sabato 22 febbraio 2014

Lo Zed. Misteriosa Torre del Tempo (di P.G.Lepori)

Chi fu dunque il costruttore della Grande Piramide? O i costruttori… Un’antica leggenda identifica addirittura l’architetto con Adamo il cui nome sarebbe inciso sul coperchio del sarcofago contenuto nella Stanza del Re; ma coperchio alcuno esistette in quella stanza e tantomeno a copertura della misteriosa ‘vasca’ posta all’interno.

Studiare il testo di Mario Pincherle ‘La Grande Piramide e lo Djed’ (Macro Edizioni) vuol dire imbattersi in affermazioni profondamente eterodosse; come ad esempio la certezza di una tradizione assai recente che vuole la piana di el Gizah come parte di una necropoli, la Menfita, e le piramidi come tombe.

In particolare la Grande Piramide è stata realizzata secondo i princìpi di una geometria ermetica, dunque ‘sacra’, esplicazione di un’armonia di proporzioni tra il monumento e il pianeta Terra; tra il monumento e il cosmo: questa tradizione architettonica affonda le sue radici nell’antichissima cultura accadica.

Riferimenti al monumento come costruzione dall’utilizzo e significato decisamente diversi da quelli funebri li troviamo in Talete, il filosofo che per primo ne misurò l’altezza comparando l’ombra meridiana della Grande Piramide con la propria; sicuramente i dettagli più approfonditi in epoca storica li abbiamo grazie ad Erodoto che visitò Rostau nel 440 a. C. contemplandone perfino le lastre calcaree ancora intatte che facevano somigliare le piramidi a stelle in terra tanto era il bagliore solare riverberato.

A lungo si è dissertato sulle tecniche di costruzione inerenti il complesso di el Gizah; troppo a lungo l’ortodossìa ha approfittato dell’equivoco ingeneratosi tra struttura calcarea esterna e struttura granitica interna: l’osservazione di Pincherle è illuminante ed è il primo problema affrontato nel testo: infatti, in merito alla realizzazione ingegneristica della Grande Piramide, la confusione tra i massi generalmente misuranti 1 mt3 con massa attestata intorno alle 2/3 tons medie e i megaliti granitici interni (del peso anche di 55 tons e misure di 5 mt/8mt cad.) ha dato il via alla diatriba sulla costruzione impossibile del monumento mentre era possibilissimo pur considerandolo una vera meraviglia tecnologica per un popolo ed un periodo addirittura all’oscuro della ruota: il vero problema risiedeva nell’innalzamento e posizionamento dei blocchi megalitici interni poiché i ‘mattoni’ esterni erano assai più facilmente innalzabili e posizionabili anche con tecnologie ‘preistoriche’.

Il secondo Capitolo del testo di Pincherle è consigliabile leggerlo direttamente: descrive minuziosamente il meccanismo con cui gli Egizi della IV Dinastia innalzarono i megaliti granitici all’interno della Grande Piramide; è semplicemente geniale. Del resto Pincherle è un ingegnere, ha gli occhi allenati alle visioni costruttive e l’udito altrettanto, tanto da aver interpretato, non senza controversie, la sibillina descrizione erodotea dei ‘legni corti’ (interesse suscitato addirittura in Zahi Hawass con una lettera autografa del luglio 1977) completa di ritrovamenti archeologici relativi alla ‘slitta’ con cui le lastre di granito sarebbero state trasportate a 60 mt d’altezza circa nel cuore dell’Orizzonte di Khufu (1973). L’interpretazione è rivoluzionaria poiché stabilisce che la camera sotterranea della Regina, presunta, altro non sarebbe se non un vano di carica idrica con cui ‘i legni corti’, riempiendosi d’acqua, si dilatano sospingendosi l’un l’altro e spostando la slitta nella Grande Galleria ridimensionata a ‘culatta del gun’ in cui i legni corti grazie al meccanismo precedente innalzavano la slitta con i suoi carichi preziosi fino al punto di posa in opera.

