mercoledì 10 aprile 2013

L'Elohim Yahweh e l'Oro degli Ebrei

Ci sono nell'Antico Testamento vicende che si vanno componendo sotto gli occhi dei lettore e che si presentano nella loro completezza solo dopo ripetute letture.

Così succede per i passi in cui si parla dell'oro, il prezioso minerale. La sua presenza è distribuita in vari libri e numerosi capitoli la cui lettura lascia una sensazione strana, una sorta di convinzione che vi sia un che di non detto, di sottaciuto. Si ha l'impressione che nei testi sia contenuto un qualcosa di non dicibile perché sarebbe eclatante e soprattutto inaccettabile per i lettori di un libro considerato sacro e portatore dell'infallibile parola divina.

Eppure qualcosa non convince: l'oro è importante, viene accumulalo e usato, ma forse non tutto e in un modo non così chiaro come il testo vorrebbe far credere.

Proviamo a ricostruirne presenza e percorsi nel tentativo di dare ordine alle premesse dì una spiegazione che unisce passato e presente, fornendo elementi di conoscenza inattesi e quanto mai sorprendenti, qualora risultassero confermati in via definitiva.

Gli Ebrei vivevano in Egitto da secoli, quando il loro “Dio” si ricorda improvvisamente delle promesse che aveva fatto ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.

Questo Elohim governava nei territori compresi tra il Sinai e l’Aravà, dove aveva come suo rappresentate locale il midianita Jetro/Reuel, che sarebbe poi divenuto suocero di Mosè.

In Egitto si verifica un evento che costituisce l’antefatto (Es cap. 2): Mosè uccide un Egiziano e si rende conto che deve fuggire per non essere condannato. Lascia il paese e si reca nei territori controllati da Yahweh e dal suo luogotenente Reuel (amico di El); si mette al suo servizio, prende in moglie sua figlia Zippora e lavora per lui per molti anni, portando al pascolo gli armenti.

Dove? Nel territorio costituito sostanzialmente dal Nord-est del Sinai e nel quale poi condurrà il popolo dopo averlo portato fuori dall’Egitto. Tradizionalmente quella landa desolata viene identificata come il deserto, ma questa definizione è solo parzialmente vera e introduce elementi a noi abituali ma che probabilmente non corrispondono alla realtà geomorfologia e climatica del tempo. Con il termine deserto s’intende normalmente un territorio arido, quasi invivibile, costituito da sabbia e rocce affioranti, su cui crescono talvolta sporadiche essenze vegetali.

Il termine ebraico [midbàr] viene sempre tradotto con il vocabolo «deserto», che per la verità dà conto di uno solo degli elementi che lo caratterizzano: il fatto di non essere abitato in modo stanziale e permanente; deserto quindi nel senso di territorio selvaggio, non curato dall’uomo e privo di insediamenti, costruzioni...

Il termine [midbar] deriva però dal verbo [davar] che indica l’attività del «condurre dando ordine», e si ricollega al termine [dobher] che significa «pascolo», così come l'aramaico [dabar] indica l’atto di «condurre il gregge».

[Midbar] identifica dunque un territorio libero, selvaggio, in cui si conducono le greggi e gli armenti in genere: un luogo in cui si potevano allevare numerosissimi animali perché probabilmente ricco di erba e di fonti d’acqua, indispensabili per nutrirli e farli abbeverare

Mosè diviene dunque un vero esperto e conoscitore di tutta quella regione, ci vive per anni, ne scopre gli aspetti più nascosti e costituisce dunque il personaggio ideale per realizzare un obiettivo preciso.

Lui ricevette l'incarico di condurre un popolo e di farlo vivere in quei luoghi garantendogli l'accesso a ogni forma di approvvigionamento indispensabile per la sopravvivenza: acqua e foraggio per gli animali, possibilità di usare tutto ciò che la natura metteva a disposizione, dal passaggio delle quaglie alla manna prodotta da una cocciniglia, e di cui Mosè deve necessariamente essersi nutrito nei lunghi periodi trascorsi con gli animali di suo suocero Ietro. Il racconto si trova nel libro dell'Esodo e non lo analizziamo qui perché altre sono le finalità di questo lavoro.

Affrontiamo solo un concetto particolare che la tradizione religiosa ha sempre presentato in una chiave funzionale alla visione monoteista e spiritualista della vicenda: Jetro/Reuel, il cosiddetto sacerdote. Diciamo subito che non dobbiamo farci fuorviare da secoli di dottrine e usi religiosi, che ci hanno presentato la figura del sacerdote in una luce che non ha pressoché nulla a che vedere con quella cui si riferivano le culture mediorientali del tempo. Nella cultura sumero-accadica il sacerdote veniva definito ENSI e le sue funzioni erano quelle di un Governatore territoriale: era una sorta di rappresentante locale del Signore/ANUNNA che presiedeva una specifica regione.

Il contenuto funzionale dell'ENSI corrispondeva in sostanza a quello della figura definita con il termine accadico ISHAKKU (che ci ricorda l’Isacco nella Bibbia, il figlio di Abramo).

In lingua semitica occidentale il sacerdote era il [cohen], un termine col quale si identificava il compito di “colui che presta un servizio in qualità di capo”; era dunque anche qui una sorta di governatore, principe, un facente funzioni per conto del signore del territorio.

