venerdì 11 aprile 2014

L'Anno Zero della Civiltà postdiluviana

Il mito di un grande diluvio che ricoprì tutte le terre emerse è ricollegabile alla memoria collettiva di quei gruppi umani che avevano assistito, dopo l’ultima grande glaciazione, alla formazione di mari mediterranei, alla scomparsa di continenti… Il diluvio universale ha quindi un fondo di verità storica e costituisce un archetipo, ha cioè un contenuto primordiale e universale che è presente nell’inconscio collettivo, o comunque è un primo esemplare, un modello primitivo. Del diluvio universale parlano testi antichi di varie culture asiatiche: assirobabilonesi, indiani, cinesi; ne parla la Bibbia, ne parla la mitologia classica.

Molte tra le antiche civiltà hanno al loro interno un punto che le accomuna; sia, trattato come argomento religioso, sia come epopea o mito di Eroi, sia come accadimento con crisma di storicità: questo è il Diluvio, o più Diluvi che, come nel ciclo “Avatarico” Indu, nelle tradizioni Amerinde, e nei loro paralleli racconti sia degli Aztechi messicani, dei Maya costaricensi e degli Incas peruviani, esplicitamente pongono un Diluvio alla fine di ogni Era ciclica; ed il prospetto dei quali ricorda in maniera inequivocabile - a parte qualche importante variante indigena - quello delle cosmologie arcaiche del Vecchio Continente. 


I Chibcha, popolazione della Colombia centrale, hanno tramandato il mito di Bechica. Vecchio e di razza diversa, apparve fra la popolazione colombiana portando saggezza e civiltà;un giorno però sua moglie Chia, tanto bella quanto spregevole e maligna e gelosa del marito, decise di prendere il sopravento e con l’aiuto della magia provocò un enorme diluvio in cui perirono numerose persone. Bochica, arrabbiatissimo esiliò la moglie in cielo (dove divenne la Luna, destinata a risplendere la notte), recuperò i pochi superstiti rifugiatisi nei monti ed iniziò nuovamente ad impartire loro leggi, a coltivare la terra, il culto del Sole portando nuova civiltà. 

Quale connessione lega tutte queste civiltà? la risposta più plausibile è il medesimo ceppo arcaico originario, una civiltà mondiale che si espandeva colonizzando e portando la propria cultura e religione ai popoli che abitavano i continenti o il continente di quegli antichissimi tempi, una civiltà che conviveva con ceppi indigeni non ancora civilizzati (forse un bene per loro), un po’ come oggi noi conviviamo con gli Indios amazzonici, o gli aborigeni australiani, o tribù centro-africane. 

Sconvolgimenti, cataclismi dovuti con tutta probabilità ad eventi celesti quali la caduta di frammenti di comete, come si può desumere dal “Libro etiopico di Enoch” o veri e propri asteroidi come quello ritenuto colpevole 65 milioni di anni fa dell’estinzione dei dinosauri, hanno decretato la fine di queste civiltà, magari poi una rinascita e nel rispetto della ciclicità una nuova distruzione. 

L’archeologia e la geologia ortodosse, da sempre hanno portato avanti la teoria di una tragedia localizzata e successivamente entrata a far parte del patrimonio mitologico della gente. Ma questo non   spiega in maniera convincente come le caratteristiche dei racconti sia quasi comune in tutte le civiltà. Se il disastro fosse stato locale, ogni popolo o tribù avrebbe verosimilmente creato un mito con caratteristiche diverse: alcune ad esempio avrebbero potuto essere state salvate dall’intervento di una maga, altre potrebbero essere scappate dalla forza dell’acqua creando una macchina volante, e così via. Ma come si evince leggendo questi racconti, quasi tutti prevedono come mezzo di fuga una nave o arca, costruita per opera di un solo uomo particolare e ordinata da un Dio impietosito, che salva una coppia di ogni essere vivente (=il seme della vita). 

I superstiti o i nuovi creati (questi per insegnamento), hanno mantenuto un ricordo atavico, e pur nella loro seguente dispersione e diversificazione territoriale, il retaggio della loro “unicità” di civiltà progenitrice ancestrale, si possono riconoscere, in questi miti che affondano le radici in una certezza anche se non ancora del tutto dimostrata ma sicuramente storica. Il ricordo de “L’età dell’oro” lo Zep-Tepi Egizio “Il primo tempo” quando regnavano gli Dèi e la pace si estendeva sul mondo è nostalgicamente presente in tutti i popoli. In Mesopotamia costituisce uno dei principali argomenti delle mitologie sumera e assiro-babilonese. Addirittura fondamentale sembrerebbe per l'ideologia religiosa sumera, in quanto il diluvio vi è inteso come l'evento sacro che divide qualitativamente il tempo in due parti: l'ante-diluviano e il post-diluviano. 

Scavi in Mesopotamia testimoniano di una grande alluvione verificatasi certamente verso il 2900 a. C., agli inizi del periodo protodinastico: tracce consistenti di questo diluvio sono presenti a Shuruppak, la città del diluvio secondo la leggenda mesopotamica di Utnapishtim, mentre quelle trovate a Ur appartengono a due diluvi molto più limitati, uno più recente e uno più antico di quello avvenuto a Shuruppak. 

Secondo la tesi di Hancock la deglaciazione è stata repentina ed improvvisa; allo scioglimento delle enormi distese di ghiaccio avrebbe risposto un repentino innalzamento delle acque del mare che avrebbero inghiottito coste, porti, città marinare ed anche alcune di quelle più interne; si parla infatti di un aumento del livello dei mari anche di 100 mt. In effetti oggi in tutte le parti della Terra abbiamo tracce inconfutabili del passaggio delle acque come reperti fossili marini nell’entroterra (si pensi ad esempio che in una palude interna dell’America centrale sono sta rinvenuti i resti d’una balena!). Dunque, afferma Hancock, vengono alla luce in modo piuttosto palese:

“… non solo le chiare impronte di un popolo sconosciuto che prosperò DURANTE l’ultima glaciazione, ma pure i segni di un’intelligenza superiore in possesso di sofisticate tecnologie e dettagliate conoscenze scientifiche sulle ere cosmiche PRIMA di qualunque civiltà conosciuta...”

Non altrettanto fondamentale è l'argomento nella posteriore letteratura assiro-babilonese che, tuttavia, fornisce maggiori ragguagli sulla vicenda mitica. oltre al problema delle vie e dei tempi di diffusione del racconto, a partire da una cultura originaria in cui avrebbe preso forma e significato, sono di fondamentale interesse le differenziazioni dallo schema comune, per la loro capacità di connotare e qualificare le culture che ne sono portatrici. come accade in un mito indonesiano (is. di Nias) che parla di un'inondazione rivolta contro le montagne. La Terra era ancora confusa con le acque, come appare in numerosi miti cosmogonici, e il diluvio è inteso come un rinnovamento, una rigenerazione: una specie di grande bagno purificatore e restauratore delle energie originarie, fonte della rinascita o della nascita di un'umanità nuova. 

