da parecchio tempo. Gesù indicò se stesso sempre col termine “Figlio dell’Uomo”. La sua regalità appare solo in uno degli ultimi atti della sua vita: nel processo davanti al sinedrio e in quello davanti a Pilato.

Il Vangelo di Marco pone fra i primi episodi che racconta la guarigione del paralitico, al quale Gesù rimette i peccati prima di guarirlo. "E affinché sappiate che il Figlio dell'Uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino, disse al paralitico, alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua" (Marco, 2, 10-11). Si noti il trapasso dalla terza persona alla prima. Il senso che ne deriva può essere sintetizzato così: Affinché comprendiate che il Grande Giudice (la gente doveva capire così) ha il potere non solo di condannare, ma anche di perdonare, io, per dimostrare che ho questo potere, ti ordino...".

domenica 30 agosto 2015

Le Grotte di Burrows

Nel 1982 Russel Burrows, classe 1935, già combattente in Vietnam nelle Forze Speciali e agente di custodia, rivelò pubblicamente di avere scoperto in un complesso di cavità sotterranee, durante una battuta di caccia nel sud dell’Illinois, 3000/4000 frammenti di roccia, incisi con una varietà di curiosi disegni, geroglifici e scritte. La storia delle grotte Burrows è talmente strana, che non desta meraviglia il forte scetticismo suscitato. 

La lettura di quelle pietre sembra raccontare una storia conturbante: occorrerebbe una vera e propria svolta epocale, per accettarla. Sui geroglifici pubblicati da Burrows appare un intreccio d’espressioni diverse, una mescolanza d’immagini d’ogni genere e d’ogni influsso culturale, che rende difficile ogni interpretazione: una specie di archivio o di biblioteca, messo insieme in un momento indefinito del primo millennio. 


Si vedono parecchie divinità dalla testa di lupo e di sciacallo, dal classico Anubis egiziano sino a versioni con caratteri antropomorfi. Molte teste graffite, per lo più profili di guerrieri, con copricapi di foggia greca, romana ed egiziana. Alcuni dei graffiti sembrano copie amatoriali e approssimative di fonti dell’antica Grecia o della Mesopotamia. 

Altri invece sottendono un alto livellodi capacità e conoscenze dell’antica cosmologia.

Un’immagine raffigura una divinità “lupesca”, in piedi, in ricchi abiti sacerdotali, con una mitria vescovile decorata da un emblema solare. La figura somiglia al dio So–Bek–Ra, come appare dipinto in un tempio sul Nilo.

Ci sono anche immagini di antichi Amerindi, con copricapi di piume e col volto tatuato. Ricordi d’antichi viaggiatori? Tra le figure appaiono antichi strumenti musicali ed oggetti sacri, mappe, immagini di navi, animali non autoctoni. Uno dei graffiti raffigura il dio Pan, dalle zampe caprine, con la zampogna, che s’intrattiene con una ninfa. Un’altra pietra reca la chiara immagine d’un elefante, sovrapposta a caratteri ebraici. Un manufatto con un’iscrizione simile era stato trovato in una pietra a forma di piramide, in Ecuador, alcuni anni prima. Alcune tavolette sono realizzate in bassorilievo, altre sono graffite con forme d’animali e di divinità, altre infine sono solo abbozzate, con disegni approssimativi.

Dalle grotte proviene anche una piccola collezione d’oggetti lavorati in oro e di monete. La maggior parte reca solo disegni, ma ci sono numerose piastrine incise con righe di scrittura coerenti. 


Gli esempi e gli influssi appaiono svariati, dall’ebraico e dal sumero al romano, al greco ed all’egiziano. Si è ipotizzato che la grotta fosse stata un nascondiglio di pirati, che in tempi antichi avessero raccolto gli oggetti, quasi come un museo culturale. Insieme al Dr. James Scherz, lo studioso Fred Rydholm trovò correlazioni tra i simboli delle monete della Grotta Burrows e le monete coniate lungo la Via della Seta, tra la Cina e Roma.

I simboli predominanti erano Kushana e Satavahana. I Kushana furono una dinastia mercantile, che al tempo dell’antica Roma controllava le Vie della Seta, ed univano diversi popoli. Essi scomparvero durante la decadenza dell’Impero romano d’occidente, dopo il 300 d.C. I Satavahana erano una popolazione marinara, vivevano sulla costa dell’Oceano Indiano ed avevano grandi navi, raffigurate nelle loro monete. Scomparvero nel periodo 210–230 d.C. Ciò suggerisce una datazione della raccolta delle grotte Burrows tra l’inizio del primo millennio e l’anno 200 ca. d.C.

Fred Rydholm riuscì a decifrare alcune delle iscrizioni, con l’aiuto di due giovani ricercatori della Florida, Paul Schaffranke e Brian Hubbard. Riconobbero somiglianze con l’antico alfabeto etrusco e tradussero una scritta come “latino da strada”, un gergo comunemente usato al tempo di Gesù Cristo.

Altre tavolette di pietra sarebbero scritte in ebraico ed in egiziano. Alcuni archeologi e linguisti hanno esaminato la collezione e ne hanno riconosciuto l’autenticità. Un ingegnere in pensione, Bill Kreisle, ha identificato su alcune tavolette accurate mappe del fiume Mississippi e della regione dei Grandi Laghi, come dovevano apparire 2000 anni fa (v. foto). 

Un’altra mappa di pietra mostra un fiume della Penisola Iberica (il Baetis, attuale Guadalquivir), e l’antica città di Cadice presso la foce. La cosa più stupefacente fu la scoperta di cripte sotterranee, scavate in profondità nell’arenaria, contenenti numerosi scheletri, gioielli, manufatti e statue. Chi lasciò il tesoro è stato, a quanto pare,sepolto insieme ad esso. Fred Rydholm si è azzardato a dichiarare: “Ci sono indizi che i corpitrovati nelle cripte fossero dei capi d’una colonia di rifugiati, giunti qui dall’Egitto tolemaico, incluso un contingente d’Ebrei, proveniente dal regno di Mauritania, vassallo dei Romani”.

Il Dr. Joseph Mahan, fondatore ed a lungo presidente dell’Institute for the Study of American Cultures (ISAC), dopo aver esaminato le traduzioni, ha ipotizzato: “Furono inviati segretamente in America con navi fornite dal re della Mauritania Giuba II e da sua moglie Cleopatra Selene, figlia di Cleopatra e di Marco Antonio. Insieme ai rifugiati viaggiavano i due fratelli della regina, scomparsi da Roma nell’anno 17 d.C., Tolomeo Filadelfo ed Alessandro Helios”. 