Non è un caso infatti che, dopo l’uscita dall’Egitto, Mosè incontri suo suocero che gli fornisce indicazioni precise su come organizzare quell’insieme di tribù che lui ha il compito di trasformare in una nazione. Jetro/Reuel - [cohen] «sacerdote/facente funzioni» per conto dell’Elohim locale e dunque esperto nell’arte del governare - trasferisce al genero tutte le informazioni necessarie (Es 18,13 e segg.). Mosè dovrà:

• fungere da intermediario tra il popolo e l’Elohim;
• rappresentare all’Elohim le varie questioni;
• trasferire al popolo le leggi e i decreti;
• scegliere tra il popolo degli uomini virtuosi

cioè che temono l’Elohim e gli obbediscono ciecamente - e li dovrà nominare capi di gruppi di varie dimensioni (migliaia, centinaia, cinquantine e decine): avranno il compito di amministrare la quotidianità e la giustizia, provvedendo personalmente per le questioni di minore importanza e richiedendo il suo intervento esclusivamente nei casi di maggior peso.

Siamo di fronte a una vera e propria organizzazione piramidale finalizzata a organizzare, in una struttura controllabile e gestibile, alcune migliaia di persone: di questo quindi si occupava e in questo era esperto il sacerdote Jetro/Reuel.

Abbiamo detto che la figura del sacerdote era quella di un governatore locale, di un luogotenente, che poco o nulla aveva a che vedere con le funzioni spirituali che sono invece state successivamente attribuite al sacerdozio.

Lo stesso Yahweh identificò a priori come suoi sacerdoti rutti i discendenti di Aronne, indipendentemente dalla -inesistente - vocazione singola e dalle attitudini personali. Tutti i nati da quella famiglia erano quindi, di fatto e di diritto, sacerdoti, fatte salve alcune caratteristiche che vietavano espressamente l’esercizio di quel compito.

I “vizi” che impedivano a un discendente di Aronne di svolgere le funzioni sacerdotali - contrariamene a ciò che duemila anni di dottrina religiosa ci indurrebbero a pensare — sono elencati con estrema chiarezza nel libro del Levitico (capitoli 21, 16 e segg.); li riportiamo in una delle versioni che si trovano nelle bibbie che tutti abbiamo in casa, non c’è neppure necessità di traduzioni o interpretazioni particolari:

Yahweh disse a Mosè: devi dire ad Aronne che nessuno della tua discendenza che sia portatore di un difetto dovrà mai portare il nutrimento a me... né un cieco, né uno zoppo, né uno che abbia una qualche mutilazione o malformità, né uno che abbia difetti ai piedi o alle mani, né un gobbo, né un nano, né uno che abbia una malattia agli occhi o sia affetto da scabbia o da piaghe purulente o uno che abbia i testicoli ammaccati... chi ha un difetto non si avvicini all’altare (versetto 23)...

Come si vede bene, e senza necessità di alcuna interpretazione, le caratteristiche erano di ordine esclusivamente fìsico. Le attitudini mentali - la fede, la devozione ecc. - non erano richieste: si veniva estromessi per motivi fìsici.

Il cibo di Yahweh doveva essere toccato solo da individui fisicamente perfetti e integri.

Comprendiamo immediatamente che non c'è nulla di metaforico o di allegorico in queste indicazioni; i tentativi di interpretare in chiave simbolica questo, come numerosissimi altri passi, rivelano tutta la loro pretestuosità: teologia, esoterismo, spiritualismo di varia estrazione, non accettano la letteralità e la crudezza di queste parole; non possono accettarla perché mette in discussione tutto ciò che credono di sapere sulla figura del “Dio” che loro stessi si sono fantasiosamente creata, ma che non è presente nell'Antico Testamento.

Ma non c'è altra via che accettare la realtà.

Questi divieti formulati su base esclusivamente corporale, estetica e funzionale, corrispondono peraltro a indicazioni simili che i “colleghi” di Yahweh, poco più a occidente, avevano impartito in ordine ad alcune caste cosiddette sacerdotali che si dovevano occupare dell' allevamento di animali destinati al consumo da parte degli “dèi” egizi.

Anche questi sacerdoti dovevano essere fisicamente perfetti e si dovevano pure rasare completamente il corpo, per garantire la massima igiene. Quella stessa pulizia e igiene che Yahweh voleva imponendo accurati lavacri a quei pochissimi che avevano il permesso di entrare da lui nella sua dimora.

La già citata L. bat Adàm, parlando dei rituali officiati nella Bibbia e delle norme che li regolavano, nel suo lungo saggio evidenzia bene... l’immane raggiro perpetrato nei confronti di tutte le anime candide a cui tuttora si continua a far credere che qui si parli di purezza spirituale che conduce alla “santità” dell’anima.

Qualcuno vuole dirlo una buona volta che “purità” e “purificazione” indicano solo una normale pulizia? Lo stiamo dicendo e documentando.

L’esperienza di Jetro/Reuel assume quindi notevole valenza funzionale nella strategia elaborata da Yahweh per costruirsi un popolo su cui governare e da utilizzare ai fini dell’ampliamento della sua sfera territoriale di dominio. L’Elohim aveva deciso di fare uscire genti dall’Egitto con una promessa allettante, trasformarle in un popolo, preparare una generazione di combattenti e portarle infine alla conquista militare di una terra posta a nord del territorio madianita.

Mosè diviene quindi il soggetto ideale per avviare e condurre l’intera operazione: risulta possedere le caratteristiche necessarie. Scrive L. bat Adàm che egli ebbe di fatto l’incarico di «allestire nel Sinai un campo d’addestramento paramilitare».

I contatti di Yahweh con Mosè sono stati ampiamente analizzati nei lavori citati e non vi torniamo, così come non analizziamo la ben nota vicenda delle piaghe a seguito delle quali il Faraone concede a Mosè e ai suoi di uscire dall’Egitto per andare a onorare il loro Dio. L’elemento che qui ci interessa è l’oro, la sua importanza, l’evidente necessità di accumularlo.

