sabato 24 agosto 2013

I Wandjina - La Rinascita Post-Diluviana in Australia

Con il termine Aborigeni Australiani, si identifica l’insieme delle popolazioni (tribù) autoctone dell’Australia, ovvero i discendenti di coloro che, circa 60.000 anni fa giunsero in quel continente, anche se questa data è ancora molto discussa tra gli archeologi. Quello che più ci interessa ai fini di questo articolo, nonostante la loro storia sia un argomento non privo di importanti episodi, è il complesso di credenze, miti e raffigurazioni che riguardano un antico passato, un periodo nel quale si affaccia prepotente l’idea di una interazione con esseri provenienti dalle stelle. Quest’ultimo termine, diventato quasi un luogo comune quando ci si interessa di culture che riportano avvenimenti vicini all’ipotesi extraterrestre, è in questo caso perfettamente aderente alle tradizioni di coloro che vengono spesso indicati come i primi abitanti del pianeta terra.

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Per quanto possa sembrare impossibile, vi sono cose in Australia che non trovano una possibile spiegazione, cose che rendono questa terra, o comunque gran parte di essa, un mondo a parte, che è possibile osservare e recepire soltanto se ci si pone in uno stato introspettivo, liberandosi dai preconcetti. Sognando il cielo: il cosmo secondo gli aborigeni australiani

Le tribù aborigene erano estremamente affascinate dal cosmo, dalla misurazione del tempo e dai fenomeni astronomici. Grandi osservatori, grazie alle loro conoscenze rigorosamente tramandate oralmente da generazione in generazione, misero a punto un complesso calendario stagionale.

Diversamente dai primi viaggiatori Europei, gli Aborigeni Australiani non si orientavano con le stelle, anche se certamente le conoscenze astronomiche furono usate per pronosticare correlazioni con gli eventi naturali importanti per la sopravvivenza del gruppo (come la reperibilità di un particolare cibo o il cambiamento delle condizioni del tempo). Come molte culture primitive, gli Aborigeni vedevano nel sorgere eliaco di una stella brillante o di una costellazione, una indicazione di eventi stagionali. L’apparizione di Arturo all’alba suggerisce agli Aborigeni di Arnhem Land di iniziare la raccolta del giunco per la costruzione delle trappole per i pesci e per i cesti. Nella regione di Mallee nel West Victoria, il sorgere eliaco di Arturo era identificato con l’arrivo di Marpeankurrk, un eroe ancestrale che mostrava loro dove trovare le pupe delle termiti, una importante fonte di cibo durante agosto e settembre.

Molto importante per la sopravvivenza delle tribù era il senso di identità. Questo era basato sulla trasmissione delle credenze attraverso le generazioni per mezzo di danze e canti rituali. Queste rappresentazioni tramandavano come lo Spirito Ancestrale creò il mondo naturale in un lontano passato. Le leggende associate sono essenzialmente metafore che integrano le cose sconosciute in relazione con le cose familiari. Le seguenti storie rappresentano un piccolo esempio dei diversi miti aborigeni associati in questa misteriosa arena Cielo-Terra. Essi esemplificano l’intima relazione di questi popoli con la natura.

Il Sole e la Luna

Il Sole è una sfera luminosa di idrogeno ed elio, del diametro di 1,4 milioni di chilometri e con una massa pari a 745 volte quella di tutti i pianeti del Sistema Solare messi assieme. Anche se sembra una cosa enorme, è in fondo una stella modesta a metà della sua vita, che terminerà tra 5 miliardi di anni, andando a formare una struttura denominata nebulosa planetaria. Nel Nucleo dove hanno luogo le reazioni nucleari che producono energia, si calcola che la temperatura sia di circa 15 milioni di gradi; ma ciò che noi vediamo è la Fotosfera, la quale è costituita da gas ribollenti alla temperatura di 5.500 °C.

Tra gli Aborigeni il Sole era visto come una donna che si svegliava ogni giorno nel suo accampamento a est, accendeva un fuoco, e preparava la torcia di corteccia che avrebbe portato attraverso il cielo. Prima di esporsi, lei amava decorarsi con ocra rossa, la quale, essendo una polvere molto fine, veniva dispersa anche sulle nuvole intorno, colorandole di rosso, (l’alba). Una volta raggiunto l’ovest, rinnovava il trucco, colorando ancora di giallo e rosso le nuvole nel cielo (il tramonto). Poi la Donna-Sole cominciava un lungo viaggio sotterraneo per raggiungere nuovamente il suo campo nell’est. Durante questo viaggio sotterraneo il calore della torcia induceva le piante a crescere.

