sabato 20 febbraio 2016

Le origini Pagane di Sophia

Il mito centrale, all'interno del quale confluiscono gli insegnamenti relativi alle scuole gnostiche di area Alessandrina è, certamente, quello della Caduta e della Redenzione di Sophia, la saggezza incarnata di Dio che, a causa di un'irrefrenabile brama di conoscenza, precipita dai Reami Eterni e da' vita al mondo della dualità e delle forme. 
 
L'atto di ribellione in sé, nello Gnosticismo, formula una concezione che si scollega dalla comune credenza cristiana secondo cui gli angeli avrebbero manifestato atteggiamenti sediziosi perché desiderosi di regnare al posto di Dio, o perché in grado di vedere se stessi simili a Dio. L'opera di Sophia non scaturisce da un sentimento di arroganza, e risulterebbe fuorviante limitare il complesso pensiero filosoficamente non duale degli gnostici alessandrini attraverso una equiparazione con la volgare visione cristiano-cattolica. 
 
La disobbedienza di Sophia è sostanzialmente dovuta al fatto che, in quanto eone creato con luce di volontà, ella possiede una naturale, innata inclinazione a “scrutare l'ordine nascosto delle cose”, ella si spinge colma di amore verso il Primo Padre tentando di raggiungerlo, di conoscerlo. In altre versioni del mito, Sophia desidera generare da sé, senza l'intervento della propria controparte maschile, un essere perfetto.
 
L'ambizione più grande di Sophia, causa ineluttabile di una certa inquietudine che attanaglia la sua propria natura, è quella di riuscire a sancire una unione con il Dio da lei percepita come mancante, Sophia non avverte in se stessa il potere del Padre, che le sembra inafferrabile ed irraggiungibile, indi s'innalza alla ricerca di una completezza intima che mai catturerà intenzionalmente, in quanto già, entro di lei presente. Sarà questa ignoranza, questa incapacità da parte dell'ultimo degli Eoni del Pleroma di riconoscere il sacro legame, di comprendere la propria eterna appartenenza all'Ineffabile a produrre il collasso dell'intero corpo pleromatico e il fallimento di Dio. 
 
Sophia sprofonderà nel dubbio, e sarà costretta ad intraprendere una via differente, un sentiero irto di sofferenza, quello che la condurrà sulla terra, ma proprio mediante questo potrà risvegliarsi dal sonno dell'incoscienza, pentirsi e chiamare a sé l'aiuto del Padre. 
 
Sophia crea il mondo materiale e sperimenta una più cruda ignoranza, trasporta su di sé il peso della corruzione e della tenebra, osserva in vicinanza la propria immagine distorta, forgiatasi nella disperazione, nel timore di non poter mai raggiungere il Metropator. Sentimenti ingannevoli, figli della pesantezza del cosmo, che le impediscono di trovare la luce dimorante in se stessa sin dal principio.
 
 
Dunque, percorrendo la confusione, diviene tutt'uno con la terra che ha creato. Ireneo testimonia come fra molti gnostici Sophia fosse appellata come “Terra” o “la sinistra”, poiché in sé sceglie di accogliere il paradosso. Nonostante questo, il cammino della Sapienza di Dio non termina nel mondo.
 
Una volta comprese ed integrate le proprie debolezze, Sophia, il cui corpo informe è costantemente appesantito dalle forze di passioni divoratrici, deve poter rettificarsi, ovvero unirsi alla propria controparte sessuale, alla “luce delle luci”, il sole di una divina consapevolezza che la solleva in alto rendendola Saggezza autentica. 
 
La vicenda di Sophia descrive quello che è il viaggio della mente dell'iniziato, la quale va incontro a graduale metamorfosi attraverso il lavoro interiore, finalizzato all'auto-conoscenza e alla pienezza (Pleroma). Nelle speculazioni Junghiane, questo processo consiste in quattro fasi essenziali: l'integrazione dell'Ombra, ovvero il riconoscimento della condizione umana imperfetta e atavica; l'unione con l'Anima/Animus, ossia, rispettivamente, la funzione di relazione presente in minima parte nell'uomo, l’Emozione, la capacità di vedere le cose nella loro unità, nella loro essenza e profondità e la parte relativa al Logos, la Ragione, cioè la capacità meno sviluppata nella donna di discriminare, dividere, giudicare. Il Vecchio Saggio /la Grande Madre, che corrispondono ad un livello superiore di consapevolezza e saggezza nell'uomo e ad una condizione di elevata conoscenza del duplice aspetto naturale insito nella donna. Infine il Sé, che corrisponde alla totalità dell'essere. 
 