Quando si preparano per partire e lasciare definitivamente l’Egitto, Yahweh fa un’osservazione e impartisce una disposizione precisa; dice che non li farà partire “a mani vuote”, ma soprattutto ordina (Es 3,21 e segg.): oro di-(utensiii)vasi-e ...sua-vicina-da donna chiederà-e

In sostanza, per un viaggio che ufficialmente doveva durare tre soli giorni, Yahweh fa in modo che il suo popolo esca dal paese con un carico d’oro e di altri metalli. Lui ovviamente sapeva bene che l’uscita sarebbe stata definitiva, in realtà lo sapevano tutti, per cui ci poniamo alcune domande sulle incongruenze di questa situazione:

• Se gli Ebrei, come vuole fare credere la Bibbia, erano schiavi, come potevano pensare di chiedere e ottenere dai propri persecutori oro e altri oggetti fatti di metalli vari? Data l’evidente impossibilità di averlo con semplice richiesta, non è forse corretto pensare che abbiano venduto i loro beni facendosi pagare con oggetti di metallo prezioso?

• Ma gli schiavi possiedono beni liberamente vendibili?

• Questo commercio poteva essersi intrattenuto con il basso popolino o non dobbiamo piuttosto pensare che a disporre di oro in varie forme fossero le classi egizie agiate?

• Se così era, perché la Bibbia non dà conto della reazione degli egizi, che pare abbiano tranquillamente — miracolosamente? -assecondato le richieste di quella gente che stava per partire?

• Perché caricarsi di un simile peso nella prospettiva di dovere fuggire e avendo la certezza di essere inseguiti?

• Perché caricarsi di un tale peso in prospettiva di fare un viaggio in una landa disabitata nella quale non vi erano certo possibilità d’intrattenere scambi commerciali tali da giustificare un simile accumulo? (Vedremo tra breve la quantità di oro di cui sono arrivati a disporre).

• A che cosa doveva servire dunque?

In Esodo 1235-36 si dice chiaramente che gli Israeliti fecero come Yahweh aveva ordinato e:

Egiziani-gli spogliarono-e una volta ottenuto il permesso di partire, si pongono in viaggio e vivono quel famosissimo evento sempre presentato come straordinario e miracoloso, cui vale quindi la pena di dedicare un po’ di attenzione: la cosiddetta divisione delle acque del mar Rosso.

Cominciamo subito col dire che la Bibbia non parla mai di mar Rosso.

Quando narra l’uscita dall'Egitto sotto la guida di Mosè, il libro dell'Esodo (13,18) racconta che l’Elohim fece girare il popolo: si trattava quindi del canneto, molto esteso, situato nel territorio a nord-est del delta del Nilo: un territorio in cui le acque dolci del fiume arrivano progressivamente a mescolarsi con le acque salate del mar Mediterraneo.

Quando arrivò l'ordine di partire e di compiere l’impresa apparentemente impossibile di attraversare le acque, si verificarono due eventi: Mosè stese platealmente il bastone simbolo del comando e Yahweh «sospinse, fece andare» la massa d’acqua (Es 14,21) utilizzando un fenomeno naturale:

notte-la-tutta potente est di-vento-con
asciutto-a acqua-la pose-e
acque-le divisero-si-e

Abbiamo dunque la descrizione di un fenomeno naturale preciso: un forte vento soffia da est, le acque si dividono, si libera una secca su cui passa il popolo guidato da Mosè, poi le acque tornano a ricoprire il tutto travolgendo gli inseguitori.

Come per l’Arca a Gerico, anche per questo evento sono state fornite, o per meglio dire elaborate, spiegazioni che appaiono decisamente fantasiose, dal miracolo a uno straordinario intervento tecnologico.

Esiste una spiegazione naturale che ha avuto conferme ancora nel XIX secolo. Alexander Tulloch, ufficiale dell’esercito britannico, era di stanza nel territorio di cui stiamo parlando e ha registrato nel suo diario un fenomeno assolutamente naturale

giunco-di-mare deserto-il di-via

Esodo 14,2 e segg. precisa che si accamparono di fronte a Pi-Achirot, tra Migdol e [yam-ha], cioè «il mare», senza fornire ulteriori specificazioni, così come avviene nel prosieguo del capitolo: la massa d’acqua viene sempre definita [yam-ha] ed è stata identificata nel momento in cui hanno ricevuto l’ordine di accamparsi.

Nelle altre tre volte che questa massa d’acqua è ricordata con un’espressione specifica, viene sempre chiamata [suf-yam], «mare di giunco», e mai è identificata con il mar Rosso: Es 15,22; 1 Re 9,26; Sai 136,13. identico a quello descritto nel libro dell 'Esodo.

Scrive che “arrivò da est una colonna di vento che gli impedì di lavorare e il mattino seguente era comparsa una secca che i nativi del luogo attraversavano camminando nel fango”. Nel giro di alcune ore fu nuovamente sommersa dall’acqua.

Il fenomeno dunque si ripete nel tempo ed è stato studiato con 14 simulazioni computerizzate presso lo US National Centre for Atmosphere Research e l'Università del Colorado: pubblicata dalla rivista Public Library Research (e dal quotidiano “la Repubblica”, settembre 2010), la ricerca documenta come un vento che soffia in quel territorio a 100 km orari per 10-12 ore riesca a creare un ponte di terra asciutta lungo 5 chilometri e largo 3: più che sufficiente per consentire il passaggio di diverse migliaia di persone.

Ma non è tutto: la Bibbia precisa che le acque ai lati dell’asciutto proteggevano i fuggitivi. Anche qui la fantasia degli interpreti si è sbizzarrita nell’immaginare muri d’acqua miracolosamente tenuti in verticale da forze sovrannaturali o da non meglio identificate energie.