Tale idea comporta, almeno in potenza, una concezione ciclica del divenire: quasi che l'umanità perfetta delle origini si corrompesse con il passare del tempo e, a un dato momento, avesse bisogno di essere rigenerata per dar vita a un nuovo ciclo.   Platone narra, del Diluvio atlantideo, e il riferimento cronologico di cui egli parla (9.000 anni prima del millennio dei propri contemporanei - tale sarebbe la distanza dell'avvenimento citato) è un riferimento generico, da intendere nel senso che l'evento si era verificato 9 millenni prima; cioè, secondo l'attuale datazione, nell'XI millennio a.C. Il calcolo astrologico dà esattamente la data del 10.960 a.C., scadenza ciclica del "Diluvio di Acqua".   

Precisa che i Greci rammentavano nelle loro memorie solo l'ultimo Diluvio, di Deucalione e Pirra, ma che molti altri ne erano capitati in tempi più remoti. Non solo, ma aggiunge che tale tipo di fenomeno sarebbe avvenuto "di nuovo nel solito intervallo d'anni", mostrandoci dunque che non era questione di favoleggiamenti - come purtroppo molti da allora fino a oggi hanno supposto - bensì di "vera storia". La Mesopotamia tratta a sua volta del Diluvio nell'Epopea di Gilgamesh, nell’Atra-Hasis, e nel mito Sumerico del Diluvio di Ziusudra; la Bibbia con il suo Noé, (racconto di chiara provenienza mesopotamica), e con essa le varie versioni tratte da libri apocrifi.

Possiamo chiamare questo soggetto mitico in vari modi: Noè, Deucalione, Ermete-Toth, Quetzacoatl, ma, egli si salvo' su di un'arca, assieme alla sua famiglia e a molti animali, portando con se le conoscenze scientifiche, tecniche ed esoteriche.

Focalizziamoci ora sulla figura chiave di Noè, nipote di Matusalemme, il che lo rende discendente diretto di Adamo ed Eva lungo la linea di Set la cosiddetta "grande genealogia dei Setiti" nel capitolo 5 della Genesi. 

Bisnonno di Noè fu Enoch. Il patriarca Enoch era il candidato ideale per assumere un ruolo importante nella letteratura apocrifa fiorita negli ultimi secoli prima di Cristo e nel primo secolo dell'era cristiana. Oltre a vantare un'indubbia antichità che lo fa vivere in un'epoca mitica e particolarmente suggestiva, esso rappresenta anche il settimo patriarca antidiluviano, ad imitazione del settimo re antidiluviano della tradizione babilonese, Emmeduranki, destinatario della rivelazione dei segreti divini. E fu così che Enoch si trasformò nel prototipo dell'iniziato ai misteri celesti, diventando il prestanome di tutto un corpus di apocrifi a carattere sapienziale.


Enoch, patriarca antidiluviano padre di Matusalemme, di lui nella Genesi si afferma che “camminò con Dio e non fu più perché Dio l’aveva preso”, si precisa, cioè, che Enoch visse in stretto contatto con Dio o con i suoi rappresentanti celesti, e poi fu rapito e portato definitivamente da loro. Ciò significa che la vita di Enoch fu qualcosa di misterioso e di eccezionale, che è appunto raccontata nel libro di Enoch, il quale non è incluso ufficialmente nella Bibbia perché, come dice S. Agostino, il libro di Enoch era troppo antico per essere ammesso nel canone biblico, anche se non è più antico della maggior parte dei racconti che formano la Genesi della Bibbia ufficiale, tenendo presente anche il fatto che il libro di Enoch fu usato ufficialmente dalla dottrina cristiana fino al III secolo.Il Libro di Enoch è, quindi, un testo apocrifo di origine giudaica la cui redazione definitiva risale al I secolo a.C. 

L’intera opera non è altro che un resoconto particolareggiato dei viaggi che Enoch intraprese con esseri non di questo mondo che sono identificati con gli Angeli e con gli Arcangeli. Tuttavia, se dopo ogni viaggio Enoch ritornava sulla Terra, nell'ultimo viaggio egli rimase a vivere fra gli “Angeli”.

Il libro di Enoch non è altro che la versione biblica di un testo Sumero nel quale il protagonista è chiamato col soprannome Enmeduranki, che significa "Maestro nell’unione fra cielo e Terra". Ciò non è strano, poiché molti studiosi ritengono che la Genesi della Bibbia sia la copia dell’antichissima “Storia Fenicia” di Sanchoniathon, e che la stessa Genesi biblica sia un adattamento successivo di quella Sumerica. Inoltre, storie simili sono presenti in molte tradizioni e religioni antichissime, come nei Veda, i testi sacri dell’antica cultura indiana.

Quindi il libro di Enoch è una delle testimonianze importanti del contatto di un uomo con specie non di questo mondo, questa volta, però la veridicità della storia è supportata dalle varie citazioni di riferimento della Bibbia, che vanno dalla Genesi all'Apocalisse di San Giovanni, e le citazioni di vari Santi che rendono tale testo meno apocrifo e più ufficiale che mai. L’esistenza di U.F.O., di alieni, di esseri multidimensionali, di umanità che sono esistite prima di noi e di altre cose misteriose, è perfettamente compatibile con la dottrina cristiana e, più generalmente, con Dio. Ma non bisogna dimenticare che da sempre l’uomo interpreta i testi sacri, credendo spesso in cose non vere perché l’uomo non ha saputo interpretare i testi sacri. Effettivamente è illogico pensare che Dio avesse detto che il nostro è il solo mondo abitato e questo lo sapevano pure molti personaggi biblici, come San Paolo che in una lettera agli Ebrei parla di mondi (abitati) creati dalla manifestazione (il verbo) di Dio. 

Ma il Libro di Enoch oltre a testimoniare questo particolare rapporto tra questi “Antichi Dei” e gli Uomini ci interessa in questo articolo poiché ci offre la descrizione della nascita di Noè. Una nascita che viene descritta come inaspettata da parte del padre di Noè, Lamec, il quale, per le strane fattezze del figlio chiede a suo padre, Matusalemme, di conferire proprio con Enoch attanagliato dal dubbio che sua moglie possa avere concepito suo figlio con un, testuali parole, figlio del Dio del cielo. 

Il suo corpo era bianco come la neve e rosso come un bocciolo di rosa: i suoi capelli in lunghi riccioli erano bianchi come la lana e gli occhi erano molto belli.. E quando aprì gli occhi, illuminò tutta la casa come il sole e la casa intera era splendente. 