Secondo altri, invece, questi sarebbero i resti d’un gruppo d’allievi sacerdoti, i quali, con i membri dell’ex famiglia reale, sfuggirono alla dominazione romana ed alla cristianizzazione dell’Egitto e partirono verso l’ignoto, in una data anteriore al 200–300 d.C. Le mappe e le altre figure incise sulle tavolette mostrano l’intenzione deliberata di trapiantare una cultura, forse per sfuggire alle persecuzioni religiose messe in atto dai romani dopo l’invasione dell’Egitto, per stabilire una remota colonia che potesse conservare le antiche tradizioni. 

Il Dr. Joseph Mahan, archeologo ed antropologo, dopo un attento studio dei manufatti della grotta, individua nel materiale studiato una dettagliata cosmologia ed un patrimonio di credenze religiose, sensibilmente simile alle sopravvivenze presso le tribù indiane della zona. Nell’Illinois meridionale e dell’Indiana, la regione in cui Russell Burrows ha trovato le grotte, esistevano diverse culture primitive, delle quali gli archeologi conoscono ancora troppo poco.

Si trovano tombe, scheletri e manufatti della cultura Adena, attribuibili ad un periodo compreso tra il 500 a.C. ed il 200 d.C. Qui visse anche la cultura Hopewell, dal 100 a.C. al 350 d.C. Una civiltà misteriosa concentrata lungo il Mississippi, conosciuta come “Mississippian”, fiorì intorno all’800 d.C. e si pensa che esistesse ancora quando gli Spagnoli arrivarono. Il ricercatore Joseph Mahan sottolinea il fatto che gli archeologi hanno identificato un culto della Terra e del Sole, che durò almeno cinquant’anni e si svolgeva in templi rotondi dal tetto a terrazza. Questo culto si diffuse dal Mississippi nell’ultimo periodo del primo millennio.


I tumuli piramidali, con un fuoco permanente sulla cima, contenevano una varietà d’oggetti artistici, incisi nel rame e nella pietra, che raffiguravano divinità dalla testa d’animale, croci, svastiche, sacerdoti in abiti cerimoniali. Questi tumuli sono diffusi dall’Oklahoma all’Illinois, Alabama e Georgia.

Le Grotte Burrows potrebbero essere la biblioteca perduta, il santuario, dei fondatori di quella misteriosa cultura? Provenivano essi davvero dall’ex famiglia reale egiziana ed erano sfuggiti al saccheggio della loro patria, all’inizio del primo millennio? Oppure si tratta, come molti hannoipotizzato, dell’ennesimo falso storico, come si pensa di tanti altri “ritrovamenti” avvenuti in territorio americano?

Sempre misteri, che l'archeologia ufficiale non vuole spiegare.............

sabato 29 agosto 2015

Piante e animali geneticamente modificati in modo deliberato

Nelle origini di diverse piante attuali si può ipotizzare una ricerca genetica, svolta in periodi molto antichi. 

Il frumento, per esempio, apparve misteriosamente nello stesso periodo dell’esplosione agricola in Armenia e in Anatolia (moderna Turchia) verso l'8000 a.C. Prima, il frumento era soltanto un’erba selvatica, ma come risultato non di uno, ma tre “accidenti genetici” – come li definiscono gli storici tradizionalisti – la pianta fu improvvisamente trasformata in una ricca e nutriente fonte di cibo.  Innanzitutto, il frumento selvatico fu incrociato con un’erba da pascolo naturale, e i quattordici cromosomi dell’uno si combinarono con i quattordici dell’altra a produrre una nuova pianta, più robusta, chiamata emmer, con ventotto cromosomi. Poi, in breve tempo, l’ibrido emmer fu nuovamente incrociato con un’altra “erba da pascolo” per creare una pianta con spighe molto più grandi, con quarantatue cromosomi.  

Infine, si ebbe una terza mutazione. Uno dei quarantadue cromosomi subì una mutazione. Se ciò non fosse accaduto, il frumento che oggi conosciamo, che nutrì i primi contadini armeni e tutti i loro successori, non sarebbbe mai esistito. Il fatto che queste combinazioni e alterazioni genetiche siano avvenute tutte casualmente, in un periodo piuttosto breve, è in contrasto con tutte le leggi della probabilità.  Se poi ciò non bastasse, entra nel quadro un altro elemento favorevole. A differenza delle altre erbe selvatiche che l’avevano preceduto, il singolo grano di frumento è troppo pesante per essere trasportato dal vento e provvedere così alla riproduzione spontanea. 

La riproduzione della pianta deve essere praticata artificialmente, altrimenti la pianta non sopravvivrebbe e si estinguerebbe in breve tempo.Come ha sostenuto lo storico della scienza Jacob Bronowski, “attraverso una felice concomitanza di eventi naturali ed umani” (e si suppone che il genere umano stesse apparendo proprio allora sulla scena del mondo), fu scoperta “accidentalmente” la pianta ibrida del frumento, e si scoprì che, tra le circa 195000 specie di piante esistenti nel Medio Oriente, proprio questa era meritevole di coltivazione, e l’uomo provvide alla sua diffusione in un momento critico, raccogliendo e seminando personalmente i semi per coltivarla.  Si tratta proprio di fortuna pura, all’ennesima potenza! 

Appare molto più probabile sostenere che il frumento fosse invece il prodotto di uno sviluppo mirato del periodo preistorico, sin dal principio della sua creazione genetica. Ciò presupporrebbe ovviamente che i primi coltivatori del neolitico, nel Medio Oriente, possedessero una conoscenza della genetica e degli incroci di Mendel comparabile a quella che noi possediamo oggi.  Se il frumento fosse stato la sola pianta a subire improvvise mutazioni generiche, sarebbe stato già abbastanza miracoloso. Tuttavia, in quello stesso periodo si verificarono in tutto il mondo altre improvvise e importanti mutazioni botaniche. 

I cromosomi delle banane e delle mele furono moltiplicati per fattori di due e di tre, mentre le arachidi, le patate, il tabacco e altre piante si espandevano con un fattore di quattro volte. La canna da zucchero fu inesplicabilmente alterata da un antenato di 10 cromosomi alla pianta complessa odierna, che possiede 80 cromosomi. Ogni indicazione punta a far supporre che importanti sperimentazioni genetiche avessero luogo in tutto il mondo in un momento specifico dei tempi preistorici.  I ricercatori e sviluppatori della moderna agricoltura ammettono, a proposito dell’improvviso avvento dei cereali nutritivi moderni, che migliaia di generazioni di selezioni genetiche sarebbero state necessarie per ottenere anche un modesto grado di un tale importante sviluppo.  

