venerdì 28 febbraio 2014

Extraterrestri "Metafisici"

Alcuni degli astronomi più importanti del nostro tempo, tra cui l’astronomo reale inglese Sir Martin Rees, credono nell’esistenza di civiltà extraterrestri avanzate nel cosmo e che queste per comunicare, piuttosto che utilizzare segnali radio o segnali luminosi visibili, si servano di mezzi di comunicazione del tutto diversi da quelli che conosciamo.

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Secondo gli scienziati, gli alieni potrebbero comunicare utilizzando ‘neutrini spettrali’ o ‘onde gravitazionali’, tecniche che solo adesso l’umanità sta cominciando a comprendere e che, comunque, sono al di fuori delle nostre capacità attuali.

“Il fatto che non abbiamo ancora trovato la minima prova della vita extraterrestre (tanto meno di vita intelligente), non mi sorprende e non mi delude”, ebbe a dire Arthur C. Clarke poco prima di morire nel 2008. “La nostra tecnologia deve apparire ridicolmente primitiva da una civiltà extraterrestre avanzata, tanto da poter essere considerati come selvaggi della giungla”.

Inoltre, Sir Martin Rees, cosmologo e astrofisico della Regina d’Inghilterra e presidente della Royal Society, ritiene che la possibilità di rilevare l’esistenza di vita extraterrestre potrebbe essere al di là della comprensione umana.

“Potrebbe trovarsi davanti ai nostri occhi, faccia a faccia, e non essere in grado di riconoscerla”, spiega Rees. “Il problema è che siamo alla ricerca di qualcosa di molto simile a noi, postulando che queste intelligenze non terrestri abbiano sviluppato la stessa nostra matematica e tecnologia.

Ho il sospetto che ci potrebbe essere vita intelligente là fuori, in forma che non siamo in grado di concepire. Proprio come uno scimpanzé non può capire la teoria quantistica, la vita intelligente potrebbe esistere come aspetti della realtà che sono al di là della capacità della nostra mente”.

Frank Drake, fondatore del SETI e inventore della famosa equazione omonima, ritiene che la tecnologia satellitare e la ‘rivoluzione digitale’ stiano rendendo l’umanità invisibile a potenziali intelligenze non terrestri. L’utilizzo dell’informazione digitale, infatti, sta causando una progressiva diminuzione delle trasmissioni televisive e radio diffuse nello spazio.

La Terra è attualmente circondata da un guscio di radiazioni causata da trasmissioni televisive, radiofoniche e radar analogici. Questi segnali, secondo Drake, sarebbero avvertiti dagli alieni come potenziale presenza di una civiltà tecnologica sul pianeta.

Sebbene tali segnali si siano diffusi quanto basta per raggiungere molti sistemi stellari vicini, essi stanno rapidamente scomparendo, facendo cadere l’umanità in una sorta di ‘oblio cosmico’.

Nel 1960, Drake ha guidato la transizione dell’Osservatorio di Arecibo in un centro di radioastronomia. Come ricercatore, egli è stato coinvolto nelle prime osservazioni delle pulsar. Drake è stato anche colui che nel 1972, insieme a Carl Sagan, progettò la famosa targa applicata sulla sonda Pioneer, il primo messaggio fisico inviato nello spazio. La targa fu pensata per essere comprensibile da eventuali extraterrestri che l’avrebbero incontrata.

Milan Cirkovic, dell’osservatorio astronomico di Belgrado, fa notare che l’età media dei pianeti nella Via Lattea è di circa 2 miliardi di anni superiore all’età della Terra e del Sistema Solare. Questo significa che l’età media di una civiltà tecnologia extraterrestre potrebbe essere molto superiore a quella della civiltà umana. L’ampiezza di questo intervallo fa ritenere che la capacità di poter osservare eventuali comunità extraterrestri potrebbe essere al di là della nostra tecnologia.

Dato che in questo momento non vi è alcuna prova diretta o indiretta dell’esistenza di civiltà extraterrestri, una di queste possibilità potrebbe indicarne il motivo:

A) Siamo i primi esseri intelligenti del cosmo in grado di rendere nota la nostra presenza e, prima o poi, lasciare il nostro pianeta. A questo punto, non ci sono altre forme di vita avanzate come la nostra;

B) La vita extraterrestre potrebbe non esistere, oppure essere così rara e lontana che di fatto non potremo mai entrare in contatto con essa, rendendola inesistente, almeno in senso pratico;

C) Molte civiltà aliene potrebbero essere esistite prima di noi e che per qualche ragione sconosciuta si sono estinte, senza lasciare traccia della loro esistenza (o, almeno, non siamo riusciti ancora a scovare le tracce della loro passata esistenza);

D) Esistono molte civiltà extraterrestri. Forse alcune di loro non hanno avuto interesse ad espandersi nello spazio, rimanendo nei confini del loro sistema stellare; altre potrebbero essere talmente avanzate da risultare invisibili ai nostri strumenti.

Se si esclude la possibilità offerta da alcune confessioni di fede, secondo le quali l’umanità è frutto di una creazione esclusiva da parte di un principio singolare solitamente chiamato ‘Dio’, allora la proposizione A è abbastanza improbabile.

Supponendo che gli esseri umani si siano evoluti come le altre forme di vita sul nostro pianeta attraverso la selezione naturale, allora l’umanità è il frutto di un principio che pervade l’intero universo.

Quindi, se ci sono quasi certamente altri pianeti in grado di sostenere una qualche forma di vita, è altamente improbabile che gli esseri umani siano una ‘straordinaria anomali’ all’interno dell’universo. Ben inteso, l’esistenza di un principio singolare (Dio) e la via evolutiva non si escludono a vicenda, dato che quest’ultima potrebbe essere proprio una ‘regola’ che deriva dal principio singolare.

A questo punto, la proposizione D è talmente probabile da sfidare ogni logica: se migliaia, o addirittura milioni di civiltà extraterrestri esistono nell’Universo conosciuto, allora perchè tutte, senza eccezioni, hanno scelto di non espandersi nel cosmo o di esistere in modo tale da risultare completamente inosservabili? E’ concepibile che alcune di esse, o forse la maggioranza, potrebbero aver scelto questa strada, ma che lo abbiano fatto tutte sembra alquanto improbabile.

Viene in mente così la domanda che si pose il nostro Enrico Fermi nel 1950 e che è conosciuta come l’omonimo paradosso: “Dove sono tutti quanti? Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non abbiamo ancora ricevuto prove di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali?”.

La situazione paradossale è dovuta al contrasto tra la sensazione, da molti condivisa e sostenuta da stime del tipo di quella di Drake, che noi non siamo soli nell’universo e il fatto che i dati osservativi contrastino con questa sensazione. Ne deriva che o la sensazione intuitiva e le stime come quelle di Drake sono profondamente errate (suggerendo che sia probabile ciò che è estremamente improbabile o addirittura impossibile), o la nostra osservazione o comprensione dei dati è incompleta.

Per rimanere fedeli alla fama di cospiratori, vi proponiamo una teoria ‘estrema’ proposta per la prima volta da Eric Frank Russell, scrittore di fantascienza, nel suo romanzo “Schiavi degli Invisibili”, in cui presenta l’inquietante ipotesi che la Terra sia dominata da esseri extraterrestri, chiamati Vitoni, entità invisibili di energia che si nutrono della nostra energia mentale e che impediscono il contatto dell’umanità con altre civiltà dello spazio.


Russell prese lo spunto per la scrittura del suo romanzo dalle teorie di Charles Fort, il ‘grande eretico della scienza’, studioso americano di fatti misteriosi e fenomeni paranormali, e che amava ripetere:

“Credo che noi tutti siamo proprietà altrui”. E spiegava: “In passato le altre razze del cosmo venivano a visitare la Terra, ma ora non più. Forse nei secoli scorsi una razza si è impadronita del nostro pianeta, e ora allontana tutte le altre”.

Il romanzo è stato ispirato a Russell da due considerazioni: “Dato che tutti gli uomini amano la pace, perché allora non riescono ad averla?”. E: “Se esistono razze extraterrestri più progredite dell’uomo, perché non vengono a trovarci?”. La risposta di Russell, ispiratagli dalle opere di Charles Fort, è la seguente:

“Il genere umano è già stato conquistato da altre intelligenze. Sono questi nostri sconosciuti padroni a fomentare le guerre e ad impedire alle altre razze del cosmo di comunicare con noi”.

Nel romanzo di Russell, l’uomo è dominato, senza averne coscienza, dai Vitoni: sfere di energia, invisibili all’occhio umano, che si nutrono della sua energia nervosa e la mietono istigando guerre, passioni, delitti.

Un piccolo gruppo di scienziati si accorge di questa schiavitù e a sua volta dichiara guerra ai Vitoni. Una guerra mortale, e pericolosissima, poiché basta pensare ai Vitoni per rischiare l’immediata distruzione. Insomma, un classico della fantascienza di grande suggestione.

Il racconto di Russell è molto simile alla teoria dei ‘Voladores’ di Carlos Castaneda, uno scrittore peruviano morto nel 1998.

L’ipotesi avanzata da Castaneda è a dir poco inquietante: “Gli sciamani dell’antico Messico scoprirono che abbiamo un compagno che resta con noi per tutta la vita, un predatore che emerge dalle profondità del cosmo e assume il dominio della nostra vita”.

I Voladores si nutrono solo di un determinato tipo di energia e noi ne produciamo molta di quella energia. I predatori alimentano l’avidità, il desiderio smodato, la codardia, l’aggressività, l’importanza personale, la violenza, le emozioni forti, tutti gli eccessi, l’autocompiacimento ma anche l’autocommiserazione. Le fiamme energetiche generate da queste qualità “disarmoniche” sono il loro cibo prediletto.

I Voladores non amano invece la qualità vibrazionale della consapevolezza, dell’amore puro, dell’armonia, dell’equilibrio, della pace, della sobrietà… in una parola aborriscono la qualità energetica della crescita evolutiva, e hanno ogni vantaggio nel boicottare ogni nostro incremento di coscienza.

Secondo Castaneda sono stati proprio i Voladores a instillarci stupidi sistemi di credenza, le abitudini, le consuetudini sociali, e sono loro a definire le nostre paure, le nostre speranze, sono loro ad alimentare in continuazione e senza ritegno il nostro Ego. Come direbbe Spok: affascinante!

Di recente, a recuperare l’ipotesi della ‘prigionia aliena’, con qualche variazione, è stato David Icke, controverso autore, ritenuto da alcuni il grande rivelatore del complotto rettiliano sul nostro pianeta.

Secondo l’ipotesi di Icke, alcuni alieni rettiliani, sotto le mentite spoglie umane di uomini pubblici, hanno preso il controllo del nostro pianeta impedendo all’umanità la normale evoluzione spirituale, sociale e tecnologica. Il fine di costoro sarebbe quello di schiavizzare l’umanità e impossessarsi definitivamente delle risorse planetarie (umanità compresa), impedendo qualsiasi contatto tra umanità e extraterrestri (quelli buoni, però!).


Forse anche Enki, Enlil e compagnia cantante ebbero a che fare con ciò che io chiamo "extraterrestri metafisici" come possono essere i Vitoni o i Voladores di Castaneda o, parafrasando Rees vita intelligente che esiste sotto aspetti della realtà che sono al di là della capacità della nostra mente

giovedì 27 febbraio 2014

Il Secondo Sole

Quanto esposto nell'articolo in questione rilancia l'ipotesla teoria di una seconda stella... ma se invece di perdersi nello spazio si fosse spenta diventando una nana bruna?! 