Ma è lo stesso autore a dirci che l’enigma ingegneristico della Grande Piramide, oltre ad avere la sua soluzione nei ‘legni corti’, è nulla rispetto all’ipotetico ‘perché’ della sua edificazione; e rispetto alla recente tradizione tombale, in antichità praticamente nessuno la considerava un sepolcro: il califfo al-Mamoun che fu il primo ad entrare ricordò antiche leggende che favoleggiavano della Grande Piramide come scrigno in cui era protetta la pietra filosofale; gli arabi traducendo l’Almagesto di Tolomeo appresero come ivi erano conservate le antiche mappe del cielo e della terra; e in fondo non avevano tutti i torti: probabilmente non si dovevano cercare testi, manoscritti o carte vere e proprie bensì indagare la struttura del monumento per svelarne i segreti racchiusi nella sua geometria.

Nel 1196 un certo Melik Al-Zaziz ingaggiò più di un migliaio di uomini per smontare la piramide di Menkaura mattone su mattone; fortunatamente la terza piramide fu più resistente del previsto; dunque costui rinunciò alla scellerata impresa.

Ma la svolta avvenne con il fisico-matematico Greaves (1638) il quale, esplorando la Grande Piramide, ne intuì l’unità di misura sacra, misteriosa sottesa a tutto il monumento e che doveva mettere il colosso in armonia con il cosmo e con Gaia; detta unità esisteva ma la identificò il più metodico Harvey confrontando gli studi di Newton e Kircher: l’unità di misura riguardava il ‘cubito’; ma la stranezza risiedeva nel fatto che la Grande Piramide fu realizzata utilizzando due unità: il cubito per la struttura esterna e il ‘cubito sacro’ (12 cm di differenza ca. rispetto al precedente) per la misteriosa struttura granitica interna. Era nata la ‘piramidografia’. Con l’arrivo di Napoleone, gli scienziati al seguito della spedizione, Jomard e il Col. Coutelle, giungono alle conclusioni a cui in precedenza approdarono gli antichi: la Camera del Re non è una tomba; il 17 agosto 1799 Napoleone espresse il desiderio di dormire nella Camera di granito; ne uscì sconvolto e pur sul punto di svelarne il perché prima di morire serbò al contrario il suo segreto per sempre.

Cos’è dunque la Camera del Re? E perché fu realizzata con materiali preziosi e lavorati in maniera raffinatissima? E perché esistono altre camere, cosiddette ‘di scarico’ oltre il soffitto della stanza? La prima la scoprì Davison ma il sospetto di altre ‘camere di scarico’ ulteriori fu chiarito con la scoperta di Caviglia di quella che è passata alla storia come Camera di Wellington; per aprirsi un varco di accesso egli utilizzò addirittura l’esplosivo; forse danneggiando per sempre la struttura preposta a un ‘qualcosa’ di estremamente terribile e mirabile…

Su cosa basa l’affermazione perentoria, Mario Pincherle, che il granito interno alla Grande Piramide sia lo Djed, ovvero la Torre di Osiride o la Torre che governa lo spazio e il tempo? Gli scopritori delle ulteriori camere osservarono che molti dei blocchi granitici erano numerati; il presupposto per una classificazione di questo tipo è quello di smontare, trasportare e rimontare la struttura; furono trovati anche alcuni geroglifici tra cui un cartiglio riconosciuto come ‘Sufu’, facilmente assimilabile a ‘Khufu’ al fine di addormentare, tranquillizzare l’opinione pubblica in merito; raramente però si riporta l’altra frase trovata nella IV camera, ovvero che i blocchi furono tagliati ‘con scalpelli di luce divina…’. L’ipotesi di Taylor, allora direttore del London Observer, convince Pincherle ulteriormente sullo Djed: egli affermò che la Grande Piramide era assimilabile all’Arca del Diluvio ma non finalizzata a salvare vita animale o umana bensì delle antichissime ed eccezionali conoscenze divenute in seguito arcani iniziatici; quando nel 1859 egli scrisse un libro su codesto argomento il Positivismo si faceva strada tra le filosofie umane e pertanto testi in tal senso si persero nel razionalismo più sfrenato. L’ortodossia fece un’altra illustre vittima nell’800: l’astronomo Piazzi-Smith che, riesumando il libro di Taylor, per primo stabilì le connessioni tra i condotti della Camera reale e le costellazioni sacre agli Egizi (Ursa Minor e Draconis); identificò i rapporti matematici aurei alla base della costruzione del sarcofago ubicato nel centro della camera, ossia l’esatta corrispondenza tra la tara e il netto della misteriosa vasca. 