Noè sembra nascere quindi come portatore di anomale caratteristiche fenotipiche cro-magnoidi o neanderthaliane in una famiglia di Sapiens in un tempo in cui le relazioni tra Uomini e Dei (e semi-dei) erano molto più strette e consuete di quanto possiamo immaginare.

Un Noè imparentato con gli dei   secondo le logiche che abbiamo presentato in “Out of Atlantis” spiegherebbe il perché la sua famiglia venne scelta per preservare la specie e la genetica 'divina' e ciò eleverebbe lui e i suoi figli niente di più al ruolo dei Nephilim, o dei Vigilanti se utilizziamo la nomenclatura presentata nel Libro di Enoch. Ovvero dei Cro-Magnon, dei Neanderthal, le cui caratteristiche abbiamo visto in articoli precedenti essere spesso associati ad elementi divini, destinati a diventare i primi sovrani della futura civiltà post-diluviana.

Ed ecco perché Enki, l'Anunnako apicale, informò Noè, un figlio di Sapiens ma con caratteristiche da Nephilim, caratteristiche cro-magnoidi quali il capello chiaro e l'occhio azzurro, della necessità di costruire un'arca dove contenere le specie animali e vegetali della Terra fornendo specifiche istruzioni per la sua costruzione.

Secondo l’Antico Testamento, le dimensioni straordinarie dell’Arca misuravano trecento cubiti in lunghezza, cinquanta cubiti in larghezza e trenta cubiti in altezza. Storicamente si pensa che un cubito sia la lunghezza dell’avambraccio di un uomo o circa fra 45 e 50 cm. E’ interessante rilevare che le dimensioni dell’Arca con le proporzioni sei a uno (lunghezza a larghezza) venivano considerate così idonee alla navigazione che l’architetto della marina George W. Dickie usò volutamente la stessa proporzione quando costruì la nave degli USA ‘Oregon’, che fu varata nel 1898. Per un certo tempo, la Oregon fu considerata la nave ammiraglia della flotta americana ed era uno dei vascelli più stabili mai costruiti.


Alla costruzione dell'arca, nella forma e misura dettate a Noè, unico uomo "giusto" meritevole di salvezza, partecipano i suoi figli e le loro mogli che, salvandosi dalla catastrofe, diventeranno i capostipiti delle popolazioni della terra post-diluvio.

Possiamo credere alla favoletta delle coppie di animali che salgono sull'arca in fila indiana così come ci viene raccontata a catechismo, ma è ovvio che se intraprendiamo la strada di una concreta storicità dell'evento del Diluvio e della storia di Noè è evidente che le parole del testo biblico vogliono descriverci qualcosa d'altro.

Più che a coppie di animali e piante è più ragionevole pensare a una sorta di banca genetica nella quale Noè e la sua famiglia, ovvero il gruppo di persone selezionate per la preservazione della specie, abbia caricato le matrici genetiche di quegli animali e vegetali utili alla nuova civiltà destinata a sorgere dalle ceneri dell'età dell'oro atlantidea.

Nulla di diverso rispetto a quello che stiamo facendo anche noi oggi nell'estremo nord del mondo e chissà in quanti altri posti sconosciuti.

Nell'isola di Spitsbergen, desolato arcipelago delle Svalbard, è stata ormai completata la superbanca delle sementi, destinata a contenere i semi di tre milioni di varietà di piante di tutto il mondo. Una «banca» scavata nel granito, chiusa da due portelloni a prova di bomba con sensori rivelatori di movimento, speciali bocche di aerazione, muraglie di cemento armato spesse un metro.

Tra sorrisi e flash dei fotografi, nel 2008 è stato inaugurato il Svalbard Global Seed Vault, o «Deposito sotterraneo globale dei semi». Il premier norvegese ha portato dentro la prima scatola di sementi. Perché di questo si tratta: una «banca dei semi», un deposito che conterrà semi di 100 milioni di specie vegetali di uso alimentare, raccolti in un centinaio di paesi. 


La prima scatola introdotta nella nuova banca includeva semi di varietà uniche di mais, riso, grano e sorgo provenienti da Asia e Africa, e poi varietà europee e sudamericane di melanzane, lattughe, orzo e patate. Una banca dei semi è sempre una cosa utile, e durante la cerimonia inaugurale lo hanno sottolineato i due «padrini»: 

«Con il cambiamento del clima e altre forze che minacciano la diversità della vita sul nostro pianeta, la Norvegia è orgogliosa di ospitare una struttura capace di proteggere qualcosa che non sono solo i semi, ma la base essenziale della civiltà umana», ha detto il premier Stoltenberg. Mentre Maathai, fondatrice del Green Belt Movement africano - un movimento partito dalla semplice attività di piantare alberi per poi diventare un movimento insieme ambientalista e per la giustizia sociale, ha sottolineato «l'interesse pubblico di una banca di semi». Bei discorsi, tenuti a 130 metri all'interno della montagna ghiacciata: il Global Seed Vault è un frigorifero naturale. Ieri erano già arrivate 676 scatole contenenti 10 tonnellate di semi di 268,000 diverse varietà vegetali. Impresa imponente, e ovviamente costosa.

Il Global Seed Vault appartiene al governo della Norvegia, che ne ha finanziato la costruzione con circa 9,5 milioni di dollari; poi si tratta di raccogliere i campioni di semi, impacchettarli, schedarli e spedirli nella nuova banca, e questa parte del progetto è affidato a una fondazione chiamata Global Crop Diversity Trust, che ha raccolto contributi di diversi paesi e agenzie internazionali (e un importante finanziamento della Bill e Melinda Gates Foundation). 


La stampa internazionale l'ha soprannominato il «Doomsday vault», il deposito del «giudizio universale»: l'idea è che se l'umanità dovesse far fronte a un disastro, un'alluvione universale, un inverno nucleare, in quel deposito troverebbe tutti i semi adatti a ogni regione, clima, terreno, per ricominciare da capo la produzione agricola.

Tornando a Noè avevamo lasciato il nostro intrepido alle prese con la costruzione dell'arca...

“... Il Signore disse a Noè: «Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho visto giusto dinanzi a me in questa generazione. D'ogni animale mondo prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali che non sono mondi un paio, il maschio e la sua femmina. Anche degli uccelli mondi del cielo, sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza su tutta la terra...”


“… Nell'anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, il diciassette del mese, proprio in quello stesso giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprirono.   Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quello stesso giorno entrò nell'arca Noè con i figli Sem, Cam e Iafet, la moglie di Noè, le tre mogli dei suoi tre figli...”