Nemesis...

nemesis sole

Un tempo, anche il nostro sistema solare sarebbe stato binario, ovvero formato da due Soli. È l’ultima teoria avanzata da un astrofisico per spiegare una delle stranezze che da sempre fanno scervellare gli scienziati, ovvero l’orbita inclinata della Terra rispetto all’equatore solare. La causa potrebbe essere stata una giovane stella che avrebbe influenzato i pianeti in formazione prima di sparire...

L’ipotesi è stata formulata da un ricercatore che lavora negli Stati Uniti per giustificare le orbite a dir poco singolari di alcuni pianeti extrasolari che sembrano sfuggire alle leggi della fisica. Nel 1995, alcuni astronomi svizzeri per la prima volta individuarono un gigante gassoso, definito “Giove bollente”, in orbita attorno ad una stella. Per spiegare come mai si trovasse dove non si aspettavano di trovarlo, ipotizzarono che il pianeta si fosse formato altrove, ma fosse poi migrato vicino alla stella, attirato nella spirale del disco protoplanetario di gas e polvere che una volta le turbinava attorno. Il pianeta sarebbe rimasto poi nel disco e la sua orbita avrebbe coinciso con quella della stella di riferimento. 

Ma la teoria della migrazione ha subìto un duro colpo nel 2008, quando gli astronomi hanno iniziato a trovare dei pianeti simil-Giove un po’ ovunque, con orbite inclinate e persino retrograde rispetto alle loro stelle. Ciò faceva immaginare che le forze di attrazione di altri pianeti ancora più massicci li avessero cacciati di forza dai loro percorsi alterandone le orbite. Ma adesso Kostantin Batygin, del Centro Harvard-Smithsonian per l’Astrofisica di Cambridge, in Massachusetts, ha un’altra idea. “Le orbite non allineate  sono un naturale effetto della migrazione nel disco, solo se si accetta però il fatto che i sistemi planetari si formino, solitamente, in ambienti multistellari“, dice il ricercatore. Nel suo studio pubblicato su Nature, Batagyn ha calcolato come il disco protoplanetario di una giovane stella venga alterato da una seconda stella che le orbiti intorno. 

Quando un pianeta gigante si muove in spirale seguendo questo disco inclinato, inevitabilmente la sua orbita risulterà non allineata al piano dell’equatore solare. “La ritengo un’ipotesi del tutto plausibile“, sostiene Josh Winn, astronomo dell’Istituto di Tecnologia del Massachusetts che ha misurato le orbite di svariati pianeti gioviani. “E la cosa migliore di questa idea è che la possiamo verificare“. Infatti, se Batagyn ha ragione, questi mancati allineamenti dovrebbero essere ancora più frequenti dei giganti gassosi, perchè l’alterazione del disco non richiede necessariamente la presenza di un Giove bollente. Finora, il telescopio spaziale della Nasa Kepler ha misurato l’inclinazione di un solo sistema multiplanetario: i tre pianeti che orbitano attrono a Kepler 30, tutti allineati con l’equatore della loro stella. 

Ma in futuro, Winn  prevede di osservare molti altri sistemi planerari per mettere alla prova la teoria dell’astrofisico. Da parte sua, Kostantin Batagyn è pronto a scommettere sulla validità del suo modello intepretativo, sicuro che una prima prova potrà essere trovata osservando Alpha Centauri, un sistema stellare ternario con almeno un pianeta in orbita attorno alla stella più luminosa. 

“Ci sono buone chance che gli astronomi trovino che dissallineamenti. Alpha Centauri A e Alpha Centauri B sono abbastanza vicine da aver influenzato a vicenda  il piano di inclinazione dei loro sistemi planetari” Ma non basta. 

Perché in realtà, noi conosciamo già un sistema solare nel quale i pianeti mostrano l’inclinazione delle orbite: il nostro. Tanto che il ricercatore azzarda:”Io credo che da qualche parte, nella Via Lattea, ci sia una stella responsabile della nostra alterazione. Sospetto che il Sole, una volta, avesse una stella compagna che ha trascinato la nebulosa solare di 7 gradi. 

Poi ha lasciato la scena poco dopo la comparsa dei primi pianeti.” La Terra, dunque, continuerebbe ad orbitare con quell’inclinazione strana rispetto all’equatore solare di circa 7 gradi,  provocata da quella ipotetica stella gemella che faceva compagnia al nostro Sole prima di perdersi  nello spazio, chissà dove.
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Fonte: http://scienza.panorama.it

mercoledì 26 febbraio 2014

Dall'Età Megalitica al Periodo Preglaciale Moderno

Quando furono fondate le Piramidi di Giza e la Sfinge?


Stando a quanto sostengono gli egittologi le 3 grandi piramidi di Cheope, Chefren e Micerino (tre faraoni della IV dinastia), nella piana di Giza, in Egitto, furono costruite da loro intorno al 2500 a.C., come enormi tombe. 

La Sfinge, raffigurante il faraone Chefren, e i maestosi templi, sempre nella piana di Giza, sono attribuiti a questo faraone, praticamente da sempre. 

Tutte queste attribuzioni e datazioni risalgono almeno ai tempi dello storico Erodoto, nel V secolo a.C. e concordano con la storia ufficiale secondo cui le prime civiltà del mondo in grado di lasciare prove scritte, sorsero intorno al 4000 a.C. in Egitto, in Mesopotamia, in America centrale e meridionale. 

Ma nonostante ad un esame molto superficiale tutto sembri tornare secondo gli egittologi, ad un esame solo poco più attento non si può fare a meno di notare come molte, moltissime cose non possono essere andate come raccontano gli storici. 

Le tre enormi piramidi presentano delle caratteristiche tali da escludere che siano state costruite da un popolo rudimentale.

Perchè? Le piramidi non sono semplicemente un ammasso di blocchi di granito, ma sono molto molto di più. 


Sono state costruite secondo una precisione millimetrica impressionante e contengono numerosi messaggi scientifici degni di una scienza incredibilmente avanzata.

La Grande Piramide di Cheope fu costruita con 2.300.000 blocchi di granito del peso variabile da 2 a 15 tonnellate ciascuno.

Uno sforzo alquanto eccessivo per l'ipotesi di una tomba.

Inoltre,attenti studi e ricerche ci riportano che per la Grande Piramide il lavoro architettonico e di muratura è stato di gran lunga superiore a quello richiesto per la costruzione di tutte le cattedrali, le chiese ed innumerevoli cappelle medievali d'Europa. 

Il suo volume è trenta volte superiore a quello dell'Empire State Building di New York. Al suo interno può contenere tranquillamente l'immensa Cattedrale di S. Pietro in Roma ed altre chiese. La sua altezza è stata stimata intorno ai 145 mt e 75 cm, ma originariamente raggiungeva i 150. Il giornalista inglese Graham Hancock, che l'ha scalata e misurata, ci ha riportato queste misure: 

- LATO NORD metri 230 e 25.05 cm 
- LATO SUD metri 230 e 45.35 cm 
- LATO EST metri 230 e 39.05 cm 
- LATO OVEST metri 230 e 35.65 cm 

E con zelante maniacalità i suo angoli misurano: 

- NORD EST: 90 gradi, 3 primi e 2 secondi. 
- SUD-EST : 89 gradi, 56 primi e 27 secondi. 
- NORD OVEST: 89 gradi, 59 primi e 58 secondi. 
- SUD OVEST: 90 gradi e 33 secondi. 

Ogni misura differisce dall'altra con un margine d'errore dello 0,1 per cento, un risultato da far invidia ad un edificio di piccole dimensioni dei nostri giorni. 

Il suo peso consta in 6 milioni e mezzo di tonnellate di blocchi di granito del peso di circa 20 tonnellate ciascuno; in alcuni casi superano le 100 tonnellate. 

Tutto ciò è incredibilmente sorprendente ed impressionante. 

Ci sono chiare evidenze però, che rafforzano non solo l'idea che l'architettura struttura di questi monumenti sia fin troppo avanzata rispetto alle teorie degli egittologi, ma bensì anche il fatto che queste strutture, come la Sfinge, siano state erette migliaia di anni prima.

Le tre piramidi di Giza sono allineate in base a come apparivano le tre stelle della Costellazione di Orione 12.000 anni fa.

 

Allo stesso modo la Sfinge, che doveva in teoria rappresentare il faraone Chefren, è stata scolpita in base a come doveva apparire la Costellazione del Leone, all'orizzonte 12.000 anni fa, quindi rappresenterebbe in realtà un leone il cui volto è stato successivamente scolpito per dare l'apparenza di un volto umano.



Le tracce di erosione lungo i lati del gigantesco monumento evidenziano che venne edificato durante un periodo di intense piogge alluvionali, un clima che non corrisponde lontanamente nemmeno a 5000 anni fa, ma a 12.000 anni fa.

In parole povere il disegno della Sfinge e delle Piramidi di Giza è una sorta di ricostruzione di allineamenti stellari di come appariva la volta celeste nei cieli d'Egitto durante l'Era del Leone.


In quel periodo si può osservare come le temperature fossero di gran lunga più alte di quelle attuali, mentre nei successivi millenni i periodi caldi si sono fatti sempre meno intensi seguendo una tendenza al ribasso.

Sembra che in un periodo remoto risalente a 12.000-10.000 anni fa, quando il clima era decisamente più caldo dell'attuale, ci sia stata un'ampia quanto avanzata civilizzazione su scala globale, la quale in qualche modo, grazie a precise misure geometriche, era in grado di edificare colossali strutture megalitiche.


Diversi esempi vengono sollevati da tutto il mondo.

Il volto megalitico di Borzone è un'antica scultura rupestre situata presso il borgo di Zolezzi, in località Rocche di Borzone, nel comune ligure di Borzonasca, in provincia di Genova.


Scoperto durante un sopralluogo del Comune per la costruzione della strada carrozzabile nel 1965, con i suoi 7 metri d'altezza è considerato la scultura rupestre più grande d'Italia e d'Europa.

Il ritrovamento, ripreso e documentato da alcuni quotidiani locali, attirò subito l'attenzione degli archeologi. Risale al Paleolitico superiore (da circa 20.000 a 12.000 anni fa) come molti menhir antropomorfi di Carnac.

In Giappone, al largo della costa di Okinawa, esiste una gigantesca struttura artificiale in pietra sommersa ad una profondità di circa 26 metri sotto il livello del mare, tale struttura è stata soprannominata Yonaguni.


Fino a 12.000 anni fa il livello marino in quest'area era ancora basso finchè il successivo ritiro delle calotte glaciali non portò queste strutture ad essere sommerse dal mare, indubbiamente non si può contestare il fatto che questa struttura non sia opera dell'uomo.




Sulle Ande, invece, possiamo trovare un'altro esempio di struttura megalitica, denominata Tiahuanaco.

Se si pensa che la Grande Piramide d’Egitto è una meraviglia tecnologica, ammirate ciò che gli artisti e gli ingegneri hanno fatto a Tiahuanaco. 


Questa cultura prosperò a oltre 4000 metri di quota, in una zona dove la carenza d’ossigeno rende difficile persino respirare, ma i suoi uomini riuscirono a spostare pietre di peso fino a 200 tonnellate e inventarono tecniche di costruzione modulare, che sarebbero ancora oggi d’attualità.

Vi si trovano tre importanti opere: il monolito di Ponce, quello del sacerdote e la famosa Porta del Sole, arco massiccio tagliato da un unico pezzo di andesite. Gli intagli sulla facciata costituiscono l'espressione più elaborata dell'arte Tiahuanaco.


L'ingresso al tempio, con le caratteristiche costruzioni di pietra. Si usavano grandi pietre a superficie liscia per la costruzione dei muri. 


