lunedì 10 settembre 2012

Il lapsit exillit: il Santo Graal "fisico"

La maggior parte delle persone è convinta indubbiamente che il Graal sia la coppa dalla quale bevvero i discepoli nel Cenacolo e con la quale, successivamente Giuseppe d'Arimatea  raccolse il sangue di Gesù dalla croce, ma in realtà non è così, infatti esistono varie teorie sulla vera natura del Graal (di cui una è quella appena citata), e se vogliamo far luce sull' argomento, dobbiamo iniziare dal principio, cioè dalla prima volta che si è sentito parlare del Graal.

La prima apparizione del Graal, avvenne in un racconto di Wolfran Von Echenbach (che altri non era che un templare svevo), chiamato Parzifal. In questo racconto si narrano le vicende di un cavaliere, Parsifal, alla ricerca di una coppa chiamata Graal.

Ma in un’altro racconto dello stesso autore (anche se terminato da un altro uomo chiamato Albrecht Von Shanfenberg), chiamato Tituriel, si parla del Graal in un’altra forma, cioè sotto forma di pietra,della quale una possibile identificazione è lo smeraldo sculto che ornava il capo di Lucifero, come un terzo occhio, che si staccò dalla sua fronte quando cadde negli Inferi.

Per questo motivo questa pietra viene chiamata Lapsit Exillis, di cui tre ne possono essere le traduzioni:
-Lapis el-iksir, ovvero il nome della pietra filosofale nell’ alchimia araba.
-Lapis Exulis, o “Pietra Esule”, che indica l’origine del Graal non appartenente a questo mondo.
-Lapsit Exillis, da exilium, o “Pietra Esiliata” dal cielo.
che potrebbe fare riferimento alla Pietra Filosofale, ovvero la Pietra che secondo la leggenda trasforma ogni materiale in oro: il suo leggendario creatore è infatti Nicolas Flamel, che sembrerebbe essere stato Gran Maestro del Priorato di Sion dal 1398 al 1418!

Qualunque cristiano conosce il significato del Calice dell'Eucarestia: si può dire senza timore di essere smentiti da qualche teologo che l'eucarestia sia il momento culminante della messa e centro assoluto della dottrina propagandata dai seguaci di Gesù Cristo. In base a quel che dice il Cristianesimo nella sua forma originaria rimasta nei riti cattolici, Gesù durante l'Ultima Cena la notte prima della sua crocifissione spezzò il pane, versò il vino ai discepoli e disse loro che quello che stavano mangiando e bevendo era il suo corpo, la sua carne e il suo sangue. 

I vangeli, in origine una ventina, spiegavano accuratamente questi dettagli, ma in seguito furono analizzati ed epurati da San Paolo secondo un processo a tavolino, perdendo fondamentalmente preziosi particolari utili alla comprensione di quel gesto. 

In sostanza, Gesù, consapevole della sua imminente fine, distribuì ai primi cristiani, ovvero gli apostoli e i seguaci, gli strumenti che avrebbero garantito loro l'unione col divino e quindi con la salvezza dell'anima: la comunione, appunto l'unione dell'uomo con il divino attraverso il cibarsi del suo corpo. 

Se molte religioni, Islam in testa, sono inorridite da questo aspetto cannibalistico (la Chiesa ha più volte ribadito come l'ostia e il vino della comunione siano VERAMENTE il sangue e la carne di Cristo), tuttavia questa unione col divino è possibile soltanto attraverso il contatto diretto, quasi un'assimilazione del corpo ormai prossimo al disfacimento della divinità. Si può essere colpiti dalla profonda spiritualità generante dalla sofferenza di quello che nei Rotoli del Mar Morto viene chiamato Yoshua ben Yosef, oppure si può liquidare il tutto come un macabro esercizio di masochismo. 