Dobbiamo ancora identificare con certezza la durata richiesta dalla natura per arrivare a completare in modo spontaneo una tale selezioni. Non ci sono spiegazioni per giustificare tali miracolose creazioni botaniche, a meno che il processo verificatosi non fosse una selezione naturale, ma il prodotto di manipolazioni artificiali.  Karl F. Kohlenberg, nel suo studio sulla storia dello sviluppo della coltura del mais, osservò con tali parole la sua dipendenza dall’intervento dell’uomo:  “Ciò che distingue la pianta del mais da tutti gli altri tipi di piante a grani è la sua elevata fragilità biologica. Lasciata a se stessa, morirebbe in breve tempo. 

I suoi semi sono talmente stretti e solidi sotto il loro involucro che nessun vento potrebbe spargerli. Se per caso una pannocchia di mais abbandonata finisse al suolo, i semi produrrebbero una miriade di piantine, che non potrebbero mai crescere in modo normale, strette l’una contro l’altra”. Ancora una volta, come per il frumento, non sembra che l’alterazione del mais sino alle sue forme attuali e l’intervento dei contadini per propagarlo, in un momento critico della sua evoluzione, possano essere disgiunti e visti come un caso fortuito.  

La tremenda difficoltà che s’incontra oggi per produrre un ibrido genetico di successo è stata dimostrata dall’Orto Botanico di San Pietroburgo, in Russia, quando, dal 1837, i botanici hanno cercato di coltivare una forma selvatica di segale per farla sviluppare in un nuovo genere domestico. I risultati sono stati deludenti e la caratteristica fragilità della spiga della segale selvatica; con i suoi piccoli grani, permangono insieme alla debolezza degli steli e delle radici. Se tali ostacoli sono ardui da superare per gli esperti moderni, come poterono fare i coltivatori neolitici di diecimila anni fa, a sviluppar le specie cereali che sono giunte sino a noi?  Il frumento e gli altri cereali furono dapprima prodotti nel Medio Oriente, mentre il mais era coltivato in origine nel Nuovo Mondo. Entrambe quelle aree erano anche centri di un numero notevole d’altri alimenti “altamente evoluti”. 

Nel Medio Oriente, l’inizio dell’agricoltura vide il rapido avvento del miglio, del farro, del lino, di uva, mele, pere, olive, lenticchie, piselli, fichi, mandorle, pistacchi, nocciole e ci furono rapidi adattamenti della qualità di tutte queste piante. Nello stesso periodo, nel Nuovo Mondo si svilupparono un’ampia varietà di zucche, pepe, fagioli, patate e cotone. In alcuni casi, pare che ci sia stato uno scambio attivo di materiale genetico tra le due aree.  Per esempio, la prima varietà di cotone conosciuta nelle Americhe conteneva tredici piccoli cromosomi, mentre la corrispondente specie del Vecchio Mondo, coltivata in India, aveva tredici grandi cromosomi. Nei resti di cotone scavati ai primi livelli a Huaca Prieta in Perù, databili intorno al 2500 a.C., sono stati individuati tredici cromosomi piccoli e tredici grandi. 

In altri termini, il cotone peruviano era un ibrido tra la specie orientale e quella occidentale.  Gli storici ortodossi hanno cercato di spiegare tale ibridazione come un fenomeno naturale, “accidentale”, ma l’ipotesi non ha avuto molto successo. La pianta del cotone è troppo delicata, sia allo stato di seme, sia durante la crescita, per essere stata semplicemente trasportata da un emisfero all’altro dalle correnti marine, dalle migrazioni di uccelli o dai venti. Inoltre, la spiegazione del trasporto del cotone dal Vecchio Mondo al Perù costituisce solo metà del problema. L’altra coinvolge la propagazione delle due forme in una forma comune.  Non solo le piante, ma anche gli animali possono essere stati il prodotto di una manipolazione e selezione genetica. 

È degno di nota il fatto che nella stessa epoca, nel Medio Oriente, l’avvento dei cereali e dei frutti altamente sviluppati abbia coinciso con l’apparizione di cani, cavalli, pecore, capre, maiali e altro bestiame addomesticato.  All’incirca nella stessa epoca, nell’Estremo Oriente, insieme all’avvento di piante di riso e di soya geneticamente migliorate, comparivano anatre e pollame domestici e il bufalo d’acqua. In India, sempre nello stesso periodo preistorico, la cultura proto-Harappana della valle del fiume Indo stava praticando le proprie sperimentazioni. Il frumento usato dagli Harappani era molto sviluppato. Esso cresce ancor oggi nel Punjab, persino intorno a campi coltivati con cereali di qualità inferiore. Lo stesso si può dire per l’allevamento degli animali. 

Gli zoologi che hanno esaminato i sigilli di Harappa e altre opere d’arte hanno notato il ricorrere di immagini di bestiame ibrido, altamente specializzato, che non esiste più. Gli Harappani allevavano anche cani e pecore e addomesticarono l’elefante, e forse persino il rinoceronte (una cosa che oggi è ritenuta impossibile). Con l’addomesticamento di animali andiamo incontro a ben altro livello di problemi, rispetto a quello delle modifiche genetiche delle piante. Condurre un cucciolo di lupo a diventare un cane in una comunità umana, o mettere del bestiame selvatico in un recinto e riuscire a trasformarlo in una specie animale produttrice di latte, non comporta solo un cambiamento di forme, ma un vero e proprio cambiamento delle caratteristiche di natura, una completa negazione degli istinti semi–selvatici per trasformarli in una natura docile. 

Ciò implicava una manipolazione genetica di natura molto più complessa, basata sul controllo dei geni del comportamento. Negli anni 1920 e 1930, il botanico russo Nicolai Vavilov fondò 400 istituti di ricerca botanica attraverso l’Unione Sovietica e organizzò dozzine di spedizioni in tutto il mondo, per raccogliere 50000 campioni selvatici di flora con il germoplasma originale dei semi. Attraverso tale ricerca estensiva, Vavilov fu il primo a poter concludere che la maggior parte dei cereali odierni deriva concretamente da otto centri maggiori e da alcuni minori, in appoggio, e che tutti operarono nel passato in un periodo specifico. 