Alcune delle pietre mostrano con evidenza un uso di utensili che semplicemente non avrebbe potuto essere fatto con nessuna delle antiche tecnologie. 


Guardate solo l'esempio del blocco di pietra a Punku Puma. Contiene scanalature, fatte con precisione, di 6 mm di larghezza, con fori equidistanti. 

Sembra impossibile che questi tagli di grandi precisione potessero essere effettuati con l'uso di strumenti di pietra o di rame. Lo scopo di questa lavorazione non è noto, ma è stato suggerito che piastre d'oro o bronzo potessero essere fissate alle pareti. Altri suggeriscono che i giganteschi blocchi di pietra fossero bloccati insieme con grappe di metallo. 


Grandi idoli sono stati scolpiti da un’unica grande pietra e sembrano essere stati lucidati e finiti con dei metodi sconosciuti. 

La tecnica modulare permette di produrre i blocchi in serie, per montarli in loco in una varietà di configurazioni. Questa tecnica appare a Tiahuanaco pienamente sviluppata, senza alcuna prova d’una sperimentazione precedente. Quando svilupparono gli ingegneri di quell’epoca le loro idee o esperienze? Perché è questo l'unico esempio di costruzione modulare, nel mondo antico? Queste sono solo alcune delle molte domande che chiedono una risposta, in questo notevole sito. 

Le pietre erano spesso fissate l’una con l’altra con "graffe" di metallo. Scanalature corrispondenti sono scolpite nella parte superiore e nei fianchi delle pietre. Poi, metallo fuso era versato e lasciato indurire, a fissare le due pietre insieme. Questa tecnica è stata utilizzata anche in Egitto e in Asia del Sud–Est. 

Il fatto che la cultura di Tiahuanaco sia apparsa pienamente sviluppata in questa terra d’altitudine, arida e inospitale, è un vero enigma rompicapo. Quasi subito i suoi abitanti sembrano aver utilizzato avanzate tecniche di costruzione, come la costruzione modulare. Enormi blocchi sono stati scolpiti da monoliti e progettati per adattarsi insieme sul sito con esatta precisione e stile artistico. Queste tecniche sono state sviluppate dai moderni costruttori solo nel secolo scorso. I blocchi massicci sono estremamente stabili, resistenti al tempo e ai terremoti. Ma come sono stati ricavati, trasportati e posizionati, apparentemente a mano?

Nel XVI secolo il missionario Diego de Alcobaso scrisse: "Su una piattaforma vidi una colonna di splendide statue, così reali da sembrare vive. Uomini e donne, alcuni in piedi, altri seduti in pose quotidiane. Alcune donne avevano bambini sulle ginocchia o sulle spalle."

Oggi la maggior parte di quelle statue purtroppo è scomparsa. Distrutte dall'ignoranza religiosa dei preti spagnoli o rubato dai predatori archeologici. 

Un'altra affascinante costruzione è il tempio semi-sotterraneo, quadrangolare, escavato solo nel 1960. Nelle sue mura sono fissate dozzine di teste di pietra, che rappresentano probabilmente trofei di guerra. Nel suo centro si trovano alcuni monoliti, di cui uno "barbuto". 

Un enigma per gli archeologi, perchè rappresenta una persona con barba folta, mentre è risaputo che agli indios non cresce la barba. 

Fino ad oggi nessuno sa spiegare l'origine diquesto popolo, in grado di realizzare una metropoli, su un arido altipiano sterile. Forse la risposta verrà dalla esplorazione di un'altra città monolitica, oggi sommersa dalla acque del Titicaca, di fronte a Puerto Acosta. 

L'archeologo Arthur Posnansky, che studiò a Tiahuanaco per trent'anni, datò l'età della città a 12.000 anni fa. 

Ci sono numerosi altri esempi di strutture megalitiche risalenti al periodo ma ci soffermeremo sui dettagli di queste ultime quanto la loro ricostruzione.

Anche se potrebbe sembrare un'affermazione forzata, la tecnica di edificazione degli edifici più antica comparata con quella più recente, ha un fattore in comune con il grafico sopra elaborato delle temperature globali degli ultimi 12.000 anni in progressivo declino vero il basso.



La base di questa terrazza a Baalbek (Libano) misura circa 465000 metri quadrati. Tre pietre colossali, conosciute con il nome di "Trilithon", sono le più grandi tra i molti megaliti visibili che costituiscono le mura della terrazza. Misurano oltre 18,2 metri in lunghezza, con larghezze tra i 3,6 m e i 4,2 m (notare i due uomini al centro). Sulla piattaforma ci sono ancora molte rovine romane, ma il sito è molto più vecchio dell'impero romano. Persino i Sumeri dicevano che il sito era antico. Oggi non abbiamo idea di chi l'abbia costruito, e non sappiamo neanche come, quando e perchè sia stato edificato. E, sfortunatamente, la nostra comunità scientifica continua a ignorare Baalbek.

Tra i siti colossali più stupefacenti del mondo c'è quello di Heliopolis a Baalbek in Libano. 

Ciò che colpisce subito di questo enorme e antichissimo complesso sono le dimensioni. Guardando il tempio principale di Giove ci si rende conto che è al di fuori della misura umana rispetto a un qualsiasi altro tempio greco romano visibile nelle nostre città, soprattutto per quanto riguarda il basamento dell'edificio dove si possono vedere i massi più grossi, ognuno dei quali misura oltre 21 m di lunghezza per quasi 5 di larghezza e con un peso di circa 1000 tonnellate.

Nelle parti soprastanti si può osservare il paragone di dimensioni con i monoliti più antichi alla base rispetto alle comuni dimensioni di un'essere umano, mentre nel contempo si può osservare come le parti più antiche, quelle in basso siano state edificate con monoliti più grandi mentre quelle più recenti risalendo verso l'alto evidenzino un cambiamento nella tecnica con blocchi di pietra decisamente più inferiori fino a risalire a quelli più recenti che diventano a loro volta di dimensioni ulteriormente più ridotte.


La stessa cosa è riscontrabile anche a Tihanuaco, in Bolivia.

Anche in questo caso, nonostante il peso e le dimensioni, gli enormi blocchi sono tagliati ed incastrati tra loro con una precisione incredibile, contrariamente invece, quelli in alto sono quelli più recenti. 

Entrambi i siti in passato subirono un periodo di abbandono, per poi essere nuovamente riutilizzati da civiltà successive, evidenziando però un netto cambiamento durante la fase di ristrutturazione con blocchi di pietra di dimensioni inferiori.

Perchè questo cambiamento?

Il grafico in alto, ottenuto grazie ai carotaggi di carote di ghiaccio dalla calotta glaciale della Groenlandia, ha permesso di ricostruire la storia climatica dalla fine dell'ultima glaciazione, evidenziando grazie all'analisi dei nuclei di ghiaccio quanto alte le temperature fossero durante la fine del Pleistocene, (12.000-11.500 anni fa) rispetto al giorno d'oggi, i dati sommati hanno evidenziato che in passato il clima è stato molto più caldo di oggi.

E' un fatto scientifico che gli organismi per adattarsi a sopportare meglio il freddo tendono a ridurre drasticamente le proprie dimensioni corporee.

Alcuni esempi ce lo dimostrano:

- Le pinete, hanno foglie ridotte in strutture aghiformi per sopportare il freddo dell'inverno, mentre in normali condizioni calde tendono facilmente a seccarsi e a morire.

- La Volpe Artica per resistere al freddo clima polare ha dovuto ridurre le proprie dimensioni rispetto alle altre volpi europee. La grandezza di questo carnivoro può variare dai 53 ai 55 cm, con un peso di circa 4 kg. Il corpo è essenzialmente robusto, anche se più piccolo rispetto alle altre volpi. Le orecchie sono piccole e rotondeggianti, il manto è bianco e molto folto d'inverno, mentre diventa marrone e più rado durante la stagione calda, con un sottopelo molto ridotto.Le comuni volpi alle medie latitudini invece hanno dimensioni molto più grandi, la loro taglia varia da una lunghezza totale del corpo di 60-80 cm, una lunghezza della coda di 30-49 cm e un peso di 8-10 kg nel fennec a una lunghezza totale del corpo di 72-100 cm, una lunghezza della coda di 25-35 cm e un peso di 9 kg nella volpe dalle orecchie corte.


- Una capra estinta che viveva su una sterile isola del Mediterraneo è sopravvissuta per milioni di anni, riducendo le dimensioni e diventando, che non è mai stato scoperto nei mammiferi, a sangue freddo.

Quando il clima si fa più freddo, e anche il cibo scarseggia, alcune specie necessitano di ridurre le proprie dimensioni sia per risparmio energetico sia per un fattore di metabolismo.

E' sufficiente pensare che alcuni dinosauri del Cretaceo, quando era enormemente più caldo di oggi, superavano i 35 metri di altezza e necessitavano di un'alimentazione pari a 500 kg di cibo, questo spiega il motivo per cui oggi questi animali non esistono più se non qualche sottospecie come i Coccodrilli oppure il Varano delle Isole Komodo, tutti che vivono in regioni molto calde del pianeta.

Per comprendere come le ridotte dimensioni di un'organismo possano favorire un risparmio energetico in condizioni di freddo estremo osserviamo anche l'esempio di virus e batteri.

Il congelamento di solito non uccide i batteri e non danneggia i virus. 

I batteri rimangono in uno stato quiescente, ma possono riprendere a moltiplicarsi, se riportati ad una temperatura idonea: per conservare in laboratorio le colture batteriche, vengono congelate. 

In realtà la parete batterica è piuttosto resistente e protegge la membrana sottostante che sarebbe molto più sensibile. I virus, in pratica sono quiescenti sempre, a meno che non infettino una cellula.

Ci sono due possibilità: la prima consiste nel fatto che migliaia di anni fa oltre ad avere un'avanzata tecnica la razza umana era di dimensioni maggiori rispetto alle attuali; la seconda invece consiste nel fatto che possedevano un'elevata massa muscolare oltre ad una forza incredibile, il che ovviamente mette anche a disposizione la presenza di un'avanzata tecnologia.

Il fatto che undici millenni fa qualcuno sia stato in grado di tagliare mastodontici blocchi di granito e altre rocce, sollevarli e incastrarli, o posizionarli per farne le fondamenta, evidenzia da solo un'elevato livello tecnologico, ma come era la struttura fisica degli esseri umani di allora?

Il fatto che siano esistite persone di elevata statura non sarebbe da mettere in dubbio, numerose foto d'epoca e alcuni ritrovamenti archeologici rafforzano la tesi che la razza umana era più possente.

Un'ritrovamento simile ci arriva dalla Francia di fine Ottocento. 

Il gigante di Castelnau fu una scoperta di ossa fossili che potrebbe rappresentare uno dei più grandi uomini noti essere mai esistiti. Le ossa, che si trovano in una sepoltura dell'età del bronzo, risalgono al periodo neolitico e consisteva in un omero, la tibia e femore. Lo scienziato che ha fatto la scoperta nel 1890 ha stimato la dimensione delle ossa che l'uomo potrebbe essere stato più di tre metri di altezza.

Le ossa sono state scoperte dagli antropologi Georges Vacher de Lapouge al cimitero di Età del Bronzo di Castelnau-le-Lez , Francia nell'inverno del 1890. I suoi risultati sono stati pubblicati sulla rivista La Nature , vol. 18 1890 Issue 888. 

L'altezza della persona è stato stimato in circa 3,5 m (11 ft 6 in), secondo de Lapouge, e le ossa erano datate al periodo Neolitico, da quando sono stati trovati al fondo della sepoltura a tumulo dell'Età del Bronzo. 