“... Quelli che venivano, maschio e femmina d'ogni carne, entrarono come gli aveva comandato Dio: il Signore chiuse la porta dietro di lui... Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l'arca che si innalzò sulla terra...”


Un racconto quello del Diluvio che seppur romanzati secondo la mitizzazione dei fatti ad opera dei popoli antichi oggi è quasi confermato essere memoria di fatti realmente accaduti.

Alcuni geologi che studiano il paesaggio della zona nord-occidentale degli Stati Uniti credono che, in un arco di tempo molto lungo, fino a 100 catastrofiche inondazioni abbiano colpito quell’area. A quanto dicono, nel corso di una di queste inondazioni la regione fu sommersa da un muro d’acqua alto 600 metri che avanzava fragorosamente a oltre 100 chilometri orari: spostò 2.000 chilometri cubi d’acqua che pesavano oltre 2.000 miliardi di tonnellate. Scoperte simili hanno indotto altri scienziati a credere che la possibilità che un diluvio universale ci sia veramente stato è concreta.

I geologi hanno individuato alcuni anomali innalzamenti eccezionali del livello medio del mare, centrati intorno al 12400, 9600 6000 e 5500 a.C. Dopo ognuno di essi il mare risultò molto più alto. L'ultimo diluvio dovrebbe aver innalzato il livello di vari metri sopra l'attuale. Questa spinta del mare fratturò la diga naturale del Bosforo e provocò l'inondazione del lago interno alla foce 
del Danubio.

Quest'ultimo evento è stato scoperto da ricercatori che hanno studiato il Mar   Nero occidentale. Sono state scoperte tracce di città e il tutto è databile proprio al 5500 a.C.

Vasile Droj universologo di Roma che a dispetto del nome si tratta di una città della Romania, elaborò la teoria più di 20 anni fa ma recenti ricerche sia personali che di alcuni scienziati nella detta regione indusse l’autore a scrivere su un libro le sue ricerche sull’origine della civiltà.

Ecco i preliminari: nel 1997 due ricercatori USA Wiliam Ryan e Walter Pitman del Lamont Doherty Earth Observatory di Palisades studiando delle conchiglie fossili e vari residui geologici dai fondali osservarono con stupore che non superano 7.500 anni, prova evidente che il mare non è più vecchio di quell’età. Un altro americano Robert Ballard l’esploratore del Titanic individuò a più di 100 metri sotto l’acqua strutture rettangolari di pietra proveniente da quell’epoca. Anche una spedizione scientifica organizzata dal CNR e dalla Columbia University ha trovato sui fondali delle coste turche indizi geologici attinenti all’ipotesi di un cataclisma recente 7.500 anni fa.

Le prove degli antichi eventi catastrofici convalidano la teoria dei ricercatori americani secondo la quale fu uno straripamento del Mediterraneo nel Mar Nero in seguito all’innalzamento delle acque. Un lembo di terra nel Bosforo si rompe e una cascata gigantesca di acque inonda per anni e anni la parte bassa dove si trovava un lago che poi diventò il Mar Nero. Fu un Diluvio che nei miti diventò il Diluvio universale che si tramandò alla tradizione di molti popoli della zona e anche di regioni molto lontane.

Le antiche culture mediterranee sono abbastanza vecchie però non risalgono nella memoria al di là della soglia dei 6000 anni Gli storici antichi greci conoscevano abbastanza bene la civiltà egizia descrivendo in dettaglio eventi di migliaia di anni prima di loro però sapevano poco di una civiltà nordica di cui però parlavano con grande ammirazione e rispetto. 

Era il Regno degli "Iper Borei" Questo perché la civiltà Atlantideo iperboreica era di altre migliaia di anni più antecedente. L’aureola e il granderispetto verso quella civiltà veniva dal fato che i greci consideravano i loro grandi dei e antenati scesi proprio da là. La localizzazione della Zona non sarebbe difficile: era là da dove veniva il freddo vento Boreas cioè al di là del Istros (Danubio-Potamos) intorno ai Monti Carpati più o meno dove si trova oggi la Romania. Questa era la zona approssimativa dove i superstiti della grande catastrofe atlantidea si stabilirono oppure erano già contemporanei se non precedenti agli Atlantidei.

Proprio da questa zona ponte fra Oriente ed Occidente vengono i più antichi reperti archeologici che toccano e superano la soglia dei 6000 anni come la ceramica neolitica ultrageometrica ma specialmente le geometriche statuine di pensatori (vedi il Pensatore di Hamangia fig.1). che nascondono nel loro corpo parametri e segreti delle piramide egizie più di 1.500 anni prima della loro costruzione. Nella stessa zona nel sito archeologico di Tartaria (Romania) sono state trovate tavolette con scrittura cuneiforme 1.000 anni più vecchie che quelle sumere (fig. 2). Ecco perché i greci attribuivano ad Apollo che veniva da quelle zone la paternità della scrittura e dei numeri.

 

I greci stessi sono venuti dal nord. le tre tribù di migratori "i ioni, i dori e i corinti sono scesi dalla zona dei Carpazi per fondare poi la Grecia. Nello stesso nord iperboreo si trovavano tutti i centri di grande iniziazione dai misteri eleussini ai misteri orfici.

Inizialmente i ricercatori hanno ipotizzato che l'invasione marina nel bacino del Mar Nero sia stata rapida e che abbia provocato un'onda talmente alta da sollevare le barche e navi dei siti della costa orientale fino a portarle in cima alle montagne esattamente come accadde all'arca di Noè arenatasi alla fine del disastro sul monte Ararat.

Come abbiamo già descritto in alcuni nostri precedenti articoli sappiamo che, solitamente, quando ci riferiamo alle vicende bibliche della Genesi, le immaginiamo verificarsi in quella stessa area geografica tra la Palestina e le valli del Tigri e dell’Eufrate, ovvero dove poi si mossero le storie di Abramo, di Isacco, Giacobbe, e degli altri protagonisti della storia degli Ebrei. In realtà non vi sono elementi nel testo biblico originale che lascino intendere che quanto raccontato in Genesi relativamente alle storie dei patriarchi, da Adamo a Noè, sia avvenuto davvero nell’antica mesopotamia o nella terra di Sumer.

La storiografia descrive le prime società umane antecedenti alla fine dell’ultimo periodo glaciale come primitive e dedite alla raccolta e alla caccia non essendosi ancora realizzata la cosiddetta ‘rivoluzione agricola’. Ma sono quelle stesse società che avrebbero eretto complessi megalitici giunti fino a noi come Gobekli Tepe in Turchia, i Nuraghe in Sardegna e, se retrodatiamo la datazione delle costruzioni della piana di Giza come molti asseriscono, anche le Piramidi e la Sfinge. Senza dimenticare le tanto discusse Piramidi di Visoko.