Teologi e studiosi concordano nell'affermare che gli Gnostici scoprirono Sophia nella Letteratura Ebraica, in cui si legge di un essere divino che assistette Dio nella creazione dell'universo e fu esiliato fra gli uomini in lotta. Tuttavia, la vasta tradizione gnostica consiste di un'ampia opera di sincretismo ed è indubbio che trasse la gran parte del pensiero filosofico e mitologico dalle acque del Paganesimo. 
 
La figura più vicina alla Sophia gnostica è senz'altro la dea ellenica che condivide il suo stesso nome, in greco traducentesi con “saggezza” o “sapienza”. Nella versione greca dell'Antico Testamento conosciuta come Settanta, largamente utilizzata da Ebrei e Cristiani durante il periodo Greco-Romano, troviamo un termine ebraico per “sapienza” che è Chokmah e generalmente si riferiva alla Shekinah, ovvero la presenza o la manifestazione del Divino sulla terra. Mentre la greca Sophia personifica in maniera generale, la virtuosa ricerca di tutte le verità, Chokmah/Sophia diviene massima espressione della divinità all'interno dell'uomo, pertanto nello Sepher Yetzirah verrà riconosciuta come “Intelligenza Illuminante”, e nello Gnosticismo si farà portatrice della scintilla (pneuma).
 
La nozione relativa alla Sophia, a discapito della fede e delle opere, sottolineerà l'elemento conoscitivo nella ricerca di Dio come processo di Illuminazione interiore riservato a pochi iniziati, e per questo verrà spesso assimilata al serpente, di cui la Sophia si farà mandante o persino, presso alcune sette Ofitiche, ne diverrà più autentica personificazione.
 
Essa dunque corrisponde alla immagine gnostica del Nous, la mente, che in sé non rappresenta propriamente la ragione, bensì l'intuizione, ovvero la componente femminile attraverso la quale si può giungere all'essenza ultima delle cose imparando ad osservarle nella loro unità, non più in ciò che appaiono, ossia nella loro dualità, nella lotta perenne in cui sembrano coinvolte.
 
L'idea di Saggezza viene ad esser rappresentata proprio da questa capacità insita nell'uomo che trova la sua eventuale concretizzazione mediante la “coscienza salvifica”, il pensiero sottile cabalisticamente simboleggiato da Binah, e gnosticamente connesso alla figura del Soter, Cristo che discende sulla terra e salva la propria sposa e sorella traendola come forza dal caos. Entrambi, a loro volta, trovano autentica espressione e potenza in Daath, la Gnosi. 
 
Chokmah/Sophia viene anche identificata nel concetto valentiniano di Achamoth (termine, non a caso, derivante dall'ebraico “chokmah”) personificazione della Bassa Saggezza esiliata e informe che attende di ricongiungersi alla propria luce. 
 
Nell'Apocrifo di Giovanni possiamo avere una esauriente descrizione di ciò che Sophia rappresentava all'interno della visione gnostica: 

“Sophia nostra sorella, venne giù scendendo innocentemente in modo da rettificare il suo difetto. Pertanto lei fu chiamata la Vita. La Madre dei Viventi. L'unica dalla Provvidenza dell'Autorità del Cielo. Con la sua assistenza le persone possono raggiungere la perfetta conoscenza.”

I più evidenti paralleli di Sophia sono divinità antiche come Inanna, la Stella del Mattino a Babilonia, la egiziana Iside, dea di origine celeste ed associata alla regalità, e Metis, figlia di Oceano e di Teti che personificava la saggezza, la ragione e l'intelligenza. Queste figure generalmente detenevano qualità di salvatrici e, nel contempo, di “trickster” ed erano coinvolte in viaggi attraverso le regioni ctonie della realtà. 
 