La spina nel fianco ortodosso arrivò con Flinders-Petrie il quale dimostrò che la sezione granitica era stata realizzata con i multipli del cubito sacro (avvalorando le tesi di Newton) oltre alle considerazioni sull’oggettivo abisso edile e materiale tra la Grande Piramide e lo strano oggetto ivi contenuto. Piazzi-Smith ebbe anche l’intuizione dell’orologio cosmico, ovvero il fenomeno della Precessione, avvalorata da un’osservazione dell’astronomo Biot il quale notò nel 1853 che durante il giorno dell’equinozio di primavera, a mezzogiorno, l’ombra spariva completamente dalla parete nord del monumento e il sole si trovava esattamente in equilibrio sul vertice. Ma un imprinting fortissimo all’ipotesi dello Djed arrivò dallo scienziato inglese Catsworth; costui studiando gli appunti del Piazzi-Smith identificò la piramide di Saqqara come un’immensa meridiana; ma al fine di poter localizzare i 365 segmenti d’ombra bisognava ipotizzare l’esistenza, in passato, di una torre posta sul proprio vertice. 

Le conclusioni cui giunge Pincherle, tuttavia, vanno ben oltre considerazioni di tipo archeologico o puramente storico. Lo Djed è infatti un monumento sacro e la sua ragion d’essere è inscritta in una sacralità ben più antica degli Egizi appartenuti alla IV Dinastia; la sua storia parte da molto lontano e forse, addirittura, è alla base del viaggio di Abramo da Ur di Caldea.

La sacralità dello Djed

Pincherle ratifica 7 conclusioni su cui costruire ciò che davvero per egli desta interesse nello Djed e che, paradossalmente, non è il metodo costruttivo che liquida con un perentorio ‘non mi interessava più…’1

1) la Grande Piramide non è una tomba
2) Khufu non vi fu mai sepolto
3) Il sarcofago non ha mai contenuto Khufu
4) La piramide è un ‘tetto’
5) La torre è antidiluviana
6) La torre fu smontata e rimontata
7) Non vi è contatto tra torre e piramide

Lo Djed è una torre alta oltre 60 mt, ha una sezione rettangolare di 10 mt x 5 mt e presenta, oltre la Camera del Re, 4 camere sovrastanti erroneamente definite ‘di scarico’ come visto in precedenza; la sua base misura approssimativamente 9,5 mt x 18 mt ed è speculare alla sommità della piramide di Djoser a Saqqara; stranamente contraddittorie le misure del vertice, rettangolare, in rapporto alla pianta quadrata del monumento di Saqqara: che fosse un’antica ziqqurat? Le costruzioni piramidali e i monumenti mesopotamici furono da sempre in strettissimo rapporto; questo rapporto affondava le radici in una civiltà sottesa a quelle della fertile mezzaluna e dell’Egitto stesso: l’impero accadico. Da questo istante il ‘viaggio’ di Pincherle diventa ostico sotto profili fideistici ed estremamente di frontiera sotto quelli eterodossi. L’etimologia del nome della Grande Piramide è di origine accadica: ‘aqqat khufu’ oltre ad ‘Orizzonte di Khufu’ significa esattamente ‘mangiatoia di Khufu’; ancora più sconvolgente il termine ‘kufu’, in lingue orientali e in aramaico, ha come significato ‘pietra’: ne deriva quindi un’interpretazione rivoluzionaria basata sulla traduzione letterale di ‘sarcofago di pietra’. 

Come precedentemente accennato, il monumento fu realizzato con il cubito sacro – 53 cm – a fronte del cubito ebraico di 44,4 cm; il cubito sacro era alla base di molte antiche realizzazioni come ad esempio l’Arca dell’Alleanza di Mosè o le stanze del Sancta Sanctorum del tempio di Salomone. Gli Accadi erano definiti ‘il popolo dei figli di Dio’ e non sfugge l’incredibile viaggio di Abramo che da Ur in Caldea scende in Palestina per approdare in Egitto: la sua meta, misteriosamente, la Grande Piramide. Pincherle affonda l’acceleratore e s’imbatte nel mitologico re accadico, Sargon, che fu trovato bambino sulle rive dell’Eufrate all’interno di una ‘mangiatoia di pietra’, o ‘sarcofago di pietra’ alle prime luci dell’alba ‘quando le stelle del mattino ancora cantavano in coro’; allora, a guisa di un puzzle molto intricato, alcuni tasselli vengono scoperti nel libro dell’Esodo riguardanti l’Arca dell’Alleanza:

‘costruitevi un’arca che abbia lunghezza 2 cubiti e mezzo e altezza parimenti 1 cubito e mezzo…’
‘e la farete non piena ma cava e vuota dentro…’

Riferimenti inquietanti al libro di Giobbe:

‘dove eri tu quando ho posto i pilastri della terra? Chi ha portato la pietra squadrata quando gli astri del mattino cantavano in coro le mie lodi e i figli di Dio levavano voci di gioia?’