Ricostruzione grafica piramide di Visoko

Già nelle ricerche che hanno portato alla pubblicazione del libro “Genesi di un Enigma”, è stato affrontato il ruolo e l’importanza storica di quei siti archeologici come Gobekli Tepe, Kiziltepe e le più recenti scoperte, sempre alle pendici montuose del complesso montuoso dell’Ararat, del sito di Karahan Tepe, a 63 km a est di Urfa, anch’esso risalente a più di 10.000 anni fa con pilastri a T e decorazioni molto simili a quelle di Gobekli Tepe. 

Quello stesso Ararat dove appunto la Bibbia racconta essersi arenata l’arca di Noè. Arca che forse non proveniva da sud, come è facile immaginare collocando la storia di Noè propria della tradizione mesopotamica; forse arrivava dal Nord, dalla regione del Mar Nero, ove si era insediata e sviluppata una civiltà urbana più evoluta degli standard che la storia classica è solita riconoscere al periodo storico pre-glaciale. 

Una civiltà che, fino a prima del Diluvio, diede origine ai complessi megalitici dell'area, da Baalbek alle Piramidi di Visoko, dalle Ziggurat ai complessi di Arkhaim in Russia, da Derinkuyu alla base del Bucegi in Romania fino alle più recenti scoperte di piramidi in Crimea.


Uno dei regni del tempo di Atlantide, andato cancellato con il Diluvio Universale la cui memoria si è preservata nel mito grazie ai sopravvissuti alla catastrofe. Sopravvissuti umani, e meno umani, più divini, come Noè, caratterizzati da alcune caratteristiche come appunto l'occhio azzurro ora non più esclusivo dei Nephilim, ovvero della seconda generazione di Anunnaki ma a disposizione degli esseri umani attraverso Noè e la sua discendenza.

Uno studio danese conferma: il colore deriva da una mutazione avvenuta fra 6 e 10 mila anni fa. Secondo una recente ricerca pubblicata sul Daily Mail e condotta da scienzati dell’Università di Copenhagen (dove avere gli occhi chiari non è certo una rarità), il colore azzurro degli occhi deriva da una mutazione genetica che risale a circa 10000 anni fa. Lo studio, pubblicato sul periodico Human Genetics, dimostra il verificarsi di una singola mutazione in un gene chiamato OCA2. La mutazione sarebbe avvenuta in una sola persona, abitante le coste del Mar Nero e avrebbe causato la cessazione di produzione del pigmento castano, modificandolo in blu.

«All’inizio c’erano gli occhi bruni. Il cambiamento è legato al gene OCA2 che ha letteralmente spento la capacità di produrre il marrone», annuncia la sua suggestiva teoria il danese Hans Eiberg, università di Copenhagen che ha coordinato una squadra di genetisti. «è la mia scommessa», aggiunge il ricercatore, lasciando trasparire l’orgoglio di appartenere a una popolazione composta in prevalenza da individui con caratteristiche tipiche del Nord Europa.

Il professore è arrivato alla conclusione anche guidato da un ragionamento che viene ripercorso in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Human genetics. L’antichissima mutazione, avvenuta nel Neolitico, riguarda un gene coinvolto nella produzione della melanina, il pigmento che dà colore ad alcune parti del corpo (capelli, occhi e pelle). Il castano in seguito all’alterazione non viene spento del tutto ma semplicemente ridotto in modo che avvenga una diluizione, uno schiarimento dell’iride. Nei soggetti albini come poteva essere Noè invece l’Oca2 viene disattivato completamente.

Bimbo albino... Noè aveva questo aspetto alla nascita?

Per giungere a queste conclusioni Eiberg ha esaminato il Dna di individui con occhi azzurri che vivono in aree diverse come Giordania, India, Danimarca e Turchia. Tutti hanno rivelato lo stesso assetto genetico. Da qui la teoria: «Hanno le stesse origini». Probabilmente dunque nella zona a nord est o nord ovest del Mar Nero a un certo punto della storia ci fu una migrazione che portò gli occhi azzurri nei Paesi dove oggi li ritroviamo stabilmente. 

Legge con curiosità la ricerca Alberto Piazza, ordinario di genetica umana all’università di Torino, ora impegnato in un lavoro sull’origine caucasica degli Etruschi della Toscana: «L’ipotesi di datazione del cambiamento mi pare innanzitutto un po’ campata in aria — argomenta —. La mutazione è concentrata in una sequenza del Dna ed è stato funzionale all’ambiente come potrebbe essere una importante variazione del clima o una malattia. Le ragioni sono sconosciute. Un po’ quello che sappiamo è avvenuto per il colore della pelle dell’uomo. In origine era nera poi in certi gruppi ha prevalso quella bianca. 

Seguire il percorso del carattere occhio azzurro significa seguire il percorso dei Nephilim e della discendenza di Noè attraverso le tre stirpi di Cam, di Sem e di Iafet partendo propriò laddove l'arca si è andata ad arenare: le pendici del monte Ararat.


In tal senso ci viene in aiuto la genetica a supporto dell'antropologia e in particolar modo lo studio effettuato da Klyosov, A. e Rozhanskii, I. nel loro “Re-Examining the "Out of Africa" Theory and the Origin of Europeoids (Caucasoids) in Light of DNA Genealogy. Advances in Anthropology,” pubblicato nel 2012 in cui sono stati analizzati ben settemila aplotipi di 46 sottoclassi di 17 principali aplogruppi. La constatazione finale che gli aplogruppi Europoidi caucasici non discendono da aplogruppi "africani" A o B è corroborata dal fatto che i portatori di aplogruppi caucasoidi, così come di tutti gli aplogruppi non africani non portano né SNPs M91 , P97 , M31 , P82 , M23 , M114 , P262 , M32 , M59 , P289 , P291 , P102 , M13 , M171 , M118.

Origini diverse per diverse popolazioni umane che supportano l'idea della multiregionalità in sostituzione della più accreditata teoria antropologica dell'Out of Africa.

Ma è davvero possibile pensare che il carattere genetico collegato al colore celeste dell'occhio che gli antichi attribuivano essere una caratteristica divina come ricordano gli articoli di Adriano Romualdi vede la luce “solo” qualche migliaio di anni fa nella storia del genere Homo? 

Facciamo finta invece che tale carattere fosse prerogatica degli “Antichi Dei” i quali non dovevano mescolare il loro codice genetico con quello dei Sapiens. Cosa che invece alcuni fecero scatenando le ire di una fazione di “Antichi Dei” che prendono il nome nell'interpretazione logico-storica del Progetto Atlanticus di Enliliti, in contrapposizione agli Enkiliti, ovvero agli Angeli Caduti citati nel libro di Enoch.