Altra divinità che possiede una mitica risonanza con la Sophia è Atena, dea della sapienza, della guerra, della civilizzazione e della giustizia. Vi sono, infatti, a livello più profondo, fra le due, grandi corrispondenze. Nello Gnosticismo, in particolare nel mito esemplificato da Simon Mago, Sophia assolve rigorosamente al ruolo di “primo pensiero” di Dio. In uno dei testi di Nag Hammadi, la “Protennoia Trimorfica”, Sophia dice di sé: “Io sono la Protennoia, il Pensiero che dimora nella Luce. Io sono il movimento che risiede nel Tutto”.
 
Il nome “Atena”, secondo il Cratilo di Platone, significa “la mente di Dio”. Le vicende di Sophia ed Atena che fanno la loro entrata nel regno della materia sono equivalenti. In molte scritture gnostiche, la perfetta mente di Dio viene simboleggiata da un insieme di Eoni che formano il Pleroma. Ciascun eone simboleggia una modalità di espressione del pensiero. Sophia, prefigurando la Sapienza, (la consapevolezza) ed essendo l'ultimo degli eoni, manifesta la volontà da parte del Primo Padre di diventare consapevole di sé attraverso l'opera della creazione.
 
Tuttavia, il mondo scaturisce dal dubbio, e Dio manifesta il proprio opposto, l'imperfezione, che assume le sembianze di un ribelle Demiurgo. La materia, dunque, essendo stata creata dalla Sophia, rappresenta un livello pleromatico inferiore, poiché il desiderio di conoscenza di Dio lo ha condotto a dubitare di sé e della propria completezza. Il mondo è parte di questo Dio Primo, ed è una sua estensione, estensione nella quale l'uomo assolve al ruolo di creatura che può “aiutare” Dio a divenire cosciente, in quanto possessore dell'intelligenza.
 
L'uomo può illuminare la materia cieca e caotica con il sole dell'intelletto ma, soprattutto, dell'auto-conoscenza. Conoscendosi, egli, secondo la concezione gnostica, rende il dio supremo, divenuto un malato e cieco Demiurgo, consapevole, e una volta liberata la Sophia da se stesso, questa viene redenta anche a livello cosmico e la frattura nel Pleroma viene risanata. 
 
A tal proposito, possiamo notare come anche l'alchimia, più tardi, avendo ereditato il modello gnostico, tenderà a considerare l'uomo “redenzione di Dio”; Carl Gustav Jung discusse largamente questo pensiero comparandolo al percorso di individuazione, che in sé permette all'uomo di ottenere la propria piena individualità: 

“(Nella formulazione cristiana) l’uomo attribuisce a se stesso il bisogno di essere redento e trasferisce sulla figura divina l’opera di redenzione, il vero e proprio “opus”; (Nella formulazione alchimistica) l’uomo si assume il dovere di “compiere l’opus”, attribuendo lo stato di sofferenza e dunque il bisogno di redenzione all’”anima mundi” imprigionata nella materia; l’attenzione dell’alchimista dunque non verte sulla propria redenzione per grazia di Dio, bensì sulla liberazione di Dio dalle tenebre della materia” 

Nel mito greco, Atena giunge all'esistenza sgorgando dalla testa di Zeus, per via di un forte mal di testa lamentato da quest'ultimo. Entrambi i miti illustrano quello che è il processo che inizia con uno stato di angoscia impadronitosi di Dio, pertanto, la sapienza si distacca da questi e diviene uno strumento per l'umanità. 
 
Atena, essendo figlia prediletta di Zeus, viene paragonata al Verbo e al primo pensiero. Tale concetto trova corrispondenza in quello del Logos, ovvero una naturale armonia, una forza organizzatrice, un principio che ordina i vari elementi nella creazione. 
 