La Luna, al contrario, era considerato un uomo. A causa dell’associazione del ciclo lunare con il ciclo mestruale femminile, la Luna fu collegata con la fertilità e fu considerata come un simbolo altamente magico. Una eclisse di Sole era interpretata come l’unione tra la Luna-Uomo e il Sole-Donna.

Venere

Venere sembrava il gemello del nostro pianeta per le dimensioni, la densità e la poco diversa distanza dal Sole. Invece è un pianeta “caldo”, avvolto da un’atmosfera formata da anidride carbonica, la cui pressione è 90 volte superiore a quella della Terra e la cui temperatura può giungere a 480 °C. La sua superficie è spesso battuta da “acquazzoni” di acido solforico.

Venere, come stella del mattino, conosciuta dagli aborigeni come Barnumbir, era un importante segno per un popolo che si levava all’alba per accingersi alla caccia. Secondo la tradizione della Arnhem Land, Barnumbir aveva paura di annegare, così fu legata con un lungo laccio tenuto da due vecchie donne. La corda le impediva di salire troppo alta nel cielo e di annegare nel fiume della Via Lattea. All’alba le donne più vecchie la portavano in salvo in un cesto intrecciato.

Barnumbir è anche identificata con Bralgu, L’isola della morte dove, quando una persona muore, il suo spirito è condotto. Da qui la cerimonia della stella del mattino è una importante parte dei rituali funerari, dove Barnumbir è rappresentata da un totem, un tronco con un mazzetto di piume bianche e lunghe corde terminanti in più piccoli mazzetti di piume a suggerire i raggi di luce.

La Via Lattea

Il nostro Sole e tutte le stelle visibili nel cielo notturno fanno parte di una vasta aggregazione di stelle chiamata Galassia, o Via Lattea, nome derivato dalla leggenda di Era. È una galassia a spirale, con bracci, il cui diametro è di circa 100.000 anni luce (a.l.); noi ci troviamo in uno dei bracci di spirale, a 30.000 anni luce dal centro della Galassia. Vista dalla Terra appare come una debole banda luminosa che attraversa le notti limpide e buie.

La Via Lattea Rappresenta un fiume nel Mondo del Cielo, con tanto di pesci (le stelle brillanti) e di ninfee (le stelle più deboli). Essa è al centro di molte leggende regionali. Nella regione di Yirrkala, la Via Lattea era associata a due fratelli annegati mentre affrontavano il fiume in canoa. I loro corpi galleggianti appaiono come due macchie scure nella Via Lattea, a livello delle costellazioni del Serpente e del Sagittario; una linea di quattro stelle vicino ad Antares rappresentano la loro canoa.

Nel Queensland, la Via Lattea era associata con Priepriggie, un Orfeo degli antipodi, noto come cantante, ballerino e cacciatore. Un giorno, nel primo mattino, Priepriggie trovò un albero pieno di volpi volanti, scagliò la lancia trafiggendo il capobranco. Infuriate, le altre volpi volanti cacciarono Priepriggie in cielo. Sperando di richiamarlo indietro, il suo popolo cercò di cantare le sue canzoni ma sbagliavano sempre il ritmo. Poi sentirono una canzone provenire dal cielo, era Priepriggie che cantava e man mano che il ritmo diventava più forte e chiaro, le stelle cominciarono a danzare ordinandosi in una larga banda attraverso il cielo. Così la Via Lattea ricorda al popolo che il loro eroe deve essere celebrato con canti e danze tradizionali, in modo che l’ordine continui a prevalere.

Nell’Australia centrale la Via Lattea fu considerata dalle tribù vicine Aranda e Luritja come un genere di arbitrato celeste. Essa, in maniera molto ampia, marca la divisione tra la parte di cielo degli Aranda, a est, e il campo di cielo dei Luritja, a ovest, e, oltre a questo, essa contiene gli spiriti dei defunti di entrambe le tribù. Le stelle e le costellazioni all’interno della Via Lattea sono classificate conformemente a complesse regole di matrimonio e classi di parentela e rinforza l’universale importanza di esse.