Più tardi, nel 1971, un altro scienziato, Jack Harlan, aggiornò l’opera di Vavilov, e nel 1992 estese ulteriormente la propria ricerca, proponendo l’esistenza di ciò ch definì i “biomi globali”, o aree che avevano forme sia di flora, sia di fauna, che avevano subito nel passato una mutazione specifica d’addomesticamento. Costruendo su tutto ciò, le ricerche più recenti hanno scoperto che le finestre di tempo, correlate con le localizzazioni e con le manipolazioni dei tipi di piante e d’animali, sono molto rivelatrici. Ecco un sommario delle più importanti tra tali scoperte: 

*8000 a.C.—Turchia, Asia Centrale —frumento, orzo, segale, lino, avena

*8000 a.C.—Iran, Siria, Israele—ceci, lenticchie, fichi, datteri, uva, lattuga, mandorle, olive, carote

*7500 a.C.—Sud America—fagioli, zucca, cassava

*7000 a.C.—Asia S.Orient., Nuova Guinea—radice di taro, piselli, fagioli mung, agrumi, banane, cocco, canna da zucchero

*7000 a.C.—Siria—pecore, capre

*7000 a.C.—Cina—riso, bufalo d’acqua, miglio, soya, cavolo

*6500 a.C.—India—cocomeri, melanzane, piselli “piccione”, cotone asiatico (orientale) 

*6500 a.C.—Turchia—maiali, bovini

*6000 a.C.—Perù—mais, patate, arachidi, cotone americano (occidentale) 

*6000 a.C.—America Centrale — mais, zucca, fagioli, pepe e peperoncino, pomodoro

*6000 a.C.—Africa—sorgho, piselli “mucca”, manioca, melone, okra

È veramente notevole il fatto che, benché le località indicate siano molto distanti e sparse in tutto il mondo, tutti i gruppi di piante e di animali originari fossero creati, e fossero divenuti totalmente dipendenti, dallo stesso diretto intervento degli agricoltori imani, e nello stesso (breve) periodo di soli duemila anni.  Di grande significato è anche il fatto che la virtuale esplosione di forme di vita sostenibili, radicalmente differenti, apparse ovunque al principio del periodo neolitico, non conoscesse precedenti, e da quell’epoca lontana non si sia mai più ripetuta, neppure con gli attuali progressi della biochimica e dell’ingegneria genetica.  Tali rivelazioni suscitano la questione se quelle regioni preistoriche fossero state scelte e predisposte in precedenza, di proposito. E inoltre, se le manipolazioni fossero praticate nella stessa epoca in modo deliberatamente pianificato e condotte da un singolo gruppo, diffuso in tutto il mondo, di sconosciuti pionieri genetici, la cui sapienza era superiore, diecimila anni fa, a quella odierna. 

Il genoma bovino rivela manipolazioni genetiche da parte dell’uomo, compiute 10000 anni fa

[Washington Post, 28/4/2009, David Brown, “Cow’s DNA Shows Human Influence”]

“Un gruppo composto da centinaia di scienziati, che opera in più d’una dozzina di paesi, ha pubblicato l’intera sequenza del DNA—il genoma—d’una vacca di razza Herford di 8 anni, che vive in una fattoria sperimentale del Montana.  “Tra i suoi circa 22000 geni sono nascoste le tracce di come la selezione naturale abbia scolpito il corpo e la personalità del bovino nei passati 60 milioni d’anni e quanto si sia ulteriormente sviluppata negli ultimi 10000 anni.  

“’Ci sono tracce di opera umana nel genoma bovino? La risposta è sicuramente, senza alcun dubbio, positiva, ha detto Harris Lewin di Bilogia del Genoma, presso l’Università dell’Illinois, Urbana-Champaign. Egli è l’autore di uno dei tre documenti sul genoma della vacca, pubblicati sulla rivista Science.  “Il genoma della vacca è stato il primo del quale abbiamo individuato la sequenza, fra tutto il bestiame d’allevamento”.

-Nota—Quali altre manipolazione genetiche troveranno gli scienziati, quando elaboreranno la sequenza del genoma d’altre specie di bestiame d’allevamento?... 

C’è stata una “convergenza genetica” primitiva? 

Nel novembre del 2009, i genetisti di tutto il mondo hanno annunciato che, dopo un’intensiva collaborazione di anni, avevano finito di mappare il genoma completo del mais, e hanno pubblicato una dozzina di articoli scientifici sull’argomento.  I loro studi rivelano che in vari momenti, nel passato del mais, ci sono stati inusuali “interventi sui geni” e “meccaniche evolutive” che taluni ricercatori stanno trovando sia difficile spiegare senza presupporre una manipolazione intelligente.  La sequenza del genoma mostra che un sorprendente 85 per cento dei circa 32000 geni del mais sono fatti di “elementi trasponibili”—o “geni salterini”—e ciò porrebbe in evidenza il fatto che siano stati messi in movimento e spostati nei 10 cromosomi del mais, nel corso della storia, e per lo più negli ultimi 10000 anni.  

Il fatto che neppure una di tali sottili trasmutazioni abbia dato come risultato un fatale tracollo genetico, con la conseguente estinzione dell’antica pianta—ma invece siano stati ottenuti significativi e positivi rafforzamenti nell’opera ininterrotta di crescita e di nuova semina, di gran lunga superiori a quanto la selezione naturale avrebbe potuto consentire—costituisce la potente evidenza che qualcuno, molto tempo fa, abbia previsto il prodotto finale e manipolato in conseguenza la pianta. Sono state anche trovate indicaioni che in un’altra parte del processo di sviluppo del mais siano intevenute azioni di un’intelligenza ancor più antica. Circa 5 milioni d’anni fa, per esempio, avvenne improvvisamente l’importante fusione tra due specie imparentalte ancestrali, che diedero alla specie risultante di mais un forte patrimonio di nuove possibilità genetiche, per poter sopravvivere e adattarsi a vari ambienti.  

In modo significativo, questo vero e proprio processo di fusione ebbe luogo all’incirca nel periodo in cui furono modificate anche altre piante e lo furono anche certi mammiferi, discendenti di quelli che erano stati addomesticati, e persino un certo numero di ominidi primitivi.  In altre parole, come avvenne una convergenza di mutazioni genetiche circa 10000 anni fa, che fece nascere i nostri alimenti odierni “addomesticati”, ci sarebbe stata una analogo convergenza di manipolazioni genetiche in un periodo molto più antico, 5 milioni d’anni fa?  Varie scoperte archeologiche e paleontologiche “fuori posto” rivelano che esistette certamente una qualche forma di vita con intelligenza di tipo umano, in un tale periodo molto remoto.  

Sarebbero stati questi uomini, d’una civiltà a noi sconosciuta, i responsabili anche di modificazioni genetiche del bestiame e della flora e della fauna di quella lontana epoca?  La prosecuzione della mappatura del genoma e ulteriori ricerche, su tutte le sequenze genetiche non ancora studiate, in un’ampia varietà di specie, viventi ed estinte, potrà darci un giorno la risposta che cerchiamo.

venerdì 28 agosto 2015

Omm Seti - La Sacerdotessa del Tempio di Abydos

Omm Seti, al secolo Dorothy Eady, ha sostenuto per l’intero arco della sua vita di essere la reincarnazione di Bentreshyt, una ragazza egiziana educata sin da piccola per divenire sacerdotessa nel Tempio di Abydos, suicidatasi all’età di quattordici anni per difendere l’identità del suo amante ovvero il faraone Seti I.