Ipotizziamo allora che l'occhio azzurro, il capello chiaro, la pelle bianchissima, fosse il retaggio genetico di coloro che dal cielo, Marte nelle nostre più recenti ipotesi, scesero sulla Terra. Pianeta diverso, caratteristiche fisiche completamente diverse e penalizzanti in un differente ambiente climatico come quello terrestre.

Teoria peraltro che troverebbe alcune conferme in quanto sostenuto nell'opera del dottor Ellis Silver e pubblicata recentemente sul Daily Mail. Il fatto che tanti soffrano di mal di schiena dimostra che ci siamo evoluti in una situazione di gravità più bassa rispetto a quella terrestre. Il fatto che l’esposizione prolungata al sole può crearci guai seri di salute. Il fatto che la testa del bambino che nasce è molto grande e crea sofferenze e problemi alla madre nel parto (addirittura con il   rischio di morte per la donna e per il figlio), fatto questo che non si presenta con altre specie terrestri. Il fatto che ci ammaliamo spesso e questo potrebbe dipendere dal fatto che il nostro orologio corporale è tarato sulle 25 ore e non sulle 24 (aspetto questo che è dimostrato dagli studiosi del sonno) e molti altri elementi lasciano supporre al dott.Silver che le nostre caratteristiche fisiche non sono del tutto autoctone della Terra.

Come allora potrebbe essere il nostro 'occhio azzurro'. Ciò ci consente di spostare l'attenzione per un attimo dal Mar Nero all'Oceano Atlantico quale reale punto di origine di quelle caratteristiche genetiche il cui percorso segna il cammino che gli “Antichi Dei” haano seguito dopo il Diluvio per portare la civiltà nella nuova umanità post-diluviana.


Nella mappa possiamo osservare in arancione il percorso fatto dal Sapiens secondo la teoria antropologica dell'Out of Africa che si integra con il percorso in rosso fatto dagli Atlantidi dopo l'inabissamento di una delle principali insediamenti atlantidei: l'arcipelago delle Azzorre.

Il tutto integrato ulteriormente dalla storia di Noè, figlio di un Nephilim atlantideo e quindi portatore del gene occhio azzurro, atterrato alle pendici del monte Ararat dopo l'inondazione del Mar Nero.

Sempre sul piano genetico vale la pena osservare le seguenti due mappe tematiche che rappresentano gli studi genetici mitocondriali tratti dal cromosoma X e dal cromosoma Y sovrapposti nell'ultima alla mappa di Donnelly descrivente l'Impero di Atlantide secondo la sua interpretazione storica del mito.

 

Dalla mappa di Donnelly osserviamo che il fu impero di Atlantide includeva tutta l'area circostante il Mar Nero: Caucaso, Georgia, Crimea, Ucraina e Turchia e a scendere la valle del Tigri e dell'Eufrate.

Quella Turchia di Kisiltepe, di Gobekli Tepe edificate proprio nei pressi del massiccio montuoso di cui il monte Ararat fa parte. Ovvero dove la Bibbia ci dice che si sia arenata l'arca...

Non voglio fare l'Adam Kadmon della situazione, ma è possibile che siano tutte coincidenze?

La risposta forse ce la può offrire la chiave di lettura suggeritaci da un nostro collega ricercatore di nome Alessio Pallini, il quale gestisce la pagina facebook: “E.DIN: la Terra degli Anunnaki”. 


Come abbiamo detto prima sappiamo dalla Bibbia che l'arca di Noè aveva delle specifiche precise di cantieristica navale riprese anche dai più moderni costruttori nautici. Le dimensioni straordinarie dell’Arca misuravano trecento cubiti in lunghezza, cinquanta cubiti in larghezza e trenta cubiti in altezza. Storicamente si pensa che un cubito sia la lunghezza dell’avambraccio di un uomo o circa fra 45 e 50 cm ovvero le dimensioni dell'arca dovevano essere circa ossia circa 137 metri di lunghezza, 23 di larghezza e 13 di altezza. 

Ad ogni modo la descrizione che viene data dell'arca è quella di un parallelepido che riscontriamo anche nelle rappresentazioni artistiche che i pittori hanno realizzato nel corso dei secoli. Misure e forme che hanno fatto pensare qualche anno fa di avere ritrovato l'arca proprio là dove il testo biblico dice di essersi arenata.

La cosiddetta “anomalia del monte Ararat” è un oggetto non identificato che appare su alcune fotografie, risalenti alla fine degli anni quaranta, sulla cima del monte Ararat, in Turchia. Secondo alcuni studiosi biblici potrebbe trattarsi dei resti della struttura lignea dell'arca di Noè che, secondo il racconto della Bibbia, si sarebbe arenata proprio su questo monte.

 

L’Ararat, la cui cima non è facilmente accessibile, si trova al confine tra la Turchia e l'Armenia, allora parte dell'Unione Sovietica. Era quindi una zona militarmente rilevante. Sono state condotte numerose osservazioni dallo spazio che non hanno chiarito l'origine dell'anomalia. La prima ed unica spedizione di ricerca in situ è stata organizzata nel 2004, ma le autorità turche le hanno impedito di raggiungere la cima.

L'anomalia è situata all'estremità nord-ovest dell'altopiano occidentale del monte Ararat, a 4.724 metri di altitudine, a circa 2,2 chilometri in linea d'aria dal vertice (5.137 metri). L'oggetto sembra essere situato sul bordo di una brusca pendenza. L'anomalia venne localizzata per la prima volta nel corso di una missione aerea dell'US Air Force, il 17 giugno 1949; il monte Ararat si situava infatti sulla frontiera tra Turchia e Unione Sovietica, ed aveva dunque un importante interesse strategico durante la guerra fredda. L'oggetto venne subito analizzato perché "troppo lineare per essere naturale e apparentemente sotto il ghiaccio" e presto si ipotizzò che si trattasse dell'arca di Noè. I servizi segreti statunitensi ipotizzarono anche la presenza di una base segreta sovietica nel punto in cui si era fotografata l'anomalia.

La pellicola fotografica venne classificata come segreta, benché con un livello di riservatezza poco elevato, ed altre fotografie sono state scattate nel corso degli anni da aerei e da satelliti. Sei foto del 1949 furono declassificate nel 1995 ai sensi del Freedom of information Act e trasmesse a Porcher Taylor, professore della University of Richmond, presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, un'istituzione specializzata nello studio delle informazioni ottenute via satellite. Taylor divenne uno dei più grandi sostenitori del ritrovamento dell'arca.