Scrivendo sulla rivista La Nature, de Lapouge descrive le ossa nel dettaglio: "Penso che sia superfluo notare che queste ossa sono innegabilmente umane, nonostante le loro enormi dimensioni .... Il primo è la parte centrale dell'albero di un femore, 14 cm di lunghezza, quasi di forma cilindrica, e la circonferenza dell'osso cm 16 .... Il secondo pezzo è la parte centrale e superiore dell'albero di una tibia .... La circonferenza è di 13 cm al forame nutrienti .... la lunghezza del frammento è 26 centimetri .... La terza, molto singolare, è stato considerato da buoni anatomisti come la parte inferiore di un omero .... 

I volumi delle ossa erano più del doppio ai pezzi normali quali corrispondono. 

Le ossa dell'uomo di Castelnau sono stati studiati presso l' Università di Montpellier ed esaminati da M. Sabatier, docente di Zoologia presso l'Università di Montpellier, e M. Delage, professore di paleontologia all'Università di Montpellier, in aggiunta ad altri anatomisti. 

Nel 1892 le ossa furono attentamente studiati dal Dr. Paul Louis André Kiener, professore di anatomia patologica a Montpellier Scuola di Medicina, per la quale ha ammesso che rappresentavano una "razza molto alta", ma comunque li ha trovati abnormi nelle dimensioni e apparentemente di "morbosa crescita ". 

È di un certo interesse che nel 1894, i conti comunicati che hanno menzionato un ulteriore ritrovamento di ossa di giganti umani rinvenuti in un cimitero preistorico a Montpellier , Francia (5 km sud-ovest di Castelnau) mentre i lavoratori stavano scavando ad una falda acquifera. 

Teschi di "28, 31 e 32 centimetri di circonferenza" sono stati riportati a fianco di altre ossa di proporzioni gigantesche che hanno indicato di appartenere a una razza di uomini ", tra 10 e 15 piedi di altezza." 

Le ossa sarebbero stati inviati alla Accademia di Parigi per ulteriori studi. 

Un'altro esempio ci arriva dalla Pennsylvania, Stati Unitin nel 1885.

"Philadelphia Times, 27 giugno, 1885

Erie County 

Porter ha una fattoria vicino Noirtheast, non molte miglia da dove la ferrovia Lake Shore attraversa la linea di confine dello stato di New York. All'inizio di questa settimana qualche operaio alle dipendenze di Mr. Porter rinvennero l'ingresso di una grotta ed entrando trovarono cumuli di ossa umane all'interno. 

Molti scheletri erano esemplari completi del ritrovamento sono stati portati alla luce ed esposti al naturalista e gli archeologi del quartiere. Essi hanno informato i presenti chiedendo se i resti erano inequivocabilmente quelli di giganti. 

L'intero villaggio del Nord-Est è stato informato dalla scoperta e oggi centinaia di persone dalla città hanno approfittato della vacanza per visitare la scena. E 'stato ipotizzato che i resti erano quelli dei soldati uccisi in battaglia con gli indiani che abbondavano nelle vicinanze durante il secolo scorso, ma la dimensione dei crani e la lunghezza delle ossa delle gambe ha dissipato quella teoria. Finora circa 150 scheletri di proporzioni enormi sono stati esumati e le indicazioni puntano a una seconda grotta verso est, che può contenerne, molti altri."

Ovviamente non possiamo farci influenzare dall'idea che questi scheletri di anomale dimensioni siano in realtà i resti di giganti veri e propri.

Quelle sono solo leggende e mitologie bibliche basate su testi non storicamente affidabili e allo stesso modo da non prendere in considerazione, come farebbero invece le tesi dei Creazionisti che si basano su una visione distorta della realtà rispetto ai fatti scientifici. 

Circolano in rete molte foto di ipotetici ritrovamenti di scheletri che vengono attribuiti ai giganti, in realtà buona parte di queste non sono altro che immagini ritoccate, il fatto che vengano ritrovati scheletri di grandi dimensioni non significa che i giganti siano realmente esistiti.

In realtà è possibile, circa undici millenni fa, che la stazza degli esseri umani fosse di gran lunga maggiore rispetto ad oggi, allo stesso modo nel caso questa ipotesi sia errata, non si può fare a meno di chiedersi se gli uomini di un tempo fossero di gran lunga più forti di quanto non siano oggi, altrimenti verrebbe da chiedersi come i monoliti siano realmente stati collocati nelle loro attuali posizioni.

Allo stesso modo i carotaggi sulle temperature in discesa dalla fine del Pleistocene, mostrano un trend al raffreddamento sempre più marcato, e oggi, nel periodo più freddo rispetto a 10.000 anni fa, la nostra tecnica di edificazione degli edifici è molto meno duratura rispetto alle loro costruzioni megalitiche, mentre il declino delle temperature attuali sembrerebbe mostrarci che la prossima glaciazione sia ormai prossima ad avanzare.

Lo sviluppo umano e il declino delle temperature degli ultimi 10.000 anni fa si sono sviluppati e modificati pressoché all'unisono.

Fonti:

martedì 25 febbraio 2014

L'Indonesia Prediluviana

"Tutto quello che ci è stato insegnato sulle origini della civiltà potrebbe essere errato", afferma Danny Natawidjaja, PhD, geologo senior con il Centro di Ricerca per Geotecnologie presso l'Istituto indonesiano delle scienze.

Sto salendo con il dottor Natawidjaja il ripido pendio di 300 m di altezza a piedi di una piramide immersa in un paesaggio di vulcani, montagne e giungle intervallate da risaie e piantagioni di tè a 100 miglia dalla città di Bandung nel West Java, Indonesia.


La piramide è stato scoperta dall'archeologia nel 1914, quando le strutture megalitiche formate da blocchi di basalto colonnari sono state trovate sparsi tra gli alberi e nel sottobosco fitto che poi coprivano il suo culmine. 

La gente del posto riteneva che il sito fosse sacro e lo chiamarono Gunung Padang, il nome che continua ancora per oggi, che significa "Montagna di Luce", o "Mountain of Enlightenment", nella lingua Sudanese locale. 


Il vertice, dove sono stati trovati disposti in cinque terrazze i megaliti era stato utilizzato come luogo di meditazione e per ritirarsi per tempo immemorabile, hanno detto gli archeologi, e di nuovo questo rimane vero anche oggi.


Tuttavia né gli archeologi, né a quanto pare la gente del posto hanno realizzato che la piramide era una piramide. 

Si credeva fosse una collina naturale, un po modificata dalle attività umane, fino a che Natawidjaja e il suo team hanno iniziato un'indagine geologica qui nel 2011. 


Da allora il vertice era stato da tempo eliminato e le terrazze megalitiche riconosciute essere tanto antiche quanto artificiali, ma la datazione al radiocarbonio non è stato mai fatto e l'età precedentemente accettata del sito - circa 1.500 al 2.500 aC - era basata su congetture piuttosto che su scavi.

La prima datazione al radiocarbonio scientifico è stata fatta da Natawidjaja stesso sui terreni sottostanti i megaliti in corrispondenza o in prossimità della superficie. 

Le date prodotte - circa 500 a 1.500 aC - erano molto vicine alla congetture archeologiche e non hanno causato alcuna controversia. 


Tuttavia, una sorpresa era in serbo quando Natawidjaja e il suo team hanno esteso la loro indagine utilizzando i trapani tubolari che ha portato fino nuclei di terra e pietra da livelli molto più profondi.

Prima i carotaggi contenevano elementi di prova - i frammenti di basalto colonnare - su cui le strutture megalitiche artificiali ponggiavano molto al di sotto della superficie. 

In secondo luogo i materiali organici cresciuti nei carotaggi hanno cominciato a cedere le date antiche - dal 3000 aC al 5000 aC, quindi 9.600 aC con le esercitazioni po 'più profonde, poi intorno al 11.000 aC, quindi, 15.000 aC e, infine, a una profondità di 90 piedi e più di una sequenza incredibile di date di 20.000 aC al 22.000 aC e precedenti.


"Questo non era affatto quello che i miei colleghi nel mondo dell'archeologia prevedevano o volevano sentire", afferma Natawidjaja, che ha guadagnato il suo dottorato al Cal Tech negli Stati Uniti e che, risulta evidente, riguarda l'archeologia come disciplina completamente non scientifica.


Il problema è che quelle date dal 9.600 aC e precedenti appartengono al periodo che gli archeologi chiamano "Paleolitico superiore" e ci riporta in profondità all'ultima glaciazione, quando l'Indonesia non è stata una serie di isole come lo sono oggi, ma faceva parte di un vasto continente sud est asiatico soprannominato "Sundaland" dai geologi.

L'Indonesia durante l'ultima glaciazione

Il livello del mare era 400 metri più in basso poi perché enorme di ghiaccio ricopriva per due miglia di profondità la maggior parte di Europa e Nord America. 

Ma, quando le calotte di ghiaccio hanno cominciato a ritirarsi tutta l'acqua immagazzinata in esse venne restituita agli oceani e il livello del mare è salito, sommergendo molte parti del mondo in cui gli esseri umani avevano già vissuto. 


Così la Gran Bretagna era sommata all'Europa durante l'era glaciale (non c'erano la Manica e il Mare del Nord). 

Allo stesso modo non c'era il Mar Rosso e il Golfo Persico, lo Sri Lanka si è unito a sud dell'India, la Siberia era unita all'Alaska, l'Australia era unito alla Nuova Guinea - e così via e così via. 

Fu durante questa epoca di innalzamento del livello del mare, a volte lento e continuo, a volte rapida e catastrofica, che il continente Sundaland (attuale Indonesia) è stato sommerso con la sola penisola malese e le isole indonesiane come li conosciamo oggi abbastanza alte per rimanere sopra l'acqua .

Il punto di vista archeologico stabiliva che lo stato della civiltà umana fino alla fine dell'ultima era glaciale circa 9.600 aC era che i nostri antenati erano cacciatori-raccoglitori primitivi incapaci di qualsiasi forma di civiltà o prodezze architettoniche. 


Nei successivi millenni l'agricoltura costante venne molto gradualmente sviluppata e perfezionata. 

Intorno al 4000 aC la crescente sofisticazione delle strutture economiche e sociali, e la crescenti capacità organizzative, hanno reso possibile la creazione dei primi siti megalitici (come Gigantija sull'isola maltese di Gozo, per esempio), mentre le prime vere città emersero intorno al 3500 aC in Mesopotamia e subito dopo in Egitto. 

Nella Isole Britanniche Callanish nelle Ebridi Esterne e Avebury nel sud-ovest dell'Inghilterra, entrambi datati intorno al 3000 aC, sono i più antichi esempi di veri siti megalitici. 

La fase megalitica di Stonehenge è pensato essere iniziata intorno al 2.400 aC, e di aver continuato a circa 1.800 aC.

All'interno di questa bene funzionante e consolidata cronologia non c'è posto per qualsiasi civiltà preistorica. 
Quando i loro carotaggi hanno cominciato a cedere le date di carbonio molto antiche dalle argille colmando le lacune tra le pietre lavorate hanno ampliato la loro indagine utilizzando apparecchiature geofisiche - georadar, la tomografia sismica e resistività elettrica - per avere un quadro di ciò che si trovava sotto terra. 

I risultati sono stati sbalorditivi, mostrando strati di costruzione massiccia utilizzando gli stessi elementi megalitici di basalto colonnare che si trovano in superficie, ma con corsi di enormi rocce basaltiche sotto di loro che si estendevano fino a 100 metri e più sotto la superficie. 

A quelle profondità le date di carbonio indicano che i megaliti sono stati messi in atto più di 10.000 anni fa e, in alcuni casi, nei remoti 24 mila anni fa.