La Croce del Sud

È una piccola costellazione del cielo, ma anche una delle più celebri a appariscenti. Essa era visibile anticamente dall’area mediterranea, sicché le sue stelle erano note agli astronomi greci; in seguito, la precessione degli equinozi l’ha resa invisibile da tali latitudini.

La Croce del Sud e i suoi due indicatori, a e b Centauri, sono al centro di diverse leggende regionali.

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Dipinto rupestre (Mountford Collection, State Library of South Australia)a e b Centauri e la costellazione della Croce del Sud

Nella regione intorno a Caledon Bay, la Croce rappresenta una razza inseguita da uno squalo (i puntatori).

In un’altra regione le quattro brillanti stelle della Croce rappresentano due fratelli Wanamoumitja e i loro rispettivi fuochi da campo, mentre cucinano un grande pesce nero (la nebulosa Sacco di Carbone); i puntatori sono due amici Meirindilja venuti a condividere il pesce.

Un’altra leggenda relativa alla Croce del Sud riguarda la santità della vita degli animali e l’avvento della morte nel mondo. Il Grande Spirito, Baiame, creò due uomini e una donna. Egli insegnò loro di quali piante cibarsi ma gli vietò di uccidere gli animali. In seguito ad una siccità tutte le piante morirono e la donna sollecitava gli uomini ad uccidere gli animali per utilizzarli come cibo.

Uno degli uomini uccise un canguro ma l’altro si rifiutò di mangiare la creatura che Baiame aveva vietato loro di uccidere. Solo, nel deserto, quest’uomo cadde esausto ai piedi di un albero della gomma. Ma Yowi, lo spirito della morte, lo attirò all’interno dell’albero, disturbando due cacatua bianchi che stavano covando. In seguito l’intero albero si levò in cielo. Le quattro stelle brillanti sono gli occhi dell’uomo e di Yowi, mentre i due indicatori sono i cacatua che cercano di tornare al loro nido.

Orione e le Pleiadi

Infine, uno dei più diffusi cicli di miti concerne Orione e le Pleiadi.

Orione è senza dubbio la costellazione più brillante del cielo, piena di oggetti interessanti. L’imponenza di questa costellazione deriva in gran parte dal fatto che si trova in un’area di formazione stellare, in un vicino braccio della Galassia, con al centro la famosa Nebulosa di Orione (M 42), che rappresenta la spada pendente dalla sua cintura. Quest’ultima è formata da tre stelle brillanti allineate. Le sue stelle più brillanti sono Betelgeuse, supergigante rossa distante 310 a.l., e Rigel, supergigante bianco-azzurra distante 910 a.l.

Le Pleiadi sono l’ammasso stellare più brillante e famoso di tutto il cielo. Si trovano nel Toro e, ad occhio nudo, si possono vedere circa sette stelle, mentre con un binocolo, diverse decine. Dell’ammasso, che dista 450 a.l., fanno parte circa 250 stelle, immerse in una debole luminosità, residuo della nube da cui si sono formate, visibile solo nelle fotografie a lunga esposizione.

Nella mitologia greca, le Pleiadi erano sette sorelle, figlie di Atlante. Inseguite da Orione, esse furono mutate in colombe per poi volare in cielo, formando l’ammasso che porta il loro nome. La “sorella” meno visibile è Merope la quale, avendo sposato un mortale, si nasconde dalla vergogna.

Le leggende aborigene sono sorprendentemente simili. La maggior parte identifica le Pleiadi con un gruppo di giovani donne che fuggivano dagli indesiderati approcci di un cacciatore, il quale, in alcune versioni, fu evirato come punizione e avvertimento.

Tra i popoli che vivono nel Pitjantjatjara, nel Western Desert, il sorgere delle Pleiadi all’alba in autunno significa che l’annuale stagione degli amori tra i dingo è cominciata. Cerimonie di fertilità sono rappresentate qualche settimana più tardi, per le quali alcuni giovani cuccioli sono selezionati per la festa. In accordo con la leggenda, le Kungkarungkara, le donne ancestrali, allevarono una muta di dingo per proteggersi da un uomo chiamato Njiru (Orione). Egli, malgrado i dingo, riuscì a rapire una delle ragazze (la Pleiade oscura) che morì, pur continuando a seguire le altre. Alla fine le sette donne assunsero la loro forma totemica di uccelli e volarono in cielo, ma, sfidando i loro dingo, Njiru le seguì anche attraverso il cielo.