L'area del Monte Ararat è stata inoltre ispezionata per ulteriori ricerche dallo SPOT nel settembre 1989, dal Landsat nel 1974 e dallo Space Shuttle nel 1994, oltre che dal KH-9 nel 1973 e dal KH-11 nel 1976 e nel 1990-1992. A causa delle pessime condizioni meteorologiche e delle limitazioni tecnologiche, queste non furono in grado di risolvere il mistero; alcuni studi hanno però confermato la presenza di legno sotto il ghiaccio e di una struttura piana. Nel 2000 venne organizzato un progetto di ricerca, in collaborazione tra Insight Magazine e Space Imaging (ora GeoEye), utilizzando IKONOS; il satellite registrò l'anomalia il 5 agosto e 13 settembre 2000, ricostruendo inoltre un video computerizzato delle immagini.


Nel 2004 Daniel McGivern annunciò che intendeva finanziare una spedizione da 900.000 dollari sulla cima del monte Ararat per il mese di luglio dello stesso anno, con lo scopo di stabilire la verità sull'anomalia dell'Ararat. Dopo vari preparativi, tra cui l'acquisto di immagini satellitari appositamente realizzate, le autorità turche tuttavia non gli concessero l'accesso alla cima, poiché quest'ultima è situata in una zona militare. La spedizione fu in seguito accusata dalla National Geographic Society di essere soltanto un colpo mediatico abilmente montato, dato che il suo capospedizione, il professore turco Ahmet Ali Arslan, era stato già accusato di avere falsificato fotografie della presunta arca.

La CIA, che ha esaminato le immagini satellitari di McGivern, ha d'altra parte ritenuto che l'anomalia fosse costituita da "strati lineari di ghiaccio coperti dalla neve accumulata di recente". Uno dei membri della spedizione McGivern si è in seguito dissociato dal proprio gruppo sostenendo che alcuni pezzi di legno ritrovati sull'Ararat fossero probabilmente stati portati lì appositamente da alcuni manovali curdi che erano a conoscenza della spedizione.

Ma se la Bibbia afferma che l'arca avesse quelle misure perché alcuni sostengono che fosse rotonda? 

Da una traduzione di una tavoletta mesopotamica in argilla, antico 4 mila anni e ricoperto di segni incisi in cuneiforme interpretato dal curatore del British Museum, Irving Finkel, si è subito capito di trovarsi di fronte alla descrizione del Diluvio Universale. Tuttavia ha notato un dettaglio originale: nel testo ci sono le indicazioni per costruire una enorme barca di forma circolare. “è stata una sorpresa scoprire che l’Arca era rotonda”, ha detto lo studioso ai giornalisti dell’Associated Press.

Sul suo blog ha aggiunto: “Nessuno aveva mai pensato a questa possibilità. La tavoletta descrive il materiale necessario per costruirla: corda in fibra di palma, nervature di legno e tinozze di bitume bollente per rendere il vascello impermeabile. Il risultato è un tradizionale coracle (una barca fluviale tondeggiante, tuttora usata nel Regno Unito e in Oriente), ma di dimensioni gigantesche, con una superficie di 3600 metri quadrati, equivalenti a mezzo campo di calcio, con pareti alte 6 metri. La quantità di corda necessaria, se distesa in linea retta, collegherebbe Londra a Edimburgo”


Oggi gli studiosi sono concordi nell’affermare che furono gli Ebrei, durante il periodo Babilonese del VI secolo a.C., ad assimilare i miti e le tradizioni del popolo che li aveva conquistati e deportati. Nel 1872, fu scoperta la prima versione babilonese del diluvio all’interno dell’Epopea di Gilgamesh, l’antico poema babilonese nel quale il re e semidio, nel suo viaggio alla ricerca dell’immortalità, incontra Utnapishtim , l’uomo al quale il dio Ea/Enki ha permesso di salvarsi con le varie specie animali a bordo di una grande nave sigillata con pece e bitume.

Ma lo stesso racconto è presente in versioni ancora più antiche, con protagonista il re Atrahasis (in accadico il molto saggio) e il re sumero Ziusudra (dalla lunga vita). Nomi diversi utilizzati per la medesima vicenda mitica. 

C’è da dire che un’arca a forma di scodella, comporterebbe problemi di vario genere, inoltre il diluvio è riportato in molti antichi miti, cambiano solo i nomi. Tra tutti, quello del diluvio rivela una concezione ciclica del cosmo. Nell’Antico Testamento il diluvio è unico, ma in altri testi (anche di epoche diverse) ha come principale protagonista la Luna.

Per esempio la narrazione babilonese parla di Isthar, la dea Lunare. E’ descritta come la causa del diluvio, ma allo stesso tempo anche la salvatrice dei sopravvissuti, raffigurata nel battello che lei, come Noè, aveva costruito. Il settimo giorno inviò una colomba in segno di pace e di cessato pericolo.

In Cina abbiamo un mito con protagonista la dea lunare Shing- Moo, divinità femminile che per tradizione è comparabile alla Vergine Maria. Dopo il diluvio Shing-Moo manda sulla terra gruppi di persone per il ripopolamento. 

Ognuno di questi popoli potrebbe avere filtrato il ricordo e il racconto dell'immane catastrofe secondo i propri canoni culturali e quindi la stessa arca descritta in molti modi diversi.

Ad ogni modo l'idea dell'arca rotonda ha delle interessanti correlazioni con un sito archeologico nei dintorni dell'Ararat ben noto agli appassionati e ai ricercatori paleoarcheologici: Gobekli Tepe un sito archeologico a circa 18 km a nordest dalla città di Şanlıurfa inTurchia, presso il confine con la Siria, nel quale è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra, risalente a circa 11-12mila anni fa e che ha sconvolto tutte le certezze sulle origini della civiltà.

Göbekli Tepe sfida la storiografia ufficiale. E' diversi millenni più antico delle piramidi egizie; risale a molto tempo prima delle civiltà antiche a noi note, come quella mesopotamica, minoica e maya. Fu costruito da uomini che erano ancora nell'età della pietra.


E' come se fosse il punto di partenza della civiltà post-diluviana e la sua relativa vicinanza all'Ararat sembra essere ulteriore conferma della veridicità del racconto di Noè. L'ipotesi, certamente azzardata, ma altrettanto plausibile e degna di valutazione suggerita dal sopraccitato Pallini e poi arricchita dalle nostre considerazioni è che Gobekli Tepe potesse essere luogo di imbarco e/o sbarco dell'arca (o delle arche) che salvarono gli esponenti di quella stirpe atlantidea di Nephilim, la seconda stirpe di Anunnaki, risultanti dall'incrocio naturale tra un Anunna e un Sapiens, e portatori di quelle caratteristiche con i quali i miti descrivono semi-dei e sovrani vari: occhio azzurro, capelli biondi e rossi.

Considerando che le arche avrebbero dovuto contenere anche il materiale necessario per potere successivamente ottemperare alla possibilità di ricostruzione dopo il terribile disastro il nostro collaboratore Alessio Pallini si interroga sul fatto che Gobekli Tepe fosse un osservatorio astronomico e non fosse un sito "faunistico"?