Il basalto colonnare si forma naturalmente - Ad esempio il Selciato del Gigante in Irlanda del Nord - ma a Gunung Padang è stato utilizzato come materiale da costruzione ed è disposto in una forma non presente in natura.

"La prova geofisica è inequivocabile", afferma Natawidjaja. 

"Gunung Padang non è una collina naturale, ma una piramide artificiale e le origini della costruzione qui risalgono molto prima della fine dell'ultima era glaciale. 

Dal momento che il lavoro è enorme, anche a livelli più profondi, e testimonia il tipo di sofisticate abilità di costruzione che sono intervenute a costruire le piramidi d'Egitto o i più grandi siti megalitici d'Europa, posso solo concludere che stiamo guardando l'opera di una civiltà perduta e abbastanza avanzata. "

"Agli archeologi non piace che" lo faccio notare.

"Loro non lo fanno!" Natawidjaja concorda con un sorriso mesto. 

"Mi sono già preso un sacco di acqua calda con questo. Il mio caso è un solido, basato su prove scientifiche, ma non è facile. Sono contro le convinzioni profondamente radicate".

Il prossimo passo sarà uno scavo archeologico su vasta scala. "Dobbiamo scavare al fine di interrogare i nostri dati di telerilevamento e le nostre sequenze di datazione al carbonio e sia per confermare o negare ciò che noi crediamo che abbiamo trovato qui," afferma Natawidjaja ", ma purtroppo ci sono sacco di ostacoli sulla nostra strada."

Quando si chiede cosa intende per ostacoli risponde che alcuni dirigenti archeologi indonesiani stanno facendo pressioni sul governo di Jakarta per impedirgli di fare altri lavori a Gunung Padang sulla base del fatto che "sanno" che il sito è meno di 5.000 anni e non vedere alcuna giustificazione per disturbarlo.

«Non nego che i megaliti in superficie abbiano meno di 5.000 anni", Natawidjaja affretta ad aggiungere: "ma io suggerisco sono stati messi qui perché Gunung Padang è stato riconosciuto come un luogo sacro da tempo immemorabile. Sono i più profondi strati della struttura sono tra i 12.000 e più di 20.000 anni, che sono i più importanti. 

Hanno implicazioni potenzialmente rivoluzionarie per la nostra comprensione della storia e penso che sia importante che ci venga permesso di indagare in modo corretto. "

Gunung Padang non è l'unico sito antico che solleva enormi interrogativi nel corso degli archeologi di storia che ci raccontano il nostro passato. 

Dall'altra parte del mondo, nel sud est della Turchia, un'altra collina artificiale è stata scavato durante il decennio passato, questa volta dal professor Klaus Schmidt dell'Istituto Archeologico Germanico. 


Il sito, chiamato Gobekli Tepe (che significa "Potbellied Hill" in lingua curda locale) consiste in una serie di immense cerchi di pietre megalitiche sulla scala di Stonehenge ed è stato deliberatamente sepolto (creando l'apparenza di una collina) intorno al 8.000 aC dal una misteriosa civiltà antica che lo ha fatto. 

I cerchi stessi risalgono al 9.600 aC, tuttavia, il lavoro è più antico di quanto si pensi. 


Almeno una ventina di altri cerchi su una scala simile, sono stati identificati dal georadar, e sono ancora profondamente sepolti.



Alcuni di questi, Klaus Schmidt ha detto quando a settembre 2013, rischiano di essere molto più vecchi di quelli già scavati.


Dai megaliti di 7.000 o più anni più vecchi di Stonehenge di Gobekli Tepe, come i megaliti profondamente sepolte di Gunung Padang significa che la linea della storia insegnata nelle nostre scuole e nelle università per la parte migliore degli ultimi 100 anni è cambiata. 

lunedì 24 febbraio 2014

L'Atlantide Svedese e l'Anomalia del Mar Baltico

IN QUELLA CHE E’ STATA RIBATEZZATA “SVEZIA ATLANTIS“, un’antica civiltà è stata trovata in profondità sotto il Mar Baltico e che gli archeologi ritengono risalga all’età della pietra. Si ipotizza che sia scomparsa alla stessa stregua della piu’ nota citta’ di Atlantide. 

ATLANTIDE

Secondo lo tradizione egizio-indiana, confermata anche da quella del Galles, la scomparsa dell’Atlantide sarebbe avvenuta in seguito a quattro catastrofi, scatenate probabilmente dall’azione vulcanica. Il primo cataclisma avvenne circa 800.000 anni fa e fu determinato dal rovesciamento dei poli.

Questo avrebbe cominciato ad attaccare l’ossatura terrosa dell’Atlantide che successivamente sarebbe stata spazzata via insieme a tutte le terre emergenti dell’Oceano dalle masse d’acqua provenienti dal nord. Il secondo Cataclisma probabilmente di origine vulcanica, sarebbe avvenuto circa 200000 anni fa, e per causa sua l’Atlantide restò ridotta e diminuita.

Routo e Daitya

Il che riporta necessariamente alla memoria la cosiddetta "Anomalia del Mar Baltico". Ecco come il blog Extremamente di Sabrina Pieragostini ci descrive questo oggetto dalle origini misteriose.

Angoli retti, pareti dalla superficie assolutamente liscia e cavità simili a corridoi. Ecco cosa mostrano le immagini in 3D, realizzate con un sonar di ultima generazione, sul fondale del mar Baltico, a 90 metri di profondità,  dove giace quell’enorme ed imbarazzante anomalia che attende ancora una spiegazione. Il filmato, da poco diffuso sul web dai ricercatori dell’ Ocean X Team impegnati nell’impresa, aggiunge nuovi interrogativi.

L’incredibile oggetto, individuato in un tratto di mare tra Svezia e Finlandia nell’estate del 2011 da una nave solitamente utilizzata per il recupero di tesori dai relitti sommersi, è stato osservato da vicino nella missione compiuta lo scorso giugno. L’equipe lo aveva descritto come un gigantesco disco del diametro di 60 metri e spesso 4, appoggiato sopra una piattaforma di circa 180 metri di larghezza che in quel punto emerge per 8 metri dal fondale.


Sopra l’oggetto perfettamente circolare, i sub avevano notato altre stranezze, come la presenza di un foro e di strutture paragonate a focolari- una serie di massi disposti in circolo, di colore scuro, come pietrificati da un intenso calore. Sopra di essi, c’era una sorta di “fuliggine”, di polvere scura. Un vero e proprio “non-sense” che ora le nuove immagini rendono ancora più incomprensibile.

Il sonar multifascio infatti ha confermato il racconto e aggiunto dettagli sorprendenti. Mostra infatti delle cavità simili a corridoi che percorrono e tagliano l’oggetto, creando angoli a 90 gradi e pareti dritte, ben definite. ”È stato spaventoso, era come trovarsi in un film di fantascienza“, ha detto Dennis Åsberg, promotore  della spedizione dell’Ocean X Team insieme a Peter Lindberg, che ha spiegato:”I passaggi sono larghi e profondi  un metro e mezzo.”


Secondo i ricercatori, questa formazione a fungo sarebbe  molto dura e resistente: non è, però, in pietra naturale ( come la piattaforma sottostante), ma è simile al calcestruzzo. È il parere di uno dei sommozzatori più esperti che è sceso a quelle profondità per osservare di persona l’anomalia. “Quando dico che non è una roccia intendo  dire che non è un blocco di granito o di un qualche altro tipo di pietra- ha affermato, di recente, Stefan Hogeborn- ma è composto da un altro materiale sconosciuto.”

Non solo. I fori individuati sul disco sono in realtà due: uno del diametro di 25-30 centimetri, con un angolazione a 45 °, e un altro molto più ampio, di 2 metri di diametro e circondato da bordi squadrati. E ancora, sopra il disco c’è un’altra strana struttura- chiamata dai sub “la meringa“- dalla forma tondeggiante e dall’aspetto quasi spumoso, ma in realtà estremamente dura.  Anche la meringa, come i focolari, non è ricoperta da limo (eppure il fondale baltico è molto argilloso), ma da una concrezione minerale.

Insomma, un vero rebus ancora tutto da decifrare. Ma come se non bastasse, là sotto ci sono altre due bizzarrie degne di ulteriore approfondimento. Esiste infatti una seconda anomalia, a 200 metri dal “fungo”: qui il sonar avrebbe evidenziato la presenza di una forma che ricorda ”le finestre di una chiesa gotica“, quindi immaginiamo qualcosa con un arco a sesto acuto. Per Lindberg, questa formazione, finora inesplorata, potrebbe riservare molte sorprese e persino essere utile per capire la natura e l’origine dell’oggetto principale.


E poi c’è pure una terza anomalia,  uno sperone di roccia alto 28 metri e largo 275, attraversato da una profonda crepa. Esso si trova esattamente a un chilometro e mezzo dall’enorme struttura circolare, proprio all’estremità di quella specie di pista visibile nel fondale marino, prima più superficiale e poi sempre più incavata: in coincidenza con l’oggetto tondeggiante arriva a 8 metri di profondità. “Potrebbe essere ciò che resta di un impatto… È solo un’interpretazione del mistero, ovviamente”, sostiene Peter Lindberg.

Questo supponendo che le anomalie del Baltico siano il prodotto dello schianto di un corpo proveniente dall’alto- un’astronave aliena o un meteorite, due delle tante ipotesi formulate per sciogliere l’enigma. Anche i componenti dell’Ocean X Team hanno avanzato alcune teorie.

Una contempla la possibilità che la formazione discoidale sia un vulcano: lo proverebbero le crepe trovate sulla sua superficie, dalle quali sembra fuoriuscito del materiale magmatico, e i focolari anneriti. Un’ipotesi che si scontra però con la forma perfettamente circolare e anche con la presenza di quei corridoi scavati ad angolo retto in modo tanto preciso. Inoltre, secondo gli esperti, il Mar Baltico non è mai stata un’area con attività vulcanica.

Potrebbe allora essere opera dell’uomo: una trappola per i sottomarini nazisti della Seconda Guerra Mondiale, come ha supposto uno storico svedese, oppure una costruzione molto, molto più antica dallo scopo ancora oscuro. In passato, questo tratto di mare prospicente il Golfo di Botnia era forse terraferma  e un popolo nordico potrebbe aver edificato qui un edificio,  magari un tempio. Ma per trovare il livello del Mar Baltico tanto basso  bisogna andare molto indietro nel tempo, fino a 18mila anni fa. E all’epoca, secondo i libri di storia, i nostri antenati usavano solo selci e utensili primitivi. Avrebbero mai potuto erigere un monumento del genere?


A complicare ancora di più il quadro, i fenomeni testimoniati dall’equipe durante le immersioni subacquee. Il telefono satellitare non funzionava, quando la nave si trovava  direttamente sopra l’oggetto. Inoltre ci sono stati problemi con le apparecchiature elettriche, che andavano in tilt. È stato poi captato un forte segnale radio di 40-50 megahertz. Insolito anche l’andamento delle temperature, come spiega il sub Stefan Hogeborn.

“In estate, di solito qui fa caldo. Così il mare in superficie è sui 20 gradi Celsius. Ma man mano che si scende la temperatura  diventa sempre più fredda: dai  40 metri di profondità in poi è sui 4 gradi. Invece in tutte le nostre immersioni, in quel punto, abbiamo avuto 20 gradi in superficie, -1 a 40 metri e poi la temperatura risaliva a 2 gradi sul fondale, a 90 metri.  Magari c’è qualcuno che possiede una buona spiegazione per questo fatto, io non ce l’ho.”