Quello che ci preme chiarire è come il Cristianesimo si sia appoggiato pressoché integralmente per molti secoli, anzi lo fa tuttora, sul culto della Passione e delle relative reliquie, che al pari del culto dei santi in qualche modo è venuto incontro alle esigenze dei fedeli ansiosi essi stessi di toccare con mano gli aspetti del divino. Così, tra mani, cuori, teste, ciocche di capelli e santi prepuzi dello stesso Gesù nonché di santi e apostoli (come i frammenti di legno della vera croce oppure i chiodi della crocifissione usati per fare un'esempio nella Corona Ferrea custodita a Monza) nell'Alto Medioevo assunse un ruolo primario la reliquia più importante in assoluto. 

Era proprio il calice dell'eucarestia originario, proprio quella coppa usata da Gesù nell'Ultima Cena e il giorno dopo adoperata dallo zio, Giuseppe di Arimatea, per raccogliere il sangue dell'uomo-dio che fuoriusciva dalla ferita al costato causata dalla lancia del centurione Longino. Un sangue misto ad acqua, un sangue quindi in via di purificazione, come ben racconta il Vangelo di Nicodemo. Quella stessa coppa avrebbe in seguito assunto poteri miracolosi, divini, in grado di dare la vita eterna (e la salvezza) a chiunque vi avesse bevuto.

Ben presto la coppa originaria assunse un nome preciso, divenuto celebre nel ciclo dei romanzi cavallereschi legati a re Artù, la celebre Materia di Bretagna. Si chiamava Graal, Santo Graal: un'etimologia oscura, forse dal latino gradalis - vas gradale, che era il recipiente in cui si raccoglieva la salsa garum al tempo dei Romani, forse dal termine religioso medievale graduale (che era la lettura liturgica durante la messa) o forse dalla parola protofrancese gré che significa grato, gradito. Per altri Graal è un termine bretone, graaus, per altri ancora designava in origine quella scodella da cui ancora oggi si beve in comune nelle feste e che viene usata in Valle d'Aosta, la grolla. 

Ma si era un millennio dopo la morte di Cristo, possibile che gli elementi etimologici e leggendari fossero soltanto quelli originari proto-cristiani? No, assolutamente. Il concetto chiave di coppa salvifica si innestò su miti preesistenti, come la cornucopia greca o il calderone celtico, la "Pietra dell'esilio" dei cabalisti ebraici che designa la Shekinah, la manifestazione di Yahweh nel mondo materiale, e ancora, in India, l'urna incastonata nella fronte di Shiva che simboleggia il Terzo Occhio che permette la visione interiore. C'era anche la coppa Amonga, la coppa magica dei Sarmati che vivevano nelle steppe oltre il Caucaso che si diceva fossero discendenti diretti delle Amazzoni; poi c'era il mito dei regali del popolo dei Tuatha di Danaan, invasori (extraterrestri) dell'Irlanda che portarono in dono agli uomini quattro doni: la Spada di Nuadu re dei Fomori, la Lancia di Lug dio del Sole, la Pietra di Fal della conoscenza e infine la Coppa di Dagda, il re degli Dei. 

Questi sono poi divenuti i semi delle carte da gioco e dei tarocchi: il sincretismo religioso cristiano fece il resto. 

La spada divenne la Durlindana del cristianissimo paladino Orlando, in lotta al fianco di Carlo Magno contro i Saraceni; la lancia appunto fu associata a quella del centurione Longino (ed è custodita ancor oggi a Vienna col il nome di Heilige Lance), la pietra divenne la pietra filosofale che trasforma il ferro in oro e la coppa fu appunto associata al calice eucaristico.

(Sopra) La Heilige Lance di Vienna, considerata la "Lancia di Longino".

Il primo a parlare di Graal, anzi per l'esattezza "graal" minuscolo, fu lo scrittore provenzale Chrétien de Troyes nel suo celebre Perceval le gallois ou la conte du graal. In questo romanzo cavalleresco fa la sua comparsa tanto la coppa intesa come contenitore del sangue di Cristo tanto il concetto che la coppa stessa possa portare al mondo la salvezza: la storia che Chrétien scrive a metà del XII Secolo è quella del pianeta Terra che viene sconvolto da una spaventosa carestia, il wasteland, a cui soltanto Re Artù può porre rimedio bevendo, lui che simboleggia il re umano in contatto col divino, dalla coppa del re dei re. 