Le strutture di Gobekli Tepe sono circolari, lo stile delle steli ritrovate presso il sito, stranamente simili a quelle ritrovate nei dintorni di Visoko, se vogliamo anch'esse relativamente vicino all'area di influenza di una presunta civiltà antidiluviana coinvolta nel cataclisma.

Oltre alle steli più famose ritraenti figure antropomorfe presso Gobekli abbiamo diverse colonne raffiguranti animali.


Ulteriore stranezza è che il periodo di catalogazione ufficiale del sito è un PPNA - PrePottery Neolithic di classe Advance e ciò significa che ci troviamo in un periodo precedente alla stanzialità dell'uomo collegata alla rivoluzione agricoltura e alla pastorizia, ma gli animali raffigurati non sono gli animali canonici che uno si aspetterebbe di trovare in una "fattoria" e il fatto che il fatto che la struttura di concentrica e non circolare sembra quasi che abbia la funzione di "incanalare" o dall'esterno verso l'interno o viceversa e regolare il flusso.

Luogo ideale quindi per sbarchi e imbarchi, in un vascello ancorato a quella stele di Gobekli alta 5 metri possibile punto di ormeggio dell'arca da cui, 'levando l'ancora' man mano che le acque salivano, si staccò finendo poi ad arenarsi sull'Ararat.

Considerando anche il fatto che Gobekli si trova in una regione che rappresenta il punto di unione di tre continenti possiamo fare finta che fosse stata identificata dai prediluviani come 'zona rossa' dove accogliere gli esuli dell'Atlantide in vista della fine. Come accade nel film 2012 in quella sperduta regione della Cina dove convergono tutti coloro che sono stati selezionati e scelti per salire a bordo di quelle enorme navi per poter sopravvivere alla fine dell'umanità.

I semi-dei dell'est, i Nephilim dell'europa, i prediluviani delle terre mesopotamiche, gli “antichi dei” di Atlantide in arrivo dalle Azzorre... Yahweh stesso, giungono infine a Gobekli 12mila anni fa in attesa dell'inizio della fine salendo a bordo di ciò che poi verranno ricordate come “arca”. Quei Nephilim biondi dagli occhi azzurri che diventeranno artefici e primi sovrani della storia dell'umanità post-diluviana sopravvissuta: le società gilaniche in Europa, i Sumeri in mesopotamia e tutti gli altri. 


Possiamo provare a interpretare il sito come gobekli tepe come zoo? O come laboratorio scientifico ove venivano compiuti quegli esperimenti di manipolazione genetica su animali e vegetali in modo del tutto analogo a quanto facciamo oggi?

Un sito costretto alla smobilitazione urgente al momento del Diluvio e dal quale caricare sull'arca i risultati delle manipolazioni ottenute dall'ingegneria genetica prediluviana. Ingegneria genetica supportata anche da ulteriori evidenze come ad esempio il fatto che è stato recentemente scoperto che E' stato scoperto che il frumento, una delle piante fondamentali per l'alimentazione umana e all'origine della rivoluzione agricola neolitica, è il risultato di una fusione di ben tre piante diverse, due graminacee e una pianta erbacea, ciascuna delle quali aveva già i suoi geni.

La Rinascita Enkilita aveva bisogno di piante utili al sostentamento del genere umano post-diluviano; il frumento fu uno dei doni degli "Antichi dei"?

Il grano possiede quattro volte più geni di noi uomini e un genoma di 17 miliardi di nucleotidi, oltre cinque volte più grande del nostro. è quindi una pianta eccezionale, cresciuta accidentalmente per la nostra fortuna e poi da noi selezionata e gelosamente tramandata, che sfama un quinto del pianeta, offrendo appunto un quinto dell'apporto calorico necessario per la nostra vita.

è terminato in questo periodo l'immane sforzo collettivo per determinare la sequenza del suo enorme genoma, che per la sua complessità aveva sfidato finora tutti i nostri sforzi. Nella sua sequenza determinata principalmente, ma non esclusivamente, a Liverpool in Inghilterra, e pubblicata su Nature, si possono vedere tante cose e impararne altrettante.

Perché tanti geni? Perché si tratta della fusione di ben tre piante diverse, due graminacee e una pianta erbacea, ciascuna delle quali aveva già i suoi geni. In verità nelle migliaia di anni che sono passati dalla fusione, il cui ultimo evento è da collocare circa 8 mila anni fa, ma che è cominciato molto prima, alcuni di questi geni sarebbero potuti andare persi. Ma non è così: la maggior parte di essi è stata conservata, e precisamente i geni della crescita e quelli che producono materiale nutritivo.

Si sa che i geni importanti per la sopravvivenza e la crescita, detti non a caso geni regolatori, sono presenti quasi uguali in tantissime specie diverse e sfidano i secoli e i millenni. Nel caso del grano sembra che siano rimasti anche nelle loro posizioni originali, come dire che ciò che funziona bene non si cambia. Questo è certamente uno dei misteri del processo evolutivo, che nella sua essenza cambia e trasforma un po' tutto, ma alcune cose le lascia addirittura intatte.

Che cambi un po' tutto lo dimostra anche qui il fatto che la parte del genoma del grano che non porta geni utili è piena di "carcasse", cioè di geni morti e di corpi fossili di virus ormai irrimediabilmente, e fortunatamente, inattivi. Ma i geni che portano il materiale nutritivo sono rimasti invece tutti sorprendentemente attivi.

Gobekli Tepe, il Mar Nero, rappresentano davvero il punto di partenza della civiltà post-diluviana e non è un caso che la Rivoluzione Agricola post-diluviana mosse i primi passi proprio dalla mezzaluna fertile mesopotamica. Perché lì, gli “Antichi Dei”, i sopravvissuti di Atlantide, ricominciarono a ricostruire quella civiltà distrutta dal Diluvio.


Fonti:

2 commenti:

  1. Con la nuova struttura cromosomica dei discendenti di Noè e con l'estinzione degli adamiti causata dal diluvio universale, si potrebbe quasi pensare che il cosiddetto peccato originale e le sue conseguenze siano stati dilavati dalla catastrofe diluviale (tutti annegati!) così che non avrebbe tutti i torti che pensasse che la nuova umanità post noachide ne sia esente! Strano, ma ragionando la cosa ha un senso!

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  2. Quandodo si accumulano ipotesi su ipotesi il rischio di comporre una favola è grosso. La storia del frumento e dei suoi cromosomi potrebbe tuttavia far tuttavia pensare a qualche intelligenza provvidenziale che li ha combinati e preservati a vantaggio degli uomini ....

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