Omm Seti ad Abydos nel 1977
 
Quando il signore e la signora Eady portarono Dorothy, la loro figlioletta di quattro anni, al British Museum nel 1908, ottennero molto più di quanto non si aspettassero. Temevano di doversi trascinare per le sale una bambina annoiata e riottosa.
 
E così fu per gran parte del percorso, finché non raggiunsero le gallerie egizie, dove la bimba scattò sull’attenti, adottando un comportamento singolare. Iniziò a correre in giro freneticamente, baciando i piedi delle statue ed alla fine si sedette accanto ad una mummia in una teca di vetro, rifiutando di muoversi. I genitori continuarono la visita e tornarono mezz’ora dopo per trovarla nella stessa posizione. La signora Eady si chinò per sollevarla, ma Dorothy si avvinghiò alla teca e con voce rauca e irriconoscibile esclamò: “Lasciami qui, questa è la mia gente“.
 
Lo strano comportamento di Dorothy era iniziato un anno prima, dopo un increscioso incidente, che la bimba non sarebbe riuscita a dimenticare per tutta la sua vita: “Quando avevo tre anni, caddi da una lunga rampa di scale e persi conoscenza. Chiamarono il medico, che mi visitò attentamente e mi dichiarò morta. Un’ora più tardi tornò col mio certificato di morte e con un’infermiera per “comporre la salma”, ma con sua grande sorpresa, il “cadavere” era del tutto cosciente, giocava, e non mostrava segni di lesioni!“.
 
Dopo la caduta, Dorothy iniziò a sognare ripetutamente un grande edificio con colonne e un giardino rigoglioso con alberi, frutti e fiori. Entrò inoltre in uno stato depressivo: scoppiava frequentemente in lacrime senza ragione apparente e spiegava ai genitori che desiderava tornare a casa. Anche se rassicurata del fatto che lo fosse già, lei lo negava, ma non sapeva indicare dove si trovasse la sua vera casa. Il primo barlume della sua appartenenza all’Egitto si manifestò durante la visita al British Museum. L’ossessione di Dorothy venne confermata pochi mesi dopo l’accaduto, quando il padre portò a casa parte di un’enciclopedia per bambini. Essa conteneva alcune foto ed alcuni disegni dell’antico Egitto, che la ipnotizzarono.
 
La bambina era particolarmente attratta da una foto della famosa Stele di Rosetta (il cui testo in tre lingue aveva permesso la decifrazione dei geroglifici) e la esaminò per ore con una lente d’ingrandimento. Con sconcerto della madre, dichiarò di conoscere la lingua in cui era scritta ma di averla semplicemente dimenticata.
 
Quando Dorothy aveva sette anni, il sogno ricorrente dell’edificio con il colonnato iniziò ad acquisire un senso. Il catalizzatore fu una rivista con una foto sotto la quale vi era scritto “Il Tempio di Seti I ad Abydos“. La bambina rimase completamente paralizzata: “Questa è la mia casa! Qui è dove vivevo!“, gridò allegramente al padre, dopodiché seguì una nota di tristezza: “Ma perché è tutto in rovina? E dov’è il giardino?“. Il papà la esortò a non dire sciocchezze. Dorothy non poteva aver visto quell’edificio, tanto lontano e costruito migliaia di anni prima; inoltre, nel deserto, i palazzi non hanno giardini.
 
Quarantacinque anni più tardi, Dorothy Eady, impiegata del dipartimento di antichità egizie, andò a lavorare ad Abydos, alloggiando in una casetta non lontano dal Tempio di Seti. Per quanto le concerneva, lei era “a casa” e rimase nella amata Abydos dal 1956 fino alla morte, avvenuta nell’aprile del 1981. Là tutti la conoscevano col nome di Omm Seti, cioè “madre di Seti“, il nome del figlio che ebbe nel corso degli anni da un uomo egiziano. Per quanto riguarda il giardino che la ossessionava, gli archeologi finalmente lo scoprirono proprio nel punto in cui Dorothy affermava che si trovasse, sul lato meridionale del Tempio.

Tempio di Seti I ad Abydos
 
Dorothy Eady fu certamente uno dei personaggi più straordinari del XX secolo. Chi la conobbe non poté fare a meno di rimanere ammaliato dalla sua personalità: era creativa, dinamica, divertente, intrepida, determinata ed eccentrica. Al di là delle sue affermazioni sul fatto di essere la reincarnazione di un’antica donna egiziana, ebbe comunque una vita movimentata e romantica. Nei primi anni dell’adolescenza, Dorothy Eady iniziò seriamente a studiare egittologia. Nel frattempo gli strani sogni, nonché gli episodi di sonnambulismo, continuavano a susseguirsi.
 
Dorothy trascorse con la sua famiglia gli ultimi anni dell’adolescenza ed i primi dell’età adulta a Plymouth, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, dove il padre aveva aperto un cinema. Proseguì le sue avide letture sull’Egitto, studiò disegno alla scuola d’arte locale e frequentò un circolo esoterico interessato alla reincarnazione, la sua prima opportunità di sostenere la convinzione di essere stata un’egiziana. Ma trovò tali riunioni poco soddisfacenti. Entrò in seguito in un gruppo di spiritisti locali, i quali conclusero che non era un’egizia reincarnata: probabilmente era morta davvero durante la caduta ed era rimasta vittima di un fenomeno di possessione da parte di un antico spirito disincarnato. Di nuovo, non sembrò soddisfatta della spiegazione.
 
Dorothy compì il primo vero approccio alla sua realtà all’età di ventisette anni, quando, contro il volere dei genitori, si trasferì a Londra a lavorare per una rivista egiziana. Disegnava vignette politiche e scriveva articoli a sostegno dell’indipendenza dell’Egitto dalla Gran Bretagna. Alla camera dei comuni si imbatté in un giovane egiziano, Imam Abdel Maguid e se ne innamorò. Due anni più tardi, accettò la sua proposta di matrimonio. Poco dopo, nel 1933, fece le valigie e partì alla volta dell’Egitto con grande costernazione dei genitori, e quasi immediatamente dopo l’arrivo divenne la signora Abdel Maguid.
 