Un passo di Erodoto, libro II, 128 recita:

‘per 106 anni dall’epoca di Cheope gli Egizi conobbero la sventura… l’avversione a Cheope e Chefren è così grande da non nominarli e chiamano le Piramidi Filitide, nome del pastore che ivi governa le greggi…’

Gli Egizi frustavano le piramidi e la sfinge in giorni prestabiliti; il popolo degli Accadi era un popolo dedito alla pastorizia e dalla Bibbia si apprende il disprezzo Egizio per i pastori. Pincherle nota una somiglianza incredibile riguardo ai due simboli di Vita Egizio ed accadico: praticamente identici con l’unica differenza che l’ankh, la croce Egizia, è sormontata da un ovale; quella accadica da un cerchio; l’osservazione nacque durante una visita dell’autore al Louvre ma non solo: lo Djed è spesso ‘antropomorfizzato’ grazie a due braccia che spuntano dalla parte alta sui lati opposti; queste rappresentavano le braccia di Osiride che sosteneva i due regni di cielo e terra. Anche nella Camera del Re vi sono due ‘braccia’: i condotti stellari che partono dalle pareti in asse nord-sud; dunque, secondo Pincherle, la Grande Piramide era l’involucro del misterioso Ate-men-Anki, letteralmente ‘l’ancoraggio del Cielo alla Terra’.

Il confronto con l’archeologo Birot, esperto linguista e conoscitore della scrittura accadica, rivelò che il termine ‘Sar’ era rappresentato da un sarcofago su cui si levavano due spighe e che il nome ‘Ur’ significava ‘dolmen poggiato su due pietre’, esattamente come lo Djed su 5 ripiani ed era posto al vertice degli ziqqurat come osservatorio astronomico e altare divino.
Dunque, volendo ricapitolare:

a) lo Djed rappresenta il ritorno di Osiride
b) presenta 4 dolmen sovrapposti
c) e due ‘braccia’ che identificano i condotti verso le stelle
d) e al suo interno ha una ‘mangiatoia’

E’ il momento di riprendere in mano il Libro dei Morti, la ‘Bibbia’ Egizia, scritto nel III millennio a.C. esattamente sotto il faraone Menkaura; il suo vero titolo è Per-Em-Ra letteralmente ‘uscita verso la luce’. Si tratta di un testo che esprime verità appartenenti ad un perduto mondo monoteista in cui Osiride l’Uomo-Dio è il centro dell’universo, addirittura il pegno di vita eterna; egli è colui che insegna le arti e l’agricoltura, l’idraulica, l’astronomia, l’architettura e per tutta risposta viene fatto a pezzi, 14 in tutto; ma i pezzi fecero germogliare ‘piante di grano e vigne’ dalle quali produrre pane e vino; coloro, i seguaci, che mangiavano di quel pane e vino compivano un vero e proprio rito eucaristico ante litteram.

Osiride nei riti antichi era denominato anche ‘On’; la stessa invocazione per Sargon, ‘On Sarrukin’. Pincherle ipotizza che Asar e Ausar (Sargon e Osiride) siano la stessa persona:

- entrambi i re sono buoni e amati dai sudditi
- entrambi elargiscono conoscenze e benefici creativi
- entrambi muoiono di morte violenta
- in entrambi i re il sarcofago è simboleggiato da grano e vite
- entrambi hanno la barba, lunghe sopracciglia
- entrambi vengono fatti a pezzi
- entrambi sono simboleggiati dallo scettro dei due regni
- entrambi presentano ‘un cofano nudo in pietra’
- entrambi hanno ali alla base del capo

i simboli alati riguardano anche:

- il cherubino ebraico
- il cherubino cristiano
- il karabù accadico

dove i fonemi ‘karabù – cherubi-no’ hanno una stessa origine etimologica.