A noi la spiegazione pare semplice e naturale; il passo dell’Esodo {Es 14,22) scrive che «ai lati l’acqua era per loro come [chomah]», un termine che significa sia «muro» che «protezione»: non ci è difficile capire, anzi è evidente, che l’acqua ai lati della secca li proteggeva perché impediva agli eventuali inseguitori di aggirare i fuggitivi, superarli e bloccare loro il cammino.

Questa vicenda costituisce un’ulteriore conferma dell’ipotesi che abbiamo posto a fondamento del nostro lavoro: la Bibbia, studiata e verificata nella sua letteralità, si rivela sempre di più un testo che ci narra cronache concrete.

Riprendiamo il racconto: la massa dei fuggitivi attraversa il mare di canne [yam suf] in cui si impantanano gli inseguitori, prosegue il cammino e, conseguita la certezza della definitiva libertà, inizia l’organizzazione del campo, degli spostamenti, della vita quotidiana in quell’ambiente nuovo e probabilmente di non facile vivibilità. Yahweh da parte sua non perde tempo, impartisce una serie di norme atte a regolare, e imporre, la convivenza e inizia la raccolta dell’oro ordinando al popolo, per il tramite di Mosè, di fare un’offerta a suo favore.

Per la verità la successione degli eventi relativi alle requisizioni forzose, o donazioni più o meno volontarie, non è sempre chiarissima, ma ciò che conta è la sostanza dell’intera operazione nel suo complesso. In Es 25,1 egli chiede espressamente oro, argento e bronzo; richiesta ripetuta in Es 35,4 fino a che la quantità consegnata non viene dichiarata sufficiente (Es 36,7).

Nel frattempo però succede un fatto che il testo non descrive ma capiamo che fa irritare l’Elohim, o forse potremmo dire che Yahweh crea l’occasione per irritarsi: egli rimprovera il popolo, lo definisce di “dura cervice” e gli ordina di privarsi degli ornamenti. Il versetto di Es 33,6 dice che i figli di Israele:

loro-ornamenti-di spogliarono(si)-e

La raccolta dell’oro da parte di Yahweh era evidentemente un esigenza costante. Vari brani ne descrivono gli utilizzi.

Es 25,23 e segg.: «Farai una tavola per la presentazione dei pani... la ricoprirai d’oro puro e le farai un bordo d’oro... e farai delle traversine e farai a esse un bordo doro... farai quattro anelli d’oro... farai le stanghe in legno d’acacia e le ricoprirai doro... farai in oro puro i piatti, le coppe, le anfore e le tazze...».

Es 25, 31 e segg.: «Farai un candelabro d’oro puro...».

Es 30,1 e segg.: «Farai l’altare per far fumare l’incenso... ricoprirai d’oro puro il piano superiore, i lati intorno e i corni... farai una bordatura d’oro... due anelli d’oro sotto la bordatura...».

Tutti questi arredi — con le suppellettili annesse - erano destinati alla dimora di Yahweh e al suo utilizzo personale: dovevano essere disponibili ogni volta che decideva di stabilirvisi per un qualche periodo. Comprendiamo quindi che l’oro aveva una valenza speciale, non certo limitata al suo puro valore di scambio commerciale.

Peraltro non ci sono nell’Antico Testamento testimonianze che documentino scambi con altre popolazioni tanto intensi da giustificare un tale accumulo di ricchezza. Possiamo intanto pensare che la requisizione del metallo prezioso, unitamente a quella delle altre suppellettili realizzate in argento o bronzo, abbia garantito il raggiungimento di un obiettivo importante: sottrarre la ricchezza a quella gente, concentrarla nelle mani della struttura di comando e togliere così ogni velleità e possibilità concreta di secessioni o abbandoni. Senza valori con cui scambiare le merci come avrebbero potuto procurarsi cibo, granaglie, pagare il transito nei territori occupati da altri, garantirsi autonomamente l’accesso a pascoli o pozzi che non fossero sotto il controllo diretto di Mosè cui erano con ogni probabilità concessi da suo suocero? Spogliati di tutto non potevano andarsene, erano costretti a seguire quella ricchezza concentrata nella dimora di Yahweh da cui essi dipendevano.

Ma questo potrebbe essere solo uno dei motivi che portò alla spogliazione del popolo.

Non dobbiamo dimenticare che le proprietà tipiche di quel metallo ne possono spiegare anche in altro modo l’importanza: è duttile, malleabile, incorruttibile, non arrugginisce, inalterabile, omogeneo, buon conduttore di calore e di elettricità, non facilita lo sviluppo di batteri sulla sua superfìcie.

Ne possiamo quindi comprendere la scelta preferenziale da parte di un essere come Yahweh che aveva, tra le altre, la necessità di vivere in un ambiente che fosse il più asettico possibile, data la sua natura assolutamente diversa ed estranea rispetto al popolo.

Una diversità che comportava rischi non indifferenti, come ben sa chiunque si rechi a fare viaggi in paesi in cui l’igiene non corrisponde ai canoni cui è abituato. Numerosi sono i passi in cui si documenta questa sua attenzione ossessiva per l’igiene, e per i problemi sanitari; a titolo di esempio citiamo Nm 5,1-3:

Yahweh disse a Mosè: Ordina di fare allontanare dall’accampamento ogni lebbroso, chi ha la gonorrea, chi è impuro per un cadavere; manderete fuori maschi e femmine, li allontanerete affinché non contaminino l’accampamento nel quale io abito.

In Dt 23,13 e segg. si legge anche ciò che non ti aspetteresti da un ’’Dio”, un ordine quanto meno curioso: «Avrai anche un posto fuori dell’accampamento e uscirai là. Nel tuo bagaglio avrai un piuolo, con il quale, nell’accovacciarti fuori, scaverai una buca e poi ricoprirai i tuoi escrementi. Perché Yahweh, il tuo Elohim, cammina in mezzo al tuo accampamento per salvarti e per mettere i nemici in tuo potere; l’accampamento deve essere dunque santo, perché egli non veda in mezzo a te qualche indecenza e ti abbandoni.» Anche di questo dunque si preoccupava “Dio”, di non calpestare...