Ultimo, ma non meno importante particolare, la presenza di radioattività. Una volta riemersi, i sommozzatori hanno fatto esaminare le telecamere e le loro attrezzature: si è scoperto che emettevano una radiazione di fondo pari a 0,3 millisievert, quando ci si aspetterebbe, al massimo, un livello di 0,01. Un altro mistero nel mistero.




domenica 23 febbraio 2014

Apri gli occhi: ecco chi controlla il mondo. In formato e-book

A poco meno di un anno di distanza dalla precedente edizione, è uscita la nuova versione di "Apri gli occhi: ecco chi controlla il mondo" un e-book liberamente scaricabile e divulgabile di 634 pagine. A cura di Enoch Thrive.



http://www.youblisher.com/p/789312-ebook-Apri-gli-Occhi-Nuovo-Dossier-CHI-CONTROLLA-IL-MONDO/

sabato 22 febbraio 2014

Lo Zed. Misteriosa Torre del Tempo (di P.G.Lepori)

Chi fu dunque il costruttore della Grande Piramide? O i costruttori… Un’antica leggenda identifica addirittura l’architetto con Adamo il cui nome sarebbe inciso sul coperchio del sarcofago contenuto nella Stanza del Re; ma coperchio alcuno esistette in quella stanza e tantomeno a copertura della misteriosa ‘vasca’ posta all’interno.

Studiare il testo di Mario Pincherle ‘La Grande Piramide e lo Djed’ (Macro Edizioni) vuol dire imbattersi in affermazioni profondamente eterodosse; come ad esempio la certezza di una tradizione assai recente che vuole la piana di el Gizah come parte di una necropoli, la Menfita, e le piramidi come tombe.

In particolare la Grande Piramide è stata realizzata secondo i princìpi di una geometria ermetica, dunque ‘sacra’, esplicazione di un’armonia di proporzioni tra il monumento e il pianeta Terra; tra il monumento e il cosmo: questa tradizione architettonica affonda le sue radici nell’antichissima cultura accadica.

Riferimenti al monumento come costruzione dall’utilizzo e significato decisamente diversi da quelli funebri li troviamo in Talete, il filosofo che per primo ne misurò l’altezza comparando l’ombra meridiana della Grande Piramide con la propria; sicuramente i dettagli più approfonditi in epoca storica li abbiamo grazie ad Erodoto che visitò Rostau nel 440 a. C. contemplandone perfino le lastre calcaree ancora intatte che facevano somigliare le piramidi a stelle in terra tanto era il bagliore solare riverberato.

A lungo si è dissertato sulle tecniche di costruzione inerenti il complesso di el Gizah; troppo a lungo l’ortodossìa ha approfittato dell’equivoco ingeneratosi tra struttura calcarea esterna e struttura granitica interna: l’osservazione di Pincherle è illuminante ed è il primo problema affrontato nel testo: infatti, in merito alla realizzazione ingegneristica della Grande Piramide, la confusione tra i massi generalmente misuranti 1 mt3 con massa attestata intorno alle 2/3 tons medie e i megaliti granitici interni (del peso anche di 55 tons e misure di 5 mt/8mt cad.) ha dato il via alla diatriba sulla costruzione impossibile del monumento mentre era possibilissimo pur considerandolo una vera meraviglia tecnologica per un popolo ed un periodo addirittura all’oscuro della ruota: il vero problema risiedeva nell’innalzamento e posizionamento dei blocchi megalitici interni poiché i ‘mattoni’ esterni erano assai più facilmente innalzabili e posizionabili anche con tecnologie ‘preistoriche’.

Il secondo Capitolo del testo di Pincherle è consigliabile leggerlo direttamente: descrive minuziosamente il meccanismo con cui gli Egizi della IV Dinastia innalzarono i megaliti granitici all’interno della Grande Piramide; è semplicemente geniale. Del resto Pincherle è un ingegnere, ha gli occhi allenati alle visioni costruttive e l’udito altrettanto, tanto da aver interpretato, non senza controversie, la sibillina descrizione erodotea dei ‘legni corti’ (interesse suscitato addirittura in Zahi Hawass con una lettera autografa del luglio 1977) completa di ritrovamenti archeologici relativi alla ‘slitta’ con cui le lastre di granito sarebbero state trasportate a 60 mt d’altezza circa nel cuore dell’Orizzonte di Khufu (1973). L’interpretazione è rivoluzionaria poiché stabilisce che la camera sotterranea della Regina, presunta, altro non sarebbe se non un vano di carica idrica con cui ‘i legni corti’, riempiendosi d’acqua, si dilatano sospingendosi l’un l’altro e spostando la slitta nella Grande Galleria ridimensionata a ‘culatta del gun’ in cui i legni corti grazie al meccanismo precedente innalzavano la slitta con i suoi carichi preziosi fino al punto di posa in opera.

Ma è lo stesso autore a dirci che l’enigma ingegneristico della Grande Piramide, oltre ad avere la sua soluzione nei ‘legni corti’, è nulla rispetto all’ipotetico ‘perché’ della sua edificazione; e rispetto alla recente tradizione tombale, in antichità praticamente nessuno la considerava un sepolcro: il califfo al-Mamoun che fu il primo ad entrare ricordò antiche leggende che favoleggiavano della Grande Piramide come scrigno in cui era protetta la pietra filosofale; gli arabi traducendo l’Almagesto di Tolomeo appresero come ivi erano conservate le antiche mappe del cielo e della terra; e in fondo non avevano tutti i torti: probabilmente non si dovevano cercare testi, manoscritti o carte vere e proprie bensì indagare la struttura del monumento per svelarne i segreti racchiusi nella sua geometria.

Nel 1196 un certo Melik Al-Zaziz ingaggiò più di un migliaio di uomini per smontare la piramide di Menkaura mattone su mattone; fortunatamente la terza piramide fu più resistente del previsto; dunque costui rinunciò alla scellerata impresa.

Ma la svolta avvenne con il fisico-matematico Greaves (1638) il quale, esplorando la Grande Piramide, ne intuì l’unità di misura sacra, misteriosa sottesa a tutto il monumento e che doveva mettere il colosso in armonia con il cosmo e con Gaia; detta unità esisteva ma la identificò il più metodico Harvey confrontando gli studi di Newton e Kircher: l’unità di misura riguardava il ‘cubito’; ma la stranezza risiedeva nel fatto che la Grande Piramide fu realizzata utilizzando due unità: il cubito per la struttura esterna e il ‘cubito sacro’ (12 cm di differenza ca. rispetto al precedente) per la misteriosa struttura granitica interna. Era nata la ‘piramidografia’. Con l’arrivo di Napoleone, gli scienziati al seguito della spedizione, Jomard e il Col. Coutelle, giungono alle conclusioni a cui in precedenza approdarono gli antichi: la Camera del Re non è una tomba; il 17 agosto 1799 Napoleone espresse il desiderio di dormire nella Camera di granito; ne uscì sconvolto e pur sul punto di svelarne il perché prima di morire serbò al contrario il suo segreto per sempre.

Cos’è dunque la Camera del Re? E perché fu realizzata con materiali preziosi e lavorati in maniera raffinatissima? E perché esistono altre camere, cosiddette ‘di scarico’ oltre il soffitto della stanza? La prima la scoprì Davison ma il sospetto di altre ‘camere di scarico’ ulteriori fu chiarito con la scoperta di Caviglia di quella che è passata alla storia come Camera di Wellington; per aprirsi un varco di accesso egli utilizzò addirittura l’esplosivo; forse danneggiando per sempre la struttura preposta a un ‘qualcosa’ di estremamente terribile e mirabile…

Su cosa basa l’affermazione perentoria, Mario Pincherle, che il granito interno alla Grande Piramide sia lo Djed, ovvero la Torre di Osiride o la Torre che governa lo spazio e il tempo? Gli scopritori delle ulteriori camere osservarono che molti dei blocchi granitici erano numerati; il presupposto per una classificazione di questo tipo è quello di smontare, trasportare e rimontare la struttura; furono trovati anche alcuni geroglifici tra cui un cartiglio riconosciuto come ‘Sufu’, facilmente assimilabile a ‘Khufu’ al fine di addormentare, tranquillizzare l’opinione pubblica in merito; raramente però si riporta l’altra frase trovata nella IV camera, ovvero che i blocchi furono tagliati ‘con scalpelli di luce divina…’. L’ipotesi di Taylor, allora direttore del London Observer, convince Pincherle ulteriormente sullo Djed: egli affermò che la Grande Piramide era assimilabile all’Arca del Diluvio ma non finalizzata a salvare vita animale o umana bensì delle antichissime ed eccezionali conoscenze divenute in seguito arcani iniziatici; quando nel 1859 egli scrisse un libro su codesto argomento il Positivismo si faceva strada tra le filosofie umane e pertanto testi in tal senso si persero nel razionalismo più sfrenato. L’ortodossia fece un’altra illustre vittima nell’800: l’astronomo Piazzi-Smith che, riesumando il libro di Taylor, per primo stabilì le connessioni tra i condotti della Camera reale e le costellazioni sacre agli Egizi (Ursa Minor e Draconis); identificò i rapporti matematici aurei alla base della costruzione del sarcofago ubicato nel centro della camera, ossia l’esatta corrispondenza tra la tara e il netto della misteriosa vasca. 

La spina nel fianco ortodosso arrivò con Flinders-Petrie il quale dimostrò che la sezione granitica era stata realizzata con i multipli del cubito sacro (avvalorando le tesi di Newton) oltre alle considerazioni sull’oggettivo abisso edile e materiale tra la Grande Piramide e lo strano oggetto ivi contenuto. Piazzi-Smith ebbe anche l’intuizione dell’orologio cosmico, ovvero il fenomeno della Precessione, avvalorata da un’osservazione dell’astronomo Biot il quale notò nel 1853 che durante il giorno dell’equinozio di primavera, a mezzogiorno, l’ombra spariva completamente dalla parete nord del monumento e il sole si trovava esattamente in equilibrio sul vertice. Ma un imprinting fortissimo all’ipotesi dello Djed arrivò dallo scienziato inglese Catsworth; costui studiando gli appunti del Piazzi-Smith identificò la piramide di Saqqara come un’immensa meridiana; ma al fine di poter localizzare i 365 segmenti d’ombra bisognava ipotizzare l’esistenza, in passato, di una torre posta sul proprio vertice. 

Le conclusioni cui giunge Pincherle, tuttavia, vanno ben oltre considerazioni di tipo archeologico o puramente storico. Lo Djed è infatti un monumento sacro e la sua ragion d’essere è inscritta in una sacralità ben più antica degli Egizi appartenuti alla IV Dinastia; la sua storia parte da molto lontano e forse, addirittura, è alla base del viaggio di Abramo da Ur di Caldea.

La sacralità dello Djed

Pincherle ratifica 7 conclusioni su cui costruire ciò che davvero per egli desta interesse nello Djed e che, paradossalmente, non è il metodo costruttivo che liquida con un perentorio ‘non mi interessava più…’1

1) la Grande Piramide non è una tomba
2) Khufu non vi fu mai sepolto
3) Il sarcofago non ha mai contenuto Khufu
4) La piramide è un ‘tetto’
5) La torre è antidiluviana
6) La torre fu smontata e rimontata
7) Non vi è contatto tra torre e piramide

Lo Djed è una torre alta oltre 60 mt, ha una sezione rettangolare di 10 mt x 5 mt e presenta, oltre la Camera del Re, 4 camere sovrastanti erroneamente definite ‘di scarico’ come visto in precedenza; la sua base misura approssimativamente 9,5 mt x 18 mt ed è speculare alla sommità della piramide di Djoser a Saqqara; stranamente contraddittorie le misure del vertice, rettangolare, in rapporto alla pianta quadrata del monumento di Saqqara: che fosse un’antica ziqqurat? Le costruzioni piramidali e i monumenti mesopotamici furono da sempre in strettissimo rapporto; questo rapporto affondava le radici in una civiltà sottesa a quelle della fertile mezzaluna e dell’Egitto stesso: l’impero accadico. Da questo istante il ‘viaggio’ di Pincherle diventa ostico sotto profili fideistici ed estremamente di frontiera sotto quelli eterodossi. L’etimologia del nome della Grande Piramide è di origine accadica: ‘aqqat khufu’ oltre ad ‘Orizzonte di Khufu’ significa esattamente ‘mangiatoia di Khufu’; ancora più sconvolgente il termine ‘kufu’, in lingue orientali e in aramaico, ha come significato ‘pietra’: ne deriva quindi un’interpretazione rivoluzionaria basata sulla traduzione letterale di ‘sarcofago di pietra’. 