E’ qui che Pincherle determina l’asse logico Djed – Osiride – Sargon, sottolineando l’origine accadica del monumento ma soprattutto ponendo una inquietante domanda sulla nascita di Sargon perfettamente speculare al racconto della nascita di un’altra immensa personalità, il Cristo: Sargon è infatti annunciato da un allineamento planetario e viene trovato dagli Accadi, di mattina, quando le stelle cantano tutte in coro, in una mangiatoia; ed una stella era fissa al punto di settentrione ma per la Precessione quella ‘polare’ oggi non è più al suo posto; dovremo attendere gli anni rimanenti dei 26000 inerenti il ciclo del moto apparente celeste per riavere quell’allineamento comunque visto da un punto fermo le cui caratteristiche architettoniche s’intersecano con l’architettura celeste: lo Djed. Questa costruzione serba in sé un segreto incredibile: essa altro non sarebbe se non un ‘rilevatore’ delle discese ritmiche di dio in terra, un orologio cosmico testimone di una lunghissima e ancestrale tradizione monoteista dove i 4 dolmen della torre segnano i 4 grandi periodi dell’umanità; tranne per un unico Djed, raffigurazione risalente al periodo tolemaico (conservato al Louvre) dove i dolmen sono 5; l’umanità è dunque entrata nel suo V periodo, ricominciando il ciclo ‘post Christum natum’?

Pincherle aggiunge 2 conclusioni alle 7 precedenti:

- lo Djed è un orologio cosmico perché il suo orientamento assieme all’orientamento dei due condotti stellari determina un preciso punto spazio-temporale su scala universale

- come i poli terrestri sono legati a fenomeni elettromagnetici, così lo Djed è legato a fenomeni misteriosi che l’autore definisce ‘onda vitale’; la nostra bussola funziona con il nord magnetico; quella degli Accadi su energie sconosciute a noi; la parallasse di queste energie avrebbe permesso la geolocalizzazione di qualsiasi punto sul pianeta, atta alla realizzazione di carte perfette antichissime; oltre il nord, lo Djed..

Ma allora perché nascondere lo Djed nella Grande Piramide? Pincherle affronta l’argomento partendo da lontano, dal viaggio di Abramo da Ur fino in Egitto con destinazione il monumento stesso. Al contrario di quanto si afferma Abramo non era un pastore: era cittadino di una metropoli opulenta e culturalmente avanzatissima. Insistevano infatti scuole di astronomia, idraulica, medicina, matematica, astrologia e via discorrendo. All’epoca di Abramo lo ziqqurat di Ur già presentava una storia ultramillenaria, antecedente all’epoca delle stesse piramidi. Un’altra osservazione in rottura con i canoni ortodossi della figura di Abramo è che egli descrive Nàcor come città natale e terra di origine paterna: ma Nàcor era una città accadica e non caldea; l’ipotesi è che Abramo, fautore di un monoteismo sulla via del tramonto nella corrotta Ur, lascia la sua terra per trovare un terreno più fertile lì dove il monoteismo era già affermato e lo Djed ne era il monumento principe, originario di un’antica terra accadica: l’Egitto delle Piramidi di Rostau. Forse vide la ‘mangiatoia’ di Sargon sull’Eufrate? 

Di sicuro la splendida statua oggi conservata nel museo di Baghdad. Sicuramente l’ingresso alla Grande Piramide era un suo obiettivo fortissimo: è nota la storia biblica di aver dato in sposa al faraone la propria spacciandola per sorella scatenando l’ira del sovrano una volta scoperto l’inganno e la relativa fuga. Tutti i Patriarchi ebbero a che fare con la piramide di Khufu, come se il richiamo del dio unico fosse racchiuso nell’altare di granito ivi contenuto; questo legame attirava gli ‘Archisti’, ovvero coloro che avevano a che fare con l’Arca dell’Alleanza e non lesinavano sugli stratagemmi pur di entrare nel monumento (magistrale quello di Giuseppe che ne richiese l’uso come magazzino, silos per il grano). Il tempo trascorre e si arriva alla nascita del Cristo; il Messia è subito sotto posto sotto la pressione del tiranno Erode; dunque un angelo avverte la Sacra Famiglia che parte e si rifugia, come se non bastasse, in Egitto. 