Lui frequentava il campo e non voleva correre rischi.

Tutte le precise prescrizioni impartite circa i lavacri e le abluzioni cui si dovevano sottoporre coloro che erano ammessi alla sua presenza sono un ulteriore conferma di questa esigenza che appare evidente: si veda a questo proposito la perentorietà dell'ordine impartito in Es 30,17-21: Aronne e i suoi figli, se non volevano morire, dovevano lavarsi mani e piedi nell’apposita vasca di bronzo, prima di avvicinarsi per compiere i servizi previsti.

E quando Yahweh parlava di pulizia non intendeva rivolgere metaforicamente o allegoricamente un invito a mirare a una non meglio identificata purezza spirituale, ma imponeva e rimarcava in modo perentorio la necessità concreta di lavarsi e vestirsi con abiti puliti prima di entrare da lui, ci si lavava ogni volta o si correva il rischio di morire: non c'era tempo per procedere a una progressiva elevazione spirituale.

La dimora, il cosiddetto Tempio-tenda, inoltre era posta a debita distanza dall' accampamento proprio per evitare ogni tipo di contatto con possibili conseguenze dagli esiti più diversi e imprevedibili.

La necessità di lavarsi rimase anche quando il popolo divenne stanziale e a Yahweh fu costruita una dimora stabile e fìssa: il Tempio di Gerusalemme.

Anche se, col passare del tempo e perso il contatto diretto, i lavacri subirono un processo di ritualizzazione che li portò a divenire dotati di valenze simboliche e dunque con funzionalità non più direttamente connesse con le pressanti necessità igieniche cui rispondevano in origine.

Tornando all'oro, leggiamo che la parte interna del Tempio in era conservata l’Arca dell’Alleanza, e che era a lui riservata, doveva essere rivestita con il prezioso metallo, come ci ricordano alcuni passi biblici:

• I Re 6,19 e segg.: «Salomone fece la cella del tempio per custodire l'Arca dell’Alleanza e la rivestì di oro finissimo... rivestì di oro tutto il tempio e tutto l’altare che era di fronte alla cella».

• I Re 7,49-50 e 2Cr 4,20 e segg.: «Salomone fece preparare tutte le suppellettili del tempio... l’altare d’oro, la tavola d’oro per i pani, i candelabri... i fiori, le lampade, gli smoccolatoi, le patere, i coltelli, i vassoi, le bacinelle, i mortai, gli incensieri, i bracieri, anche i cardini per i battenti erano d’oro... e di oro erano anche le porte interne che conducevano nella navata e nella parte più interna del tempio».

Si trattava forse di creare una specie di camera metallica in cui l’Arca, che abbiamo visto essere probabilmente un generatore o conduttore elettrico, potesse essere contenuta in una sorta di isolamento? Non lo sappiamo, ma l’oro, usato persino e inopinatamente per i cardini delle porte, induce a riflettere.

Per eventuali approfondimenti tecnici rimandiamo ad autori come Volterri, bat Adàm, Barbiero, i cui lavori sono citati in Bibliografìa; noi rimaniamo nel deserto, per tentare di capire le intenzioni di quel “Dio”.

Tornando quindi alla vicenda della fuga dall’Egitto e della permanenza nel Sinai, ci domandiamo:

• Quanto oro hanno accumulato gli Israeliti quando hanno spogliato gli Egiziani, come dice la Bibbia?

La risposta ci è fornita da Es 38,24: «Tutto l'oro impiegato per il lavoro, in tutta la costruzione del santuario, fu di 29 talenti e millesettecentosettantacinque sicli, del siclo del santuario».

Il talento aveva un peso variabile dai 34 fino ai 43 kg; ancora più difficoltoso è determinare con precisione il peso del siclo, che poniamo convenzionalmente intorno ai 10 grammi.

Abbiamo dunque 29 talenti di 38 kg circa (un peso medio tra i 34 e i 43) e 1775 sicli di 10 grammi, per un totale approssimativo di 1120 kg di oro!

Sono fuggiti dall’Egitto portando con sé più di una tonnellata d’oro che era anche molto scomodo da stoccare e trasportare, perché non era compattato in lingotti ma lavorato in monili, vasellame e utensili vari.

A questo dobbiamo aggiungere più di 100 talenti d’argento e più di 70 talenti di bronzo, per un totale complessivo (oro, argento e bronzo) di circa 7600 kg: 7 tonnellate e mezza di metalli che quella gente si portava nel deserto in attesa del suo utilizzo.

Metalli regolarmente contabilizzati: nulla doveva sfuggire al controllo del potere esercitato da Yahweh, Mosè e Aronne.

Un fatto però desta l’attenzione del lettore per una serie di strane incongruenze: la vicenda del cosiddetto Vitello d’oro. Diciamo subito che si presenta con le caratteristiche di un evento preordinato e studiato nei particolari da parte di chi deteneva il controllo e aveva la necessità di accumulare oro anche per fini che probabilmente non potevano essere dichiarati.

Gli autori biblici dimostrano di avere conoscenza dei metalli raccolti e del loro impiego palese nella costruzione della dimora di Yahweh, dell'arredamento e delle varie suppellettili, ma qualcosa pare essere sfuggito alla, contabilizzazione.

La vicenda è narrata nel capitolo 32 dell'Esodo e inizia con Mosè che si trova sulla montagna per incontrare l’Elohim e riceverne leggi e regole da trasferire a quell’insieme di individui che i due stavano faticosamente cercando di trasformare in un popolo vero, con una vita organizzata e regolamentata da tutte quelle norme che rendono possibile la convivenza civile.