Come precedentemente accennato, il monumento fu realizzato con il cubito sacro – 53 cm – a fronte del cubito ebraico di 44,4 cm; il cubito sacro era alla base di molte antiche realizzazioni come ad esempio l’Arca dell’Alleanza di Mosè o le stanze del Sancta Sanctorum del tempio di Salomone. Gli Accadi erano definiti ‘il popolo dei figli di Dio’ e non sfugge l’incredibile viaggio di Abramo che da Ur in Caldea scende in Palestina per approdare in Egitto: la sua meta, misteriosamente, la Grande Piramide. Pincherle affonda l’acceleratore e s’imbatte nel mitologico re accadico, Sargon, che fu trovato bambino sulle rive dell’Eufrate all’interno di una ‘mangiatoia di pietra’, o ‘sarcofago di pietra’ alle prime luci dell’alba ‘quando le stelle del mattino ancora cantavano in coro’; allora, a guisa di un puzzle molto intricato, alcuni tasselli vengono scoperti nel libro dell’Esodo riguardanti l’Arca dell’Alleanza:

‘costruitevi un’arca che abbia lunghezza 2 cubiti e mezzo e altezza parimenti 1 cubito e mezzo…’
‘e la farete non piena ma cava e vuota dentro…’

Riferimenti inquietanti al libro di Giobbe:

‘dove eri tu quando ho posto i pilastri della terra? Chi ha portato la pietra squadrata quando gli astri del mattino cantavano in coro le mie lodi e i figli di Dio levavano voci di gioia?’

Un passo di Erodoto, libro II, 128 recita:

‘per 106 anni dall’epoca di Cheope gli Egizi conobbero la sventura… l’avversione a Cheope e Chefren è così grande da non nominarli e chiamano le Piramidi Filitide, nome del pastore che ivi governa le greggi…’

Gli Egizi frustavano le piramidi e la sfinge in giorni prestabiliti; il popolo degli Accadi era un popolo dedito alla pastorizia e dalla Bibbia si apprende il disprezzo Egizio per i pastori. Pincherle nota una somiglianza incredibile riguardo ai due simboli di Vita Egizio ed accadico: praticamente identici con l’unica differenza che l’ankh, la croce Egizia, è sormontata da un ovale; quella accadica da un cerchio; l’osservazione nacque durante una visita dell’autore al Louvre ma non solo: lo Djed è spesso ‘antropomorfizzato’ grazie a due braccia che spuntano dalla parte alta sui lati opposti; queste rappresentavano le braccia di Osiride che sosteneva i due regni di cielo e terra. Anche nella Camera del Re vi sono due ‘braccia’: i condotti stellari che partono dalle pareti in asse nord-sud; dunque, secondo Pincherle, la Grande Piramide era l’involucro del misterioso Ate-men-Anki, letteralmente ‘l’ancoraggio del Cielo alla Terra’.

Il confronto con l’archeologo Birot, esperto linguista e conoscitore della scrittura accadica, rivelò che il termine ‘Sar’ era rappresentato da un sarcofago su cui si levavano due spighe e che il nome ‘Ur’ significava ‘dolmen poggiato su due pietre’, esattamente come lo Djed su 5 ripiani ed era posto al vertice degli ziqqurat come osservatorio astronomico e altare divino.
Dunque, volendo ricapitolare:

a) lo Djed rappresenta il ritorno di Osiride
b) presenta 4 dolmen sovrapposti
c) e due ‘braccia’ che identificano i condotti verso le stelle
d) e al suo interno ha una ‘mangiatoia’

E’ il momento di riprendere in mano il Libro dei Morti, la ‘Bibbia’ Egizia, scritto nel III millennio a.C. esattamente sotto il faraone Menkaura; il suo vero titolo è Per-Em-Ra letteralmente ‘uscita verso la luce’. Si tratta di un testo che esprime verità appartenenti ad un perduto mondo monoteista in cui Osiride l’Uomo-Dio è il centro dell’universo, addirittura il pegno di vita eterna; egli è colui che insegna le arti e l’agricoltura, l’idraulica, l’astronomia, l’architettura e per tutta risposta viene fatto a pezzi, 14 in tutto; ma i pezzi fecero germogliare ‘piante di grano e vigne’ dalle quali produrre pane e vino; coloro, i seguaci, che mangiavano di quel pane e vino compivano un vero e proprio rito eucaristico ante litteram.

Osiride nei riti antichi era denominato anche ‘On’; la stessa invocazione per Sargon, ‘On Sarrukin’. Pincherle ipotizza che Asar e Ausar (Sargon e Osiride) siano la stessa persona:

- entrambi i re sono buoni e amati dai sudditi
- entrambi elargiscono conoscenze e benefici creativi
- entrambi muoiono di morte violenta
- in entrambi i re il sarcofago è simboleggiato da grano e vite
- entrambi hanno la barba, lunghe sopracciglia
- entrambi vengono fatti a pezzi
- entrambi sono simboleggiati dallo scettro dei due regni
- entrambi presentano ‘un cofano nudo in pietra’
- entrambi hanno ali alla base del capo

i simboli alati riguardano anche:

- il cherubino ebraico
- il cherubino cristiano
- il karabù accadico

dove i fonemi ‘karabù – cherubi-no’ hanno una stessa origine etimologica.

E’ qui che Pincherle determina l’asse logico Djed – Osiride – Sargon, sottolineando l’origine accadica del monumento ma soprattutto ponendo una inquietante domanda sulla nascita di Sargon perfettamente speculare al racconto della nascita di un’altra immensa personalità, il Cristo: Sargon è infatti annunciato da un allineamento planetario e viene trovato dagli Accadi, di mattina, quando le stelle cantano tutte in coro, in una mangiatoia; ed una stella era fissa al punto di settentrione ma per la Precessione quella ‘polare’ oggi non è più al suo posto; dovremo attendere gli anni rimanenti dei 26000 inerenti il ciclo del moto apparente celeste per riavere quell’allineamento comunque visto da un punto fermo le cui caratteristiche architettoniche s’intersecano con l’architettura celeste: lo Djed. Questa costruzione serba in sé un segreto incredibile: essa altro non sarebbe se non un ‘rilevatore’ delle discese ritmiche di dio in terra, un orologio cosmico testimone di una lunghissima e ancestrale tradizione monoteista dove i 4 dolmen della torre segnano i 4 grandi periodi dell’umanità; tranne per un unico Djed, raffigurazione risalente al periodo tolemaico (conservato al Louvre) dove i dolmen sono 5; l’umanità è dunque entrata nel suo V periodo, ricominciando il ciclo ‘post Christum natum’?

Pincherle aggiunge 2 conclusioni alle 7 precedenti:

- lo Djed è un orologio cosmico perché il suo orientamento assieme all’orientamento dei due condotti stellari determina un preciso punto spazio-temporale su scala universale

- come i poli terrestri sono legati a fenomeni elettromagnetici, così lo Djed è legato a fenomeni misteriosi che l’autore definisce ‘onda vitale’; la nostra bussola funziona con il nord magnetico; quella degli Accadi su energie sconosciute a noi; la parallasse di queste energie avrebbe permesso la geolocalizzazione di qualsiasi punto sul pianeta, atta alla realizzazione di carte perfette antichissime; oltre il nord, lo Djed..

Ma allora perché nascondere lo Djed nella Grande Piramide? Pincherle affronta l’argomento partendo da lontano, dal viaggio di Abramo da Ur fino in Egitto con destinazione il monumento stesso. Al contrario di quanto si afferma Abramo non era un pastore: era cittadino di una metropoli opulenta e culturalmente avanzatissima. Insistevano infatti scuole di astronomia, idraulica, medicina, matematica, astrologia e via discorrendo. All’epoca di Abramo lo ziqqurat di Ur già presentava una storia ultramillenaria, antecedente all’epoca delle stesse piramidi. Un’altra osservazione in rottura con i canoni ortodossi della figura di Abramo è che egli descrive Nàcor come città natale e terra di origine paterna: ma Nàcor era una città accadica e non caldea; l’ipotesi è che Abramo, fautore di un monoteismo sulla via del tramonto nella corrotta Ur, lascia la sua terra per trovare un terreno più fertile lì dove il monoteismo era già affermato e lo Djed ne era il monumento principe, originario di un’antica terra accadica: l’Egitto delle Piramidi di Rostau. Forse vide la ‘mangiatoia’ di Sargon sull’Eufrate? 

Di sicuro la splendida statua oggi conservata nel museo di Baghdad. Sicuramente l’ingresso alla Grande Piramide era un suo obiettivo fortissimo: è nota la storia biblica di aver dato in sposa al faraone la propria spacciandola per sorella scatenando l’ira del sovrano una volta scoperto l’inganno e la relativa fuga. Tutti i Patriarchi ebbero a che fare con la piramide di Khufu, come se il richiamo del dio unico fosse racchiuso nell’altare di granito ivi contenuto; questo legame attirava gli ‘Archisti’, ovvero coloro che avevano a che fare con l’Arca dell’Alleanza e non lesinavano sugli stratagemmi pur di entrare nel monumento (magistrale quello di Giuseppe che ne richiese l’uso come magazzino, silos per il grano). Il tempo trascorre e si arriva alla nascita del Cristo; il Messia è subito sotto posto sotto la pressione del tiranno Erode; dunque un angelo avverte la Sacra Famiglia che parte e si rifugia, come se non bastasse, in Egitto. 

Pincherle racconta un aneddoto di vita riferendosi ad una particolare chiesa di rito cristiano copto ubicata ad Abu Sarga. È la cosiddetta ‘Chiesa del Rifugio, luogo in cui trovò asilo la Sacra Famiglia: ci si accede tramite un cancello e si passa attraverso un orto botanico pieno di balsamine; questi alberi innamorarono la regina Cleopatra che li volle assolutamente nel proprio territorio; somiglianti a vitigni, è l’unico punto d’Egitto in cui esistono, l’origine è palestinese. Ci vollero dei giardinieri ebrei per questo lavoro; Pincherle ci dice che erano veramente ‘troppi’ i giardinieri che si trasferirono in quella zona; troppi per l’orto ma giusti per rimuovere i detriti dall’ingresso della Grande Piramide. Trent’anni dopo Madre e Figlio trovarono rifugio proprio lì in una zona decisamente adiacente all’involucro dello Djed; Abu Sarga è infatti situata in prossimità della piramide di Khufu, troppo ‘aritmetica’ per essere una semplice coincidenza. Vicino al fonte battesimale esagonale, si apre un pozzo molto profondo. Probabilmente un passaggio segreto verso il cuore del monumento…

Un fantasma si aggira nel deserto di Rostau: quello di Cheope-Khufu; secondo Pincherle il monumento più famoso sul pianeta è attribuito ad un faraone inesistente; quali le prove di questo ‘parricidio’? Cheope, ovvero Khufu, è citato in alcune liste regali e nei geroglifici di mastabe appartenenti a dignitari di corte; ma di lui, tranne una assai sospetta statuetta in alabastro - scialba, inespressiva e in pessima conservazione – non rimane nulla, nemmeno i tratti somatici.