La Saggezza, come Logos e Sophia è colei che spinge il cieco Demiurgo a dar vita, tramite l'intuizione, ad un mondo il cui sistema è identico - anche se, in sostanza trattasi nulla più che di un opaco riflesso, - a quello del Pleroma ed è colei che insuffla tramite Yaldabaoth il respiro vitale nell'uomo. Nell'Antico Testamento, vien descritta quale co-creatrice dell'universo medesimo, e parallelamente, in Ireneo, seppur con ruoli invertiti, troviamo testimonianza di una concezione secondo la quale Achamoth avrebbe partorito Yaldabaoth e insieme ad esso, creato il mondo. 
In Proverbi 8: 22-27 si legge:

“Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, fin d'allora.
 Dall'eternità sono stata costituita,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io sono stata generata.
Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi,
né le prime zolle del mondo;
quando egli fissava i cieli, io ero là”
 
Oltre Atena e Sophia, il motivo della passione creatrice può essere rinvenuto in altre figure Pagane assimilate alla Sapienza, fra cui Thot, Ecate e Prometeo. Ma il corpus mitologico originale della vicenda di Sophia è, di fatto, localizzato in una delle più antiche storie inerenti la creazione: il mito Pelasgico della Creazione. Con il termine Pelasgi venivano denominati gli antichi popoli che abitarono il Peloponneso prima di quelli che in seguito furono chiamati “greci”, ovvero gli Ioni, gli Achei. Ad utilizzare, all'interno della sua opera, il termine Pelasgi fu Omero. 

“All'inizio Eurinome, Dea di Tutte le Cose, emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi; divise allora il mare dal cielo e intrecciò sola una danza sulle onde. Sempre danzando si diresse verso sud e il vento che turbinava alle sue spalle le parve qualcosa di nuovo e di distinto; pensò dunque di iniziare con lui l'opera della creazione.
 
Si voltò all'improvviso, afferrò codesto Vento del Nord e lo soffregò tra le mani; ed ecco apparire il gran serpente Ofione. Eurinome danzava per scaldarsi, danzava con ritmo sempre più selvaggio finchè Ofione, acceso di desiderio, avvolse nelle sue spire le membra della dea e a lei si accoppiò.
 
Ora il Vento del Nord, detto anche Borea, è un vento fecondatore; spesso infatti le cavalle, accarezzate dal suo soffio, concepiscono puledri senza l'aiuto di uno stallone. E così anche Eurinome rimase incinta.
 
Subito essa, volando sul mare, prese la forma di una colomba e, a tempo debito, depose l'Uovo Universale. Per ordine della dea, Ofione si arrotolò sette volte attorno all'uovo, finchè questo si schiuse e ne uscirono tutte le cose esistenti, figlie di Eurinome: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra con i suoi monti, con i suoi fiumi, con i suoi alberi e con le erbe e le creature viventi (...)”

Questi miti, al pari di tutti i miti religiosi, sono fra loro interdipendenti, sia in senso storico-culturale che in termini Junghiani di inconscio collettivo. Essi, sostanzialmente, vogliono esibire un concetto di Saggezza come “virtù suprema”, come madre di tutte le virtù, che può essere ritrovata ovunque, persino all'interno di un mondo cieco ed imperfetto. Ella è spesso in esilio, e attende gli uomini che sono in grado di riconoscerla quale manifestazione della mente di Dio in ognuno. Fino a che questo non accade, la Saggezza si avventura entro terre prive di sentieri, danzando incessantemente sopra le acque dell'immaginazione umana, alla ricerca di un fratello perduto. Questo fratello perduto è nella nostra interiorità, è il Maestro, il Cristo, l'intelletto mediatore della profondità spirituale che viene in aiuto a Sophia e porta a concreto compimento quello che era il suo antico desiderio: giungere a Dio. 
 
DI: Valentina Achamoth 
 
BIBLIOGRAFIA:

- Biblioteca di Nag Hammadi, Trattato Tripartito
- Biblioteca di Nag Hammadi, Apocrifo di Giovanni
- Biblioteca di Nag Hammadi, Protennoia Trimorfica
- Carl Gustav Jung, Psicologia e Alchimia, Ed. Bollati-Boringhieri
- Robert Graves, I Miti Greci
- Platone, Cratilo
- Pistis Sophia, a cura di L. Moraldi, ed. Adelphi
 

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