Mosè rimane sul monte per un tempo che al popolo sembra eccessivo e inspiegabile; molti si radunano attorno ad Aronne - il sommo sacerdote, il primo responsabile del culto e del servizio dovuto a Yahweh - e, visto che di Mosè non si sa più nulla, gli rivolgono un invito chiaro (Es 32,1):

Elohim noi-per-fa (orsù)alzati
nostre-facce-a cammineranno che

Un ulteriore conferma di alcuni concetti di fondamentale importanza: ci si poteva rivolgere ad altri Elohim e il termine è qui accompagnato, come in altri passi, da un verbo al plurale che ci aiuta a comprendere ancora una volta quanto abbiamo ampiamente documentato ne II Dio alieno della Bibbia, nel capitolo dedicato a esaminare l’assenza del monoteismo nel popolo guidato da Mosè.

Gli Elohim erano tanti e non sono quindi riconducibili alla figura del “Dio” unico che, su di lui, è stata poi costruita.

Torniamo alla vicenda e al comportamento strano e inspiegabile che Aronne tiene in risposta alla richiesta del popolo di rivolgersi ad altri Elohim, tradendo di fatto Yahweh. Che cosa ci si attenderebbe dal primo garante del culto verso il Dio? Non abbiamo alcun dubbio: un fermissimo diniego.

Un richiamo netto, deciso e perentorio, al rispetto del culto dovuto al “Dio” che li ha portati fuori dall’Egitto al quale è dovuta quindi una fedeltà assoluta. E invece accade ciò che non ci si aspetterebbe: Aronne accondiscende immediatamente. Non fa alcun tentativo di convincere i rivoltosi; non una parola a favore di Yahweh; non un richiamo; non un tentativo di ricondurre alla ragione... nulla.

Riceve la richiesta e, con immediata e incomprensibile naturalezza, si rivolge al popolo e dice (versetto

2): «Staccate gli anelli d’oro pendenti dalle orecchie delle donne, dei figlie e delle figlie».

Si fa consegnare tutto con estrema rapidità.

Il popolo esegue immediatamente e l’oro che non era stato richiesto per la dimora con tutti i suoi annessi viene fuso in una forma per produrre il vitello: il simulacro degli Elohim da adorare richiesto dai rivoltosi. Inizia l’insieme dei riti e dei festeggiamenti.

A quel punto Yahweh invita Mosè a scendere dal monte e gli comunica pure la sua intenzione di intervenire punendo duramente i colpevoli di tutto ciò. L’autore biblico narra che Mosè intercede per il popolo, riesce a mitigare l’ira del suo Elohim, scende dalla vetta e raggiunge l’accampamento.

Nel vedere quanto sta succedendo si accende di rabbia, scaglia a terra le tavole con i comandamenti, frantuma il Vitello d’oro, lo riduce in polvere, la sparge sulla superfìcie dell’acqua (la Bibbia non precisa dove fosse quest’acqua) e poi la fa bere al popolo. Subito dopo esprime tutto il suo (apparente?) risentimento nei confronti di Aronne, accusandolo di avere lasciato che il popolo deviasse dal culto dell’unico Elohim cui si dovevano rivolgere.

Poi compie un atto strano e decisamente contraddittorio. Abbiamo visto che poco prima aveva convinto Yahweh a non intervenire contro i rivoltosi e ora si pone all’ingresso dell’accampamento e urla a gran voce (Es 32,25-28):

me-a Yahweh-per chi

Si radunano davanti a lui tutti i figli di Levi che ricevono un ordine preciso: «Così dice Yahweh: ciascuno metta la spada al fianco, passate e ripassate da una porta all’altra nell’accampamento e uccidete chi suo fratello, chi il suo amico, chi il suo vicino».

La carneficina produce in quel giorno ben 3000 morti (versetto 28). Abbiamo dunque una strana successione di eventi: prima Mosè apparentemente convince Yahweh a non intervenire, poi lo stesso Mosè trasmette un ordine del suo comandante (cioè lo stesso Yahweh) e fa uccidere tremila uomini.

Notiamo per inciso che questa non è che una delle innumerevoli incongruenze presenti nella Bibbia che si vuole considerare un libro infallibile perché ispirato direttamente da Dio.

A fronte di quella carneficina registriamo un inspiegabile stranezza: Aronne, niente meno che il sommo sacerdote colpevole di avere immediatamente assecondato il popolo e di non avere fatto nulla per fermarlo, non viene neppure punito.

Anzi, a ben vedere, è stato proprio lui stesso a decidere di fare un Vitello d’oro; il popolo aveva chiesto genericamente di «fare degli Elohim che camminassero davanti a loro». Eppure il versetto 35 dice che Yahweh in quel giorno «colpì il popolo perché avevano fatto il vitello, fuso da Aronne».

Davvero inspiegabile il senso di giustizia di quel Dio”.

Le stranezze dunque non mancano, ma ciò che colpisce in modo particolare è il fatto che l'oro utilizzato per realizzare l’idolo in forma, di vitello venga così banalmente disperso: il testo ci dice che fa polverizzato, messo nell’acqua e fatto bere a un popolo che doveva essere in realtà punito.

• Perché sciupare quel metallo così prezioso?

• Perché gettare ciò che tanto faticosamente era stato raccolto in Egitto e trasportato nel corso di un viaggio non certo agevole?

Annotiamo che le raccolte o donazioni più o meno spontanee descritte in vari capitoli del libro dell' Esodo erano tutte regolarmente registrate con una precisione che definiremmo ragionieristica: l’utilizzo del metallo era quindi sotto il controllo di supervisori che ne segnavano peso, quantità e relativo impiego. Ci poniamo quindi ulteriori domande:

• La vicenda del Vitello d’oro fu una sorta di prova generale per misurare la disponibilità di quelle genti a consegnare spontaneamente i loro metalli preziosi? ;

• Fu abilmente preordinata per portare allo scoperto potenziali dissidenti o rivoltosi ed eliminarli in modo così esemplare?