Tranne, naturalmente, una montagna artificiale in calcare…

Il grande sacerdote Manetone ci lascia una lista in cui sembra che Khufu sia denominato Sotis, fonema decisamente cogente al nome del padre Soris. La definizione ‘Orizzonte di Khufu’, dedotta dai termini ‘akett kufu’, è un’interpretazione arbitraria poiché il termine ‘orizzonte’ è espresso nel fonema ‘xut’; mentre il termine ‘kuf’, radice etimologica del termine ‘kufu’, porta significato ‘protezione’, ‘involucro’ o più semplicemente ‘sarcofago’; i geroglifici presenti nelle ‘camere di scarico’ riportano il termine ‘knum Kufu’ ossia ‘protetto da knum’.

Manetone però prosegue nella descrizione e ci racconta che ‘Sotis’ o ‘Sufis’ era un faraone così saggio da aver scritto un libro contenente tutti i segreti dell’universo. Dopodichè sarebbe asceso al cielo in apoteosi con tutto il corpo; è inquietante tanto come il termine ‘sufis’ ci richiama al ‘sufismo’ che significa ‘saggezza’ ed è alla base dell’esoterismo musulmano. Ma anche Enoch al termine dei suoi scritti sarebbe asceso in gloria nei cieli; è superfluo ribadire Chi ci ricorda tutto ciò.

L’ennesima leggenda sullo Djed racconta che esso è l’estrema dimora di Osiride, il suo cenotafio, vuoto, poiché egli salì in cielo in apoteosi, corpo e spirito. Abbiamo a disposizione la Stele di Palermo che a differenza di Manetone risale ad epoche adiacenti realmente alla V Dinastia; le informazioni ci sono confermate da un altro assai famoso documento ovvero il Papiro di Torino; le affermazioni di Manetone provengono purtroppo da redazioni posteriori poiché la sua opera, insieme a circa 2 milioni di opere antidiluviane, fu distrutta nel rogo di Alessandria, l’eccidio culturale della Biblioteca ad opera degli arabi ma anche dei cristiani. A proposito di calendari necessita l’approfondimento di un tema: il calendario Egizio, basato su di un fenomeno che fece dell’Egitto ‘il dono del Nilo’. I suoi antichi abitanti dividevano l’anno in tre stagioni:

- akt ‘il tempo dell’inondazione’
- feret ‘il tempo della semina’
- kemu ‘il tempo della raccolta e della trasformazione’

il termine ‘kemu’, con radice comune ad ‘al-kemia’ di origine araba (alchimia), riporta al nostro più comune ‘chimica’ dove il significato è decisamente cogente ai termini principiali.

E così si scopre che il capodanno Egizio coincideva con il primo giorno d’inondazione e tutto ciò, da buoni astronomi-astrologi, gli Egizi osservarono essere un evento coincidente con il sorgere di una stella in particolare che essi chiamarono ‘Sotis’ o ‘Sefedet’ ossia Sirio, l’Iside del pantheon Egizio sposa-sorella di Osiride. Le stagioni erano formate da 4 mesi ognuna composta da 120 giorni per un totale annuo di 360 giorni.

Ma accadde qualcosa di terribile e l’asse terrestre si inclinò; il ritmo dell’equinozio primaverile cumulava ritardi esponenziali anche aggiungendo i 5 giorni del calendario odierno; il pianeta, divenuto una trottola impazzita, sfalsava l’anno secondo ciò che sarebbe stata la Precessione; ci volle tempo per capire che il ciclo coincidente tra il sorgere eliaco di Sotis-Sirio e la piena del Nilo valeva 1460 anni; questo veniva definito ‘periodo sotiaco’ per ovvi motivi. Un ritmo sul quale è possibile calcolare e stabilire date coincidenti precise; non è un mistero che il prossimo allineamento avverrà nel 3050 d.C.

Ed ecco le contraddizioni peraltro tutte ortodosse:

- adozione del calendario sotiaco con Djoser, III Dinastia, regnando con la collaborazione dell’immenso sacerdote Imhotep

- a cavallo del 2772 a.C., sempre secondo la visione di altri ortodossi, il periodo cadrebbe nell’epoca di Cheope-Khufu, ovvero l’epoca delle Piramidi

- eppure è la stessa assise a mettere in dubbio il periodo per la discrepanza tra Djoser e la IV Dinastia e pertanto (causa la famosa e antonomastica ‘lacuna storica’) arrivare a discutere l’esistenza stessa di Cheope-Khufu considerandolo forse solo un simbolo.

Conclusioni

La funzione dello Djed sembra dunque incentrarsi sempre di più sul ‘perché’ della sua realizzazione e conservazione in un bunker strutturato e non tanto sul ‘come’; il ‘perché’ tenta di spiegare, ad esempio, l’apparente impossibilità di realizzare il sarcofago della Camera del Re, il quale – percosso – sembra risuonasse come una campana e mantenesse lo stesso peso sia pieno d’acqua che vuoto; ad oggi quest’opera mirabile è l’unica soluzione fisica ad un problema matematico detto ‘duplicazione del cubo’: la tara è infatti perfettamente equivalente al lordo. E tutto ciò a causa della conservazione di un cadavere? Lo Djed è l’arma di Osiride, simbolo di resurrezione e vita eterna; si legge nel Per-em-Ra, XIX capitolo:

‘in verità io non sono morto; in verità io vivo nello Djed’ 

Nello stesso testo si narra di un’antichissima cerimonia, antecedente alle Piramidi, in cui si celebrava un rituale misterioso ovvero il ‘Raddrizzamento dello Djed’; contemporaneamente gli arcieri scagliavano quattro frecce nelle traiettorie dei punti cardinali considerati come i Pilastri dell’Universo. I costruttori delle Piramidi riscoprirono il monumento che era denominato persino la Torre di Adamo; troppo clamore e tecnologia per un semplice obelisco più squadrato degli altri. Allora cos’è lo Djed?

La risposta è insita in una domanda estremamente correlata e intimamente connessa: qual è l’origine della Prima Civiltà? Ossia: chi o cosa è l’uomo? Il Pilastro di Osiride, in quest’ottica, sembra essere l’atto di nascita dell’Uomo; la carta d’identità di Adamo. Lo Djed come trait-d’union tra Cielo e Terra, collante delle dimensioni macro-micro cosmo; dunque la ricerca non è del tutto esterna, prevede una profonda introspezione.

Pincherle per primo osa chiedersi ‘chi è l’Uomo’ e soprattutto se esista o meno un Atemenanki, ovvero un ponte tra Uomo Mondo e Mondo e Cosmo. Infatti l’affermazione introduce ad una ‘trinità’ umana e al mistero del termine ‘cosmo’ il cui significato è ‘vittoria sullo spazio e il tempo’; noi siamo duplicità però, anima-corpo; il numero ‘tre’ come possiamo concepirlo? L'interpretazione di Pincherle è davvero antichissima, affonda le sue radici in un platonismo che fu utilizzato anche nei cenacoli esoterici: corpo-anima è un binomio diverso da Nous, ovvero Spirito – parte eccelsa del Pensiero, che si trova in una condizione di superiorità esistenziale rispetto ai precedenti. E utilizza ‘sensi’ diversi di percezione. Nel passaggio tra l’era della materia e quella dello Spirito concepito da Pincherle, il ‘sesto senso’, chiamato ‘forza tenebrosa’, ‘drago nero’ o ‘mostro che marcia all’indietro’ nell’antichità, getta nuova luce sul perché dello Djed: i Profeti erano coloro che sapevano far marciare all’indietro il tempo’; nella ricerca dello Spirito da parte dell’umanità che trapassa dal periodo precedente all’Era del cambiamento, lo Djed rappresenta il mezzo con cui in precedenza l’uomo era in grado di superare le barriere dello spazio-tempo e quindi di superare se stesso. Il Viginiana Bairava Tantra, antichissimo testo Sudra, significa appunto: ‘tecnica per oltrepassare la coscienza’.

Un altro testo ben più adiacente alla geografia dello Djed è il Sefèr Isirè o Libro di Adamo che afferma l’uomo come essere immerso nello spazio e nel tempo ma anche nella Vita. I sensi percepiscono la Terra cosmica e il Fuoco cosmico (spazio e tempo); è impossibilitato a concepire l’Anti-tempo, ovvero l’Acqua cosmica, il controllo sull’andamento del tempo. Il testo continua affermando che solo al raggiungimento di questa consapevolezza l’uomo arriverà all’Aria cosmica e vincerà i confini spazio-temporali, trovandosi vittorioso al di fuori di essi. Non è un caso che lo Djed, in tempi remoti, rappresentasse proprio questo ovvero la vittoria dell’eternità sul transeunte.

Qualora considerassimo l’energia prodotta dallo Djed come Acqua cosmica rappresentata nel Sefèr Isirè, Pincherle afferma che del binomio energetico maschio-femmina lo Djed è rappresentazione dell’energia femminile, riflusso temporale complementare all’avanzamento temporale; l’unione delle due forze genera eternità.

Gli aspetti escatologici riguardanti l’incredibile storia dello Djed prendono il sopravvento su quelli storico-archeologici. Lo Djed diviene la Torre dei Miracoli citata in un dei libri di Enoch che rappresenta il punto di unione dei confini terreni e cosmici, i famosi pilastri dell’universo. La torre diviene caratteristica di Vita e la vita è un compendio continuo di ‘dualità’. Gli Egizi chiamavano quest’aspetto ‘due cuori’: l‘uomo era corpo fisico e Ka, ovvero il doppio eterico degli occultisti; dopodiché vi era Ba ossia il corpo astrale e infine Ku cioè lo spirito che veniva denominato Sahu nella sua parte più elevata, ovvero la trasfigurazione di Osiride nel Duat: Orione.

Queste dualità prendevano le mosse dall’osservazione del comportamento cardiaco con i suoi movimenti di espansione e contrazione, ovvero diastolico e sistolico, il respiro (in aramaico ‘ruah’, il ‘soffio’). Dunque questo pulsare rappresentava il funzionamento stesso della vita che gli antichi Egizi chiamavano Fati, espansione; e Ib contrazione. Ciò rappresenta il tempo e l’anti-tempo, il doppio pulsare e fluire verso il passato e verso il futuro. Nel Sefer Isirè il cuore, il mondo e il cosmo hanno pulsazioni inversamente proporzionali tra loro passando da quelle rapide umane fino al pulsare fermo del cosmo; quando l’uomo raggiungerà la coscienza cosmica allora sarà in grado di gestire il tempo. Ciò sarà possibile acquisendo uno spirito profetico poiché la visione profetica è una visione di presente assoluto. Ecco dunque cos’è lo Djed per Pincherle tenendo ferme le parole degli antichissimi testi:

una ‘macchina’ in grado di passare dal tempo all’anti-tempo.

Se gli uomini saranno in grado di riconoscere il movimento sistolico e non solo diastolico del proprio cuore-apparato di vita allora sapranno divenire padroni del tempo e si libereranno dalla morte.
Dunque lo Djed, colonna vertebrale dell’uomo-dio vivente, Osiride, il bar-enasch degli ebrei (Figlio dell’Uomo) è l’albero della Vita Eterna così difeso da Dio nell’Eden, così ricercato dall’eroe Gilgamesh nella sua epopea di vita.

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