Senza nessuno strumento tecnologico per controllare il loro ambiente, gli Aborigeni Australiani dipendevano completamente dal mondo naturale per sopravvivere. Non è sorprendente che il loro interesse per le stelle non era assorbito da eventi straordinari come supernovae o comete, ma dall’aspetto normale.

I Wandjina: gli spiriti delle nuvole

Come abbiamo potuto osservare, le leggende aborigene hanno umanizzato i fenomeni cosmologici associandoli con i comportamenti e le motivazioni del gruppo tribale.

Il sistema di credenze degli Aborigeni assolveva a tre importanti funzioni sociali:

- Produceva un livello di confidenza e prevedibilità circa il loro posto nell’universo, non come esseri superiori ma come compagni di tutto;

- Coltivava il rispetto sia per le cose inanimate che per le animate, siccome tutto condivide la stessa struttura spirituale, seguendo la tradizione del Mondo del Sogno;

- Inoltre esso provvede un supporto per i costumi tribali, riti e alla moralità come queste sono riflesse e decretate nel Mondo del Cielo.

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La differenza più radicale tra le credenze che sono alla base di questi miti e le basi materialistiche della scienza occidentale concerne nella relazione tra l’osservatore e gli eventi naturali. All’interno della struttura della scienza Newtoniana l’osservatore è considerato indipendente dagli eventi, i quali sono, si suppone, inalterati dal processo di osservazione. Gli Aborigeni, invece, vedono sé stessi come parte integrale nel processo naturale, sia essi terrestre o celestiale. Essendo una delle pochissime culture che non ha un mito equivalente all’espulsione dall’Eden, questi popoli credono che, attraverso il loro Grande Antenato, essi sono cocreatori del mondo naturale e non ne sono mai stati alienati. Da ciò ci sono necessari parallelismi tra gli eventi del cielo con quelli della Terra, e con ciò che si sviluppa nella cultura umana.

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Chi capitasse dalle parti di Bigge Island, nell’Australia occidentale, potrebbe imbattersi in strane creature come queste. Occhi grandi, naso adunco, un’aura misteriosa attorno alla testa e, soprattutto, niente bocca: è questo l’aspetto delle divinità primitive – i “Wandjina” – che un bel giorno, seguendo il “sogno” di creazione, plasmarono il mondo e tutti gli esseri viventi. Almeno così credevano gli aborigeni australiani che le dipinsero sulle pareti di alcune grotte della zona.

Non è ancora del tutto chiaro a quale periodo risalgano queste pitture, ma molti dei rilievi archeologici effettuati finora fanno pensare a un periodo compreso tra i 50 mila e i 40 mila anni fa.

I Wandjina, che tradotto letteralmente significa “il Tutto”, vissero in un tempo chiamato “dei genitori” durante il quale queste “entità” non avevano una forma ben definita, pur essendo comunque di enormi proporzioni. Il loro principale compito fu quello di insegnare “le leggi, i precetti e le regole di comportamento”, all’uomo, oltre ad introdurre i rituali e le pratiche cerimoniali ancora oggi in uso presso le varie tribù.

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Importante osservare come le tribù indigene riconoscano in queste raffigurazioni le loro divinità Gli Spiriti nelle Nuvole, spesso raffigurati in sequenza di figure umane stilizzate insieme a rappresentazioni nuvolose. Questa dualità di forme antropomorfe è molto diffusa nelle culture primitive, è possibile osservarla, per esempio, nei racconti biblici narrati nel Libro dell’Esodo.

Djamar e Tjurunga

Alcune tribù Aborigene, ad esempio, raccontano di Djamar; un essere venuto dalle nuvole e disceso sulle loro terre sopra Tjurunga, “la tonante” un oggetto luminescente e molto rumoroso.


Ancora oggi, si racconta che la presenza di Djamar sia preceduta da un forte vento, generato secondo queste popolazioni proprio dal suo mezzo di trasporto. A riprova della veridicità del loro racconto, gli Aborigeni mostrano le colline circostanti sulle quali non cresce più alcuna pianta, danni permanenti (secondo loro) provocati dall’atterraggio di Djamar.