• Fu una vera e propria trappola ordita per procedere con un’epurazione drastica?

• Oppure c’era forse la necessità di avere dell’oro da destinare a utilizzi che il popolo non avrebbe compreso e tanto meno condiviso?

Ecco gli eventi che fanno pensare:

• Mosè si intrattiene sul monte per un tempo che va oltre l’accettabile.
• Nell'accampamento alcuni cominciano a mormorare e il malcontento si diffonde.
• Il popolo si ribella e chiede ad Aronne nuovi Elohim da seguire.
• Aronne accondiscende immediatamente senza compiere alcun tentativo di dissuasione.
• Si raccoglie l'oro che gli ebrei consegnano immediatamente, dietro semplice richiesta di Aronne.
• Si fonde un simulacro.
• Non appena questo evento si verifica Mosè, che da molto tempo era sul monte, risulta essere immediatamente pronto a scendere con le tavole della legge perfettamente compilate.
• Mosè interviene e fa uccidere alcune migliaia di persone.
• Aronne non viene punito.
• Il vitello viene distrutto.
• L’oro usato per la statua viene polverizzato e scompare nell acqua che viene fatta bere (!?) al popolo ribelle.

Ulteriori domande:
• Perché Mosè rimane sul monte a lungo e solo quando il vitello è realizzato risulta essere immediatamente pronto a scendere con le leggi già scritte da Yahweh sulle tavole?
• Visto che lui era salito sul monte proprio per ricevere dal suo Elohim istruzioni, norme, leggi ecc. perché non è sceso prima, stante il fatto che le tavole risultano chiaramente essere già pronte nel momento in cui Mosè decide di scendere?
• Perché Yahweh ha atteso che il vitello fosse realizzato prima di dire a Mosè che era giunto il momento di intervenire?
• Non si poteva agire prima che gli eventi precipitassero fino al punto da fabbricare un nuovo “Dio” da seguire?
• Non sarebbe stato sufficiente far scendere Mosè nel momento in cui Yahweh si stava accorgendo che il malcontento del popolo diveniva potenzialmente pericoloso?
• Ma era forse proprio questo che si voleva?
• Si fece in modo di creare il pretesto per raccogliere oro da usare per scopi diversi da quelli ufficiali e che non dovevano essere controllati e giustificati?
• Aronne non è stato punito semplicemente perché era parte integrante di questa strategia visto che non ha frapposto alcuno ostacolo, ma ha immediatamente esaudito la richiesta dei rivoltosi ordinando loro di portare subito l’oro che era in possesso dei vari gruppi famigliari?
• Perché far sparire in un modo tanto plateale un metallo così prezioso?
• Dati questi indizi, possiamo essere certi che la polvere che il popolo vide gettare nell’acqua che poi avrebbe bevuto fosse veramente polvere di oro? Ma anzi, chi dice che il popolo l’abbia vista gettare nell’acqua?
• E se anche Mosè avesse veramente gettato l’oro in vasche di acqua, noi ci chiediamo: si può sciogliere in acqua l’oro che, dato il suo peso specifico, scende immediatamente a fondo, come bene sanno i cercatori che setacciano i fiumi?

Questa serie di indizi e dubbi consentono veramente di ipotizzare l’esistenza di una strategia precisa, finalizzata a sottrarre l’oro senza procedere con richieste che avrebbero forse trovato l’opposizione del popolo. Yahweh, Mosè e Aronne avrebbero quindi potuto ordire questo piano che appare realizzato alla perfezione, proprio in tutti quei particolari che costituiscono per noi motivo di sospetto perché non comprensibili in una normale successione degli eventi: troppe stranezze, troppe coincidenze.

Non ultima l'eliminazione dei 3000 rivoltosi. Anche questo pare essere uno dei risultati previsti dalla strategia: liberarsi di oppositori scomodi, quelli che mettevano in discussione la posizione di comando di Mosè e disseminavano il malcontento nell'accampamento. Il libro dell'Esodo dà spesso conto delle difficoltà che Mosè incontrava nel gestire quel popolo che non perdeva occasione di lamentarsi della situazione penosa in cui viveva nel deserto e ricordare invece di come stesse bene quando era in Egitto e aveva cibo e una casa (a ulteriore riprova del fatto che non erano evidentemente in situazione di schiavitù, come già abbiamo rilevato in precedenza).

Si possono vedere a questo proposito i passi di Es 14,10 e segg.; 16,1 e segg.; 17,2 e segg.; 32,1 e segg.; Nm 14,1 e segg.; Nm 16,1 e segg.; Nm 17,6 e segg.; Nm 20,1 e segg.; Dt 9,7 e segg.; Dt 9,22 e segg.

• A che prò impossessarsi di questo oro sottraendolo alla precisa contabilità ragionieristica che abbiamo rilevato prima?

Per rispondere a questa domanda ricordiamo il contesto e le vicende pregresse: ci troviamo nel capitolo due dell’Esodo, di cui riassumiamo le vicende ben note. Secondo il racconto biblico Mosè vive in Egitto sin dalla sua nascita: salvato dalle acque viene curato, cresciuto ed educato a corte dalla figlia del Faraone. Tutta la sua vita è quindi caratterizzata da un’educazione e preparazione culturale, civile e religiosa, tipicamente egiziane. Molti sono coloro che affermano essere egli divenuto addirittura sacerdote di Aton, altri sostengono che egli fosse stato un militare di alto rango e che la sua esperienza maturata in quella posizione di comando gli sia servita per compiere l’impresa di trasformare in popolo un’accozzaglia eterogenea di genti ingovernabili, ribelli, senza regole, prive anche dei più basilari principi di convivenza civile, come dimostrerebbero i precetti anche apparentemente banali che Mosè dovette impartire, come le normalissime prescrizioni igieniche tese a garantire la vivibilità e prevenire mortali epidemie.

