domenica 29 dicembre 2013

L’incidente di Kholat Sjakhl

Nella notte del 2 Febbraio 1959, 9 escursionisti russi morirono misteriosamente in una località di montagna nota come;, Kholat Siakhl, (nella lingua Mansi, una popolazione semi nomade di ceppo ugro finnico che abita la zona da millenni, “Montagna dei Morti”), in circostanze tuttora misteriose e che hanno generato una grande quantità di ipotesi.

Tenda squarciata

Da allora, la località è stata ribattezzata Passo Djatlov , dal nome del capo escursionista, Igor Djatlov. Tutto ebbe inizio quando un gruppo di studenti dell’Istituto Politecnico degli Urali si riunì per partecipare a un’escursione attraverso gli Urali settentrionali a Sverdlovsk oggi Iekaterinburg guidati da un esperto conoscitore della zona, studente pure lui, Igor Djatlov. Del gruppo, oltre a lui, facevano parte Sinaida Kolmogorova, Liudmila Dubinina Aleksandr Kolevatov Rustem Slobodin Iuri Krivoniscenko, Iuri Doroscenko Aleksandr Solotarev , Nikolaj Tibo-Brignol Iuri Iudin. 

Protagonisti2 - Copia  Protagonisti3

Gli escursionisti volevano raggiungere l’Otorten una montagna dieci chilometri a nord del Kholat Siakhl, seguendo un percorso non facile, ma tuttavia alla portata dei componenti la spedizione, tutti piuttosto esperti.Il 25 Gennaio, i dieci ragazzi arrivarono in treno a Ivdel nel nord della oblast di Sverdlovsk, , dove noleggiarono un grosso furgone per portarsi a Vijai , ultimo centro abitato sul percorso. Quindi, nella giornata del 27, iniziarono a muoversi sugli sci verso l’Otorten. Il giorno seguente, Iuri Iudin fu costretto a rientrare per motivi di salute. Da quel momento, tutto quello che si sa del gruppo è stato ricostruito da diari e da un rullino fotografico rinvenuto nel sito del loro ultimo accampamento.Il 31 Gennaio il gruppo arrivò sull’altopiano e costruì un magazzino dove lasciò una scorta di cibo e di equipaggiamento per il ritorno. Il giorno dopo, 1 Febbraio, i ragazzi si avviarono verso il Passo, con l’intenzione, stando a quanto trovato scritto nei diari, di superarlo e di accamparsi per la notte dall’altra parte, ma, a causa del sopraggiungere di una fitta nevicata che ridusse di molto la visuale, persero l’orientamento e deviarono a ovest, verso la cima del Kholat Siakhl. Accortisi dell’errore, decisero di fermarsi ai piedi della montagna.Alla partenza, Diatlov aveva promesso di inviare un telegramma al loro club sportivo non appena il gruppo fosse tornato a Vijaj, non oltre il 12 Febbraio, ma quando tale data fu superata e il telegramma non ricevuto, nessuno si preoccupò dato che in questo tipo di escursioni rispettare una tabella di marcia non era sempre facile.

Solo il 20 Febbraio, e solo su richiesta dei familiari degli escursionisti, la direzione del Politecnico inviò un primo gruppo di volontari, studenti e insegnanti, a cercare i ragazzi scomparsi. Successivamente, vista l’infruttuosità delle ricerche, vennero coinvolti anche la polizia e l’esercito, con l’impiego di aerei ed elicotteri.

Mappa Luogo

Il 26 Febbraio venne finalmente ritrovato il campo, abbandonato, sul Kholat Siakhl. La tenda era strappata e una serie di impronte si allontanava da essa scendendo dal passo verso i boschi vicini, per sparire dopo 500 metri, coperte dalla neve. 

Da un elicottero venne rilevato qualcosa sotto un pino, e i ricercatori vi diressero per trovare i resti di un fuoco e i primi due cadaveri, quelli di Krivoscenko e di Doroscenko, senza scarpe e in mutande e maglia di lana. Facendo a ritroso il percorso dal pino all’accampamento, vennero ritrovati altri tre corpi, prima Diatlov a 300 metri dal pino, poi la Kolmogorova a 480, e infine, Slobodin a 630 metri, tutti e tre morti in pose che suggerivano stessero facendo ritorno al campo.Gli altri quattro non furono ritrovati fino al 4 Maggio, sotto diversi metri di neve, in una piccola vallata ancora più addentro nel bosco.L’autopsia non trovò ferite che potessero aver causato la morte, salvo una piccola frattura cranica non fatale sulla Kolmogorova; la conclusione fu che la morte era sopravvenuta per ipotermia. Quando però, in Maggio, furono esaminati gli altri corpi, lo scenario cambiò completamente: Tibò-Brignol aveva il cranio completamente sfondato, Zolotarev e la Dubunina il petto e le costole fratturate. 

La forza necessaria per provocare quel tipo di lesioni doveva essere stata spaventosa, uno degli esperti forensi la paragonò a quella sviluppata da un incidente automobilistico. Inoltre, i corpi non presentavano ferite esterne, come se fossero stati uccisi da un livello di pressione molto alto, e alla Dubunina era stata asportata la lingua.