Droghe, rapimenti, morte e ressurrezione

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Altra tradizione “sospetta”, è quella che parla degli “uomini intelligenti” o uomini di alto grado e delle loro ascensioni celesti. Si tratta degli sciamani aborigeni, i cui rituali di iniziazione mostrano un sorprendente parallelismo con la descrizione dei moderni casi di Abduction; lo stesso dicasi per il rituale di “morte e resurrezione”, durante i quali, al risveglio dallo stato estatico, il candidato racconta di un meraviglioso mondo celeste, e tutti i soggetti, anche se appartenenti a tribù diverse e non in contatto tra loro, descrivono lo stesso scenario.

Riassumendo abbiamo: stato di estasi (rapimento da parte degli Dei celesti), rimozione rituale di parti del corpo (esperimenti sulle vittime dei moderni rapimenti), salite aeree e viaggi in strani mondi (descrizione delle astronavi da parte dei rapiti), trasformazione personale (esperienze mistiche dei rapiti).

Per quanto queste analogie possano apparire stravaganti e tutte da verificare e bene sapere che, in quelle regioni cresceva e tutt’ora cresce una pianta, sconosciuta ai primi coloni per la reticenza degli stessi aborigeni nel mostrare e far conoscere il loro strumento di contatto con il divino, collegata ai loro riti cerimoniali che ci fa pensare molto: la pianta in questione si chiama Dubiosa hopwoodii, appartenente a un genere di solenacee che solitamente producono alcaloidi tropanici allucinogeni del gruppo dell’atropina e scopolamina.

La Duboisia Hopwoodii è un arbusto autoctono delle regioni aride dell’entroterra australiano. Altri arbusti dalle simili proprietà sono il pituri (meglio conosciuto come Pitchuri Thornapple o Pitcheri). E’ un arbusto a basso fusto e solitamente cresce tra 1 e 3 metri di altezza e possiede lunghe foglie strette. I fiori solitamente bianchi, a seconda delle varianti possono assumere altre sfumature, che possono variare dal rosa al viola. Questi arbusti compaiono tra giugno e novembre, in annate favorevoli possono generare grandi quantità di bacche tondeggianti (commestibili ma se assunte in grandi quantità possono diventare allucinogene) dalla colorazione violacea, dal diametro che varia da 3 a 6 mm.

In questa pianta le sostanze psicoattive maggiormente presenti si trovano nelle radici, mentre le parti aeree e le bacche della pianta producono elevate quantità di nicotina e d-nor-nicotina (quest’ultima dagli effetti quattro volte più potenti della nicotina).

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Gli aborigeni fumavano la parte superiore della pianta e con l’estratto delle radici ottenevano una droga immessa volontariamente nelle pozze d’acqua per narcotizzare gli animali che dopo essersi abbeverati potevano catturarli con facilità. Abbiamo anche trovato notizie di un’altra pianta dalle particolarità psicoattive ed allucinogene, chiamata “Pituri” che veniva utilizzata dagli uomini del clan, veniva masticata durante le cerimonie sacre o per alleviare le fatiche dovute da un lungo viaggio.

Non trovando nessuna risposta definitiva, sembra logico pensare che queste popolazioni oltre ad avre una spiccata predisposizione per gli studi astronomici avessero anche ferrate conoscenze botaniche, in modo particolare riguardo le piante psicoattive.

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E’ accettabile ricollocare “I signori delle nuvole” nella categoria dei viaggi psichedelici generati dagli allucinogeni?

Questi viaggi che tanto hanno influito le culture australiane, hanno senza dubbio rafforzato la loro idea di divino. Quell’ispirazioni che forse sono le madri delle pitture rupestri su cui ancora oggi ci interroghiamo.

Ipotesi extraterrestre? fantasia? anche se a primo impatto le maggiori somiglianze riscontrate sono quelle con gli antichi e moderni racconti riguardanti l’interazione con il nostro pianeta di esseri provenienti dallo spazio; per quanto questa ipotesi possa apparire subdola, ed essere etichettata come il solito argomento sensazionalistico portato avanti da ricercatori fantasiosi in campo ufologico, esistono alcuni fatti che, ad oggi, non trovano alcuna spiegazione plausibile se non quella appena citata.



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