Non abbiamo elementi sufficienti per provare questa o quella tesi e dunque ci limitiamo a quanto la Bibbia consente di ipotizzare.

In Es 2,11-22 è narrato ciò che determinerà gli sviluppi dell'intera vicenda biblica: la sua chiamata; l’avvio della collaborazione con Yahweh; l’uscita del popolo dall’Egitto, ecc.

Egli assiste a un litigio tra un egiziano e un ebreo; interviene con violenza, colpisce a morte l’egiziano e ne nasconde il cadavere sotto la sabbia. Contava sul fatto che nessuno sarebbe venuto a conoscenza di questo assassinio, ma scopre ben presto che il fatto è risaputo e si vede costretto a fuggire. Abbandona l’Egitto, attraversa la penisola del Sinai e raggiunge il territorio di Madian.

Si siede presso un pozzo dove si abbeverava il bestiame di quel Jetro/Reuel di cui abbiamo già detto. Giungono le figlie di questo sacerdote/luogotenente di Yahweh che vengono però malamente cacciate da pastori. Mosè interviene in loro difesa e consente loro di accedere all’acqua. Quando tornano al loro accampamento raccontano l’accaduto al padre dicendo che a salvarle dalle mani degli aggressori era stato (Es 2,19):

Egiziano uomo-un

Per la Bibbia egli era dunque un egiziano: era stato educato all corte, se non propriamente del faraone, almeno di un suo governatore locale; chi lo vedeva lo identificava come tale e va detto che tribù madianite erano strettamente imparentate con i figli d’israele.

Si crea l’occasione per una ribellione, magari la si fomenta ad arte; si accondiscende immediatamente alle richieste dei rivoltosi; si raccoglie l’oro; si fonde un simulacro; lo si distrugge facendo poi credere al popolo di avergli dato da bere l'oro diluito nell’acqua come punizione.

E il gioco è fatto. Fantasia? Può darsi.

Ma c’è un ulteriore elemento che induce a riflettere: le stranissime modalità della morte di Mosè. Nel capitolo 32 del Deuteronomio sono raccontate con grande laconicità. Si narra che Mosè salì dalle steppe di Moab sul monte Nebo, cima del Pisga, di fronte a Gerico e da quell’altura osservò la Terra promessa mentre l’Elohim gli spiegava che l’avrebbe data ai posteri perché a lui non era concesso di entrarvi.

Si dice infine che Mosè morì subito dopo in terra di Moab e che fu sepolto nella valle di fronte a Bet-Peor, ma, dice la Bibbia (Di 34,6):

sua-tomba uomo conobbe-non-e
questo-il giorno-il fino

Abbiamo quindi una situazione colma di stranezze. Mosè muore mentre è ancora nel pieno del suo vigore (Dt 34,7); la sua morte si presenta senz’ombra di dubbio come preordinata e nessuno sa dove sia la tomba di colui che, di fatto, è il vero e unico fondatore del popolo dei figli di Israele.

Ci viene facile pensare che tutto fosse stato preordinato con uno scopo preciso: non far conoscere a nessuno la localizzazione di quella tomba che era evidentemente addobbata secondo le tradizioni egizie e dunque anche con l’oro che era stato sottratto nel modo che abbiamo ipotizzato.

Questo poteva ben essere un premio che Yahweh aveva riservato al suo fedelissimo collaboratore.

Forse loro aveva anche altri utilizzi, ma il contenuto del Codice di Leningrado, cui ci atteniamo per scelta metodologica, non consente di elaborare in modo fondato ulteriori ipotesi.

Fonte: Mauro Biglino - Non C'è Creazione Nella Bibbia - Cap. 6

http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12279

2 commenti:

  1. Questo è, probabilmente, un capitolo insensato delle ipotesi di Biglino. Tutta questa supposizione sull'oro degli ebrei e degli Elohim appare veramente piena di buchi e fa acqua ovunque. Basti solo pensare a una cosa... Yahweh, aveva comandato a Mosè e al popolo di Israele di costruire varie cose d'oro per il suo tempio mobile etc, nonché tutte le attrezzature e il vasellame destinato alla sua Dimora. Ora Biglino dice che, tolto tutto questo oro, c'era ancora una parte di oro che gli israeliti conservavano e che non si sapeva come fare per espropriarglielo e quindi si dovette architettare tutta sta sciarada assurda. Ma, mi chiedo, non sarebbe bastato che Yahweh avesse ordinato un attrezzo in più per la sua Dimora per utilizzare così anche l'ultimo oro rimasto nelle mani del popolo? Sarebbe bastata una scusa qualsiasi, un pezzo di Dimora da costruire, una vaschetta per l'acqua, una seconda arca contenitore, un candelabro in più e si sarebbe tolto tutto il restante oro agli ebrei. Che timore ci poteva essere? Una reazione degli israeliti? Qualcuno avrebbe mai osato di opporsi? Tremila morti ci dicono che né Mosè, né Yahweh, si sarebbero fatti scrupoli a privare gli ebrei dell'oro senza alcuna necessità di inventare tutta sta sciocchezza. Leggete il libro "ELOHIM, la prova del dio alieno". L'illuminazione a tutti i nostri dubbi. www.elohim.onweb.it

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    1. La storia ne è piena di queste sciocchezze del potere perpetuate contro il proprio popolo, sciocchezza più sciocchezza meno perchè meravigliarsi. Mi chiamo Accorsi...................Giuliano Accorsi. Sempre un saluto.

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