Una nobiltà di animo e di sangue che trae la sua forza e la sua capacità di protezione da un diritto "di sangue" a governare e a sanare le ferite provocate nel mondo dai pericoli che scaturiscono dal Male. Sarebbe troppo complesso parlare del significato simbolico della Materia di Bretagna, un linguaggio metaforico dietro cui si cela la storia stessa del genere umano. Ci limitiamo a dire che il Graal, la coppa di Gesù, diviene il contenitore della saggezza e della salvezza, lo strumento attraverso il quale l'uomo illuminato può chiedere l'intervento di Dio. 

Però, le cose non sono così semplici. Se è chiaro fin dalle opere di Chrétien de Troyes che la coppa è accessibile soltanto dopo innumerevoli prove iniziatiche e un percorso di evoluzione dell'anima, già presso i contemporanei assume valenze assai diverse. 

Nel suo Parzifal Wolfram von Eschenbach, sostiene chiaramente che non si tratta di una coppa, ma di una pietra. Il Graal è una "Lapsit Exilis", che potrebbe significare tanto "pietra fragile" quanto "pietra dal cielo" (exilis = ex coelis) e questo particolare è assai indicativo. Infatti nella teologia di Wolfram si riferisce alla rivolta degli angeli capitanati da Lucifero e alla loro caduta dal cielo: il Graal è uno smeraldo, il terzo occhio di Satana che cadendo sulla Terra l'ha perso e appunto con questo fatto gli è venuta meno la capacità di visione superiore della realtà. Il Graal successivamente venne sfaccettato dagli arcangeli e assunse le fattezze di una coppa o di un catino esagonale.

A Genova è custodino il Sacro Catino, una bacinella di vetro verde in passato ritenuta di smeraldo che agli occhi dei genovesi rappresentava il Graal descritto da Wolfram von Eschenbach. Il punto però è che se si tratta di una pietra caduta dal cielo, assai simile dunque alla pietra nera custodita nella Ka'Ba alla Mecca, le caratteristiche del Graal cambiano decisamente. 

Come la pietra di Fal, il Graal diviene non strumento di immortalità ma mezzo per trasmutare la materia vile in materia divina: il ferro in oro, l'anima umana in essenza divina. La coppa-pietra assume così un ruolo cristico, è essa stessa Gesù: anzi, è lo strumento che manca a Satana per conquistare il mondo e il suo possesso è in grado di decidere le sorti del mondo e dell'universo. 

I romanzi successivi del ciclo del Graal, come il Lancelot di Rober de Boron o il Peredur e il Perlesvaus, accentuano questo aspetto. Si torna al concetto di oggetto magico, in grado di stabilire le sorti del mondo, ed è questo il significato che nel Romanticismo diede alla coppa dell'eucarestia il musicista Richard Wagner nell'opera Parsifal che tanta influenza ebbe sui Nazisti il secolo dopo. E in effetti, la musica wagneriana portò alle forsennate ricerche del Graal in stile Indiana Jones da parte delle SS di Himmler comprensive di resoconti sognati fatti al "povero" Adolf Hitler rimasto orfano della sua arma definitiva per la conquista della Terra. 

Ma forse forse la chiave di volta del Graal è proprio l'interpretazione ultima dei Nazisti; non è il riferimento alla coppa dell'Ultima Cena, ma a qualcosa di più antico e veramente esplosivo in grado di cambiare le sorti di una guerra. Il costante e continuo riferimento delle cattedrali gotiche che mettono il relazione la coppa ai cavalieri Templari fa pensare al Graal a qualcosa di legato al tempio di Salomone a Gerusalemme: l'Arca dell'Alleanza, che non dimentichiamo era in grado di distruggere intere città o di folgorare chi la toccava senza protezioni! 

E' questo il vero aspetto del Graal (o quanto meno del Graal fisico?), un oggetto tecnologico che secondo alcuni studiosi eterodossi era custodito ai tempi dei Faraoni nella Grande Piramide di Giza e che Mosé rubò al momento della fuga degli Ebrei dall'Egitto?

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