Pincherle racconta un aneddoto di vita riferendosi ad una particolare chiesa di rito cristiano copto ubicata ad Abu Sarga. È la cosiddetta ‘Chiesa del Rifugio, luogo in cui trovò asilo la Sacra Famiglia: ci si accede tramite un cancello e si passa attraverso un orto botanico pieno di balsamine; questi alberi innamorarono la regina Cleopatra che li volle assolutamente nel proprio territorio; somiglianti a vitigni, è l’unico punto d’Egitto in cui esistono, l’origine è palestinese. Ci vollero dei giardinieri ebrei per questo lavoro; Pincherle ci dice che erano veramente ‘troppi’ i giardinieri che si trasferirono in quella zona; troppi per l’orto ma giusti per rimuovere i detriti dall’ingresso della Grande Piramide. Trent’anni dopo Madre e Figlio trovarono rifugio proprio lì in una zona decisamente adiacente all’involucro dello Djed; Abu Sarga è infatti situata in prossimità della piramide di Khufu, troppo ‘aritmetica’ per essere una semplice coincidenza. Vicino al fonte battesimale esagonale, si apre un pozzo molto profondo. Probabilmente un passaggio segreto verso il cuore del monumento…

Un fantasma si aggira nel deserto di Rostau: quello di Cheope-Khufu; secondo Pincherle il monumento più famoso sul pianeta è attribuito ad un faraone inesistente; quali le prove di questo ‘parricidio’? Cheope, ovvero Khufu, è citato in alcune liste regali e nei geroglifici di mastabe appartenenti a dignitari di corte; ma di lui, tranne una assai sospetta statuetta in alabastro - scialba, inespressiva e in pessima conservazione – non rimane nulla, nemmeno i tratti somatici.

Tranne, naturalmente, una montagna artificiale in calcare…

Il grande sacerdote Manetone ci lascia una lista in cui sembra che Khufu sia denominato Sotis, fonema decisamente cogente al nome del padre Soris. La definizione ‘Orizzonte di Khufu’, dedotta dai termini ‘akett kufu’, è un’interpretazione arbitraria poiché il termine ‘orizzonte’ è espresso nel fonema ‘xut’; mentre il termine ‘kuf’, radice etimologica del termine ‘kufu’, porta significato ‘protezione’, ‘involucro’ o più semplicemente ‘sarcofago’; i geroglifici presenti nelle ‘camere di scarico’ riportano il termine ‘knum Kufu’ ossia ‘protetto da knum’.

Manetone però prosegue nella descrizione e ci racconta che ‘Sotis’ o ‘Sufis’ era un faraone così saggio da aver scritto un libro contenente tutti i segreti dell’universo. Dopodichè sarebbe asceso al cielo in apoteosi con tutto il corpo; è inquietante tanto come il termine ‘sufis’ ci richiama al ‘sufismo’ che significa ‘saggezza’ ed è alla base dell’esoterismo musulmano. Ma anche Enoch al termine dei suoi scritti sarebbe asceso in gloria nei cieli; è superfluo ribadire Chi ci ricorda tutto ciò.

L’ennesima leggenda sullo Djed racconta che esso è l’estrema dimora di Osiride, il suo cenotafio, vuoto, poiché egli salì in cielo in apoteosi, corpo e spirito. Abbiamo a disposizione la Stele di Palermo che a differenza di Manetone risale ad epoche adiacenti realmente alla V Dinastia; le informazioni ci sono confermate da un altro assai famoso documento ovvero il Papiro di Torino; le affermazioni di Manetone provengono purtroppo da redazioni posteriori poiché la sua opera, insieme a circa 2 milioni di opere antidiluviane, fu distrutta nel rogo di Alessandria, l’eccidio culturale della Biblioteca ad opera degli arabi ma anche dei cristiani. A proposito di calendari necessita l’approfondimento di un tema: il calendario Egizio, basato su di un fenomeno che fece dell’Egitto ‘il dono del Nilo’. I suoi antichi abitanti dividevano l’anno in tre stagioni:

- akt ‘il tempo dell’inondazione’
- feret ‘il tempo della semina’
- kemu ‘il tempo della raccolta e della trasformazione’

il termine ‘kemu’, con radice comune ad ‘al-kemia’ di origine araba (alchimia), riporta al nostro più comune ‘chimica’ dove il significato è decisamente cogente ai termini principiali.