Nonostante i vari problemi che sorsero nella coppia a causa delle stranezze di Dorothy, i coniugi ebbero presto un figlio, che Dorothy, contro la volontà del marito, volle chiamare Seti, come il famoso faraone – guerriero che aveva regnato all’inizio della XIX dinastia (la data generalmente accettata è intorno al 1.300 a.C.). Fu dopo la nascita del figlio, che Dorothy Eady divenne “Omm Seti“, secondo l’usanza egiziana di non rivolgersi alle donne col loro nome proprio. Durante il corso della notte, Imam veniva spesso svegliato dalla moglie che si alzava, sedeva alla scrivania accanto alla finestra, e scarabocchiava geroglifici sui fogli alla luce della Luna.
 
Omm Seti descrisse successivamente il suo stato “inconscio, come se fossi sotto uno strano incantesimo, né addormentata né sveglia“, e affermò che una voce mentale le dettava con lentezza le parole egizie. Il fenomeno è noto ai medium come “scrittura automatica“. Le sedute di scrittura notturna durarono per quasi un anno, durante il quale la donna riempì circa settanta pagine di geroglifici che raccoglieva e decifrava. Le parole, che le erano state dettate da uno spirito di nome Hor-Ra, descrivevano la sua precedente vita in Egitto.
 
Gli scritti misteriosi, che Omm Seti considerò “veritieri in base ai ricordi“, narravano che un tempo era stata una ragazza di nome Bentreshyt. Nata da genitori poveri, era stata mandata al Tempio di Kom El Sultan (poco più a nord del Tempio di Seti, che allora era in costruzione), per essere educata come sacerdotessa. All’età di dodici anni le era stato chiesto dal sommo sacerdote Antef se desiderasse conoscere il mondo e sposarsi o rimanere nel Tempio. Ignara del mondo esterno, Bentreshyt aveva scelto di rimanere nel Tempio, facendo voto di castità. Successivamente aveva dovuto apprendere gli elaborati insegnamenti per partecipare ai riti del tempio, in cui venivano messe in scena la morte e la resurrezione del grande Osiride.
 
Dopo tre anni di matrimonio, il marito Imam accettò un posto d’insegnante in Iraq. Dopo la partenza del marito, Omm Seti si trasferì con il figlio vicino alle Grandi Piramidi di Giza ed ottenne, prima donna in assoluto, un lavoro come disegnatrice per il dipartimento delle antichità egizie. Sebbene si trovasse finalmente nella terra che amava, il fatto che non si fosse recata direttamente ad Abydos, ma avesse atteso diciannove anni prima di quella visita, è piuttosto sconcertante. “Avevo solo uno scopo nella vita“, affermò, “ed era quello di andare ad Abydos, di vivere ad Abydos, e di essere seppellita ad Abydos. Tuttavia qualcosa al di là della mia volontà mi aveva impedito persino di visitare quel luogo“.
 
Quando finalmente vi si recò per una breve escursione nel 1952, lasciò la valigia nell’alloggio del dipartimento delle antichità e andò dritta al Tempio di Seti, dove trascorse tutta la notte a bruciare incenso ed a pregare gli dei. Tornò nuovamente nel 1954 per due settimane, poi trascorse mesi ad assillare i suoi superiori affinché le trovassero un impiego ad Abydos. Lavoro che si concretizzò nel 1956 quando le venne affidato l’incarico di effettuare i rilievi del Tempio di Seti per due dollari al giorno.

Mummia del Faraone Seti I
 
Omm Seti, tuttavia, tenne relativamente segrete le sue affermazioni più ardite, in quanto erano di natura profondamente personale. Le affidò al suo diario e le rivelò dettagliatamente solo ad un amico, il suo fidato collega dottor Hanny El Zeini. Secondo Dorothy, il faraone Seti si era innamorato di Bentreshyt all’età di quattordici anni, quando l’aveva incontrata nei giardini del Tempio. Il loro legame era pericoloso, in quanto le leggi del tempio imponevano che la ragazza rimanesse vergine. Bentreshyt era rimasta incinta, e le autorità del tempio l’avevano costretta a confessare che aveva un amante, e avevano minacciato di punire il suo crimine con la morte.
 
Temendo di coinvolgere Seti se fosse stata processata, la fanciulla si era uccisa per proteggere il nome dell’amante; quando era ritornato a trovarla, Seti si era sentito distrutto dal dolore e aveva fatto voto di non dimenticarla. A questo punto, la storia diventa davvero incredibile. Omm Seti afferma che quando lei, come Dorothy, aveva quattordici anni, Seti aveva mantenuto la promessa ed “era ritornato” a farle visita. Come spiegò ad El Zeini circa cinquant’anni più tardi, una notte venne svegliata dalla sensazione che qualcosa le stesse schiacciando il petto. Quando aprì gli occhi vide il volto mummificato del faraone che la fissava appoggiandole le mani accanto alle spalle: “Ero sbalordita e scioccata, e tuttavia pazza di gioia. Era come se qualcosa che aspettavo da tempo fosse finalmente giunto. Poi mi strappò la camicia da notte dal collo al bordo inferiore“.
 
La visita successiva avvenne quando Omm Seti si trasferì al Cairo. Seti le apparve di nuovo, questa volta non come mummia ma sotto le spoglie di un bell’uomo sulla sessantina. Le visite continuarono, e Omm Seti ed il suo amante astrale trascorrevano insieme notte dopo notte. Come se tali affermazioni non fossero di per sé abbastanza bizzarre, la donna spiegò che il tempo e la durata delle visite erano regolati da un codice morale rigoroso. Seti poteva tornare dall’aldilà solo perché aveva un permesso speciale del consiglio di Amentet, l’aldilà egizio, sotto la cui sorveglianza gli amanti dovevano seguire regole severe.
 
Perciò, quando Seti faceva visita a Dorothy, all’epoca ancora sposata, gli incontri erano strettamente platonici. Dopo il divorzio, non vi fu più bisogno di tanto rigore e Seti le comunicò che intendeva sposarla quando l’avrebbe raggiunto nell’Amentet. Fu proprio tale relazione con un faraone fantasma, spiegò Omm Seti ad El Zeini, la vera ragione del suo ritardo nel “tornare” ad Abydos. Innanzitutto, in quel luogo lei avrebbe dovuto assumere nuovamente il ruolo di una sacerdotessa e rimanere vergine.
 
E questa volta Omm Seti era determinata a seguire le leggi. In tal modo, quando sarebbe morta, il suo crimine precedente sarebbe stato perdonato e lei e Seti sarebbero potuti regolarmente essere uniti per l’eternità.
 

giovedì 27 agosto 2015

Se non ci accorgiamo dell'inizio della Terza Guerra Mondiale...