Gli escursionisti erano stati costretti a lasciare il campo nella notte, in modo precipitoso: nonostante la temperatura intorno ai trenta gradi sottozero, erano tutti solo parzialmente vestiti, alcuni scalzi, altri avevano i maglioni infilati a rovescio, e tutti gli indumenti apparivano stracciati, tanto che, in un primo momento si ipotizzò che gli escursionisti fossero stati assaliti nella notte dai Mansi per avere invaso il loro territorio, ma l’ipotesi cadde ben presto visto l’assenza di impronte oltre quelle degli escursionisti. 


L’inchiesta giunse a queste conclusioni:

1. Sei membri del gruppo erano morti di ipotermia, altri tre per le ferite.

2. Non c’erano segni che suggerissero la presenza di estranei, né sul Kholat Siakhl e nemmeno nelle immediate vicinanze.

3. La tenda era stata strappata dall’interno.

Tenda squarciata3

4. I ragazzi erano tutti deceduti fra le sei e le otto ore dopo il loro ultimo pasto.

5. Le tracce visibili non lasciavano dubbi sul fatto che tutti e 9 avessero lasciato il campo a piedi di propria iniziativa.

6. Le ferite e le fratture non potevano essere state provocate da un altro essere umano a causa dell’elevata forza applicata.

7. Furono rilevati alti livelli di radioattività sui vestiti.

Il verdetto finale fu che erano morti per cause sconosciute, la documentazione venne secretata dal KGB, e solo dopo la caduta dell’URSS declassificata, anche se risultò incompleta in molte parti. Alcuni fatti vennero comunque accertati dalla documentazione resa disponibile:

1. Dopo i funerali i parenti affermarono che la pelle dei morti avesse una strana tonalità arancione.

2. Un ex ufficiale dell’esercito, impegnato nelle ricerche, sostenne che il suo dosimetro mostrava un livello di radioattività molto elevato sul Kholat Siakhl. L’identificazione della fonte risulta mancante dal dossier declassificato, così come non risulta chiaro per quale motivo il personale impegnato nelle ricerche avesse dei dosimetri.

3. Un altro gruppo di escursionisti, circa 50 chilometri a sud del luogo dell’incidente, riportò di avere visto delle strane sfere arancioni nel cielo notturno in direzione nord, e quindi verso il Kholat, il giorno stesso dell’incidente; il fenomeno venne osservato anche a Ivdel e nelle aree circostanti, e si ripeté per tutto il mese di Febbraio e di Marzo, come risulta dalle testimonianze rese da ufficiali dell’Armata Rossa e del servizio meteorologico della zona.

4. Dalle ricostruzioni sembra che le vittime fossero state accecate: il legno acceso sotto il pino era stato realizzato in maniera convulsa, utilizzando per di più grossi tronchi umidi, quando tutt’intorno era pieno di ottima legna da ardere.

5. Nella zona furono rinvenute delle strutture metalliche e una targhetta di identificazione del tipo usato nelle attrezzature militari, il che fa supporre che l’area fosse utilizzata in segreto.

Rappresentazione eventi

Nel 1967, lo scrittore Iuri Iarovoj che aveva partecipato alle ricerche come fotografo ufficiale, scrisse un racconto ispirato alla vicenda, ma fu costretto dalla censura sovietica ad omettere tutta una serie di fatti, che finirono con lo stravolgere completamente la narrazione. Iarovoj morì nel 1980, e un misterioso incendio distrusse tutti i suoi archivi, comprese le foto e il manoscritto originale del romanzo.

Nel 1990, ormai prossima la caduta dell’URSS, si cominciò a riparlare della storia, soprattutto sui giornali locali di Sverdlovsk. Il giornalista Anatoli Guscin fu autorizzato a fare ricerche negli archivi della polizia, ma scoprì che diverse pagine erano state sottratte, compreso un misterioso “incartamento” di cui si fa menzione essere stato inviato a Mosca. 

Il fatto scatenò i cultori degli UFO, del paranormale, i dietrologi di ogni genere, i cacciatori di misteri. Guscin riassunse le sue ricerche nel libro “Il prezzo del segreto di Stato è nove vite”, che suscitò diverse critiche per via della sua teoria su una misteriosa arma segreta che sarebbe stata sperimentata in quei luoghi e avrebbe causato la morte dei nove ragazzi, ma la pubblicazione del libro suscitò comunque l’interesse dell’opinine pubblica e sciolse qualche lingua rimasta attorcigliata per oltre trent’anni: Lev Ivanov l’ufficiale di polizia che diresse l’inchiesta, in un articolo apparso nel Novembre 1990, ammise che non era stata trovata una spiegazione razionale per la morte dei ragazzi, né per l’incidente in sé, così come che gli era stato ordinato dal KGB di archiviare in fretta l’inchiesta e tacere le voci sulle misteriose “sfere arancioni”. 

Ivanov conclude l’articolo sostenendo la sua persona le convinzione si sia trattato di UFO.Nel 2000, una TV locale produsse il film documentario (“Passo Djatlov”), seguito da una romanzo, scritto dalla giornalista di Iekaterinburg (Anna Matvejeva) dallo stesso titolo, basato in gran parte sui diari delle vittime e su interviste coi membri della squadra di soccorso dell’epoca. Iuri Kuntzevitch amico di Djatlov, ha creato, col supporto del Politecnico degli Urali, una fondazione a lui dedicata con lo scopo di convincere le autorità russe a riaprire il caso.

E Iuri Iudin, l’unico sopravissuto della scampagnata, ha dichiarato: “Se avessi la possibilità di rivolgere a Dio una sola domanda, sarebbe ‘Cosa realmente è successo ai miei amici quella notte’?

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