E così si scopre che il capodanno Egizio coincideva con il primo giorno d’inondazione e tutto ciò, da buoni astronomi-astrologi, gli Egizi osservarono essere un evento coincidente con il sorgere di una stella in particolare che essi chiamarono ‘Sotis’ o ‘Sefedet’ ossia Sirio, l’Iside del pantheon Egizio sposa-sorella di Osiride. Le stagioni erano formate da 4 mesi ognuna composta da 120 giorni per un totale annuo di 360 giorni.

Ma accadde qualcosa di terribile e l’asse terrestre si inclinò; il ritmo dell’equinozio primaverile cumulava ritardi esponenziali anche aggiungendo i 5 giorni del calendario odierno; il pianeta, divenuto una trottola impazzita, sfalsava l’anno secondo ciò che sarebbe stata la Precessione; ci volle tempo per capire che il ciclo coincidente tra il sorgere eliaco di Sotis-Sirio e la piena del Nilo valeva 1460 anni; questo veniva definito ‘periodo sotiaco’ per ovvi motivi. Un ritmo sul quale è possibile calcolare e stabilire date coincidenti precise; non è un mistero che il prossimo allineamento avverrà nel 3050 d.C.

Ed ecco le contraddizioni peraltro tutte ortodosse:

- adozione del calendario sotiaco con Djoser, III Dinastia, regnando con la collaborazione dell’immenso sacerdote Imhotep

- a cavallo del 2772 a.C., sempre secondo la visione di altri ortodossi, il periodo cadrebbe nell’epoca di Cheope-Khufu, ovvero l’epoca delle Piramidi

- eppure è la stessa assise a mettere in dubbio il periodo per la discrepanza tra Djoser e la IV Dinastia e pertanto (causa la famosa e antonomastica ‘lacuna storica’) arrivare a discutere l’esistenza stessa di Cheope-Khufu considerandolo forse solo un simbolo.

Conclusioni

La funzione dello Djed sembra dunque incentrarsi sempre di più sul ‘perché’ della sua realizzazione e conservazione in un bunker strutturato e non tanto sul ‘come’; il ‘perché’ tenta di spiegare, ad esempio, l’apparente impossibilità di realizzare il sarcofago della Camera del Re, il quale – percosso – sembra risuonasse come una campana e mantenesse lo stesso peso sia pieno d’acqua che vuoto; ad oggi quest’opera mirabile è l’unica soluzione fisica ad un problema matematico detto ‘duplicazione del cubo’: la tara è infatti perfettamente equivalente al lordo. E tutto ciò a causa della conservazione di un cadavere? Lo Djed è l’arma di Osiride, simbolo di resurrezione e vita eterna; si legge nel Per-em-Ra, XIX capitolo:

‘in verità io non sono morto; in verità io vivo nello Djed’ 

Nello stesso testo si narra di un’antichissima cerimonia, antecedente alle Piramidi, in cui si celebrava un rituale misterioso ovvero il ‘Raddrizzamento dello Djed’; contemporaneamente gli arcieri scagliavano quattro frecce nelle traiettorie dei punti cardinali considerati come i Pilastri dell’Universo. I costruttori delle Piramidi riscoprirono il monumento che era denominato persino la Torre di Adamo; troppo clamore e tecnologia per un semplice obelisco più squadrato degli altri. Allora cos’è lo Djed?

La risposta è insita in una domanda estremamente correlata e intimamente connessa: qual è l’origine della Prima Civiltà? Ossia: chi o cosa è l’uomo? Il Pilastro di Osiride, in quest’ottica, sembra essere l’atto di nascita dell’Uomo; la carta d’identità di Adamo. Lo Djed come trait-d’union tra Cielo e Terra, collante delle dimensioni macro-micro cosmo; dunque la ricerca non è del tutto esterna, prevede una profonda introspezione.