Come si sa, Barak Obama ha autorizzato una forte escalation dei bombardamenti in Siria. La scusa è difendere le formazioni di ribelli addestrate dal Pentagono contro DAESH, e di fatto debellate dai terroristi cattivi. Il numero dei ribelli “buoni” (una sessantina) da difendere con bombardamenti aerei rende trasparente come la scusa sia risibile. Il punto è che gli Usa vogliono abbattere il regime di Assad, come erano pronti a fare nel 2013 e sono stati impediti di fare.

Nei giorni seguenti, qualche fonte ventilava un piano occidentale che sembrava poco credibile: mettere “scarponi sul terreno”, per creare zone “liberate” interne alla Siria, dove i terroristi moderati possano instaurare il loro regime al riparo sia da DAESH, sia dall’aviazione siriana. Soprattutto da questa. Poiché le forze armate Usa ed occidentali hanno sempre evitato di impegnare truppe di terra loro proprie in simili teatri (o piuttosto pantani), la cosa pareva fantasiosa.

SAS mascherati da jihadisti operano in Siria

Questa notizia assume tutta la sua gravità se collegata ad un’altra, apparsa il 2 agosto sul britannico Sunday Express: “La SAS si traveste da combattenti dello Stato Islamico nella guerra segreta contro i jihadisti”.

Il giornale ci racconta che “più di 120 membri del reggimento di elite si trovano attualmente nel paese sconvolto dalla guerra, segretamente travestiti in nero e sventolando le bandiere dello Stato Islamico”.

http://www.express.co.uk/news/uk/595439/SAS-ISIS-fighter-Jihadis

Non ci vuol molto a capire che questi commando non servono a “combattere il califfato”, ma sono i puntatori, quelli che sul terreno hanno il compito di “illuminare” i bersagli da colpire, che poi gli aerei (in parte, droni in partenza dalla base turco-americana di Incirlik) colpiscono con bombe a guida laser. Sono stati mandati ad aiutare i jihadisti a rovesciare Assad.

Il Sunday Express precisa che questi SAS mascherati da DAESH sono “sostenuti da oltre 250 specialisti che forniscono il sostegno delle comunicazioni”. Ciò che chiarisce in modo definitivo le funzioni dei finti-veri britannici islamisti. Per di più, il giornale inglese cita “l’ex capo dell’esercito britannico lord Richard” il quale dice: “i carri armati entreranno in azione” in Siria, perchè “lo Stato Islamico non sarà vinto senza uno sforzo concertato sul terreno”.

Quindi è vero: hanno deciso di rischiare truppe di terra per farla finita con la Siria.

Il Wall Street Journal (neocon) parla già di “Libia 2.0”. Complimenti, bel progetto.

Parà russi pronti per Assad

E’ in questo contesto che, il 4 agosto, l’agenzia Itar-Tass rende noto che “paracadutisti sono pronti ad aiutare la Siria a combattere il terrorismo”: Il generale Vladimir Shamanov, comandante delle Truppe Aerotrasportate Russe, dichiara che “naturalmente eseguiremo gli ordini dati dalla leadership del paese”. Anche la Russia è pronta ad inviare in Siria – dove ha una base navale, la sola del Mediterraneo, a Tartus – truppe di terra.

Solo il giorno prima, il 3 agosto. Il ministro degli esteri Lavrov aveva incontrato a Doha il collega John Kerry e il pari grado saudita Adel al-Jubeir presentando un piano russo “mirante a creare un vasto fronte antiterrorista” per contenere la diffusione del terrorismo “in Siria, in Irak e in altri paesi della regione; Mosca ritiene che di questa coalizione debbano far parte anche le forze armate irachene e siriane – che effettivamente già combattono contro il Califfato – nonché i curdi. E ciò, “nel quadro del diritto internazionale”. Putin intende chiedere il mandato ONU, durante la sessione plenaria che deve tenersi a settembre.

Sembra che l’iniziativa di Obama miri a prevenire e vanificare questo piano russo, che metterebbe sotto il controllo internazionale la lotta al terrorismo, rendendo più difficile colpire il regime siriano fingendo di colpire i fanatici del Califfato.    Ai russi – a giudicare dai commenti raccolti dai loro media – è chiaro che Obama mira a distruggere quel poco che resta dell’aviazione di Assad, quasi unico elemento di superiorità contro i jihadisti.

https://www.rt.com/op-edge/311670-us-rebels-pentagon-syria/

Gli americani cercano la provocazione che consenta loro di eliminare il regime sostenuto da Mosca, e la base navale russa nel Mediterraneo.

Il portavoce della Casa Bianca John Earnest dice: “Per il momento, il regime di Assad ha rispettato l’avvertimento che gli abbiamo dato, di non immischiarsi nelle nostre attività all’interno della Siria”. Ovviamente l’armata siriana non spara sugli aviogetti occidentali che solcano i suoi cieli: una forza del tutto sproporzionata rispetto alla sua, che ha condotto migliaia di incursioni, le quali hanno prodotto almeno 450 vittime civili (secondo il sito Airwars, il numero può essere di oltre 1200)

http://airwars.org/

Il voltafaccia di Ankara
 
safe zone siria

La Turchia s’è evidentemente accordata con la strategia americana: finge di partecipare alla guerra contro il terrorismo di DAESH (che invece favorisce apertamente) e bombarda i curdi (specie ma non solo del PKK) che sono la sola forza di terra che impegna in conflitto i guerriglieri di DAESH. Per fare ciò, ha di sicuro avuto il permesso di Washington: i curdi, con le loro speranze di costituire uno stato nazionale ritagliato dai territori abitati da loro in Siria, Ira k e Turchia, sembrano essere stati venduti, in cambio dell’impegno di Erdogan di creare (secondo un accordo stilato fra turchi e americani a fine luglio) la creazione di una “zona di sicurezza” lungo la frontiera turco-siriana: un “santuario” per i jihadisti protetti d a Washington e per quelli sostenuti da Ankara.

Selahattin Demirtas, il capo del partito curdo d’opposizione HDP in Parlamento ad Ankara conferma: “La Turchia non intende colpire lo Stato Islamico con questa zona protetta. La zona cuscinetto è mirata a fermare i curdi, non lo IS”.

Ankara crea un battaglione islamico per  aiutare Kiev..

Il primo agosto, all’hotel Bilkent di Ankara, il ministro degli esteri di Kiev, Pavlo Klimkin, e il vice-primo ministro turco Numan Kurtulmus presiedono al “Congresso mondiale dei Tatari” (più di 200 associazioni). Lì il capo storico (e agente della Cia fin dai tempi di Reagan) dei tatari anti-russi, Mustafa Abdulcemil Cemiloglu ha annunciato la creazione di una “brigata musulmana internazionale”: per combattere in Crimea, dove abita una forte minoranza tatara e musulmana. La brigata islamista avrà base a Herson, e presso la frontiera della Crimea. Alla fine del Congresso, Cemiloglu è stato ricevuto da Erdogan che lo ha assicurato del suo appoggio, in funzione antirussa.