Pincherle per primo osa chiedersi ‘chi è l’Uomo’ e soprattutto se esista o meno un Atemenanki, ovvero un ponte tra Uomo Mondo e Mondo e Cosmo. Infatti l’affermazione introduce ad una ‘trinità’ umana e al mistero del termine ‘cosmo’ il cui significato è ‘vittoria sullo spazio e il tempo’; noi siamo duplicità però, anima-corpo; il numero ‘tre’ come possiamo concepirlo? L'interpretazione di Pincherle è davvero antichissima, affonda le sue radici in un platonismo che fu utilizzato anche nei cenacoli esoterici: corpo-anima è un binomio diverso da Nous, ovvero Spirito – parte eccelsa del Pensiero, che si trova in una condizione di superiorità esistenziale rispetto ai precedenti. E utilizza ‘sensi’ diversi di percezione. Nel passaggio tra l’era della materia e quella dello Spirito concepito da Pincherle, il ‘sesto senso’, chiamato ‘forza tenebrosa’, ‘drago nero’ o ‘mostro che marcia all’indietro’ nell’antichità, getta nuova luce sul perché dello Djed: i Profeti erano coloro che sapevano far marciare all’indietro il tempo’; nella ricerca dello Spirito da parte dell’umanità che trapassa dal periodo precedente all’Era del cambiamento, lo Djed rappresenta il mezzo con cui in precedenza l’uomo era in grado di superare le barriere dello spazio-tempo e quindi di superare se stesso. Il Viginiana Bairava Tantra, antichissimo testo Sudra, significa appunto: ‘tecnica per oltrepassare la coscienza’.

Un altro testo ben più adiacente alla geografia dello Djed è il Sefèr Isirè o Libro di Adamo che afferma l’uomo come essere immerso nello spazio e nel tempo ma anche nella Vita. I sensi percepiscono la Terra cosmica e il Fuoco cosmico (spazio e tempo); è impossibilitato a concepire l’Anti-tempo, ovvero l’Acqua cosmica, il controllo sull’andamento del tempo. Il testo continua affermando che solo al raggiungimento di questa consapevolezza l’uomo arriverà all’Aria cosmica e vincerà i confini spazio-temporali, trovandosi vittorioso al di fuori di essi. Non è un caso che lo Djed, in tempi remoti, rappresentasse proprio questo ovvero la vittoria dell’eternità sul transeunte.

Qualora considerassimo l’energia prodotta dallo Djed come Acqua cosmica rappresentata nel Sefèr Isirè, Pincherle afferma che del binomio energetico maschio-femmina lo Djed è rappresentazione dell’energia femminile, riflusso temporale complementare all’avanzamento temporale; l’unione delle due forze genera eternità.

Gli aspetti escatologici riguardanti l’incredibile storia dello Djed prendono il sopravvento su quelli storico-archeologici. Lo Djed diviene la Torre dei Miracoli citata in un dei libri di Enoch che rappresenta il punto di unione dei confini terreni e cosmici, i famosi pilastri dell’universo. La torre diviene caratteristica di Vita e la vita è un compendio continuo di ‘dualità’. Gli Egizi chiamavano quest’aspetto ‘due cuori’: l‘uomo era corpo fisico e Ka, ovvero il doppio eterico degli occultisti; dopodiché vi era Ba ossia il corpo astrale e infine Ku cioè lo spirito che veniva denominato Sahu nella sua parte più elevata, ovvero la trasfigurazione di Osiride nel Duat: Orione.

Queste dualità prendevano le mosse dall’osservazione del comportamento cardiaco con i suoi movimenti di espansione e contrazione, ovvero diastolico e sistolico, il respiro (in aramaico ‘ruah’, il ‘soffio’). Dunque questo pulsare rappresentava il funzionamento stesso della vita che gli antichi Egizi chiamavano Fati, espansione; e Ib contrazione. Ciò rappresenta il tempo e l’anti-tempo, il doppio pulsare e fluire verso il passato e verso il futuro. Nel Sefer Isirè il cuore, il mondo e il cosmo hanno pulsazioni inversamente proporzionali tra loro passando da quelle rapide umane fino al pulsare fermo del cosmo; quando l’uomo raggiungerà la coscienza cosmica allora sarà in grado di gestire il tempo. Ciò sarà possibile acquisendo uno spirito profetico poiché la visione profetica è una visione di presente assoluto. Ecco dunque cos’è lo Djed per Pincherle tenendo ferme le parole degli antichissimi testi:

una ‘macchina’ in grado di passare dal tempo all’anti-tempo.

Se gli uomini saranno in grado di riconoscere il movimento sistolico e non solo diastolico del proprio cuore-apparato di vita allora sapranno divenire padroni del tempo e si libereranno dalla morte.
Dunque lo Djed, colonna vertebrale dell’uomo-dio vivente, Osiride, il bar-enasch degli ebrei (Figlio dell’Uomo) è l’albero della Vita Eterna così difeso da Dio nell’Eden, così ricercato dall’eroe Gilgamesh nella sua epopea di vita.

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