Ciascuno è in grado di valutare l’avventurismo turco, che non esita a scatenare il jihadismo nel cuore d’Europa.

A ulteriore conferma dell’alleanza Usa-Ankara, la notizia: il Turk Stream è stato bloccato sine die. Ossia il progetto di potenziamento del gasdotto (in parte ricalca il SouthStream) che doveva portare gas russo in Europa del Sud (Italia, Grecia, Bulgaria) attraverso la Turchia. Il progetto era stato proposto da Putin ad Erdogan nel 2014. Ora è Erdogan che silura il piano. L’alleanza anti-Assad con gli americani vale il prezzo.

Una bomba sporca per accusare i ribelli

Il giornalista ucraino Anatoly Shary, rifugiato in Russia, rivelava in un suo video del 2 agosto che gli occidentali si preparavano ad accusare i ribelli del Donbass di lanciare una bomba sporca – un classico false flag e pretesto per un intervento armato risolutivo delle truppe di Kiev, attualmente inquadrate, addestrate ed armate (e molto rimpolpate) da personale USA.

http://reseauinternational.net/ce-que-les-sales-medias-nous-preparent-de-sales-bombes-a-donetsk/

Notizia fantastica? Pura invenzione di parte?

Ma no: bastava leggere il Times di Londra del 1 agosto. L’ex autorevole giornale britannico comincia la campagna di preparazione al false flag. Titolo: “I ribelli ucraini ‘fabbricano la bomba sporca’ con l’aiuto di scienziati russi”.

http://www.thetimes.co.uk/tto/news/world/europe/article4514313.ece

L’articolo è a suo modo un capolavoro. Gli insorti del Donbass stanno fabbricando la bomba sporca con rifiuti radiologici e la collaborazione di “scienziati atomici russi”. Volontari, cani sciolti, evidentemente. Perché il Times aggiunge che Mosca ha negato la sua collaborazione alla costruzione della bomba sporca – il che dimostra solo che “il Cremlino non controlla più i ribelli”. Ma la sua colpa non diminuisce per questo. Il Times invita il presidente Putin a “dimostrarsi un dirigente responsabile” , autorizzando l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) a ispezionare i “nascosti depositi radioattivi” nel territorio del Donbass.

L’OCSE ha osservatori sul posto, che non notano le violazioni degli accordi di Minsk sul cessate il fuoco da parte delle forze armate di Kiev (a questo punto, americane) contro il Donbass. Che importa? Gli accordi di Minsk sono “morti e sepolti”, secondo il Times: “Lo spiegamento e la consegna di carri armati, lo spiegamento di artiglierie pesanti rendono assurde le promesse fatte da Vladimir Putin”, accusa il Times. Senza degnarsi di fornire le prove delle sue accuse.

Non servono, le prove. Il Times dice di aver letto “un rapporto dei servizi ucraini SBU” (della cui credibilità siamo tutti consci) il quale assicura che gli insorti hanno portato via “rifiuti radioattivi immagazzinati nella Fabbrica chimica di Donetsk”. La fabbrica “giace sulla linea del fronte di guerra tra i ribelli e l’armata ucraina”. Dunque anche l’armata di Kiev potrebbe aver preso il materiale? No, cosa dite. Sono i ribelli.

Quindi vogliono preparare la bomba sporca. Anzi la stanno già preparando.

E ciò, secondo il giornale britannico, “mostra o che Mosca si appresta ad aggravare il conflitto, oppure che ha perduto il controllo dei ribelli”. E “questa imprevedibilità costituisce una minaccia alla sicurezza d’Europa”. Motivo più che sufficiente per l’intervento NATO.

Se la Russia strumentalizza gli accordi di Minsk per mascherare la preparazione a un più grave conflitto, è necessario rivedere completamente i rapporti tra l’Occidente e l’Est, “indurendo le sanzioni contro Mosca”

“Putin crede che creando incertezza a proposito dell’influenza russa (sui ribelli), ottiene il diritto di dettare le sue condizioni. Si sbaglia. Invece, trasforma rapidamente la Russia in stato-canaglia”.

Detto dal giornale semi-ufficiale della Gran Bretagna, che ha sul terreno in Siria i suoi commandos “mascherati da jihadisti dell’IS” per abbattere il governo legittimo, è una singolare impudenza. Ma soprattutto una seria minaccia: gli “stati-canaglia” sono quelli che, per definizione, l’Occidente si prepara ad aggredire per renderli democratici

Sui fronti aperti, Siria e Ucraina, è evidente lo sforzo di provocare la Russia per aver il pretesto di schiacciarla, umiliarla se si rifiuta al confronto militare,  strapparle le zone di influenza.

E l’Europa?

“L’ondata di immigrazione causata dagli interventi Usa”

Ha avuto il coraggio di dirlo –  unico –  il presidente ceco Milos Zeman, in una intervista a Sputnik.

“L’attuale ondata di immigrazione in Europa” non ci sarebbe, senza “l’idea folle di restaurare l’ordine in Libia e in Siria…In seguito a queste operazioni militari sono sorti sul territorio di questi paesi dei regimi terroristi, ed è questo che scatena il flusso incontrollato di clandestini in Europa”. La colpa, ha il coraggio di dire Zeman, non è solo degli Stati Uniti ma “dei loro alleati nell’Unione Europea”.

Si tratta della semplice verità, che Londra e Bruxelles, Roma e Berlino e Parigi non hanno mai pronunciato.  Da noi, i giornalisti embedded   tacciono sulle responsabilità Usa e NATIO nella destabilizzazione in corso, che porta ai flussi di migranti.

Zeman ha detto di voler portare la questione all’assemblea generale dell’ONU di settembre; lui proporrà, ha annunciato, la creazione di unità militari per distruggere i campi d’addestramento jihadisti. “Ecco quel che bisogna fare al momento, e non penetrare da qualche parte con cingolati, artiglieria e fanteria”, ha detto Zeman: con chiara allusione alle prove di invasione limitata attuate da Usa ed Ankara. Evidentemente, appoggia il piano russo che gli americani e gli inglesi stanno mandando a monte. Piccolo particolare, i campi d’addestramento dei jihadisti da distruggere: sono in Turchia e Giordania, altri in Arabia Saudita.

http://www.altrainformazione.it/wp/2015/08/07/si-delinea-la-nuova-guerra-mondiale-usa/#sthash.p0zsjIfw.dpuf

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